Sentenza n. 350/98

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SENTENZA N. 350

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI  

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’intero art. 1 del decreto-legge 25 maggio 1994, n. 313 (Disciplina dei pignoramenti sulle contabilità speciali delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di Finanza), convertito, con modificazioni, nella legge 22 luglio 1994, n. 460, promosso con ordinanza emessa il 21 novembre 1996 dal Pretore di Avellino nel procedimento civile vertente tra Giuseppe Adamo e il Ministero dell’Interno ed altra, iscritta al n. 16 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visti gli atti di costituzione di Giuseppe Adamo e della Banca d’Italia, nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 27 gennaio 1998 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

  uditi gli avvocati Alfonso Luigi Marra per Giuseppe Adamo, Pier Luigi Lorenti per la Banca d’Italia e l’avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. — Con ordinanza emessa il 21 novembre 1996 nel corso di un giudizio promosso da un creditore che, avendo notificato atto di pignoramento presso terzi in danno del Ministero dell’interno alla Banca d’Italia - servizio di tesoreria provinciale di Avellino, e non essendo questa comparsa a rendere dichiarazione sulla esistenza di quali somme destinate alla Prefettura si trovasse in possesso, aveva chiesto che si procedesse ad accertare l’esistenza di somme dovute dalla tesoreria alla Prefettura, il Pretore di Avellino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 28 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’intero art. 1 del decreto-legge 25 maggio 1994, n. 313 (Disciplina dei pignoramenti sulle contabilità speciali delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza), convertito, con modificazioni, nella legge 22 luglio 1994, n. 460.

  La norma denunciata prevede che i pignoramenti sui fondi di contabilità speciale a disposizione delle prefetture, destinati a servizi e finalità di protezione civile, di difesa nazionale e di sicurezza pubblica, al rimborso delle spese anticipate dai comuni per l’organizzazione delle consultazioni elettorali, nonchè al pagamento di emolumenti e pensioni a qualsiasi titolo dovuti al personale amministrativo, non sono soggetti ad esecuzione forzata (comma 1). La stessa disposizione prevede: che i pignoramenti ed i sequestri aventi ad oggetto le somme affluite nelle contabilità speciali delle prefetture, come pure ogni altro atto consequenziale, si eseguono esclusivamente, a pena di nullità rilevabile d’ufficio, con atto notificato al direttore di ragioneria responsabile presso le prefetture nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati; che il funzionario di prefettura, cui sia stato notificato atto di pignoramento o di sequestro, é tenuto a vincolare l’ammontare, sempre che esistano sulla contabilità speciale fondi la cui destinazione sia diversa da quelle indicate al comma 1 (commi 2 e 4). Inoltre la stessa disposizione prevede che non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento presso le sezioni di tesoreria dello Stato, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio (comma 3).

  Il Pretore di Avellino ritiene che questa disciplina introduca nuovamente la regola della impignorabilità delle somme di denaro e dei crediti pecuniari dello Stato, basata sulla discrezionalità della pubblica amministrazione nell’uso delle proprie risorse patrimoniali e sulla destinazione ad un pubblico servizio delle somme che, con l’iscrizione nel bilancio, sarebbero vincolate sia per l’amministrazione che per i terzi. Il principio della divisione dei poteri non consentirebbe ingerenze nell’azione amministrativa mediante l’azione esecutiva, che incontrerebbe perciò un limite nello stanziamento di bilancio e nella emissione del titolo di spesa; in tal modo l’amministrazione rimarrebbe arbitra nella scelta dei crediti da soddisfare. Questa concezione – ricorda il giudice rimettente – sarebbe da tempo superata, giacchè é stata affermata l’ammissibilità della condanna della pubblica amministrazione al pagamento di somme di denaro, e di conseguenza anche l’esecuzione per espropriazione; mentre il vincolo di destinazione ad un pubblico servizio, che rende i beni non disponibili e non suscettibili di esecuzione forzata, dovrebbe essere specificatamente accertato.

