Sentenza n. 357/98

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.357

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, della legge 16 aprile 1973, n. 171 (Interventi per la salvaguardia di Venezia), come modificato dall’art. 1-bis del decreto-legge 29 marzo 1995, n. 96 (Interventi urgenti per il risanamento e l’adeguamento dei sistemi di smaltimento delle acque usate e degli impianti igienico-sanitari nei centri storici e nelle isole dei Comuni di Venezia e di Chioggia), convertito in legge 31 maggio 1995, n. 206, promosso con ordinanza emessa il 12 dicembre 1996 dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto sul ricorso proposto dal Comune di Venezia contro la Commissione per la salvaguardia di Venezia ed altre, iscritta al n. 464 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di costituzione del Comune di Venezia, nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 1998 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi l’avvocato Alberto Predieri per il Comune di Venezia e l’Avvocato dello Stato Ivo Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso del giudizio di impugnazione, proposto dal Comune di Venezia innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Veneto avverso il parere favorevole condizionato reso dalla Commissione per la salvaguardia di Venezia sul progetto del comune avente ad oggetto la realizzazione di un centro sportivo in località Mazzorbetto, il medesimo Tribunale ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, della legge 16 aprile 1973, n. 171 (Interventi per la salvaguardia di Venezia), come sostituito dall’art.1-bis del decreto-legge 29 marzo 1995, n. 96, convertito, con modificazioni, nella legge 31 maggio 1995, n. 206.

Il giudice rimettente premette che la tutela del patrimonio storico-ambientale di Venezia e della sua laguna ha assunto crescente consistenza nell’ordinamento quale "problema di preminente interesse sovranazionale", tanto da giustificare un corpus di norme con peculiari profili rispetto alla legislazione statale. La disciplina urbanistico-edilizia é conformata al perseguimento di tale preminente obiettivo, espressione del valore fondamentale di cui si fa garante la Repubblica, nella sua duplice proiezione di Stato-comunità e di apparato amministrativo pluralistico.

Sottolinea il giudice a quo che la legge n. 171 del 1973 disciplina con caratteri di specialità un complesso ed articolato sistema, con il concorso di organi statali centrali e periferici oltre a quelli regionali e locali, che va dalla programmazione dell’assetto urbanistico complessivo entro "l’impostazione generale delle misure per la valorizzazione dell’ambito naturale e storico artistico di Venezia e di Chioggia, con particolare riguardo all’equilibrio idrogeologico ed all’unità fisica ed ecologica della laguna", fino alla previsione di cui all’art. 6, sulla composizione e competenza della Commissione per la salvaguardia di Venezia, che in origine esprimeva parere obbligatorio "sui progetti degli strumenti urbanistici generali dei comuni del comprensorio e del Consorzio per il porto e la zona industriale di Venezia-Marghera, che vengano redatti o modificati ai fini del loro adeguamento al piano comprensoriale".

Inoltre la disciplina transitoria, fino all’approvazione del piano comprensoriale, recava la prescrizione del parere vincolante della Commissione su tutte le opere, anche insistenti su terreni demaniali; eccettuati (ai sensi dell’art. 13, primo comma, della legge 29 novembre 1984, n. 798, poi abrogato per effetto dell’art. 4 della legge n. 360 del 1991) gli interventi eseguiti dai comuni o dalle aziende loro concessionarie; mentre nel testo originario dell’art. 6, detto parere sostituiva "tutte le autorizzazioni ed i pareri richiesti in materia dalle vigenti disposizioni di legge, salvo quanto previsto per il rilascio della (allora) licenza edilizia".

Alla disciplina transitoria - sempre come sottolineato dal giudice a quo - ha fatto seguito quella "a regime", articolatasi, dapprima, nell’art. 14 della legge 29 novembre 1984, n. 798, quindi quella definitiva, contenuta nell’art. 6 della legge n. 171 del 1973 in forza delle modifiche ad esso apportate dall’art. 4 della legge n. 360 del 1991 e dall’art. 1-bis del d.l. n. 96 del 1995, convertito in legge n. 206 del 1995.

