Sentenza n. 198/99

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SENTENZA N. 198

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 3, e 7 del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, recante "Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997", convertito dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, promosso con ricorso della Regione Sardegna, notificato il 28 marzo 1997, depositato in Cancelleria il 7 aprile 1997 ed iscritto al n. 33 del registro ricorsi 1997.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 9 marzo 1999 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi l’avvocato Sergio Panunzio per la Regione Sardegna e l’avvocato dello Stato Carlo Bafile per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 28 marzo 1997 e depositato il 7 aprile 1997, la Regione autonoma della Sardegna ha proposto giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 3, e 7 del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30.

L’art. 1, comma 3, del provvedimento introduce, per i redditi sottoposti a tassazione separata, di cui all’art. 16 del testo unico delle imposte sui redditi, da indicare nella dichiarazione dei redditi, e non soggetti a ritenuta alla fonte, l’obbligo di un versamento a titolo di acconto, nella misura del 20 per cento, da effettuare nei termini e con le modalità previsti per il versamento annuale a saldo.

L’art. 7 del decreto dispone a sua volta che le entrate derivanti dal decreto medesimo sono riservate all’erario e destinate alla copertura degli oneri per il servizio del debito pubblico nonchè alla realizzazione delle linee di politica economica e finanziaria in funzione degli impegni di riequilibrio del bilancio assunti in sede comunitaria, e demanda ad un decreto ministeriale la definizione, ove necessarie, delle modalità di attuazione.

Secondo la ricorrente, dal combinato disposto di tali due articoli sembra evincersi che le somme incassate a titolo di acconto sull’imposta relativa ai redditi soggetti a tassazione separata rientrano fra le entrate riservate all’erario, e pertanto non entrano a comporre la base per il calcolo della quota di compartecipazione al gettito dell’imposta, attribuita alla Regione Sardegna dall’art. 8 dello statuto speciale. Tale interpretazione risulterebbe confermata dalla circostanza che, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge n. 669 del 1996, nel "quadro di classificazione delle entrate dello Stato 1997", pubblicato dalla Ragioneria generale dello Stato, é stato aggiunto un nuovo articolo 23 al capitolo 1023, intitolato ai versamenti in acconto di cui é questione, e ciò proprio per consentire di contabilizzare separatamente tali entrate, sottraendole così dalla base di calcolo della compartecipazione al gettito spettante alla Regione.

La disciplina impugnata é censurata per violazione delle norme costituzionali relative all’autonomia finanziaria della Regione Sardegna, e in particolare degli artt. 7, 8 e 54 dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione, nonchè degli artt. 116 e 119 della Costituzione; ed altresì per violazione dell’art. 54, quarto comma, dello statuto speciale e del principio di leale collaborazione.

La ricorrente afferma che, stante la norma dell’art. 8, lettera a, dello statuto speciale, che attribuisce alla Regione i sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche, la garanzia dell’autonomia finanziaria della Regione comporta che lo Stato non possa nè modificare unilateralmente le quote di partecipazione regionale al gettito, nè sottrarre parte del gettito alla applicazione della quota di compartecipazione. Solo eccezionalmente, in base ad un principio che discenderebbe dalla complessiva disciplina costituzionale della autonomia finanziaria della Sardegna, e che é espressamente formulato nelle norme di attuazione di altri statuti speciali, sarebbe consentito disporre che aumenti di gettito conseguenti a modifiche legislative siano riservati allo Stato, sottraendoli alla compartecipazione regionale. Ma ciò potrebbe avvenire solo a certe condizioni: in primo luogo, che si tratti della introduzione di un tributo nuovo o della maggiorazione delle aliquote di un tributo esistente; in secondo luogo, che le entrate riservate allo Stato siano destinate alla copertura di spese aventi scopi ben determinati e rientranti nelle materie di competenza statale e non regionale; in terzo luogo, che tale riserva sia delimitata temporalmente.

La disciplina in questione, risultante dal combinato disposto degli articoli 1, comma 3, e 7 del decreto n. 669, sarebbe incostituzionale in quanto la riserva non si applicherebbe ad un maggior gettito, derivante dalla istituzione di un nuovo tributo o dall’aumento delle aliquote di un tributo esistente, ma si applicherebbe ad una quota del gettito ordinario, costituita dall’acconto, onde si verrebbe a ridurre la partecipazione della Regione al gettito invariato del tributo; e in quanto non sarebbe temporalmente delimitata, ma sarebbe disposta in via definitiva.