  Il giudice rimettente richiama la giurisprudenza costituzionale che ha affermato la necessità di individuare i limiti di pignorabilità in relazione alla natura ed alla destinazione dei beni dei quali di volta in volta si chiede l’espropriazione (sentenza n. 138 del 1981). L’art. 1 del decreto-legge n. 313 del 1994 tenderebbe, invece, a realizzare una impignorabilità generalizzata, sul presupposto, prima richiamato ed oramai superato, che sia esclusa l’esecuzione forzata nei confronti della pubblica amministrazione. La disposizione denunciata finirebbe così con il tutelare il soggetto e non già la funzione pubblica, con la conseguenza che l’amministrazione non sarebbe più tenuta al principio per il quale il debitore risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, e che verrebbe anche meno la parità di condizioni dei creditori. Inoltre la deroga alla competenza territoriale ed il divieto di utilizzare i comuni strumenti processuali dell’esecuzione forzata sarebbero in contrasto con gli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione.

  2. — Si é costituito in giudizio il creditore che procedeva alla esecuzione nel giudizio principale, ribadendo e sviluppando le argomentazioni dell’ordinanza che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale e sostenendo che l’art. 1 del decreto-legge n. 313 del 1994 ripristinerebbe la discrezionalità dell’amministrazione nell’adempimento in sede esecutiva.

Difatti la capillare classificazione dei cespiti qualificati come non soggetti ad esecuzione tenderebbe a realizzare una impignorabilità generalizzata, riproponendo principi oramai superati dalla giurisprudenza costituzionale.

  Inoltre la possibilità di procedere all’esecuzione solo nella circoscrizione nella quale risiede il creditore, stravolgerebbe le regole della competenza territoriale e limiterebbe la responsabilità del debitore, che risponderebbe soltanto con i beni che si trovano in quella circoscrizione.

  Infine contenere l’attività dell’ufficiale giudiziario entro la sola notifica del pignoramento, lasciando al funzionario di prefettura la verifica dell’esistenza di fondi pignorabili, affiderebbe ad un’attività amministrativa del debitore, al di fuori del controllo giurisdizionale, la valutazione se vincolare o meno le somme delle quali si chiede il pignoramento.

  3. — E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, nel merito, infondata.

  L’inammissibilità é dedotta per più profili. La questione di legittimità costituzionale non sarebbe rilevante nel giudizio principale, giacchè nella fase di passaggio tra il processo esecutivo e quello di cognizione, destinato all’accertamento del debito del terzo per il quale era stato chiesto il pignoramento, il giudice non avrebbe dovuto fare applicazione della disciplina denunciata, potendo solo dar corso al giudizio di accertamento, se competente per valore, o rimettere altrimenti gli atti al giudice competente.

  Inoltre l’ordinanza di rimessione, pur denunciando l’intero art. 1 del decreto-legge n. 313 del 1994, sarebbe motivata soltanto con riferimento al primo comma, che stabilisce l’impignorabilità delle somme iscritte nelle contabilità speciali di alcune amministrazioni, destinate a specifici fini pubblici di particolare rilevanza. La stessa ordinanza non motiverebbe affatto sugli altri commi della stessa disposizione, che riguardano le modalità dei pignoramenti, da effettuare sostanzialmente nella forma del pignoramento diretto, ed escludono il pignoramento presso le sezioni di tesoreria dello Stato. La questione di legittimità costituzionale sarebbe pertanto inammissibile per la parte che investe queste norme. Ma sarebbe inammissibile anche con riferimento al primo comma, perchè sarebbe stato necessario preliminarmente accertare che esistevano soltanto fondi di contabilità speciale presso la tesoreria a disposizione della prefettura e destinati alle finalità che li rendono impignorabili; inoltre la questione avrebbe potuto essere sollevata solo subordinatamente a quella che investe i commi successivi.

  Ad avviso dell’Avvocatura, le questioni sollevate con riferimento ai commi 2 e 3 della disposizione denunciata sarebbero in ogni caso infondate, giacchè non contraddice al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) una diversa disciplina processuale del pignoramento di speciali somme di pertinenza di determinate amministrazioni pubbliche, con esclusione del ricorso al pignoramento presso terzi. Il creditore non sarebbe privato di tutela giudiziaria (art. 24 Cost.), nè vi sarebbe deroga al principio del giudice naturale (art. 25 Cost.), che spetta alla legge precostituire.