Il tribunale rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’attuale disciplina laddove prevede che la Commissione esprime "parere vincolante su tutti gli interventi di trasformazione e di modifica del territorio per la realizzazione di opere private e pubbliche, da eseguirsi nella vigente conterminazione lagunare, nel territorio dei centri di Chioggia e di Sottomarina e nelle isole Pellestrina , Lido e Sant’Erasmo".

L’analisi della evoluzione della disposizione contenuta nell’art. 6 della legge n. 171 del 1973 renderebbe evidente - sempre secondo il giudice a quo - "la valenza del tutto condizionante ora assunta dal parere della Commissione per la salvaguardia di Venezia nell’ambito dell’intera attività urbanistico-edilizia da esercitarsi nella vigente conterminazione lagunare", tale da comportare la concorrente violazione degli artt. 3, 5, 97, 118, primo comma, e 128 della Costituzione.

Nella prospettazione seguita dal giudice rimettente risulterebbe incomprensibile la ratio della norma che subordina al detto parere anche tutte le attività urbanistico-edilizie che nel restante ordinamento non soggiacciono ad alcun provvedimento autorizzatorio o concessorio; sì da produrre, oltre la disparità di trattamento nei confronti di altre amministrazioni locali, la compressione degli spazi di autonomia riservati al comune da "leggi generali" (cfr. art. 128 della Costituzione) o che, direttamente ai sensi dell’art. 118, primo comma, della Costituzione, attribuiscono funzioni amministrative d’interesse locale.

Il referente normativo di immediato riscontro in materia urbanistico-edilizia paleserebbe la consistenza di una sfera di attribuzioni riservata alle amministrazioni comunali per effetto sia di "leggi generali" (cfr. art. 9 della legge 8 giugno 1990, n.142) che "di settore" (art. 2 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, con riferimento alla legge 17 agosto 1942, n.1150 fino alla legge 28 febbraio 1985, n. 47); oggetto di espresso riconoscimento da parte della Corte costituzionale (sentenze n. 157 del 1990 e n. 61 del 1994).

Non senza porre in dubbio la conformità ai principi cui é informata l’organizzazione e la stessa attività dell’amministrazione allorquando, come nel caso di specie, un organo collegiale, composto da un ampio numero di esperti, é chiamato ad esprimere pareri su qualsivoglia tipo di interventi, a prescindere dal loro rilievo sugli interessi tutelati, sviando di fatto la sua peculiare competenza e snaturandone la funzione; mentre la pluralità dei procedimenti amministrativi contraddirebbe il principio della semplificazione e celerità dell’azione dell’amministrazione, che trova espressione nella conferenza di servizi di cui all’art. 14 della legge n. 241 del 1990.

Esemplificativamente il giudice a quo richiama il contenuto del provvedimento impugnato: il parere vincolante reso dalla Commissione sarebbe omologabile a quello della "commissione edilizia comunale", con la peculiarità di possedere efficacia preclusiva sulla competenza del Sindaco.

Pertanto, oltre alla questione di costituzionalità, si prospetta, in linea con la disciplina urbanistica regionale (cfr. art. 79 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61), la restrizione della norma censurata nel senso che il parere della Commissione sia prescritto anzichè per "tutti gli interventi ···" per "i soli interventi di trasformazione e modifica ··· che richiedono pareri, visti, autorizzazioni, nulla-osta, intese o assensi, comunque denominati ed obbligatori ai sensi delle vigenti disposizioni statali e regionali", sì da circoscrivere la competenza devoluta alla Commissione.

2.- Si é costituito il Comune di Venezia insistendo per la declaratoria di incostituzionalità dell’impugnata norma, riservandosi ogni ulteriore deduzione.