Sotto un ulteriore profilo, le disposizioni impugnate sono censurate dalla ricorrente in quanto esse modificherebbero sostanzialmente la disciplina statutaria sulla ripartizione fra Stato e Regione del gettito dell’IRPEF, senza che sia stato sentito il parere della Regione: mentre l’art. 54 dello statuto prevede, anche in applicazione del principio di leale collaborazione, che le disposizioni del titolo III dello statuto medesimo, in materia finanziaria, possano essere bensì modificate con legge ordinaria, ma solo "sentita la Regione".

2.– Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio, chiedendo il rigetto del ricorso.

Secondo l’Avvocatura, la nuova entrata, di carattere straordinario, sarebbe riservata all’erario in conformità a quanto si prevede nello statuto come deroga alla regola di partecipazione della Regione alle entrate erariali.

Nè potrebbe obiettarsi che la deroga sarebbe consentita solo per aumenti di gettito originati da nuove imposte o da maggiorazioni di aliquote, mentre nella specie si tratterebbe del gettito ordinario non incrementato: infatti, osserva l’Avvocatura, si tratta di un aumento delle entrate nel periodo di imposta, essendo le norme dirette a completare la manovra di finanza pubblica.

3.– In vista dell’udienza la Regione ricorrente ha prodotto una memoria, in cui si ribadiscono anzitutto le argomentazioni del ricorso.

Osserva poi la ricorrente che, pur non essendo possibile indicare con esattezza l’entità della riduzione di entrate per la Regione, derivata dalle norme impugnate, poichè gli uffici statali non hanno risposto alle richieste di dati formulate dalla medesima ricorrente, dovrebbe trattarsi di circa 2,5 miliardi nei due esercizi 1997 e 1998. Ne sarebbe conseguita una grave alterazione del necessario rapporto di complessiva corrispondenza fra bisogni e mezzi finanziari, che deve essere salvaguardato secondo la giurisprudenza di questa Corte.

La Regione ricorda che in una analoga controversia, decisa con la sentenza n. 363 del 1993, questa Corte, in presenza di una simile clausola di riserva all’erario di nuove entrate, adottò una soluzione interpretativa sostanzialmente favorevole alla Regione, affermando che - in presenza di una norma che condizionava l’applicabilità nelle Regioni ad autonomia speciale delle disposizioni del decreto legge allora impugnato alla conformità ai rispettivi statuti e alle norme di attuazione - la clausola di riserva all’erario delle nuove entrate doveva ritenersi inapplicabile alla Regione Sardegna, in quanto non era stato sentito il parere della Regione stessa, prescritto dall’art. 54 dello statuto per le modifiche con legge ordinaria della disciplina statutaria in materia finanziaria. Siffatta soluzione non sarebbe però praticabile in questa sede, poichè nel decreto legge n. 669 del 1996 manca una disposizione di salvaguardia analoga a quella contenuta nel provvedimento allora impugnato.

Sarebbe dunque incontestabile la incostituzionalità delle disposizioni oggetto del ricorso: in primo luogo perchè esse violerebbero l’autonomia finanziaria della Regione, in modo ancor più grave in quanto non é un maggior gettito tributario che viene riservato allo Stato, ma una quota del gettito ordinario costituita dall’acconto; in secondo luogo perchè la riserva all’erario é stata disposta senza rispettare la procedura prevista per la modifica delle disposizioni finanziarie dello statuto. Sarebbe infine violato il principio di leale collaborazione, come risulterebbe anche dalla mancata risposta dello Stato alle richieste di chiarimenti e di dati contabili avanzate dalla Regione.

La ricorrente contesta poi che l’entrata in questione possa ritenersi di carattere straordinario, avendo la nuova disciplina efficacia a tempo indeterminato.

Quanto infine all’argomento dell’Avvocatura erariale, secondo cui dalla disciplina impugnata deriverebbe un aumento delle entrate nel periodo di imposta, si replica che in realtà il senso della disciplina in questione non é di dar luogo ad un aumento delle entrate complessive, ma di aumentare, a parità di gettito, le entrate per le casse dello Stato, come conseguenza della incostituzionale riduzione della base di calcolo della quota di compartecipazione al gettito spettante alla Regione.

