Sentenza n. 32/99

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 32

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 294 e 302 del codice di procedura penale promossi con ordinanze emesse il 22 maggio 1997 dal Tribunale di Verona, l’11 ed il 24 giugno 1997 dal Tribunale di Prato, il 21 ottobre 1997 dal Tribunale di Perugia, il 9 ottobre 1997 dalla Corte d’Assise di Bari, il 10 dicembre 1997 dalla Corte d’Assise di Napoli, il 27 ottobre 1997 dal Tribunale di Milano ed il 28 gennaio 1998 dalla Corte d’Assise di Napoli, rispettivamente iscritte ai nn. 605, 666, 667, 865 del registro ordinanze 1997 ed ai nn. 14, 67, 80 e 191 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 39, 41, 52, prima serie speciale, dell’anno 1997 ed i nn. 5, 7, 8 e 13, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visto l’atto di costituzione di Kercuku Ramazan;

udito nella camera di consiglio del 30 settembre 1998 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

1. – Il 9 maggio 1995 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Prato adottava, nei confronti di persona imputata di bancarotta fraudolenta, la misura cautelare della custodia in carcere, misura che veniva eseguita, dopo un lungo periodo di latitanza, il 4 marzo 1997, nella fase degli atti preliminari al dibattimento.

Dopo aver disatteso la richiesta di revoca della misura avanzata dal difensore dell’imputato, il Tribunale di Prato, prima dell’udienza dibattimentale, premesso di non aver proceduto all’interrogatorio a norma dell’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, solo perchè, secondo la pressochè costante interpretazione giurisprudenziale, l’interrogatorio c.d. di garanzia deve essere espletato esclusivamente nella fase delle indagini preliminari, ha, con ordinanza dell’11 giugno 1997, sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 294, comma 1, e 302 del codice di procedura penale, nella parte in cui l’uno non prevede che il giudice del dibattimento debba procedere all’interrogatorio di garanzia anche nella fase degli atti preliminari al giudizio e nella parte in cui l’altro non prevede l’estinzione della custodia per omesso interrogatorio in tale fase.

Punto di partenza delle contestazioni del rimettente é la sentenza n. 77 del 3 aprile 1997, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato, appunto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, il giudice proceda all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente o comunque non oltre cinque giorni dell’inizio di esecuzione della custodia e dell’art. 302 dello stesso codice limitatamente alle parole "disposta nel corso delle indagini preliminari".

Dopo aver ripercorso le argomentazioni della indicata decisione della Corte e le (supposte) ragioni, fondate su motivi strettamente connessi alla rilevanza, che avrebbero determinato la decisione stessa a delimitare al momento della trasmissione degli atti al giudice del dibattimento la dichiarazione di illegittimità della normativa ora ricordata, il Tribunale ravvisa in tali argomenti "una portata ben più ampia rispetto alla conclusione alla quale é giunta la Corte". Tanto più considerando il richiamo contenuto nella sentenza n. 77 del 1997 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà che richiede "la più tempestiva presa di contatto con il giudice della persona arrestata o detenuta, a prescindere dalla fase procedimentale in cui la privazione della libertà é avvenuta". Cosicchè la fase degli atti preliminari al dibattimento - non differenziandosi, sotto il profilo della funzione dell’interrogatorio, da quella indicata dalla Corte quale dies ad quem l’interrogatorio deve essere espletato, derivandone, in caso contrario, la caducazione della misura - deve essere contrassegnata dall’applicazione degli artt. 294 e 304 del codice di procedura penale secondo la medesima ratio decidendi indicata dalla Corte.

2. – Un’identica questione lo stesso Tribunale di Prato ha proposto, con ordinanza del 24 giugno 1997, sempre nella fase degli atti preliminari al dibattimento a carico di persona nei confronti della quale la misura custodiale, applicata dal Giudice per le indagini preliminari il 9 maggio 1995, era stata eseguita solo il 12 giugno 1997, mentre il decreto che dispone il giudizio era stato emesso il 17 ottobre 1995.

