Ordinanza n. 356/99

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ORDINANZA N. 356

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi primo e secondo, 10 e 11, comma sesto, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria), promosso con ordinanza emessa il 14 ottobre 1997 dal Tribunale di Roma sul ricorso proposto da Fazzalari Domenico, iscritta al n. 305 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visti gli atti di costituzione di Fazzalari Domenico, Manfredi Marcella ed altre e di Vaselli Giuseppe;

  udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

  uditi gli avvocati Francesco e Michele Giorgianni per Fazzalari Domenico e Francesco Conte per Manfredi Marcella ed altre.

  Ritenuto che - nel corso di un procedimento di opposizione, instaurato da un consulente tecnico d’ufficio nominato in una controversia civile, per dedotta esiguità della liquidazione dell’onorario ad opera del giudice istruttore - il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 14 ottobre 1997, muovendo dal presupposto che sarebbe stato altrimenti imposto l’accoglimento dell’eccezione avversaria di estinzione del processo per mancata integrazione del contraddittorio da parte del ricorrente, ha sollevato, in via preliminare, questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, sesto comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria), "nella parte in cui non prevede che, nel procedimento regolato dall'art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, introdotto con ricorso dal consulente tecnico, il ricorso stesso, con il decreto del presidente di convocazione degli interessati, debba essere notificato solamente alle parti costituite presso i loro difensori";

  che, secondo il rimettente, - attesa l’autonomia del procedimento di opposizione rispetto a quello che ha dato origine alla contestata liquidazione dei compensi, e quindi la necessità che le relative notificazioni vengano effettuate, personalmente e non presso gli eventuali difensori, a tutte le parti del processo, senza distinzione tra quelle costituite e quelle contumaci - la denunciata norma si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., in ragione della grande difficoltà che incontra il consulente tecnico, nell'esercizio del suo diritto di far valere eventuali vizi o manchevolezze del decreto di liquidazione, soprattutto allorquando (come nella fattispecie) il numero delle parti renda "estremamente difficile, se non impossibile, per il consulente, raggiungerle tutte";

  che, con riferimento poi al merito del giudizio a quo - non essendo oggetto di contestazione il fatto che il ricorrente abbia valutato una complessa situazione patrimoniale di entità assai superiore al miliardo di lire, mediante l'esame e l'accertamento del valore di numerosi ed autonomi beni mobili ed immobili, all'esito di operazioni tra di loro diverse -, osserva il Tribunale come l’omesso adeguamento periodico della misura degli onorari, previsto quale mera possibilità dall’art. 10 della citata legge n. 319 del 1980 (ed attualmente fermo al primo adeguamento di cui al d.P.R. 27 luglio 1988, n. 352, seguente all’emanazione delle relative tabelle con d.P.R. 14 novembre 1983, n. 820), abbia comportato una perdita di valore delle vigenti tabelle dell'ordine di circa il 40%, con conseguente ingiustificata incidenza sui compensi da liquidarsi (non più corrispondenti a quelli degli altri professionisti, oltre che privi di qualsiasi collegamento all’effettivo valore del bene) e, in definitiva, sul buon andamento dell'amministrazione della giustizia, la quale, di riflesso, risente della difficoltà di trovare validi ausiliari, per l'impossibilità di compensarli convenientemente;

  che, pertanto, secondo il rimettente, il citato art. 10 si pone in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., "nella parte in cui non prevede che la misura degli onorari "é automaticamente adeguata" ogni tre anni, secondo i criteri previsti dalla stessa norma, a partire dall'ultimo decreto";

  che, inoltre, relativamente alla misura ed ai criteri di determinazione dei compensi - a fronte del consolidato orientamento della Corte di cassazione in ordine alla insuperabilità del limite massimo degli onorari previsto dalle tabelle ed al carattere tendenzialmente unitario dell’incarico affidato al consulente, per cui non é consentita una pluralità di liquidazioni anche quando (come nella fattispecie) oggetto della consulenza siano differenti valutazioni sia pure tra di loro autonome -, la normativa primaria di indirizzo fissata dall'art. 2, primo e secondo comma, della legge n. 319 del 1980 determina, sempre secondo il rimettente, un’abnorme contrazione della possibilità di liquidazione degli onorari, nelle ipotesi in cui il valore dell'oggetto della consulenza, o della causa, sia superiore ai limiti massimi imposti dalle tabelle, e quando oggetto della consulenza sia una pluralità di valutazioni, tra di loro del tutto autonome, la cui somma deve interamente rapportarsi agli scaglioni previsti, senza poter ricorrere neppure alla facoltà di cui all'art. 5 della legge n. 319 del 1980 sul raddoppio degli onorari;

  che in relazione a ciò, ad avviso del rimettente, il citato art. 2, primo e secondo comma, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui: a) con disposizione asseritamente troppo vaga e generica, "prevede che le tabelle per gli onorari fissi siano redatte con riferimento alle tariffe professionali "contemperate dalla natura pubblicistica dell'incarico" e non invece semplicemente "tenuto conto della natura pubblicistica dell'incarico""; b) "non prevede che, nella determinazione degli onorari, i criteri di liquidazione debbano essere rapportati ad ogni singola valutazione, che abbia caratteristiche autonome"; c) "non prevede che il giudice, in casi estremi e con provvedimento specificatamente motivato, possa prescindere dalle tabelle per adeguare il compenso alla concreta attività svolta dal consulente";

