Sentenza n. 450/98

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SENTENZA N.450

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 30-ter, comma 4, lettera c, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso con ordinanza emessa il 26 marzo 1998 dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni di L’Aquila, iscritta al n. 422 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Udito nella camera di consiglio dell’11 novembre 1998 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto in fatto

1.– Chiamato a decidere su di un'istanza di permesso premio di un detenuto, minorenne all'epoca del fatto, condannato a quindici anni di reclusione per rapina pluriaggravata, detenzione di armi ed omicidio volontario, il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni di L'Aquila, con ordinanza emessa il 26 marzo 1998, pervenuta a questa Corte il 27 maggio 1998, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 31, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 30-ter, comma 4, lettera c, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui si applica ai minorenni.

Il remittente premette che, in relazione alla concreta situazione del condannato, avrebbe concesso il permesso richiesto se non glielo avesse impedito l'art. 30-ter, comma 4, lettera c, dell'ordinamento penitenziario, che condiziona, nei riguardi dei condannati per i delitti di cui all'art. 4-bis dello stesso ordinamento, la concessione di permessi premio all'avvenuta espiazione di almeno metà della pena e comunque di non oltre dieci anni.

Affermata la rilevanza della questione, dalla cui soluzione dipende la possibilità per il richiedente di fruire del permesso, e richiamata la sentenza di questa Corte n. 227 del 1995 per quanto riguarda la legittimazione del Magistrato di sorveglianza a sollevare questioni di legittimità costituzionale in sede di decisione sulla istanza di permesso premio, il remittente osserva che l'applicazione della disposizione denunciata anche ai detenuti di età minore é conseguente all'inerzia del legislatore, che non ha ancora dettato una disciplina specifica per l'esecuzione delle pene nei confronti dei minori, onde continua ad estendersi ai minorenni, in forza dell'art. 79 della legge n. 354 del 1975, la disciplina prevista dall'ordinamento penitenziario generale.

Il giudice a quo richiama poi la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'assoluta parificazione tra minorenni e adulti, in materia di ordinamento penitenziario, contrasta con l'esigenza di flessibilità del trattamento del detenuto minorenne; ed afferma che anche l'art. 30-ter, comma 4, lettera c, della legge n. 354 del 1975 contrasta con detta esigenza. Infatti esso impedirebbe al giudice qualsiasi valutazione della condotta del minore e, quindi, ogni previsione individualizzata riguardo alla capacità di risocializzazione della pena, in concreto.

L'impossibilità di fruire di permessi premio per un periodo, come nella specie, eccessivamente lungo precluderebbe al minore uno strumento indispensabile per la cura di interessi affettivi, culturali e di lavoro. Lo stesso legislatore – osserva il remittente – ha previsto, a favore dei minorenni, disposizioni specifiche dirette a raggiungere le finalità rieducative particolari e tipiche dell'esecuzione penale minorile.

Da ultimo il giudice a quo osserva che il venir meno della preclusione automatica, oggi prevista, non escluderebbe che il giudice possa valutare la richiesta di concessione del permesso alla luce del presupposto di carattere generale della regolarità della condotta del detenuto.

2.– Non vi é stata costituzione di parti, nè intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.– La questione sollevata investe il comma 4, lettera c, dell’art. 30-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), a cui tenore la concessione di permessi premio ai condannati per i delitti previsti dall’art. 4-bis dello stesso ordinamento penitenziario é preclusa prima che essi abbiano scontato almeno la metà della pena, con un massimo di dieci anni: laddove lo stesso comma 4, alle lettere a e b, consente detta concessione, in generale, nei confronti dei condannati all’arresto o alla reclusione fino a tre anni, ovvero, nei confronti dei condannati a pene superiori, dopo l’espiazione di almeno un quarto della pena.

Il dubbio di costituzionalità riguarda tale norma nella sola parte in cui si applica ai minorenni. Esso si fonda sul richiamo al principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) e al principio di protezione dell’infanzia e della gioventù (art. 31, secondo comma, della Costituzione), che sarebbero violati dall’applicazione indiscriminata della norma ai condannati minori come ai condannati adulti, in contrasto con la necessità di una disciplina che consenta al giudice una valutazione individualizzata, al di fuori di rigidi automatismi, riguardo alla idoneità della misura rispetto alle esigenze di recupero sociale del minore.

2.– La questione é fondata.

