Ordinanza n. 354/99

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ORDINANZA N. 354

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 646, ultimo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 12 ottobre 1998 dal Pretore di Ancona – sezione distaccata di Fabriano, iscritta al n. 874 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 giugno 1999 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto che il Pretore di Ancona – sezione distaccata di Fabriano, nel corso di un procedimento penale promosso nei confronti di un rappresentante di commercio che si era appropriato del campionario dell’impresa con la quale intratteneva il proprio rapporto di collaborazione, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 646, ultimo comma, cod. pen. e, in subordine, questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 646, ultimo comma, cod. pen. "nella parte in cui esclude la possibilità di comparare circostanze attenuanti con l’aggravante di cui all’art. 61, numero 11, cod. pen. per escludere la procedibilità d’ufficio" del reato di appropriazione indebita;

che, in ordine alla rilevanza, il giudice rimettente precisa che: a) dopo il rinvio a giudizio dell’imputato per il reato di cui agli artt. 646, cod. pen., e 61, numero 11, a seguito di rimessione di querela regolarmente accettata, era stata emessa sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato sull’assunto della non applicabilità dell’aggravante indicata; b) tale sentenza, a seguito di impugnazione da parte del Sostituto Procuratore generale presso la Corte di appello di Ancona, era stata annullata con rinvio dalla Corte di cassazione; c) le questioni de quibus sono state sollevate nel corso del giudizio di rinvio;

che, per quel che riguarda il merito delle questioni, il rimettente osserva, con riferimento alla prima, che, per quanto la scelta del modo di procedibilità delle fattispecie criminose sia affidata a valutazioni discrezionali del legislatore le quali, nel giudizio di legittimità costituzionale, sono sindacabili solo se non rispettose del limite della ragionevolezza, tuttavia, l’attribuzione di un trattamento "privilegiato" al rapporto fiduciario a tutela del quale é posto l’art. 61, numero 11, cod. pen., attraverso la previsione della procedibilità d’ufficio nel caso in cui essa ricorra, rappresenterebbe un travalicamento del suddetto limite;

che, con riferimento alla questione subordinata, il rimettente sostiene che non sarebbe ragionevole, nella ipotesi considerata, non consentire la comparazione delle circostanze attenuanti con l’aggravante di cui all’art. 61, numero 11, cod. pen., per escludere la procedibilità d’ufficio in quanto "nel nostro sistema, dal punto di vista teorico, comparazione di circostanze e pronunce giurisdizionali a carattere preliminare e non di merito" sarebbero perfettamente compatibili;

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate sul rilievo che esse si risolvono in vere e proprie censure del merito di scelte discrezionali del legislatore per nulla arbitrarie.

Considerato che, con riferimento alla prima questione, questa Corte, con giurisprudenza costante, ha affermato che la scelta del modo di procedibilità dei reati coinvolge la politica legislativa e deve quindi rimanere affidata a valutazioni discrezionali del legislatore, presupponendo bilanciamenti di interessi e opzioni di politica criminale spesso assai complessi, sindacabili in sede di giudizio di legittimità costituzionale solo per vizio di manifesta irrazionalità (v., da ultimo, sentenza n. 274 del 1997 e, con specifico riguardo alla perseguibilità a querela, costituente nel nostro ordinamento una deroga al principio di obbligatorietà dell’azione penale: sentenze n. 7 del 1987 e n. 216 del 1974, e ordinanze n. 204 del 1988 e n. 294 del 1987);

che, nella specie, non é ravvisabile alcuna irragionevolezza nella scelta legislativa di prevedere la procedibilità d’ufficio per il reato di appropriazione indebita aggravato dalla circostanza di cui all’art. 61, numero 11, cod. pen., in quanto l’interversione del possesso di cose altrui che abbia luogo in violazione del vincolo eminentemente fiduciario scaturente dai rapporti di cui all’art. 61, numero 11, cod. pen., assume un disvalore sociale particolare;

che la questione subordinata riguarda una scelta legislativa dello stesso tipo, quale é quella di escludere l’influenza del giudizio di comparazione tra circostanze sul regime di procedibilità del reato e che anche tale scelta, peraltro operata nell’ambito della disciplina generale che regola il regime di valutazione delle circostanze, non é da considerare arbitraria;

che, pertanto, entrambe le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 646, ultimo comma, cod. pen., sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Ancona – sezione distaccata di Fabriano con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1999.