Ordinanza n. 18/99

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ORDINANZA N. 18

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA         

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI     "

- Prof. Annibale MARINI "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 305 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 3 marzo 1998 dal Giudice istruttore del Tribunale di Rovereto, nel procedimento civile vertente tra Setti Flavia ed altri e l’Azienda provinciale per i servizi sanitari per la Provincia di Trento ed altri, iscritta al n. 320 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 1998.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 28 ottobre 1998 il Giudice relatore Fernanda Contri.

  Ritenuto che nel corso di un procedimento civile di risarcimento dei danni da fatto illecito, il quale procedimento, a seguito della interruzione per morte dell’attore, era stato proseguito dagli eredi di questo soltanto nei confronti degli originari convenuti e non della compagnia assicuratrice, chiamata in causa dai convenuti a fini di garanzia, il Giudice istruttore del Tribunale di Rovereto, con ordinanza emessa il 3 marzo 1998, ha sollevato, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 305 del codice di procedura civile, nella parte in cui fa decorrere il termine semestrale per la prosecuzione o per la riassunzione del processo dalla interruzione, anzichè dalla conoscenza che il convenuto abbia avuto della intervenuta riassunzione della causa principale, "quando tale atto rappresenti il presupposto costitutivo della legittimazione alla riassunzione della causa di garanzia";

  che, come precisa in fatto il rimettente, la compagnia assicuratrice, nei cui confronti era stata autorizzata la notifica dell’atto riassuntivo, aveva eccepito l’estinzione del rapporto processuale instaurato tra i convenuti ed essa chiamata, per il decorso di un termine superiore al semestre intercorrente tra la data di interruzione del processo e la formulazione da parte dei convenuti dell’istanza di fissazione di una nuova udienza per la riassunzione nei confronti di essa chiamata in causa;

  che, ad avviso del giudice a quo, l’art. 305 cod. proc. civ. si porrebbe in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, in quanto il diritto di azione del convenuto, che pretenda di essere garantito dal terzo chiamato in causa, non può trovare piena realizzazione, in quanto il medesimo, finchè non abbia conoscenza della riassunzione della causa principale ad opera dell’attore, é costretto a riassumere una lite, che ha funzione meramente cautelare e preventiva, e a proporre domanda di garanzia, la quale potrebbe essere respinta per carenza di interesse ad agire;

  che quantunque il diritto sancito dall’art. 24 della Costituzione non si estenda alla garanzia di gratuità dello svolgimento della funzione giurisdizionale, tuttavia non appare ragionevole - a parere del rimettente - che la parte, la quale ritenga di difendersi mediante la chiamata in causa di un terzo, sia costretta a sostenere e a rimborsare al terzo le spese processuali per il timore di decadere dalla facoltà di riassumere tempestivamente la lite;

  che, come sostiene il giudice a quo, deve escludersi che il convenuto possa attendere la riassunzione da parte dell’attore prima di chiamare in causa il terzo, in quanto tale riassunzione potrebbe essere effettuata anche in prossimità della scadenza del termine semestrale e ciò impedirebbe al convenuto di riassumere tempestivamente a propria volta la causa di garanzia nei confronti del terzo;

  che, a parere del rimettente, dovrebbe quindi essere differita per il convenuto la decorrenza del termine semestrale al momento in cui vi sia la effettiva conoscenza del verificarsi del presupposto, rappresentato dalla riassunzione della causa principale da parte dell’attore, sul quale si basa l’interesse del convenuto medesimo ad agire;

  che la Corte costituzionale - come ricorda il rimettente - ebbe già a dichiarare, con le sentenze nn. 139 del 1967 e 159 del 1971, la illegittimità costituzionale dell’art. 305 cod. proc. civ., nella parte in cui fa decorrere il termine per la riassunzione o per la prosecuzione del processo dal verificarsi del fatto interruttivo, anzichè dalla data in cui le parti ne hanno avuto conoscenza e ciò per l’esigenza di garantire alle parti la possibilità di fruire per intero del termine semestrale prescritto dalla norma in esame;

