Sentenza n. 324/99

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SENTENZA N. 324

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5, lettera c), della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), e dell’art. 1, comma 31, primo periodo, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), promosso con ordinanza emessa l’11 febbraio 1998 dalla Corte dei conti sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, sul ricorso proposto da Trevisan Lucia contro il Provveditorato agli studi di Venezia, iscritta al n. 327 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 1998.

  Visto l’atto di costituzione di Trevisan Lucia;

  udito nella camera di consiglio del 12 maggio 1999 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

  1. — La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5, lettera c), della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui differisce al 1° gennaio 1997 la corresponsione della pensione per il personale collocato a riposo per dimissioni, nonchè dell’art. 1, comma 31, primo periodo, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), nella parte in cui fa salva l’efficacia del citato art. 13, comma 5, lettera c).

  Secondo il Collegio rimettente, le due disposizioni menzionate risulterebbero illegittime alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte; in particolare, nella sentenza n. 439 del 1994 é stata censurata una norma (introdotta dal decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438) che differiva al 1° gennaio 1994 la corresponsione della pensione per il personale della scuola, in violazione dell’art. 3 della Costituzione, perchè il legislatore non avrebbe considerato la specifica posizione del personale della scuola, determinando un’irrazionalità nella legislazione di settore.

  Anche la disposizione citata recherebbe lesione all’art. 3, e sarebbe in contrasto, altresì, con gli artt. 36 e 38 della Costituzione, perchè i dipendenti della scuola che hanno presentato le dimissioni sono privati dello stipendio e della pensione, l’uno e l’altra mezzi indispensabili - conclude la Corte dei conti - per provvedere ai bisogni essenziali della vita.

              2. — Ha presentato tardivamente memoria di costituzione la parte privata.

Considerato in diritto

  1. — La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5, lettera c), della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui differisce al 1° gennaio 1997 la corresponsione della pensione per il personale collocato a riposo per dimissioni, nonchè dell’art. 1, comma 31, primo periodo, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), nella parte in cui fa salva l’efficacia del citato art. 13, comma 5, lettera c).

  Il Collegio rimettente invoca quale precedente la sentenza di questa Corte n. 439 del 1994, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma di "blocco" introdotta dal decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438. Pure in questo caso vi sarebbe violazione dell’art. 3 della Costituzione, perchè il legislatore non avrebbe considerato la specifica posizione del personale della scuola, dando luogo a un’incongruenza all’interno della legislazione di settore. L’irrazionalità già censurata da questa Corte sarebbe ancora più evidente, nella fattispecie ora in esame, sol che si consideri il lungo spazio di tempo (sedici mesi) che intercorre fra la data di cessazione dal servizio e quella della decorrenza del trattamento pensionistico per il personale di cui alla lettera c), prima menzionata.

  Insieme con l’art. 3, il Collegio rimettente invoca gli articoli 36 e 38 della Costituzione, dal momento che il personale della scuola é privato, per sedici mesi, dello stipendio e della pensione.

  2. — L’ordinanza di rimessione muove dunque dall’assunto che vi sia stretta analogia fra le norme di "blocco" censurate da questa Corte e la lettera c) del citato art. 13, sì che varrebbe la medesima ratio decidendi della sentenza n. 439 del 1994, alla quale é seguita la sentenza n. 347 del 1997, che riguardava l’art. 13, comma 5, lettera b), della legge n. 724 del 1994.

  Ma siffatta impostazione, a ben vedere, non può essere condivisa.

  Le due pronunce richiamate, entrambe d’illegittimità costituzionale, ricordano che per il comparto della scuola vi é un regime specifico per l’accettazione delle dimissioni volontarie e il collocamento a riposo, che decorre dal 1° settembre di ogni anno. Peculiarità che nelle due norme censurate non era stata valutata; di modo che l’applicazione del "blocco" - previsto per la generalità dei dipendenti pubblici - determinava, a danno del personale della scuola, un vuoto di quattro mesi fra cessazione dal servizio e corresponsione del trattamento pensionistico.

  La disposizione denunciata, malgrado l’apparente similitudine di formulazione rispetto alla lettera b) dell’art. 13, riguarda invero i dipendenti che non hanno ancora maturato un’anzianità contributiva, o di servizio, pari a 31 anni, e pone nei loro confronti una regola "dissuasiva" di una certa severità: il trattamento pensionistico, infatti, potrà essere conseguito solo a partire dal 1° gennaio 1997. Questa misura trova evidente giustificazione nella non elevata anzianità raggiunta da tali dipendenti, come risulta dal confronto fra le lettere a), b) e c) dell’art. 13, comma 5, della legge n. 724 del 1994: la lettera a) pone la decorrenza del 1° luglio 1995 per chi abbia un’anzianità non inferiore a 37 anni; la lettera b) riguarda i dipendenti con anzianità non inferiore a 31 anni (per costoro vale il termine del 1° gennaio 1996) e infine con la lettera c), qui in esame, il dato obiettivo della ridotta anzianità (inferiore ai 31 anni) porta a un più incisivo differimento del trattamento pensionistico, temperato dalla disposizione di cui al successivo comma 8, che ammette la revoca delle domande di pensionamento, ancorchè accettate dagli enti di appartenenza.

  3. — Non bisogna dimenticare che queste misure, di natura eccezionale, sono valse a fronteggiare una situazione economica e finanziaria di notevole gravità e si inseriscono in un quadro composito di provvedimenti tesi a contenere la spesa pubblica nel settore della previdenza. Tale finalità di risanamento ha imposto l’adozione di norme restrittive che hanno inciso sulle aspettative che erano maturate con riferimento alla legislazione previgente.

  Nel caso in esame, l’obiettivo di riequilibrio del bilancio si coniuga con il chiaro disfavore per il pensionamento volontario di dipendenti ancora lontani da una significativa anzianità contributiva; nè si può invocare a sostegno del dubbio di legittimità costituzionale la necessità di garantire la continuità delle prestazioni durante l’anno scolastico, perchè la norma denunciata opera sulla decorrenza del trattamento pensionistico, al fine di scoraggiare l’esodo dei più giovani, e non sull’efficacia delle dimissioni nell’ambito dell’anno scolastico.

              Non vale dunque il richiamo alle peculiarità dell’ordinamento scolastico, nei termini suggeriti dal rimettente, e tanto meno convince il riferimento agli articoli 36 e 38 della Costituzione, giacchè l’effetto economico negativo subito dagli interessati deriva da un loro atto volontario, che poteva essere revocato su istanza degli stessi dipendenti, avendo costoro la facoltà di ritirare la domanda di pensionamento, ancorchè accettata, secondo quanto disposto dall’art. 13, comma 8, della citata legge n. 724.

  La questione deve essere quindi dichiarata non fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5, lettera c), della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nonchè dell’art. 1, comma 31, primo periodo, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1999.