3.- Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

La difesa statale rileva la non pertinenza della prospettazione del giudice rimettente quanto alla rilevanza della questione nel giudizio di merito: le censure riguardano i profili presi in esame dalla Commissione, concernenti i modi di esercizio della funzione che, come tali, esorbitano dallo scrutinio di costituzionalità, essendo piuttosto afferenti alla cognizione del giudice amministrativo.

Il rilievo sovranazionale della tutela della laguna di Venezia (convenzione di Parigi del 23 novembre 1972, ratificata in Italia con la legge n. 184 del 1977) giustifica la costituzione di un organo straordinario, nel cui seno sono rappresentati, oltre gli enti locali, gli specifici interessi di cui sono portatori gli esperti in materie tecniche scientifiche, tali da garantire la salvaguardia del sistema culturale, ambientale e naturalistico costituito da Venezia.

D’altra parte, secondo l’Avvocatura, la Commissione non può essere assimilata alla conferenza di servizi di cui all’art. 14 della legge n. 241 del 1990, poichè, in tal modo, oltre a contraddire la sua stessa natura di organo collegiale, si svilirebbe la specifica funzione, come comprovato dalla diversa consistenza dei suoi componenti, in ragione della preminenza degli interessi di cui essi sono portatori.

Del resto, lo stesso assunto da cui muove il giudice rimettente si fonderebbe sulla comparabilità dei sistemi di tutela, senza tener conto della specificità della tutela lagunare di Venezia, che richiede la valutazione di compatibilità di tutti gli interventi sotto i più diversi profili degli interessi storico-artistici, paesaggistici, di equilibrio idraulico e di preservazione da rischi di inquinamento.

4.- In prossimità dell’udienza, il Comune di Venezia ha depositato memoria con la quale ribadisce le argomentazioni formulate dal collegio rimettente.

In particolare, lo scrutinio dell’iter normativo che ha dato vita alla disposizione censurata evidenzierebbe la progressiva valenza decisoria acquisita dal parere reso dalla Commissione per la salvaguardia di Venezia.

Il carattere obbligatorio e vincolante del parere lo assimilerebbe, più che ad una manifestazione di giudizio riconducibile all’attività consultiva, ad una determinazione volitiva pertinente all’amministrazione attiva, in un ambito di competenze ordinariamente riconosciuto dalla legislazione statale e regionale alle amministrazioni comunali.

La composizione della Commissione, nonchè il quorum costitutivo e deliberativo, farebbero sì che vengano adottati provvedimenti, incidenti sul territorio del Comune di Venezia, senza che alcun organo municipale, o un suo rappresentante, partecipi al procedimento o alle sedute della Commissione; e che, viceversa, nessun progetto, conforme agli strumenti urbanistici vigenti, possa essere assentito, anche se il Comune ed il Sindaco fossero favorevoli.

Sempre a giudizio del Comune di Venezia, la delegittimazione del comune a favore della Commissione di salvaguardia comporterebbe la violazione di "un’area di autonomia garantita dagli artt. 5 e 128 della Costituzione", espressamente riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 61 del 1994, oltre ad un declassamento del potere spettante al Sindaco, censurato dalla stessa Corte con la sentenza n. 157 del 1990.

Inoltre, tale "delegittimazione" non si giustificherebbe con il richiamo di meccanismi decisionali acceleratori, quali le conferenze di servizio od altre forme di coordinamento infrastrutturale, di cui all’art. 14 della legge n. 241 del 1990, come integrato da ultimo dalla legge n.127 del 1997: l’atto finale, al contrario di quello adottato dalla Commissione, deve ordinariamente essere adottato all’unanimità, o, al più, in caso di dissenso, devoluto ad altro organo posto al vertice del livello politico-amministrativo; si esclude in radice la decisione a maggioranza, senza la partecipazione dei soggetti ai quali la legge generale attribuisce funzioni di disciplina del proprio territorio.