Ha denunciato pertanto, sempre richiamando la ratio decidendi della sentenza n. 77 del 1997, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, gli artt. 294, comma 1, e 302 del codice di procedura penale, nella parte in cui l’art. 294, comma 1, non prevede che il giudice del dibattimento debba procedere all’interrogatorio di garanzia anche nella fase degli atti preliminari al giudizio e nella parte in cui l’art. 302 non prevede l’estinzione della custodia per omesso interrogatorio in tale fase.

3. – Con provvedimento del 16 gennaio 1996 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di persona imputata di detenzione di sostanze stupefacenti. Dopo un lungo periodo di latitanza, l’imputato veniva arrestato all’estero e consegnato alle autorità italiane il 18 aprile 1997, quindi successivamente alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento fissato per l’udienza del 16 giugno 1997.

Il 23 aprile 1997 la difesa chiedeva al Tribunale di Verona, quale giudice del dibattimento, l’immediata liberazione dell’arrestato in conseguenza del mancato espletamento dell’interrogatorio di cui all’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale; e ciò in applicazione della sentenza n. 77 del 1997, la cui ratio decidendi sarebbe riferibile anche ai casi di mancato interrogatorio in un momento successivo alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento.

Il giudice a quo, premesso che l’istanza era da ritenere infondata, attesi i limiti cronologici all'operatività di entrambe le statuizioni di illegittimità connaturati al decisum della Corte, ha allora sollevato, con ordinanza del 22 maggio 1997, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, anche dopo la trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, il giudice proceda all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall’inizio della custodia.

Dopo aver ricordato gli argomenti che hanno indotto la Corte alla dichiarazione di illegittimità, il giudice a quo ritiene che i detti argomenti dovrebbero condurre ad un’analoga statuizione anche per l’ipotesi in cui l’esigenza dell’interrogatorio insorga in una fase successiva alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento; pure in tal caso, infatti, l'imputato in vinculis verrebbe privato "per un tempo considerevole, quello che va dalla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, del contatto con il giudice per motivi collegati unicamente alla diversità della fase processuale di inizio dell’esecuzione della misura".

4. – Con ordinanza del 21 ottobre 1997 il Tribunale di Perugia, premesso che uno degli imputati era stato tratto in arresto il 7 settembre 1997 in esecuzione dell’ordinanza custodiale adottata dal Giudice per le indagini preliminari il 14 febbraio 1997 e che non si era proceduto al suo interrogatorio in quanto, alla stregua della sentenza costituzionale n. 77 del 1997, il dovere di procedere all’interrogatorio di cui all’art. 294 del codice di procedura penale sussiste fino al momento della trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, ha denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, l’illegittimità degli artt. 294 e 302 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevedono l’inefficacia della misura cautelare in caso di omesso interrogatorio dell’imputato nel termine di cinque giorni, anche nel caso di esecuzione dell’arresto dopo la trasmissione degli atti al giudice del dibattimento".

Ancora una volta é la ratio decidendi della sentenza n. 77 del 1997 ad essere invocata, sottolineandosi la peculiarità dell' "interrogatorio di garanzia" e la sua non sostituibilità con altre forme di presa di contatto con il giudice. Una peculiarità che non vale certo a limitare nel tempo il dovere di compiere tale atto. Tanto più che, a seguito della sentenza n. 71 del 1996 di questa Corte, "non sussistono più limiti alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza nella fase successiva al rinvio a giudizio" e che la Corte avrebbe, con la sentenza n. 77 del 1997, indicato come termine ultimo per l’effettuazione dell’interrogatorio il momento di trasmissione degli atti al giudice del dibattimento "solo con riguardo ai limiti del devoluto".