  Anche la questione di legittimità costituzionale riferita al primo comma della stessa disposizione é, ad avviso dell’Avvocatura, infondata. L’impignorabilità riguarderebbe solo i fondi di contabilità speciale di un limitatissimo numero di soggetti pubblici, tra i quali le prefetture, semprechè destinati a specifiche finalità essenziali di preminente interesse pubblico (servizi di protezione civile, di difesa nazionale e di sicurezza pubblica) o per spese obbligatorie ed inderogabili. La disciplina speciale é dettata non per una tutela privilegiata del soggetto, ma per assicurare il perseguimento di specifiche finalità pubbliche essenziali. Ricorrerebbero, quindi, le condizioni che la giurisprudenza costituzionale indica per consentire l’impignorabilità di somme destinate a specifiche finalità pubbliche (sentenza n. 138 del 1981). Non sussisterebbe, inoltre, la denunciata violazione degli art. 24 e 113 della Costituzione, non essendo in discussione la tutela giurisdizionale, una volta affermata dal legislatore la indisponibilità di determinati beni che non possono essere sottratti alla loro destinazione.

  Infine, ad avviso dell’Avvocatura, sarebbe incomprensibile il richiamo all'art. 28 della Costituzione, indicato nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, ma del quale non vi é cenno nella motivazione.

  4. — Ha depositato memoria di costituzione e di intervento la Banca d’Italia, anche quale sezione di tesoreria provinciale dello Stato di Avellino, concludendo per l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale e, nel merito, per la manifesta infondatezza.

  La Banca d’Italia sostiene di essere legittimata ad intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, pur non essendo ancora parte processuale nel giudizio principale, giacchè potrebbe essere considerata potenzialmente e virtualmente parte in causa, e l’interesse all’intervento nascerebbe solo a seguito dell’ordinanza di rimessione.

  Inoltre la Banca d’Italia, nell’esercizio del servizio di tesoreria, affidatole per legge (n. 104 del 1991) ed in base ad una convenzione con il Ministero del Tesoro (17 gennaio 1992), dovrebbe essere considerata organo dello Stato, il cui diritto ad intervenire nei giudizi di legittimità costituzionale troverebbe fondamento nell’art. 20, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. Infine la Banca d’Italia, avendo interesse nella contestazione, potrebbe intervenire nel giudizio in base all'art. 37 delle norme del regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (regio decreto 17 agosto 1907, n. 642), da applicare nei giudizi di legittimità costituzionale in forza del richiamo operato dall’art. 22 della legge n. 87 del 1953.

  5. — In prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria per ribadire l’eccezione di inammissibilità della questione, sostenendo che essa é meramente ipotetica, essendo stata sollevata nel corso della procedura di esecuzione presso terzi, quando il terzo non era comparso per rendere la dichiarazione, mentre la questione potrebbe essere rilevante solo nel giudizio di accertamento.

  Nel merito l’Avvocatura ribadisce che la norma denunciata non tende a realizzare una impignorabilità generalizzata, giacchè le somme escluse dall’esecuzione sono solo quelle destinate a necessità essenziali per l’esercizio di funzioni primarie dello Stato (protezione civile, difesa nazionale e sicurezza pubblica), e le prefetture dispongono di altri fondi con diversa destinazione, suscettibili di pignoramento con le modalità previste dalla disposizione denunciata, la cui capienza non é posta in discussione e che sono solitamente adeguati alle corrispondenti pretese creditrici. Il contenimento dell’azione esecutiva nell’ambito della prefettura della circoscrizione di residenza degli interessati risponderebbe a principi di buon andamento e la notifica al direttore di ragioneria responsabile presso tale prefettura consentirebbe una adeguata organizzazione delle procedure di pagamento, seguendo l’ordine cronologico degli atti esecutivi e senza possibilità di arbitrio. L’Avvocatura ritiene, inoltre, impropriamente invocati i principi costituzionali enunciati dagli artt. 24, 25, 28 e 113, giacchè dalla disposizione denunciata non deriverebbe alcuna limitazione del diritto di difesa, non vi sarebbe alcuna incidenza sul giudice naturale precostituito per legge e sarebbe persino difficile ipotizzare quali siano le supposte lesioni degli artt. 28 e 113.

Considerato in diritto

  1. — La questione di legittimità costituzionale investe la disciplina dei pignoramenti sulle contabilità speciali delle prefetture, dettata dall’art. 1 del decreto-legge 25 maggio 1994, n. 313, convertito, con modificazioni, nella legge 22 luglio 1994, n. 460. Secondo questa disciplina, i fondi di contabilità speciale a disposizione delle prefetture e destinati a determinati servizi e finalità (protezione civile, difesa nazionale e sicurezza pubblica, organizzazione delle consultazioni elettorali, pagamento di emolumenti e pensioni al personale) non sono soggetti, salvo casi particolari, ad esecuzione forzata (comma 1). I pignoramenti ed i sequestri che hanno per oggetto somme affluite nelle contabilità speciali, come pure ogni altro atto consequenziale, si eseguono esclusivamente, a pena di nullità rilevabile d’ufficio, con atto notificato al direttore di ragioneria delle prefetture nella cui circoscrizione risiedono i privati interessati; il funzionario é tenuto a vincolare l’ammontare sui fondi che hanno destinazioni diverse da quelle prima indicate (commi 2 e 4). Non sono ammessi atti di sequestro o pignoramento sui fondi di contabilità speciale presso le sezioni di tesoreria dello Stato, a pena di nullità rilevabile d’ufficio (comma 3).

