Ordinanza n. 96/99

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 96

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 513 del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove) e dell'art. 6 stessa legge, promosso con ordinanza emessa il 13 novembre 1997 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Imperia, nei procedimenti penali riuniti a carico di M. R. ed altri, iscritta al n. 329 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Imperia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 513 del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), e dell’art. 6 della stessa legge;

che la questione é stata sollevata dal rimettente, quale giudice dell’udienza preliminare, a seguito della richiesta di incidente probatorio formulata dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 392 cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 267 del 1997, al fine di procedere all’esame di alcuni imputati, uno dei quali già giudicato con sentenza di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.;

che il giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 513 cod. proc. pen., in quanto la norma impugnata <<limita fortemente il diritto alla difesa del chiamante in correità, diritto inteso come libertà di autonomamente decidere la propria linea processuale>>, determinando una irragionevole disparità di trattamento tra imputati;

che, a giudizio del rimettente, a causa del nuovo regime di utilizzazione delle dichiarazioni rese da coimputati o imputati in procedimento connesso introdotto dalla legge n. 267 del 1997, l’organo della pubblica accusa é indotto a porre in essere strategie processuali fortemente discriminatorie nei confronti degli imputati che nel corso delle indagini abbiano reso dichiarazioni eteroaccusatorie, negando per alcuni di essi il consenso ai riti alternativi, e ciò al fine di impedire che una volta definita la propria posizione processuale tali soggetti si sottraggano all’esame, così vanificando l’attività di indagine;

che, secondo quanto espone il rimettente, tale situazione si sarebbe appunto verificata nel giudizio a quo, in cui il pubblico ministero ha negato il consenso al "patteggiamento" richiesto da alcuni imputati, adducendo il rilevante pericolo che, ove la richiesta di applicazione della pena fosse accolta, tali soggetti si sarebbero sottratti all’incidente probatorio richiesto per procedere al loro esame, al pari di un imputato giudicato ex art. 444 cod. proc. pen., che tramite il suo difensore aveva già manifestato la volontà di non partecipare all’incidente probatorio;

che tale conseguenza sarebbe <<esasperata nel regime transitorio e con specifico riferimento all’udienza preliminare, posto che l’art. 6, comma 1, legge n. 267/ 1997 non tiene assolutamente conto delle possibili differenze di esito processuale per ciascun imputato>>;

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, all’atto di intervento relativo ai giudizi di costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998.

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Imperia censura, sotto il profilo della lesione del diritto di difesa e della disparità di trattamento, l’art. 513 cod. proc. pen., come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, e l’art. 6 della stessa legge, per i riflessi che la disciplina ivi contenuta determina sulle scelte processuali della pubblica accusa e, in particolare, sulle sue determinazioni in ordine al consenso ai riti alternativi;

che la questione difetta palesemente di rilevanza, atteso che il rimettente, quale giudice per l’udienza preliminare investito di una richiesta di incidente probatorio, non deve fare applicazione delle norme impugnate: nè dell’art. 513 cod. proc. pen., che disciplina il nuovo regime di utilizzazione dibattimentale delle dichiarazioni in precedenza rese da coimputati o imputati in procedimenti connessi che si avvalgano della facoltà di non rispondere o che rifiutino di sottoporsi all’esame, nè dell’art. 6 della legge n. 267 del 1997, che estende la possibilità di procedere all’incidente probatorio a norma del nuovo art. 392 cod. proc. pen. ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge per i quali sia già stato disposto il rinvio a giudizio, mentre nell’udienza preliminare trovano diretta applicazione l’art. 421, comma 2, cod. proc. pen. e, tenendo conto dell’integrazione introdotta dalla sentenza n. 77 del 1994, l’art. 392 cod. proc. pen., entrambi modificati dalla legge n. 267 del 1997;

che del resto il rimettente non chiarisce neppure quale dovrebbe essere l’intervento della Corte atto a ricondurre la normativa - del tutto genericamente impugnata - a legittimità costituzionale;

che, quanto alla denunciata privazione per alcuni imputati della possibilità di accedere al "patteggiamento", si tratta di profilo estraneo alla cognizione del giudice dell’udienza preliminare, restando comunque fermo il potere del giudice del dibattimento di pronunciare sentenza ai sensi dell’art. 448, comma 1, cod. proc. pen., qualora ritenga ingiustificato il dissenso del pubblico ministero e congrua la pena richiesta dall’imputato;

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 513 del codice di procedura penale e dell’art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Imperia con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1999.

Presidente Renato Granata

Redattore Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 26 marzo 1999.