  che nella fattispecie, benchè vi sia coincidenza temporale tra la dichiarazione in udienza dell’evento interruttivo e la conoscenza che le parti ne hanno avuto, tuttavia sussiste l’esigenza di tutelare il convenuto, il quale, altrimenti, si troverebbe costretto a riassumere la causa per l’impossibilità di conoscere tempestivamente se vi sia stata la riassunzione della causa principale da parte dell’attore;

  che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, il quale ha concluso per l’infondatezza della prospettata questione, osservando anzitutto che potrebbe applicarsi analogicamente alla fattispecie il disposto di cui all’art. 269 cod. proc. civ. e consentirsi in tal modo al convenuto, al quale sia stato notificato l’atto di citazione in riassunzione, di dichiarare, con la comparsa depositata nei termini di cui all’art. 166 cod. proc. civ., di voler riassumere la causa nei confronti del terzo chiamato;

  che, inoltre, ad avviso dell’Avvocatura, anche se fosse esperita un’autonoma azione di garanzia, con conseguenti maggiori oneri per la parte, la lesione del principio del simultaneus processus non troverebbe comunque tutela nell’art. 24 della Costituzione.

  Considerato che, a seguito della interruzione del processo, a ciascuna delle parti é riconosciuta un’autonoma facoltà di riassumere il giudizio, indipendentemente dall’iniziativa delle controparti;

  che, ad eccezione delle ipotesi di litisconsorzio necessario, la predetta facoltà si estende anche alla scelta dei soggetti processuali nei cui confronti proseguire o riassumere il giudizio, in forza del principio dispositivo che informa il processo civile;

  che, pertanto, in ipotesi di litisconsorzio facoltativo, il processo interrotto può essere legittimamente riassunto o proseguito anche solo parzialmente, con riferimento cioé ad una soltanto delle cause scindibili da cui esso é composto, senza che da ciò derivi alcuna limitazione dei diritti delle parti;

  che, infatti, come già questa Corte ha affermato (sentenza n. 295 del 1995), il simultaneus processus é un "mero espediente processuale mirato a fini di economia dei giudizi e di prevenzione del pericolo di giudicati contraddittori, sicchè la sua inattuabilità non riguarda il diritto di azione nè il diritto di difesa, una volta che la pretesa sostanziale del soggetto interessato possa essere fatta valere nella competente, pur se distinta, sede giudiziaria con pienezza di contraddittorio e di difesa";

  che l’onere delle spese processuali, a carico della parte che instauri un’autonoma causa di garanzia per l’inattuabilità del simultaneus processus, non costituisce violazione del precetto di cui all’art. 24 della Costituzione, poichè esso non garantisce la gratuità della prestazione giudiziaria, ma, al contrario, "con il fare obbligo di assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, muove dal presupposto che sia legittimo imporre oneri patrimoniali a carico di coloro nei cui riguardi é esplicata una attività di giustizia" (sentenza n. 30 del 1964; tra le altre, sentenze nn. 93 del 1967, 41 del 1972, 268 del 1984);

  che inoltre é opportuno sottolineare come la norma censurata, anche a seguito delle pronunce di questa Corte (sentenze nn. 139 del 1967 e 159 del 1971) con le quali si é modificata la decorrenza del termine per la riassunzione o prosecuzione del processo interrotto, sia ontologicamente strutturata in modo da garantire la certezza dei rapporti processuali, la quale certezza verrebbe certamente meno, qualora si introducesse, come vorrebbe il rimettente, una decorrenza differenziata del termine per ciascuna delle diverse parti processuali, soprattutto in ipotesi di pluralità di cause scindibili;

  che, in definitiva, nel processo litisconsortile facoltativo, allorchè la riassunzione sia eseguita nei confronti di alcune soltanto delle parti e riguardo ad alcuni soltanto dei diversi rapporti processuali che componevano originariamente un unico giudizio, si produce l’effetto della separazione in atto di cause scindibili - che già potevano esserlo sin dall’inizio -, le quali vengono appunto ad essere in quel momento scisse;

  che rispetto a queste ultime non mancherà in ogni caso alle parti la dovuta tutela giurisdizionale;

  che la questione prospettata dal giudice a quo deve quindi dichiararsi manifestamente infondata.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 305 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Rovereto con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 27 gennaio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 5 febbraio 1999