5. – Con ordinanza del 9 ottobre 1997 emessa prima del dibattimento la Corte di assise di Bari, rilevato che uno degli imputati era stato tratto in arresto in esecuzione del provvedimento custodiale adottato il 30 marzo 1996 dal locale giudice per le indagini preliminari, quando già gli atti erano stati trasmessi alla Corte, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 della Costituzione, anche qui richiamando la ratio decidendi della sentenza n. 77 del 1997, questione di legittimità degli artt 294 e 302 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono che il giudice debba procedere all’interrogatorio dell’imputato immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall’esecuzione della custodia intervenuta nella fase predibattimentale.

Si osserva che pure nella fase successiva alla trasmissione degli atti rimane integra la funzione di garanzia dell’interrogatorio finalizzato ad una pronta verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura, anche considerando che il dibattimento potrebbe essere differito a norma dell’art. 465 e che anche le dichiarazioni dell’imputato in dibattimento (attraverso l’esame o le dichiarazioni spontanee) non sono comunque in grado di essere equiparate all’interrogatorio di cui alla norma censurata.

6. – Pure alla ratio decidendi della sentenza n. 77 del 1997 risulta riferirsi la Corte di assise di Napoli che, con due ordinanze del 10 dicembre 1997 e del 28 gennaio 1998, ha denunciato, in riferimento agli artt. 3, 10 e 24 della Costituzione, l’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, limitatamente all’inciso "Nel corso delle indagini preliminari", anche qui in presenza di imputato attinto da ordinanza di custodia cautelare in carcere adottata dal Giudice per le indagini preliminari ed eseguita nel predibattimento.

Il giudice a quo rileva che nè nella fase degli atti preliminari al dibattimento nè in quella degli atti introduttivi é prevista alcuna forma di interrogatorio. Atto che non é contemplato neppure nel dibattimento ove l’imputato viene esaminato sui fatti oggetto dell’imputazione e non sui presupposti della custodia cautelare in corso di applicazione. Per di più, in processi come quello pendente davanti alla Corte di assise contrassegnati da una pluralità d’imputati e da innumerevoli imputazioni, il dibattimento rischia di protrarsi per molti mesi senza che l’imputato venga sottoposto all’interrogatorio.

Con conseguente violazione: dell’art. 3 della Costituzione per l’ingiustificata disparità di trattamento tra l’imputato arrestato prima che gli atti vengano trasmessi al giudice del dibattimento e l’imputato arrestato dopo tale trasmissione; dell’art. 10 della Costituzione, non conformandosi la norma censurata alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed al Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici che richiedono entrambi la più tempestiva presa di contatto tra imputato e giudice; con l’art. 24 della Costituzione perchè l’esclusione dell’interrogatorio di garanzia viene a privare l’imputato di un efficace mezzo di difesa.

7. – Con l’ordinanza del 27 ottobre 1997, il Tribunale di Milano, richiesto della scarcerazione ex art. 302 del codice di procedura penale, di un imputato in vinculis in forza di una misura cautelare adottata nel corso delle indagini preliminari ma eseguita dopo la trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che, anche dopo la trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, il giudice proceda all’interrogatorio dell’imputato in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall’inizio della custodia".

Analoghe le argomentazioni adottate, incentrate soprattutto sulla impossibilità che l’interrogatorio di garanzia possa essere sostituito da atti "equipollenti".

8. – In nessuno dei giudizi si é costituita la parte privata nè ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. – Le ordinanze di rimessione sollevano un’identica questione. I relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.

2. – Oggetto comune di censura sono gli artt. 294, comma 1, e 302 del codice di procedura penale, quali risultanti a seguito della sentenza di questa Corte n. 77 del 1997 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’uno, "nella parte in cui non prevede che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, il giudice proceda all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall’inizio di esecuzione della custodia", dell’altro, "limitatamente alle parole disposta nel corso delle indagini preliminari". Così da delineare, in forza del congiunto intervento, additivo e demolitorio, della Corte, un assetto normativo in cui il giudice (e cioé sempre e comunque il giudice per le indagini preliminari) é tenuto a procedere all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare nei cinque giorni dalla privazione dello status libertatis, non soltanto, come previsto dall’originario precetto derivante dalle disposizioni a suo tempo denunciate, nel corso delle indagini preliminari, ma anche fino al momento della trasmissione degli atti al giudice del dibattimento.