Nella perdurante inerzia del legislatore, che non ha ancora dettato una disciplina differenziata dell’esecuzione penale minorile, così protraendo nel tempo l’estensione provvisoria ai condannati minori dell’ordinamento penitenziario generale, sancita dall’art. 79 della legge n. 354 del 1975, questa Corte ha censurato più volte norme di tale ordinamento, o altre norme, che stabilivano preclusioni rigide ed automatiche alla concessione di misure premiali, o alternative alla detenzione, o di altri benefici, in quanto, applicandosi ai minori, impedivano quelle valutazioni flessibili ed individualizzate sulla idoneità ed opportunità delle misure o dei benefici medesimi, che sono invece necessarie perchè l’esecuzione della pena e in genere la disciplina delle restrizioni alla libertà personale siano conformi alle esigenze costituzionali di protezione della personalità del minore (cfr. sentenze n. 46 del 1978, n. 125 del 1992).

Così la Corte ha escluso, in via interpretativa, che potesse applicarsi ai minori una norma che vietava la concessione della libertà provvisoria (sentenza n. 46 del 1978); ha censurato una norma che precludeva l’applicazione dell’istituto della messa alla prova, nell’ambito del processo minorile, quando l’imputato avesse chiesto il giudizio abbreviato (sentenza n. 125 del 1995); ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, nei soli riguardi dei condannati minorenni, del divieto di disporre misure alternative alla detenzione per l’esecuzione di pene detentive derivanti da conversione di pena sostitutiva (sentenza n. 109 del 1997); ha giudicato parimenti illegittima, ancora una volta nei soli riguardi dei condannati minorenni, la norma dell’art. 30-ter, comma 5, dell’ordinamento penitenziario, che vieta la concessione di permessi premio nei due anni successivi alla commissione, durante l’espiazione della pena o l’esecuzione di una misura restrittiva della libertà, di un delitto doloso (sentenza n. 403 del 1997); ha, da ultimo, escluso la legittimità costituzionale della estensione agli imputati minorenni delle condizioni soggettive che precludono l’adozione di pene sostitutive (sentenza n. 16 del 1998).

3.– La stessa ratio decidendi non può non valere nei riguardi della presente questione. La norma impugnata é stata dettata dall’art. 1 del d.l. n. 152 del 1991, in via di successiva modifica dell’art. 30-ter (a sua volta inserito nell’ordinamento penitenziario dall’art. 9 della legge n. 663 del 1986), che ha introdotto l’istituto del permesso premio, al quale questa Corte ha riconosciuto natura di misura premiale di incentivo alla collaborazione del detenuto con l’istituzione carceraria, e di "strumento cruciale" di rieducazione (sentenze n. 227 e n. 504 del 1995, n. 235 del 1996, n. 296 del 1997; e cfr. già la sentenza n. 188 del 1990).

La rigida preclusione alla concessione di permessi premio, prima dell’espiazione di metà della pena, nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, introdotta nel quadro di un più generale e drastico inasprimento delle condizioni per la concessione a tali condannati dei benefici carcerari, é stata dettata dal legislatore in modo indiscriminato, senza riguardo, ancora una volta, alle specifiche esigenze, costituzionalmente imposte, dell’esecuzione minorile. Essa viene a contrastare con tali esigenze, risolvendosi in un automatismo incompatibile con la necessità di valutazioni flessibili e individualizzate, in ordine all’impiego di un istituto – il permesso premio – inteso a consentire a condannati, che non risultino socialmente pericolosi, di "coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro" (art. 30-ter, comma 1, dell’ordinamento penitenziario): strumento essenziale per perseguire efficacemente il progressivo reinserimento della persona detenuta nella società, e dunque quella finalità rieducativa, che deve essere assolutamente preminente nell’esecuzione penale minorile (cfr. sentenze n. 168 del 1994, n. 109 e n. 403 del 1997). Tanto più che, trattandosi di condannati per gravi delitti, e dunque a pene di non breve durata, tale preclusione viene ad irrigidire per lunghi periodi il regime di esecuzione della pena.

E’ d’altronde evidente che sopprimere la preclusione in esame nei confronti dei condannati per delitti commessi in età minore non significa per ciò stesso mettere in pericolo gli interessi generali, relativi al contrasto della criminalità, che hanno spinto il legislatore ad introdurre siffatta disciplina. Infatti la concessione dei permessi premio resta pur sempre condizionata, oltre che agli altri requisiti, non solo alla "regolare condotta" dei detenuti, ma anche alla circostanza che essi non risultino socialmente pericolosi (art. 30-ter, comma 1), e che non vi siano elementi tali da far ritenere sussistenti collegamenti con la criminalità organizzata od eversiva (art. 4-bis, comma 1, dello stesso ordinamento penitenziario): resta dunque affidata al prudente apprezzamento di tali condizioni da parte del magistrato di sorveglianza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 30-ter, comma 4, lettera c, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) nella parte in cui si riferisce ai minorenni.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.