  Il Pretore di Avellino — giudice dell’esecuzione al quale il creditore che procedeva ad espropriazione forzata presso terzi aveva chiesto di disporre il giudizio per accertare le somme che la Banca d’Italia, quale sezione di tesoreria provinciale dello Stato, terzo non comparso per rendere dichiarazione del debito, avesse disponibili per la prefettura del luogo — ritiene che questa disciplina sia in contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 28 e 113 della Costituzione, giacchè da essa deriverebbe l’impignorabilità generalizzata delle somme di denaro dello Stato, con una tutela che riguarderebbe il soggetto e non la funzione pubblica, mentre i creditori non verrebbero in alcun modo garantiti, potendo agire esecutivamente solo presso la prefettura del luogo di loro residenza e senza poter utilizzare gli ordinari strumenti del processo esecutivo.

  2. — L’intervento nel giudizio di legittimità costituzionale della Banca d’Italia, quale tesoreria provinciale dello Stato, non é ammissibile.

  Nel processo principale, di espropriazione presso terzi, la Banca d’Italia ha veste di terzo chiamato dal creditore pignorante a dichiarare di quali somme fosse debitore nei confronti dell’espropriato. In tale veste non é comparsa all’udienza stabilita per fare la dichiarazione, nè può essere considerata parte del procedimento esecutivo, divenendo tale solo nel giudizio di accertamento che eventualmente si instauri ad istanza del creditore che procede all’esecuzione. Ciò che accadrebbe solo a seguito della citazione o della notifica del verbale d’udienza con l’istanza del creditore che ha chiesto di procedere al giudizio di cognizione nei confronti, appunto, oltre che del debitore sottoposto ad esecuzione, anche del terzo (cfr. ordinanza allegata alla sentenza n. 263 del 1996).

  Neppure può essere accolta la pretesa della Banca d’Italia di intervenire nel giudizio di legittimità costituzionale, pur non essendo parte del giudizio principale, quale organo dello Stato, invocando l’art. 20, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. Questa disposizione stabilisce che gli organi dello Stato (e delle Regioni) hanno diritto di intervenire in giudizio, nel contesto della disciplina della rappresentanza e della difesa dinanzi alla Corte costituzionale, affidata, per il Governo, all’Avvocato generale dello Stato (terzo comma) e, per le altre parti, ad avvocati abilitati al patrocinio innanzi alla Corte di cassazione (primo comma). Anche quella relativa agli organi dello Stato é, dunque, una regola che riguarda la rappresentanza e difesa nel giudizio, giacchè si stabilisce che non é richiesta, per tali organi, una difesa professionale. Ciò, tuttavia, non riguarda, nè vale quindi a modificare, la disciplina della legittimazione ad essere parte o ad intervenire in giudizio.

  Tuttavia anche se, come vorrebbe la Banca d’Italia, si attribuisse all'art. 20, secondo comma, della legge n. 87 del 1953 il significato del più ampio riconoscimento di un diritto di qualsiasi organo statale ad intervenire in qualsiasi giudizio, egualmente l’intervento della Banca d’Italia sarebbe inammissibile, perchè ad essa, quale esercente il servizio di tesoreria provinciale, non può essere attribuita l’asserita qualifica di organo dello Stato. Difatti, la gestione del servizio di tesoreria é affidata alla Banca d’Italia quale ente concessionario di pubblico servizio ed i rapporti con l’amministrazione dello Stato sono disciplinati, in base alla legge, mediante apposite convenzioni (v. legge 28 marzo 1991, n. 104), senza che in ragione della gestione di tale servizio l’ente venga a configurarsi come organo dello Stato.

  3. — La questione di legittimità costituzionale, riferita all’intero art. 1 del decreto-legge n. 313 del 1994, comprende due distinti complessi di prescrizioni normative che, pur collegati, devono essere esaminati separatamente.

