Ordinanza n. 326/99

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ORDINANZA N. 326

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 459, o degli artt. 459 e seguenti, del codice di procedura penale e dell’art. 2 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), promossi con ordinanze emesse il 16 settembre, il 5 ottobre, il 22 ottobre e il 16 settembre 1998 dal Pretore di Catania, il 20 novembre 1998 dal Pretore di Catania - sezione distaccata di Paternò, il 5 ottobre 1998 dal Pretore di Catania, il 21 dicembre 1998 dal Pretore di Firenze, il 15 dicembre 1998 e il 14 gennaio 1999 dal Pretore di Patti - sezione distaccata di Naso, rispettivamente iscritte al n. 885 del registro ordinanze 1998 e ai nn. 1, 2, 45, 60, 75, 93, 132 e 221 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 1998 e nn. 4, 6, 7, 8, 9, 11 e 16, prima serie speciale, dell’anno 1999.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 23 giugno 1999 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

  Ritenuto che con cinque ordinanze di identico contenuto, emesse il 16 settembre (R.O. nn. 885/98 e 45/99), il 5 ottobre (R.O. nn. 1 e 75/99) e il 22 ottobre 1998 (R.O. n. 2/99), nell’ambito di altrettanti distinti giudizi penali pervenuti alla fase dibattimentale a seguito di opposizione degli imputati a decreti penali di condanna, il Pretore di Catania ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 459 e seguenti cod. proc. pen., che disciplinano il procedimento per decreto, nella parte in cui non prevedono la nullità della richiesta di decreto penale di condanna e degli atti conseguenti (decreto penale e decreto che dispone il giudizio emesso dal giudice, secondo l’art. 565, comma 2, cod. proc. pen., a seguito dell’opposizione dell’imputato) allorchè non siano preceduti dall’invito alla persona sottoposta a indagini preliminari a presentarsi per rendere interrogatorio, a norma dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen.;

  che il rimettente muove dalle modifiche recate alla disciplina del processo dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, che ha introdotto, nel comma 2 dell’art. 555 cod. proc. pen., una nuova ipotesi di nullità del decreto di citazione a giudizio emesso dal pubblico ministero nel procedimento ordinario davanti al pretore, in caso di omissione del previo invito a comparire per rendere l’interrogatorio, ma che nulla ha stabilito per il procedimento per decreto penale;

  che di tale omissione legislativa il giudice appunto si duole, giacchè per effetto di essa si configurerebbe una ingiustificata differenziazione tra imputati, anche di un medesimo reato, potendo essi, attraverso l’eventuale interrogatorio, prospettare le proprie ragioni e addurre elementi difensivi potenzialmente idonei a far definire il procedimento con un provvedimento di archiviazione solo nel caso dell’adozione della forma ordinaria del procedimento medesimo, mentre nel giudizio per decreto tali deduzioni potrebbero essere fatte valere solo nel dibattimento che segue all’opposizione;

  che la suddetta difforme disciplina di situazioni assimilabili appare, al Pretore rimettente, lesiva dell’art. 3 della Costituzione, perchè non sorretta da una qualche esigenza logica o giuridica;

  che, inoltre, il giudice di merito prospetta la violazione dell’art. 97 della Costituzione, ravvisando nella disciplina anzidetta un fattore di pregiudizio per il buon andamento della pubblica amministrazione, intesa in senso lato, perchè si rende necessaria la celebrazione di un dibattimento penale, con i costi e i tempi che ciò comporta, anche nei casi in cui sarebbe ipotizzabile una definizione anticipata (con l’archiviazione) della vicenda processuale;

  che il Pretore di Catania - sezione distaccata di Paternò, con ordinanza del 20 novembre 1998 (R.O. n. 60/99), ha sollevato analoga questione di costituzionalità, in riferimento, oltre che al principio costituzionale di uguaglianza e a quello di buon andamento della pubblica amministrazione, altresì al diritto di difesa (art. 24 della Costituzione), del quale prospetta la lesione per la negazione, nel procedimento per decreto penale, della possibilità per l’imputato di pervenire a un provvedimento favorevole, come l’archiviazione, sulla scorta degli elementi dallo stesso eventualmente forniti nel corso dell’interrogatorio reso a seguito dell’invito a presentarsi emesso a norma dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen.;

  che anche il Pretore di Patti - sezione distaccata di Naso ha proposto, con ordinanza del 15 dicembre 1998 (R.O. n. 132/99), questione di legittimità costituzionale dell’art. 459 cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

