Ordinanza n. 325/99

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ORDINANZA N. 325

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 555, comma 2, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 21 maggio 1998 dal Pretore di Montepulciano, il 12 ottobre 1998 (n. 4 ordinanze) dal Pretore di Roma, il 27 novembre 1998 dal Pretore di Montepulciano, il 27 ed il 16 ottobre 1998 dal Pretore di Roma, rispettivamente iscritte ai nn. 572, 896, 897, 898 e 899 del registro ordinanze 1998 e ai nn. 44, 52 e 124 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 36 e 52, prima serie speciale, dell’anno 1998 e nn. 6 e 11, prima serie speciale, dell’anno 1999.

  Visti gli atti di costituzione di Carlo Benenati e di Luigi Bonollo nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 22 giugno 1999 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

  uditi gli avvocati Alberto Fabbri e Giuseppe Frigo per Luigi Bonollo e l’Avvocato dello Stato Maurizio Di Carlo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

  Ritenuto che con due ordinanze di identico contenuto, emesse il 21 maggio e il 27 novembre 1998 (R.O. nn. 572/98 e 44/99), il Pretore di Montepulciano ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 555, comma 2, cod. proc. pen., nel testo modificato dall’art. 2 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio, emesso dal giudice per le indagini preliminari a seguito dell’opposizione al decreto penale, a norma dell’art. 565, comma 2, cod. proc. pen., sia nullo qualora non sia preceduto dall’invito all’imputato a presentarsi per rendere l’interrogatorio, secondo l’art. 375, comma 3, dello stesso codice;

  che, argomentata preliminarmente la rilevanza della questione (in rapporto a eccezioni di nullità sollevate dalle difese degli imputati), il Pretore rimettente muove dalle modifiche recate dalla citata legge n. 234 del 1997, che, prescrivendo in generale l’obbligo per il pubblico ministero di invitare l’indagato a rendere l’interrogatorio, quale requisito di validità dell’iter processuale, non avrebbe tuttavia coordinato la nuova regola con la disciplina del procedimento per decreto, nel quale pertanto, nel silenzio della legge e nell’impossibilità di pervenire a una diversa soluzione in via interpretativa, l’anzidetta prescrizione non opera;

  che tale omissione legislativa determina, secondo il rimettente, il dubbio di conformità a Costituzione, sotto il profilo dell’ingiustificata differenziazione di discipline che dovrebbero invece razionalmente essere uniformate, e per la disparità di trattamento tra imputati che ne conseguirebbe, con pregiudizio per chi sia soggetto al rito speciale rispetto a chi venga sottoposto al procedimento nella forma ordinaria, potendo solo il secondo e non anche il primo eccepire la nullità della citazione a giudizio (art. 555 cod. proc. pen.) in caso di mancanza del previo invito a presentarsi;

  che il giudice di merito censura altresì l’irragionevolezza della riferita differenziazione dei procedimenti - quello ordinario, e quello per decreto - essendo gli stessi accomunati dall’esito procedimentale, cioé la celebrazione del dibattimento, sottolineando altresì, per questo aspetto, che l’adozione dell’uno o dell’altro rito dipende da determinazioni e da strategie processuali del pubblico ministero, sulle quali l’indagato non può interferire;

  che, secondo le ordinanze di rimessione, la conclusione che deve trarsi dalle argomentazioni sopra dette é che la discrezionalità che compete al legislatore nel differenziare i procedimenti, in relazione alle finalità proprie di ciascuno di essi, e che giustifica, in particolare, la condanna senza previo contraddittorio nel rito speciale in discorso, verrebbe meno allorchè si pervenga al giudizio dibattimentale, che imporrebbe in ogni caso la possibilità per l’imputato di rendere, prima, l’interrogatorio, indipendentemente dal modo attraverso il quale si sia pervenuti al dibattimento medesimo;

  che il Pretore di Roma, con sei ordinanze di identico contenuto, emesse il 12 ottobre 1998 (R.O. nn. 896, 897, 898 e 899/98), il 16 ottobre 1998 (R.O. n. 124/99) e il 27 ottobre 1998 (R.O. n. 52/99), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 555, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio emesso dal giudice per le indagini preliminari a norma dell’art. 565, comma 2, cod. proc. pen., sia nullo ove non sia preceduto dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375, comma 3, dello stesso codice;

  che anche il Pretore di Roma ritiene che la modifica recata dalla legge n. 234 del 1997, nel prescrivere l’invito anzidetto nell’ambito del rito ordinario e come condizione di validità di quest’ultimo, non avrebbe coordinato tale intervento, di "portata generale", con la disciplina del procedimento per decreto;

  che la mancata ricomprensione di detto rito speciale nell’ambito di operatività della prescrizione comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento, a danno di chi sia soggetto allo stesso, con pregiudizio altresì della garanzia di difesa dell’imputato, che, nel giudizio conseguente all’opposizione al decreto penale, non può utilmente eccepire (come si verifica nei giudizi principali: onde la rilevanza delle questioni) l’invalidità dell’iter processuale per l’omessa notifica dell’invito a presentarsi ex art. 375, comma 3, cod. proc. pen., ciò che é invece possibile per l’imputato che sia chiamato in giudizio nell’ambito del procedimento ordinario;

  che nel giudizio promosso dal Pretore di Montepulciano con l’ordinanza di cui al R.O. n. 572/98, Carlo Benenati, imputato nel procedimento principale, ha depositato atto di costituzione in giudizio oltre il termine previsto dall’art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

  che nel giudizio promosso dallo stesso Pretore con l’ordinanza di cui al R.O. n. 44/99 si é costituita la parte privata Luigi Bonaldo, il cui patrocinio, riprendendo nell’atto di costituzione il contenuto dell’ordinanza di rimessione, e facendone proprie le deduzioni, ha concluso per l’accoglimento della questione sollevata;

  che in tutti i giudizi di costituzionalità così instaurati é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, sul rilievo della superfluità dell’esperimento di un atto, come l’invito a presentarsi di cui all’art. 375, comma 3, cod. proc. pen., proprio della fase delle indagini, allorchè il processo sia pervenuto al giudizio dibattimentale, e sottolineando la pienezza delle garanzie difensive che in quest’ultimo sono accordate all’imputato, ha concluso per l’inammissibilità - per irrilevanza - e comunque per l’infondatezza delle questioni.