  Il primo, essenzialmente riferibile al terzo comma, non ammette atti di sequestro o di pignoramento sui fondi delle contabilità speciali delle prefetture presso le sezioni di tesoreria dello Stato. Tali atti sono nulli e non determinano alcun obbligo di accantonamento nè sospendono l’accreditamento delle somme nelle contabilità speciali intestate alle prefetture. In corrispondenza al divieto di pignoramento o sequestro presso la tesoreria, l’esecuzione può e deve essere effettuata direttamente presso le prefetture, con atto notificato al direttore di ragioneria responsabile, cui é affidata la gestione contabile dei fondi.

  Il secondo complesso di prescrizioni normative, riferibile agli altri commi dello stesso art. 1, stabilisce l’impignorabilità o insequestrabilità dei fondi che hanno le destinazioni indicate dalla stessa disposizione e disciplina le operazioni che deve compiere il funzionario responsabile, al quale i pignoramenti o i sequestri che hanno per oggetto somme affluite nelle contabilità speciali vanno notificati con le modalità previste per l’espropriazione mobiliare presso il debitore.

  3.1. — La prima delle due questioni é ammissibile, ma nel merito non é fondata.

  Nel giudizio principale, la nullità, rilevabile d’ufficio, del pignoramento presso la sezione di tesoreria dello Stato, stabilita dalla disposizione denunciata, impedisce di dare ingresso al giudizio di cognizione, richiesto dal creditore che procede all’esecuzione forzata per accertare di quali somme del debitore il terzo, quale tesoriere, sia in possesso. La questione é, dunque, rilevante.

Essa é, tuttavia, non fondata, giacchè la disciplina stabilita per i pignoramenti sulle contabilità speciali non configura una procedura tale da determinare l’impignorabilità dei fondi assegnati alle prefetture, ma tende invece ad adeguare la procedura di esecuzione forzata alle particolari modalità di gestione contabile dei fondi stessi ed alla impignorabilità di quella parte di essi che risulti già destinata a servizi qualificati dalla legge come essenziali.

  Questa disciplina, uniformandosi a quanto già previsto in altri casi nei quali opera il sistema delle contabilità speciali (art. 1-bis, comma 4-bis, aggiunto dall’art. 11 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8 alla legge 29 ottobre 1984, n. 720), esclude il pignoramento presso il tesoriere dei fondi gestiti con questa particolare procedura e prevede, invece, il pignoramento presso il funzionario direttamente responsabile della gestione contabile dei fondi ed in grado di conoscerne l’ammontare e la disponibilità, come pure di verificare se e quali vincoli di destinazione siano imposti e per quali somme vi siano cause di impignorabilità. In questo contesto é giustificato disporre che gli atti di pignoramento delle somme affluite nelle contabilità speciali siano notificati al direttore di ragioneria responsabile, il quale, senza esercitare alcun potere discrezionale, é tenuto a vincolare l’ammontare pignorato assumendone la correlativa responsabilità, con atti non sottratti a verifica o accertamento giurisdizionale.

  3.2. — La questione di legittimità costituzionale degli altri commi dello stesso art. 1 é inammissibile.

  La questione é stata sollevata in una procedura di espropriazione presso terzi, a seguito di atto di pignoramento notificato alla tesoreria.

  Ritenuto non fondato il dubbio di legittimità costituzionale della norma che non ammette, a pena di nullità da rilevare d’ufficio, tale forma di pignoramento per i fondi affluiti nelle contabilità speciali, prevedendo invece quello presso il funzionario responsabile della gestione contabile dei fondi, non trova alcuna applicazione nel giudizio principale la disciplina relativa sia alla impignorabilità di quella parte delle somme affluite nelle contabilità speciali che hanno una specifica destinazione prevista dalla legge, sia alla determinazione della prefettura competente, individuata in quella nella cui circoscrizione risiede il privato interessato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara:

  a) non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, del decreto-legge 25 maggio 1994, n. 313 (Disciplina dei pignoramenti sulle contabilità speciali delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza), convertito, con modificazioni, nella legge 22 luglio 1994, n. 460, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 28 e 113 della Costituzione, dal Pretore di Avellino con l’ordinanza indicata in epigrafe;

  b) inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 2 e 4, dello stesso decreto-legge 25 maggio 1994, n. 313, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 28 e 113 della Costituzione, dal Pretore di Avellino con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Cesare MIRABELLI

Depositata in cancelleria il 9 ottobre 1998.