  che, secondo il rimettente, la mancata previsione dell’ "obbligo di procedere all’interrogatorio" dell’indagato, prima di esercitare l’azione penale attraverso la richiesta di emissione di decreto penale a) comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto al caso del decreto di citazione a giudizio dinanzi al pretore emesso nella forma ordinaria (art. 555 cod. proc. pen.), e b) sarebbe contrastante con l’esigenza fondamentale della legge n. 234 del 1997, che il rimettente individua nella preclusione a un - valido - esercizio dell’azione penale se prima non sia stata garantita all’imputato la possibilità di contraddire e di difendersi attraverso l’interrogatorio, in modo da evitargli la trattazione del giudizio in pubblico dibattimento, risolvendo il procedimento già nella fase dell’indagine preliminare;

  che il Pretore di Patti ha sollevato altra analoga questione di costituzionalità relativamente all’art. 459 cod. proc. pen., con ordinanza del 14 gennaio 1999 (R.O. n. 221/99), formulando, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, osservazioni sostanzialmente corrispondenti a quelle dell’ordinanza che precede, in particolare quanto all’esigenza, che sarebbe immotivatamente elusa, di consentire all’indagato, tramite l’interrogatorio eventualmente reso, di evitare il giudizio dibattimentale susseguente all’opposizione, e di pervenire all’archiviazione;

  che anche il Pretore di Firenze, con ordinanza del 21 dicembre 1998 (R.O. n. 93/99) ha denunciato di incostituzionalità, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, l’art. 459 cod. proc. pen., unitamente all’art. 2 della citata legge n. 234 del 1997 (norma, questa, che ha modificato gli artt. 416 e 555 cod. proc. pen.), in quanto non prevedono che la richiesta di emissione del decreto penale di condanna sia preceduta, a pena di nullità, dall’invito all’indagato a presentarsi per rendere interrogatorio;

  che il Pretore rimettente ritiene che la privazione della possibilità di rendere l’interrogatorio, nel corso delle indagini preliminari, per l’indagato nei cui confronti sia poi formulata una richiesta di decreto penale di condanna, a differenza dell’indagato che venga successivamente citato a giudizio in via ordinaria, costituisca una disparità di trattamento priva di giustificazione e altresì lesiva del diritto di difesa;

  che, in particolare, il giudice rimettente esclude che possa valere, quale argomento di segno opposto, la possibilità per l’imputato di esercitare appieno il proprio diritto di difesa nel contraddittorio dibattimentale, poichè la questione sollevata si pone in relazione alla fase delle indagini preliminari, nella quale non v’é differenza tra indagati che saranno citati a giudizio e indagati che subiranno il decreto penale, entrambi essendo titolari delle medesime garanzie difensive;

  che nei giudizi di legittimità costituzionale così promossi (tranne in quello di cui al R.O. n. 221/99) é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza (R.O. nn. 885/98; 1, 2, 60, 93 e 132/99), o la manifesta infondatezza (R.O. nn. 45 e 75/99), delle questioni sollevate.

  Considerato che le nove ordinanze di rinvio propongono, in termini e secondo profili identici o simili tra loro, un’unica questione di costituzionalità e che pertanto i relativi giudizi possono riunirsi per essere definiti con unica decisione;

  che, chiamata a pronunciarsi su una analoga questione di costituzionalità, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 459 cod. proc. pen. nella parte in cui non prescrive, prima della richiesta di emissione del decreto penale di condanna, la notifica all’indagato dell’invito a presentarsi per rendere interrogatorio, questa Corte ha dichiarato, con l’ordinanza n. 432 del 1998, la manifesta infondatezza della questione medesima;

  che nell’anzidetta decisione si é osservato, relativamente al profilo di violazione dell’art. 3 della Costituzione, dedotto - allora come ora - attraverso il raffronto della disciplina del rito speciale con quella del procedimento ordinario, che la richiesta assimilazione della prima alla seconda é contraddetta dalle caratteristiche del procedimento per decreto penale, che, per la sua struttura di rito a contraddittorio eventuale e differito, improntato a criteri di economia processuale e di speditezza, non é comparabile, come tale, con gli altri modelli delineati dalla vigente disciplina del processo penale;

  che si é inoltre sottolineato che l’estensione al rito speciale del previo invito a presentarsi a norma dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen., non é soluzione che possa dirsi costituzionalmente imposta neppure alla stregua della ratio della legge n. 234 del 1997, rappresentata dall’esigenza di garantire la conoscenza del procedimento penale per chi vi sia sottoposto, poichè questa finalità, nel modulo del procedimento per decreto, si realizza nella fase processuale che consegue all’opposizione, operando il decreto solo quale mezzo di contestazione dei termini dell’accusa (sentenza n. 27 del 1966; ordinanza n. 195 del 1970);