Tutte le ordinanze, pronunciate successivamente alla trasmissione degli atti a tale giudice, ma prima dell’apertura del dibattimento, coinvolgono di nuovo sia l’art. 294, comma 1, sia l’art. 302 del codice di procedura penale, censurati nella parte in cui non prevedono il dovere del giudice di procedere all’interrogatorio nei cinque giorni dall’inizio di esecuzione della custodia cautelare in carcere e l’effetto che consegue alla sua mancata effettuazione fino alla fase degli atti preliminari al dibattimento.

Pure se talune delle ordinanze di rimessione denunciano il solo art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, la denuncia deve necessariamente considerarsi estesa all’art. 302 dello stesso codice, risultando tutti i provvedimenti introduttivi del presente giudizio di legittimità costituzionale adottati di fronte a richieste di scarcerazione per omesso interrogatorio nei cinque giorni dall’esecuzione della misura. Del resto, la comune evocazione, da parte dei giudici a quibus, della sentenza costituzionale n. 77 del 1997, per trarne la conclusione che o la Corte, per motivi connessi alla rilevanza avrebbe limitato il suo intervento fino al momento della trasmissione degli atti al giudice del dibattimento ovvero che comunque l’eadem ratio decidendi dovrebbe valere anche per la fase successiva a quella indicata dalla detta decisione, comprova la conseguenzialità fra tali denunce e la sentenza della Corte e, dunque, il diretto coinvolgimento anche dell’art. 302.

3. – Ad essere chiamati in causa quali norme-parametro sono, ancora una volta, gli artt. 24 e 3 della Costituzione, il primo invocato in alcuni casi anche con riferimento alla Convenzione per i diritti dell’uomo e delle liberà fondamentali adottata a Roma il 14 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, ed entrata in vigore per l’Italia il 6 ottobre 1955, che richiede "la più tempestiva presa di contratto con il giudice della persona arrestata o detenuta, a prescindere dalla fase procedimentale in cui la privazione della libertà é avvenuta"; il secondo unanimemente ritenuto vulnerato per la disparità di trattamento tra imputato che venga privato della libertà personale nella fase in cui gli atti sono ancora nella disponibilità del giudice delle indagini preliminari e imputato che venga a trovarsi in vinculis dopo tale momento ma prima che il dibattimento abbia avuto inizio.

Una delle ordinanze indica, poi, quale ulteriore parametro, intrinsecamente collegato alla tutela del diritto di difesa, l’art. 10 della Costituzione, anche qui con richiamo alle convenzioni internazionali ratificate e rese esecutive in Italia; precisamente, oltre che la già ricordata Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il Patto internazionale per i diritti civili e politici, adottato a New York il 16 novembre 1966, reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, ed entrato in vigore per l’Italia il 15 dicembre 1978.