Considerato in diritto

1.– La questione sollevata dalla Regione Sardegna investe il combinato disposto degli articoli 1, comma 3, e 7 del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30.

L’art. 7, riservando all’erario, e destinando alla copertura degli oneri per il servizio del debito pubblico nonchè al riequilibrio del bilancio statale le entrate derivanti dal medesimo decreto legge n. 669 del 1996, determinerebbe la attribuzione all’erario anche delle somme che lo Stato incassa ai sensi dell’art. 1, comma 3, ove si dispone il versamento di un acconto, nella misura del 20 per cento del reddito imponibile, a titolo di acconto dell’imposta dovuta sui redditi soggetti a tassazione separata e non soggetti a ritenuta alla fonte. In tal modo si ridurrebbe illegittimamente la base di calcolo per la compartecipazione al gettito, regionalmente riscosso, dell’imposta sui redditi delle persone fisiche, attribuita alla Regione Sardegna dall’art. 8, lettera a, dello statuto speciale, violando sia l’autonomia finanziaria della Regione quale risulta in particolare dagli artt. 7, 8 e 54 dello statuto e dalle relative norme di attuazione, sia l’art. 54, quarto comma, dello statuto (che consente la modifica delle disposizioni statutarie in materia finanziaria con legge ordinaria, ma solo col parere della Regione) e il principio di leale collaborazione.

2.– La Corte non deve, in questa occasione, riproporsi in generale il problema, se, in assenza di norme statutarie o di attuazione - analoghe a quelle contenute nelle norme di attuazione degli statuti di altre Regioni ad autonomia differenziata - che prevedano la possibilità per lo Stato di riservare all’erario, con destinazioni specifiche, nuove entrate afferenti a tributi al cui gettito la Regione partecipi in quote fissate dallo statuto, la statuizione di siffatte riserve ad opera del legislatore statale possa trovare applicazione anche alla Regione Sardegna, in forza di un principio generale implicito valido per tutte le Regioni a statuto speciale, ovvero se, invece, richieda, per risultare compatibile con lo statuto della Regione Sardegna, la preventiva consultazione di quest’ultima, ai sensi dell’art. 54 dello statuto medesimo, traducendosi in una modifica dell’ordinamento finanziario della Regione statutariamente stabilito. Infatti la ricorrente, nel presente giudizio, non contesta, in generale, la potestà del legislatore statale di disporre siffatte riserve, a certe condizioni concernenti la tipologia di nuove entrate, la loro destinazione e la durata della riserva: ma si limita a censurare l’applicazione della riserva, disposta dall’art. 7 del decreto legge n. 669 del 1996, alle entrate acquisite a titolo di acconto sull’imposta dovuta sui redditi a tassazione separata, e non soggetti a ritenuta alla fonte, in quanto non si tratterebbe dell’acquisizione di maggiori entrate, ma della semplice anticipazione di una quota del gettito tributario, invariato nella sua entità complessiva, al quale la Regione partecipa in forza dell’art. 8, lettera a, dello statuto.

3.– La questione, così delimitata, é infondata nei termini di seguito precisati.

La funzione delle clausole di riserva all’erario di nuove entrate, come quella per cui é giudizio, consiste nell’avocare allo Stato, per intero, entrate aggiuntive che derivano da nuove discipline legislative di tributi al cui gettito partecipano le Regioni, impedendo che di tali incrementi di entrate, destinati per volontà del legislatore statale a finalità particolari da esso definite, vengano ad usufruire automaticamente, pro quota, anche le Regioni che godono di tale partecipazione al gettito. Ciò comporta che lo Stato usufruisca delle nuove entrate aggiuntive, mentre la Regione continua semplicemente a godere delle entrate tributarie che ad essa già spettavano sulla base della disciplina preesistente, senza fruire di alcun vantaggio, ma anche senza subire alcuna perdita di risorse finanziarie, rispetto al passato, per effetto della disciplina legislativa sopravvenuta.

Clausole di riserva siffatte, riferite alle entrate derivanti dalla legge che le dispone, trovano dunque applicazione solo con riguardo ad entrate nuove nel senso ora precisato, in quanto aventi la loro fonte nella stessa legge.

L’entrata tributaria in questione, invece, non ha la sua fonte nelle disposizioni del decreto legge impugnato, ma piuttosto nelle previgenti, ed invariate, disposizioni che disciplinano le imposte sui redditi, e stabiliscono sia i presupposti dell’imposizione, sia i criteri per la determinazione delle aliquote applicabili.