  che ai rilievi che precedono può aggiungersi, più in generale, relativamente alla prospettazione, variamente formulata dalle ordinanze di rimessione, della necessaria identità di disciplina degli strumenti di conoscenza, di partecipazione e di intervento dell’imputato, quale che sia il modulo processuale che in concreto si svolga, che tale idea di uniformità é estranea al disegno del nuovo codice, giacchè questo é ispirato invece alla pluralità di modelli procedimentali e processuali, nessuno dei quali può dirsi costituire a priori un tipo fondamentale al quale gli altri debbano riferirsi, coerentemente con la scelta di favorire il più ampio ricorso a modelli alternativi a quello ordinario: pertanto, una volta che non si pongano problemi di violazione di diversi principi costituzionali - in primo luogo il diritto di difesa -, il rispetto dell’uguaglianza sotto il profilo della ragionevolezza richiede che le peculiarità processuali siano salvaguardate, in relazione alla struttura che caratterizza ciascun modello differenziandolo dagli altri;

  che, relativamente alla dedotta violazione delle garanzie difensive (art. 24 della Costituzione), si deve rilevare, come già osservato nella citata ordinanza n. 432 del 1998 di questa Corte, che, nel procedimento per decreto penale, l’esperimento dei mezzi di difesa si svolge nel giudizio che segue all’opposizione, costituendo il decreto penale medesimo, ove opposizione vi sia, soltanto una decisione preliminare che viene posta nel nulla dalla mancata acquiescenza dell’imputato (sentenza n. 344 del 1991); e ciò, nel quadro del ripetuto riconoscimento, nella giurisprudenza di questa Corte, della discrezionalità del legislatore nel configurare e nell’articolare gli istituti e gli schemi processuali (tra molte, da ultimo, ordinanze nn. 128 del 1999 e 368 del 1998; sentenza n. 94 del 1996), nel rispetto del canone di ragionevolezza;

  che, quanto alla prospettata lesione delle garanzie di difesa sotto il profilo della negazione della possibilità, per l’indagato, di pervenire - attraverso le deduzioni rese nell’interrogatorio, e per effetto delle eventuali conseguenti indagini - a un provvedimento di archiviazione e di evitare la celebrazione del giudizio dibattimentale, deve ancora ribadirsi che l’audizione dell’indagato, prima del processo, non può ritenersi costituzionalmente imposta, iscrivendosi in una fase, quella dell’indagine, che precede l’esercizio dell’azione penale con la formulazione dell’imputazione, essenziale perchè la difesa possa svolgersi (ordinanze nn. 277, 47 e 38 del 1996);

  che, pertanto, alla previsione di un contraddittorio antecedente l’esercizio dell’azione penale non può assegnarsi il carattere di necessario svolgimento della garanzia costituzionale della difesa, garanzia che si esercita nel processo e che - tanto più nel quadro del processo di tipo accusatorio - postula primariamente, come interlocutore dell’interessato, il giudice, e non la parte pubblica;

  che, inoltre, quanto alla violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione prospettata da talune ordinanze, ancor prima del rilievo della contraddittorietà tra la richiesta addizione normativa e le ragioni di economicità e celerità proprie del rito in argomento, si deve richiamare la consolidata affermazione di questa Corte circa l’estraneità del parametro dell’art. 97 della Costituzione all’esercizio della funzione giurisdizionale, nel suo complesso e in relazione ai diversi atti e provvedimenti che ne costituiscono espressione (tra molte, sentenza n. 16 del 1998; ordinanze nn. 368, 126 e 48 del 1998 e n. 18 del 1996);

  che, infine, la censura riferita all’art. 2 della legge n. 234 del 1997, sollevata dal Pretore di Firenze, é evidentemente destituita di fondamento, poichè detta norma concerne la disciplina - ordinaria - che lo stesso rimettente assume a termine di raffronto per sollevare la questione sul procedimento per decreto penale;

  che tutte le questioni sollevate devono pertanto essere dichiarate manifestamente infondate sotto ogni profilo.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale:

  a) degli artt. 459 e seguenti del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Pretore di Catania, con le ordinanze in epigrafe;

  b) degli artt. 459 e seguenti del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dal Pretore di Catania - sezione distaccata di Paternò, con l’ordinanza in epigrafe;

  c) dell’art. 459 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Patti e dal Pretore di Patti - sezione distaccata di Naso, con le ordinanze in epigrafe;

  d) degli artt. 459 del codice di procedura penale e 2 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Firenze, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1999.