Le singole articolazioni dei provvedimenti rimessivi rivelano però qualche, ma solo apparente, divaricazione, conseguente alla peculiarità della fase in cui la misura é stata eseguita. Mentre, infatti, talune ordinanze non indicano quale debba essere il giudice tenuto a procedere all’interrogatorio, altre ne rivendicano, esplicitamente o implicitamente, l’esecuzione al giudice del dibattimento, a norma degli artt. 279 del codice di procedura penale e 91 delle norme di attuazione dello stesso codice. Ma, poichè nessuno dei rimettenti ha denegato la propria competenza a decidere sulla richiesta di caducazione della misura, tutte le ordinanze, anche per ragioni connesse al necessario requisito della rilevanza, ravvisano nella fase che va dalla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento all’inizio del dibattimento la competenza del giudice di tale fase tanto per l’espletamento dell’interrogatorio quanto per l’eventuale dichiarazione di estinzione della misura. Una problematica che riemerge con particolare efficacia in uno dei provvedimenti rimessivi, precisamente quello pronunciato dalla Corte di assise di Bari, che propone "l’ulteriore connessa questione della precisa individuazione degli elementi probatori sui quali il giudicante potrà contare nell’espletamento di tale incombente e nella formazione del suo convincimento sui presupposti della misura cautelare". Se, cioé, simile verifica vada compiuta sulla base degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento e/o desumibili dai provvedimenti cautelari a sua disposizione" oppure - esprimendo, sul punto, perplessità per il "pregiudizio" che potrebbe insinuarsi nel convincimento del giudice che procede - sulla base di tutti gli atti valutati dal giudice per le indagini preliminari prima dell’adozione della misura.

4. – La questione é, nei termini che seguono, fondata.

Come si é ricordato, questa Corte, con sentenza n. 77 del 1997, ebbe a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento il giudice proceda all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall’inizio di esecuzione della custodia" e dell’art. 302 dello stesso codice, "limitatamente alle parole ‘disposta nel corso delle indagini preliminari’".

La delimitazione temporale e di fase a suo tempo operata era strettamente connessa al requisito della rilevanza, contestandosi da parte di tutte le ordinanze di rimessione che il giudice fosse tenuto a procedere all’interrogatorio prescritto dall’art. 294, comma 1, esclusivamente nella fase delle indagini preliminari. Si ritenne, dunque, che non fossero sufficienti per argomentare la legittimità dell’assetto normativo allora vigente e, conseguentemente, per sottrarre l’imputato all’interrogatorio "di garanzia" contemplato dalla norma anche adesso denunciata, nè la considerazione che dopo la chiusura delle indagini l’imputato stesso abbia la possibilità di venire a conoscenza del fascicolo contenente la notizia di reato e la documentazione relativa alle indagini espletate trasmesso al momento della richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero (documentazione depositata nella cancelleria del giudice, con notificazione dell’avviso al difensore di prendere visione degli atti) nè il rilievo che nel corso dell’udienza preliminare l’imputato può richiedere di essere sottoposto ad interrogatorio; sia perchè i tempi, per giunta ordinatori, intercorrenti tra richiesta del pubblico ministero ed espletamento dell’udienza preliminare possono non consentire quella immediata presa di contatto tra imputato in vinculis e giudice che é a fondamento dell’art. 294, comma 1, sia perchè l’interrogatorio in sede di udienza preliminare - da espletarsi solo su richiesta dell’imputato e non ad iniziativa del giudice, quale espressione di un suo specifico potere-dovere - non può identificarsi con l’interrogatorio "di garanzia", soprattutto con riferimento alle esigenze cautelari e tenuto anche conto del tipo di delibazione demandato al giudice al termine dell’udienza. Senza che possano colmare una simile lacuna nè gli strumenti di gravame cautelare, in ordine ai quali pure la legge consente l’esame dell’imputato in vinculis, nè il procedimento di revoca - contraddistinto da una funzione profondamente diversa rispetto al procedimento incentrato sulla genesi della custodia - perchè il dovere di interrogatorio in tale sede scaturisce dall’esistenza proprio di una situazione che potrebbe emergere a seguito dell’interrogatorio "di garanzia", essendo l’interrogatorio prescritto, nell’ambito di tale procedura, solo se l’istanza é fondata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati.