Da ultimo, ad avviso del Comune di Venezia, le censure di costituzionalità con riferimento all’art. 3 della Costituzione si manifesterebbero in tutta evidenza se scrutinate alla luce dei principi di "ragionevolezza e giustificatezza", nell’accezione specifica di proporzionalità della norma impugnata che incide negativamente su interessi che hanno presidio costituzionale, quale la sfera di autonomia degli enti locali in materia urbanistica ed edilizia, riconosciuta sia da leggi generali (art. 9 della legge 8 giugno 1990, n. 142) che di settore (artt. 4 e ss. della legge 28 febbraio 1985, n. 47).

Considerato in diritto

1.- La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha per oggetto l’art. 6, comma 1, della legge 16 aprile 1973, n. 171, come sostituito dall’art. 1-bis del decreto-legge 29 marzo 1995, n. 96, convertito, con modificazioni, in legge 31 maggio 1995, n. 206, nella parte in cui dispone che la Commissione per la salvaguardia di Venezia esprime parere vincolante "su tutti gli interventi di trasformazione e di modifica del territorio per la realizzazione di opere sia private che pubbliche", anzichè "sui soli interventi di trasformazione e di modifica del territorio per la realizzazione di opere sia private che pubbliche che richiedono pareri, visti, autorizzazioni o assensi, comunque denominati e obbligatori ai sensi delle vigenti disposizioni statali e regionali". La disposizione censurata - secondo il giudice a quo - violerebbe gli artt. 3, 5, 118, primo comma, e 128 della Costituzione.

Inoltre, sarebbe violato l’art. 97 della Costituzione, in quanto la richiesta di pareri della Commissione per tutti gli interventi in ambito lagunare appesantirebbe il procedimento amministrativo vulnerando i principi di buon andamento e di semplificazione e celerità dell’azione amministrativa.

2.- Preliminarmente deve escludersi il difetto di rilevanza, come eccepito dalla difesa statale, in quanto l’ordinanza offre una motivazione sufficiente circa i presupposti della questione sollevata ed i riflessi della soluzione del problema di costituzionalità sul giudizio in corso, mentre gli eventuali e diversi profili di vizi propri dell’attività della Commissione per la salvaguardia di Venezia si risolverebbero, in ipotesi, nei differenti rilievi di cattiva applicazione delle norme denunciate, estranei al presente giudizio di legittimità costituzionale.

3.- Nel merito, la questione é priva di fondamento.

La salvaguardia di Venezia e della sua laguna é dichiarata "problema di preminente interesse nazionale" dall’art. 1, primo comma, della legge n. 171 del 1973. Allo scopo di realizzare tale esigenza di tutela, é stato prescritto un particolare procedimento collegiale di salvaguardia (provvisorio e temporaneo in attesa dell’entrata in vigore della pianificazione comprensoriale di direttiva e quindi del piano urbanistico generale a livello comunale) per l’esame di qualsiasi modifica e trasformazione del territorio di cui si tratta.

Il legislatore ha inteso in tal modo prevedere, in attesa della pianificazione globale, una valutazione unitaria e contestuale (anche per scopi acceleratori e di speditezza), con particolare riguardo ai vari interessi di cui sono portatori i rappresentanti degli organi chiamati a partecipare alla speciale Commissione di salvaguardia: di modo che assumono una speciale rilevanza, da un canto, i profili di tutela dell’equilibrio idrogeologico, e dell’ambiente dal punto di vista paesistico, storico, artistico, e, dall’altro, ed unitamente ai primi, quelli di sicurezza delle costruzioni e degli impianti, nonchè igienico-sanitari, con garanzia della vitalità socio-economica in un quadro di sviluppo.