  che nel presente giudizio si é costituito il consulente, ricorrente nel procedimento a quo, concludendo per la declaratoria di infondatezza della questione preliminare - risolvibile interpretativamente in senso conforme al dettato costituzionale, in ragione della mancanza di autonomia del sub-procedimento di opposizione alla liquidazione degli onorari -, e, in subordine, per il suo accoglimento e per l’accoglimento delle altre sollevate questioni;

  che si sono costituite, con diverse memorie, due delle parti resistenti nel procedimento di opposizione: la prima delle quali ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità per irrilevanza della questione preliminare relativa all’art. 11, sesto comma, della legge n. 319 del 1980, non avendo il rimettente motivato in ordine alla effettiva esecuzione, ad opera del ricorrente, delle notificazioni (alcune delle quali ordinate dallo stesso giudice), e la declaratoria d’infondatezza delle altre questioni; mentre la seconda ha chiesto senz'altro la declaratoria di infondatezza di tutte le sollevate questioni;

  che, nell’imminenza dell’udienza, il consulente ricorrente e la seconda delle parti private costituite hanno depositato memorie integrative, nelle quali hanno ribadito, illustrandole ulteriormente, le rispettive rassegnate conclusioni.

  Considerato, preliminarmente, che non ha consistenza, e perciò va disattesa, l’eccezione d’inammissibilità della questione relativa all’art. 11, sesto comma, della legge n. 319 del 1980, proposta da una delle parti private. Infatti il Tribunale di Roma ha non implausibilmente motivato in ordine alla rilevanza della questione stessa, che risulta sollevata - appunto sul presupposto della mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio a quo - proprio al dichiarato fine di neutralizzare gli effetti processuali derivanti dalla altrimenti accoglibile richiesta di estinzione del giudizio ex art. 307, secondo comma, cod. proc. civ.;

  che, nel merito, la questione viene prospettata muovendo dalla premessa interpretativa secondo cui ha carattere di autonomia - rispetto alla causa civile in cui si é provveduto alla contestata liquidazione del compenso - il procedimento di opposizione regolato dalla denunciata norma, nel quale soggetti "interessati" a comparire (ex art. 29 della legge n. 794 del 1942) sono da ritenersi tutti coloro che dalla liquidazione possano risentire pregiudizio siccome gravati in definitiva dal relativo onere: senza distinzione, dunque, tra le parti costituite e quelle rimaste contumaci in detta causa civile, a tutte le quali conseguentemente va notificato l'atto di opposizione, e non già presso gli eventuali difensori (cui é stata rilasciata una procura che ha valore "esclusivamente endoprocessuale", perciò non valida per il giudizio impugnatorio), bensì personalmente;

  che, qualunque sia il novero di tali "interessati" - la cui ampiezza spetta al giudice dell'opposizione definire -, la necessità della vocatio in jus di tutti loro é costituzionalmente imposta in ossequio all’inviolabile principio del contraddittorio, cui non può non essere informato anche il giudizio impugnatorio a quo (fondato su uno schema procedimentale neutro quanto a regole processuali, mutuabili in sede interpretativa da quelle contenute nel codice di rito civile: cfr. sentenza n. 197 del 1998);

  che, pertanto, il modus operandi stabilito dalla denunciata norma (secondo la ricostruzione fattane dal rimettente, in termini di necessaria conseguenzialità rispetto alla suindicata premessa interpretativa) appare immune dai prospettati vizi d’incostituzionalità, i quali viceversa si manifesterebbero in tutta la loro portata proprio ove si accedesse alla specifica soluzione additiva richiesta dal Tribunale rimettente;

  che, infatti, limitando la notificazione del ricorso del consulente alle sole parti costituite nella causa in cui é stato liquidato l’onorario, si verrebbe immancabilmente a ledere il diritto di difesa degli altri "interessati", sui quali si rifletterebbe direttamente, con riguardo all'entità delle spese giudiziali, una pronuncia resa inter alios;

  che, d’altronde, una volta individuata la sfera degli "interessati" al giudizio di opposizione, le difficoltà di ordine procedimentale dovute a circostanze contingenti ed accidentali - cui può certo andare incontro il ricorrente nel giudizio a quo, ma non diversamente da chiunque faccia valere le sue ragioni in un giudizio civile - rappresentano evenienze meramente fattuali, riferibili non già alla norma considerata nel suo contenuto precettivo ma semplicemente alla sua applicazione, e, come tali, non involgono un problema di costituzionalità (v. sentenze n. 295 del 1995, n. 417 del 1996 e n. 175 del 1997);

  che, pertanto, la questione come sopra sollevata é manifestamente infondata;

  che, conseguentemente, perdono la loro rilevanza e vanno quindi dichiarate manifestamente inammissibili le altre questioni, rispetto alle quali la prima si palesa come preliminare di rito;

  che, infatti, solo ove si fosse pervenuti ad una declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 11, sesto comma, della legge n. 319 del 1980, si sarebbe potuto evitare - secondo la tesi dello stesso rimettente - l'"altrimenti imposta pronuncia di estinzione" del giudizio a quo, la quale invece verrà ovviamente a precludere qualsiasi esame del merito e, dunque, l'applicabilità delle ulteriori norme denunciate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, sesto comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria), sollevata - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - dal Tribunale di Roma, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

  dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo e secondo comma, e 10, della legge n. 319 del 1980, sollevate - in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione - dallo stesso Tribunale di Roma, con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1999.