L’art. 1, comma 3, del decreto legge impugnato non dà luogo ad entrate aggiuntive per il fisco: esso si limita a imporre una diversa modalità di riscossione per una quota dell’imposta dovuta, prescrivendo il versamento in via di "autotassazione", al momento della dichiarazione, di un acconto, laddove in precedenza siffatta imposta veniva riscossa per intero mediante iscrizione a ruolo a seguito di liquidazione effettuata dagli uffici. Di conseguenza, la riscossione avverrà, in parte, in tempi anticipati rispetto a quelli prima realizzabili, non dovendosi più attendere, se non per il calcolo dell’imposta a conguaglio, la liquidazione da parte degli uffici: ma non per questo l’imposta sarà dovuta in misura maggiore che per il passato.

Che il fisco si avvantaggi dell’anticipata riscossione, é fuori dubbio; ma é altrettanto chiaro che non si produce propriamente alcun incremento di gettito: alle maggiori entrate che si verificheranno, nei primi anni di applicazione dell’acconto, corrisponderanno infatti, nella stessa misura, minori entrate negli anni successivi, quando verranno riscossi, anzichè gli interi importi dovuti, solo gli importi eccedenti gli acconti già versati. In altri termini, si avranno, in certi anni, delle maggiori entrate in senso contabile, cui faranno riscontro però minori entrate in altri esercizi. Non si avranno comunque entrate "nuove", diverse e aggiuntive rispetto a quelle derivanti dall’applicazione della legislazione tributaria previgente, e alle quali lo statuto prevede la compartecipazione della Regione in quote prefissate.

Se non vi sono nuove entrate derivanti dall’applicazione dell’art. 1, comma 3, del decreto, l’art. 7 del medesimo, che dispone la riserva allo Stato delle sole entrate che derivano da esso, cioé che in esso trovano la loro fonte, non può trovare applicazione agli importi riscossi a titolo di acconto sull’imposta dovuta in relazione ai redditi a tassazione separata.

4.– Una diversa interpretazione porterebbe, del resto, ad una palese elusione delle previsioni degli statuti speciali, che prevedono, come nel caso della Regione Sardegna, la partecipazione delle Regioni al gettito di determinate imposte. Se bastasse, infatti, la modifica delle modalità e quindi del tempo della riscossione, senza alcun aumento del gettito complessivo, per consentire l’avocazione allo Stato di quote del gettito medesimo, si verificherebbe non già l’effetto - corrispondente, come si é detto, alla ratio delle clausole di riserva di nuove entrate all’erario - di lasciare invariato il gettito per la Regione, facendo beneficiare solo lo Stato di un aumento di entrate determinato dalla nuova disciplina legislativa; ma quello di avocare allo Stato l’intero importo di un gettito tributario (corrispondente agli acconti versati) in precedenza ripartito fra lo Stato stesso e la Regione.

All’aumento delle entrate a favore dello Stato, derivante da tale avocazione, farebbe riscontro una diminuzione del gettito a favore della Regione, la quale verrebbe a partecipare al gettito della sola quota di imposte riscossa, a conguaglio, sulla base della liquidazione effettuata dagli uffici, e non più, come per il passato, dell’intero importo di esse. Ciò che andrebbe ben oltre lo scopo delle stesse clausole di riserva, e si tradurrebbe in una modifica surrettizia dell’ordinamento finanziario della Regione, garantito sul piano costituzionale dalle disposizioni dello statuto, e modificabile, bensì, con legge ordinaria, ma solo previa consultazione della Regione stessa (art. 54 stat. spec. per la Regione Sardegna).

5.– Deve pertanto concludersi che l’art. 7 del decreto impugnato non trova applicazione alle entrate tributarie relative agli acconti versati dai contribuenti in forza dell’art. 1, comma 3, dello stesso decreto; onde alla Regione Sardegna spetterà la quota della imposta in questione, prevista dall’art. 8, lettera a, dello statuto, anche in relazione all’importo dei predetti acconti riscossi nell’ambito della Regione medesima.

Così intesa, la disciplina impugnata sfugge alle censure mosse dalla ricorrente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 3, e 7 del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, sollevata, in riferimento agli articoli 7, 8 e 54 dello statuto speciale, nonchè agli articoli 116 e 119 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Sardegna col ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 maggio 1999.