Il predetto procedimento di esame e valutazione collegiale - non assimilabile ad una conferenza di servizi in relazione alla speciale composizione e alla particolare preminenza degli interessi alla cui tutela é stata preposta in via di salvaguardia la commissione stessa - non comporta esclusioni degli enti locali. I comuni interessati sono rappresentati nella Commissione di salvaguardia (ed il Comune di Venezia ha tre rappresentanti: art. 5 della legge n. 171 del 1973), concorrono alla preparazione degli indirizzi governativi facendo parte di un comitato misto (art. 2, quarto comma), partecipano alla formazione e adozione del piano comprensoriale secondo legge regionale (art. 2, secondo comma), e inoltre conservano tutte le altre attribuzioni in materia edilizia ed urbanistica. Infatti, la Commissione di salvaguardia non emette atti provvedimentali che concludano i procedimenti abilitativi nella detta materia edilizia, ma si limita ad esprimere un "parere vincolante su tutti gli interventi di trasformazione e modifica del territorio per la realizzazione di opere sia private sia pubbliche", da eseguirsi nella laguna e territori indicati. Il legislatore ha voluto, non irragionevolmente, garantirsi contro ogni compromissione del territorio ricomprendendo tutti gli interventi per la realizzazione di opere pubbliche o private, con la sola esclusione degli interventi edilizi di cui all’art. 11, primo comma, lettere b) e c), della legge 5 agosto 1978, n. 457, purchè interni alle costruzioni e non incidenti sulla sagoma e prospetti e sulla statica dell’edificio, nonchè delle opere di arredo urbano e delle concessioni di plateatico.

Il predetto parere vincolante ha la funzione di sostituire ogni altro parere, visto, autorizzazione, nulla osta, intesa o assenso, comunque denominati, obbligatori ai sensi delle vigenti disposizioni normative statali e regionali, compreso il parere delle commissioni edilizie dei comuni di volta in volta interessati (art. 6). D’altro canto, proprio in quanto vincolante, tale parere esplica una efficacia del tutto particolare nei confronti del necessario atto di amministrazione attiva, che non può basarsi su una valutazione diversa da quella in esso espressa.

Certamente per la materia edilizia il parere della Commissione di salvaguardia non sostituisce la determinazione finale del Sindaco quando vi sia una tale previsione nella legislazione urbanistica, in quanto "solo per le finalità di cui al comma 1" - collegate in maniera unitaria alla ratio della legge e al carattere temporaneo dell’esercizio delle predette funzioni della Commissione stessa, previsto solo fino all’entrata in vigore dello strumento urbanistico generale redatto o modificato secondo le direttive del piano comprensoriale (art. 5, settimo comma) - é prevista la trasmissione dal Sindaco alla Commissione delle richieste di concessione edilizia, corredate dalle istruttorie degli uffici comunali (art. 6, comma 2, modificato dall’art. 1-bis d.l. 29 marzo 1995, n. 96, convertito in legge 31 maggio 1995, n. 206).

L’effetto vincolante e preclusivo del parere della Commissione di salvaguardia ovviamente riguarda l’ambito delle competenze e dei motivi attribuiti all’esame della stessa Commissione, di modo che un parere negativo nel predetto ambito preclude in via assoluta che venga emessa dal Sindaco una determinazione provvedimentale (di amministrazione attiva) positiva (o comunque difforme dal parere) sulla domanda, ovvero, nel caso in cui sia ammissibile la formazione di un silenzio assenso, ne preclude la formazione.

Vi é, poi, una ulteriore particolarità, consistente nella circostanza che, nonostante il carattere collegiale degli atti, sempre aventi forma e contenuto di parere, della Commissione e perciò adottati a maggioranza dei presenti, con un quorum funzionale di tre quinti dei componenti, il voto contrario rispettivamente del presidente del magistrato delle acque, del sovrintendente per i beni ambientali ed architettonici di Venezia, o del comandante dei vigili del fuoco di Venezia per motivi tipicamente previsti, collegati alle competenze istituzionali di ciascun organo rappresentato, ha effetto di veto sospensivo, con devoluzione del parere al Ministro dei lavori pubblici, al Ministro per i beni culturali ed ambientali e al Ministro dell’interno (art. 6, comma 4, della legge n. 171 del 1973).