5. – Una volta superate le ragioni ostative all’applicabilità del regime dell’interrogatorio previsto dall’art. 294, comma 1, al di là del limite della fase delle indagini preliminari, diviene contrastante, oltre che con il principio di eguaglianza, anche con il diritto di difesa, una norma che non estende tale dovere dalla fase successiva alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento fino al momento dell’inizio del dibattimento stesso. Tanto più che l’intervallo di tempo fra trasmissione degli atti ed inizio del dibattimento può essere contrassegnato da una estensione maggiore rispetto a quello che va dalla richiesta di rinvio a giudizio all’espletamento dell’udienza preliminare; con la conseguenza di rendere, in via di principio, ancor più irragionevole la diversità di trattamento rispetto alla previsione già dichiarata costituzionalmente illegittima. Tanto da caratterizzare un simile regime come avente l’unica, e certo non costituzionalmente tutelabile, finalità di protrarre senza limiti di tempo la presa di contatto tra imputato e giudice e, di conseguenza, di adottare un trattamento deteriore per il latitante.

Può, dunque, qui ripetersi, a maggior ragione, che un regime di tal genere priva "l’imputato in vinculis del più efficace strumento di difesa avente ad oggetto la cautela disposta: di quel colloquio, cioé, con il giudice relativo alle condizioni che hanno legittimato l’adozione della misura cautelare ed alla loro permanenza" (v. sentenza n. 77 del 1997). Ancora una volta potendosi richiamare (senza che, peraltro, ne risulti coinvolto l’art. 10 della Costituzione che, secondo l’indirizzo di questa Corte esorbita dagli schemi del diritto internazionale pattizio) sia il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (in vigore per l’Italia dal 1978) sia la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (entrata in vigore per l’Italia nel 1955), che reclamano "la più tempestiva presa di contatto con il giudice della persona arrestata o detenuta, a prescindere dalla fase procedimentale in cui la privazione dello status libertatis é avvenuta".

Appare chiaro, poi, come l’adempimento di un simile dovere presuppone che non sia stata ancora instaurata la fase del giudizio che, per i suoi caratteri essenziali di pienezza del contraddittorio e per l’immanente presenza dell’imputato, assorbe la stessa funzione dell’interrogatorio previsto dall’art. 294, comma 1; senza contare che il giudice del dibattimento, quale giudice che "attualmente" potrà procedere all’esame dell’imputato in vinculis su ogni elemento dell’imputazione e sulle condizioni legittimanti lo status custodiae, ha in ogni momento della fase la possibilità di verificare sia la legittimità dello status sia la permanenza delle condizioni che determinarono l’adozione della misura custodiale.

6. – L’affermazione, costituzionalmente imposta, che l’interrogatorio di garanzia, oltre che un obbligo del giudice costituisce un diritto fondamentale della persona sottoposta alla custodia anche nella fase successiva alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento e fino all’inizio del dibattimento stesso, non comporta soluzioni necessitate quanto al giudice a cui affidare il compito di procedere all’interrogatorio e agli atti da utilizzare a tal fine, nè in ordine al termine congruo entro cui l’interrogatorio deve essere effettuato e alle conseguenze connesse all’inosservanza del termine stesso.

E’ compito del legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali affermati dalla presente decisione, operare le scelte discrezionali che sottostanno alla soluzione degli anzidetti problemi, tenendo conto delle specifiche esigenze connesse alla nuova fase processuale – diversa da quelle a cui si riferiva l’originale disciplina dell’art. 294 cod. proc. pen. come integrata dalla sentenza n. 77 del 1997 di questa Corte – alla quale viene esteso l’obbligo dell’interrogatorio di garanzia.

In attesa dell’intervento legislativo, sarà il giudice a trarre dal sistema in vigore, come integrato dalla presente pronuncia, le soluzioni più corrette in ordine alla competenza, alle modalità e al termine per l’osservanza dell’obbligo di interrogatorio, nonchè a valutare, anche in relazione alle concrete situazioni processuali, incidenza, effetti e modo di operare della pronuncia medesima sulle misure cautelari in atto.

7. – Deve, conseguentemente essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che fino all’apertura del dibattimento il giudice proceda all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che fino all’apertura del dibattimento il giudice proceda all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Giuliano VASSALLI

Depositata in cancelleria il 17 febbraio 1999