  Considerato che le otto ordinanze di rinvio propongono, in termini analoghi o coincidenti tra loro, un’unica questione di costituzionalità e che pertanto i relativi giudizi possono riunirsi per essere definiti con unica decisione;

  che i giudici rimettenti chiedono a questa Corte una pronuncia per effetto della quale il decreto che dispone il giudizio, emesso, nel procedimento dinanzi al pretore, dal giudice per le indagini preliminari a seguito dell’opposizione dell’imputato al decreto penale di condanna (art. 565, comma 2, cod. proc. pen.), sia viziato da nullità qualora non sia preceduto dall’invito del pubblico ministero all’indagato a presentarsi per rendere l’interrogatorio (art. 375, comma 3, cod. proc. pen.);

  che la richiesta anzidetta é formulata, da tutte le ordinanze di rinvio, in base al principio di uguaglianza, assumendo la necessità di uniformare il procedimento per decreto penale a quello "ordinario", nel quale, in seguito alle modifiche recate dalla legge n. 234 del 1997, la prescrizione del previo invito a presentarsi é stata introdotta, a pena di nullità del decreto di citazione emesso dal pubblico ministero nel rito pretorile (o della richiesta di rinvio a giudizio, nel rito dinanzi al tribunale);

  che all’accoglimento della prospettata assimilazione osta, in primo luogo, l’eterogeneità degli atti ai quali la nullità, in caso di omissione del previo invito, rispettivamente si riferisce (nel procedimento "ordinario") e si richiede che venga estesa nell’ambito del procedimento alternativo, giacchè in un caso si tratta di atti propri ed esclusivi del pubblico ministero, che costituiscono modi di esercizio dell’azione penale, nell’altro caso si tratta del decreto che dispone il giudizio, cioé di un atto proprio del giudice, successivo non solo all’avvenuto esercizio dell’azione penale da parte dell’accusa, ma anche alla condanna per decreto da parte del medesimo giudice e altresì all’opposizione che contro la condanna l’imputato abbia proposto;

  che dall’anzidetta ed evidente differenziazione di natura e di riferibilità degli atti discende l’impossibilità di seguire il ragionamento dei rimettenti, poichè non sussiste l’omogeneità dei dati normativi, quello denunciato e quello posto a termine di raffronto, omogeneità che é presupposto indispensabile perchè una disciplina possa estendersi, alla stregua del principio di uguaglianza, a ipotesi in origine da essa non previste;

  che il rilievo che precede é ulteriormente avvalorato dalla considerazione degli effetti distorsivi che, nell’ipotesi di accoglimento della questione così come prospettata, verrebbero a prodursi nel sistema processuale, giacchè, lungi dal riportare a unità la disciplina dei diversi riti, la prescrizione del previo invito a presentarsi come condizione di validità del decreto che dispone il giudizio nel rito pretorile, una volta esercitata l’azione penale, comporterebbe l’atipica collocazione di un atto, proprio della fase delle indagini preliminari, nell’ambito di una fase del giudizio; una collocazione, può aggiungersi, oltretutto inidonea a garantire quelle finalità - di conoscenza, appunto, dell’indagine, e di possibilità di instaurare un contraddittorio con l’organo di accusa in funzione dell’esito dell’indagine stessa, cioé dell’alternativa processuale tra passaggio al giudizio e archiviazione - che (come del resto affermano esplicitamente talune ordinanze di rinvio) con la riforma del 1997 il legislatore ha inteso perseguire;

  che, per il profilo in discorso, deve comunque richiamarsi la pronuncia con cui questa Corte ha escluso che si debba pervenire, in virtù del parametro dell’uguaglianza, all’introduzione dell’obbligo di previo invito all’indagato a presentarsi quale requisito di validità della stessa richiesta di emissione del decreto penale (ordinanza n. 432 del 1998);

  che, relativamente alla censura di violazione delle garanzie difensive (dedotta, in motivazione, dal Pretore di Roma), deve ancora essere ribadito quanto rilevato, sotto analogo profilo, dalla richiamata ordinanza n. 432 del 1998, cioé che in generale, nel procedimento per decreto penale, l’esperimento dei mezzi di difesa si svolge nel giudizio che segue all’opposizione, giacchè il decreto penale, posto nel nulla dall’opposizione, assume il solo significato di strumento di contestazione dell’addebito, necessario per lo stesso esercizio della correlativa difesa (sentenza n. 344 del 1991; v. altresì le ordinanze nn. 277, 47 e 38 del 1996);

  che le questioni sollevate devono, per quanto detto, essere dichiarate manifestamente infondate sotto ogni profilo e in relazione a ogni parametro.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 555, comma 2, del codice di procedura penale, nel testo modificato dall’art. 2 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), sollevate, rispettivamente in riferimento all’art. 3 della Costituzione e agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Montepulciano e dal Pretore di Roma, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1999.