Tuttavia, il parere favorevole espresso dalla Commissione di salvaguardia (o, nei casi di sostituzione, dai Ministri suindicati) non svuota del tutto i poteri sindacali in materia edilizia, non vincolando in senso assoluto le determinazioni del Sindaco in sede di concessione edilizia, e non precludendo allo stesso Sindaco di adottare un provvedimento negativo per motivi strettamente edilizi non presi in considerazione dalla Commissione ed estranei al tipico ambito del parere sostitutivo ministeriale.

Non si può, pertanto, ravvisare nella norma impugnata una irrazionale compressione della sfera di competenza del comune.

La diversità di disciplina statale (ed é questo uno dei profili differenziali rispetto ai casi relativi a leggi regionali invocati nell’ordinanza di rimessione e dalla difesa del Comune di Venezia) trova la giustificazione in un discrezionale apprezzamento del legislatore della particolarità del territorio e dell’ambiente di Venezia e della sua laguna (v. per riferimento indiretto ordinanza n. 115 del 1998), la cui salvaguardia é caratterizzata da preminente interesse nazionale e dalla esigenza di una procedura particolare di protezione in attesa di una pianificazione globale.

In realtà, la garanzia costituzionale del principio autonomistico, prevista dagli artt. 5 e 128 della Costituzione, può dirsi rispettata quando il procedimento (il caso si riferiva all’approvazione di strumenti urbanistici) sia articolato in modo tale da assicurare una sostanziale partecipazione allo stesso del comune cui si riferisce l’assetto territoriale (sentenza n. 1010 del 1988) e l’apporto del comune non si riduca ad un semplice parere, ma si articoli in forme più incisive di partecipazione, dovendosi tuttavia evitare situazioni di stallo decisionale (sentenza n. 83 del 1997).

Del resto, l’art. 128 della Costituzione, nel fondare l’autonomia comunale sui "principi fissati da leggi generali della Repubblica", non esclude che la legge statale, nel rispetto di tali principi, possa apportare - "in presenza di situazioni particolari - variazioni alle procedure ordinarie (sentenza n. 62 del 1993). Nella specie, sono conformi ai principi gli effetti cogenti sulla sfera urbanistico-edilizia di vincoli a protezione di preminenti interessi ambientali e culturali, di modo che anche in via di salvaguardia tali ultimi interessi sono destinati a prevalere e a vincolare i comuni nel gestire l’utilizzazione del territorio.

Ed infatti, l’intervento vincolante del parere di apposita commissione di salvaguardia (mista statale e regionale con una previsione di rappresentanza dei comuni interessati) riguarda una valutazione globale ed unitaria - come già accennato - nella quale assumono particolare rilevanza i profili di tutela dell’ambiente negli aspetti ambientali-culturali, di difesa dagli inquinamenti dell’aria e delle acque e di protezione dell’equilibrio idraulico della città di Venezia e della sua laguna. Di conseguenza, accanto agli aspetti urbanistico-territoriali rientranti nella sfera di autonomia comunale, emergono, per la particolarità dell’area veneziana, una serie di interessi collegati a sfere di competenza statale e regionale, che giustificano - nella rilevata esigenza di unitarietà e contestualità di valutazione - l’intervento (consultivo e vincolante) di un organo collegiale misto di provenienza statale e regionale e con partecipazione dei comuni tutt’altro che meramente formale.

Se poi in via di fatto i tre rappresentanti del Comune di Venezia non abbiano partecipato alla Commissione non é problema che può interessare in sede di scrutinio di legittimità costituzionale, poichè la legge prevede nella composizione della Commissione i tre rappresentanti del Comune di Venezia e la natura di collegio imperfetto della Commissione attraverso un quorum di funzionamento di tre quinti dei componenti.

4.- In ordine alla speciale procedura di salvaguardia, é opportuno sottolineare che l’intervento (con il parere vincolante) della Commissione di salvaguardia é temporaneo, essendo previsto per ciascun comune "fino all’entrata in vigore dello strumento urbanistico generale redatto o modificato secondo le direttive del piano comprensoriale" (art. 5, penultimo comma, della legge n. 171 del 1973, termine richiamato dalla legge 31 maggio 1995, n. 206 nel sostituire il primo comma dell’art. 14 della legge 29 novembre 1984, n. 798).

Pertanto, i comuni interessati hanno i mezzi per superare il sistema provvisorio di salvaguardia, che si attua attraverso l’intervento della speciale commissione, e per rientrare nella pienezza e normalità delle loro funzioni in materia edilizia (salvi gli effetti vincolanti della pianificazione territoriale-ambientale), procedendo con tempestività sulla linea dell’adeguamento della pianificazione urbanistica e sollecitando il piano comprensoriale (o quelli che possano essere considerati equivalenti, quali previsti dalla legislazione successivamente intervenuta, di pianificazione di direttiva con valenza di tutela dell’ambiente naturale e delle acque del bacino idrografico lagunare e di pianificazione di area con valenza urbanistico-territoriale) con tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento di fronte alla inerzia o al ritardo dello stesso piano comprensoriale.

Infatti, detto piano comprensoriale - in una valutazione, certamente non irrazionale, compiuta dal legislatore nella finalità di salvaguardia unitaria di Venezia e della sua laguna - costituisce un obiettivo fondamentale per l’inizio di una protezione completa e razionale, e nello stesso tempo perno del sistema di pianificazione dell’area veneziana e presupposto necessario per l’adeguamento degli strumenti urbanistici a livello comunale, unica pianificazione avente effetti liberatori rispetto alla procedura di parere della Commissione di salvaguardia.

In realtà, il legislatore statale ha adoperato una tecnica tutt’altro che inusuale in materia di programmazione territoriale e ambientale, e non in contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, introducendo una procedura e una normativa di maggior rigore fino alla entrata in vigore di uno strumento di pianificazione, con valenza non solo urbanistica ma anche di tutela di interessi di carattere superiore, come quelli ambientali, e con efficacia diretta e produttiva di vincoli, nel duplice intento di realizzare una misura di salvaguardia temporanea per impedire ulteriori dissesti o manomissioni in mancanza di pianificazione, e di promuovere nel contempo l’interesse specifico, sia per i comuni, sia per tutti i soggetti privati e pubblici ad adoperarsi per il superamento delle resistenze ad una programmazione dell’uso del territorio e del recupero ambientale.

5.- Sulla base delle predette considerazioni, deve essere affermato che la spettanza ai comuni della gestione (urbanistico-edilizia) del proprio territorio non viene disconosciuta dalla normativa in questione: questa, infatti, richiede pur sempre il concorso del comune nell’adeguare il proprio strumento urbanistico alla pianificazione sovraordinata, e nello stesso tempo prevede forme incisive di partecipazione del comune stesso alla programmazione (arg. da sentenza n. 83 del 1997) e - nella fase transitoria che precede l’entrata in vigore dei piani regionali e comunali - alla valutazione consultiva globale in funzione di salvaguardia, affidata ad un organo collegiale misto (Stato-regione-enti locali), appunto qualificato di salvaguardia. Funzione, questa, ritenuta, non irrazionalmente, dal legislatore statale necessaria, in relazione alla specialità dell’area veneziana e ai ritardi nella soluzione dei relativi problemi, per evitare compromissioni alla pianificazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, della legge 16 aprile 1973, n. 171 (Interventi per la salvaguardia di Venezia), come sostituito dall’art. 1-bis del decreto-legge 29 marzo 1995, n. 96 (Interventi urgenti per il risanamento e l’adeguamento dei sistemi di smaltimento delle acque usate e degli impianti igienico-sanitari nei centri storici e nelle isole dei Comuni di Venezia e di Chioggia) convertito, con modificazioni, in legge 31 maggio 1995, n. 206, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 118, primo comma, e 128 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 ottobre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Riccardo CHIEPPA

Depositata in cancelleria il 21 ottobre 1998.