Sentenza n. 281/98

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SENTENZA N.281

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI              

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 267, comma 1, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 28 aprile 1997 dal Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di B. R., iscritta al n. 469 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 17 giugno 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

  1. Nel corso di un procedimento penale il Tribunale di Catanzaro ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 267, comma 1, del codice di procedura penale <<nella parte in cui detta norma non prevede la adozione del provvedimento autorizzativo del giudice per la rilevazione del traffico telefonico e la individuazione delle utenze chiamate, delle date e dell’ora delle conversazioni>>.

  Il rimettente premette che il pubblico ministero aveva formulato, ai sensi dell’art. 493 cod. proc. pen., richiesta di ammissione di un tabulato, attestante il traffico telefonico relativo ad una utenza cellulare intestata a persona diversa dall’imputato e <<asseritamente in uso a persona imputata di procedimento connesso>>; che detto tabulato era stato acquisito nel corso delle indagini in forza di decreto autorizzativo adottato dallo stesso pubblico ministero; che, infine, la difesa dell’imputato aveva eccepito l’inutilizzabilità del documento sotto il profilo del difetto di autorizzazione del giudice, ritenuta necessaria in base ai principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale.

  Al riguardo il rimettente osserva che, come già affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 81 del 1993, la rilevazione del traffico telefonico, con la individuazione delle utenze chiamate, dei relativi intestatari, delle date e delle ore delle conversazioni, incide sul valore costituzionalmente protetto della segretezza di ogni forma di comunicazione, da intendersi riferito non solo al contenuto delle comunicazioni, ma anche ai dati esteriori di individuazione di una determinata conversazione telefonica. Di qui la necessaria estensione anche a questa ipotesi delle garanzie previste nell’art. 15 Cost.

  Sotto tale profilo, l’adozione ai fini dell’acquisizione dei tabulati del decreto autorizzativo da parte del pubblico ministero <<soddisfa>>, a giudizio del rimettente, <<il parametro costituzionale, laddove prescrive, nel secondo comma dell’art. 15, la necessità del provvedimento motivato della "autorità giudiziaria", in essa comprendendo dunque anche il pubblico ministero>>. Ciò nondimeno, considerata la maggiore garanzia dell’intervento del giudice apprestata dall’art. 267, comma 1, cod. proc. pen. per le intercettazioni del contenuto delle conversazioni, la norma impugnata sarebbe censurabile in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost. <<per la irrazionale minore tutela offerta dall’ordinamento in relazione alla compressione dell’identico valore della segretezza delle comunicazioni>>. Rileva infatti il rimettente che il diritto alla riservatezza, <<essendo sancito in termini di "inviolabilità", non appare suscettibile di differenziate e graduate guarentigie>>.

  2. Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata infondata.

  L’Avvocatura contesta l’assunto del giudice rimettente secondo cui nel caso di intercettazioni del contenuto di conversazioni e di rilevazione del traffico telefonico vi sarebbe compressione dell’<<identico valore della segretezza delle comunicazioni>>. Determinante appare invece alla difesa erariale la diversa <<valenza probatoria>> degli elementi contenutistici della comunicazione telefonica rispetto agli elementi identificativi della stessa: in particolare, si osserva nell’atto di intervento, <<oggetto della prova delle intercettazioni é anche il contenuto della comunicazione, quello del documento relativo ai tabulati pertinenti una determinata utenza é solo la rappresentazione del fatto dell’intercorsa comunicazione con i dati temporali e spaziali del suo verificarsi>>. Di qui la <<diversa forza invasiva dei due mezzi di prova>>, cui ragionevolmente corrispondono diversi livelli di garanzia. Le intercettazioni del contenuto delle conversazioni infatti, risultando per le ragioni anzidette notevolmente più intrusive della sfera di riservatezza e segretezza delle comunicazioni, richiedono l’autorizzazione del giudice; per l’acquisizione dei tabulati, di evidente minore incisività, sarebbe invece sufficiente e comunque rispettoso della guarentigia costituzionale il provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, tra cui evidentemente va ricompreso anche il pubblico ministero.

Considerato in diritto

  1.— Il Tribunale di Catanzaro ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 267, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui <<non prevede la adozione del provvedimento autorizzativo del giudice per la rilevazione del traffico telefonico e la individuazione delle utenze chiamate, delle date e dell’ora delle conversazioni>>.

  Ad avviso del giudice rimettente, il provvedimento autorizzativo del pubblico ministero soddisfa, anche alla luce della sentenza di questa Corte n. 81 del 1993, la garanzia apprestata dal secondo comma dell’art. 15 Cost., che prescrive, a tutela della inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, la necessità di un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, ma si pone, nel confronto con la disciplina dettata dall’art. 267, comma 1, cod. proc. pen. in tema di intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche, in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost. La minor tutela predisposta per l’acquisizione dei tabulati rispetto all’intercettazione del contenuto di conversazioni, sottoposta all’autorizzazione del giudice, sarebbe priva di razionale giustificazione, posto che l’identico valore della segretezza delle comunicazioni, qualificato come inviolabile dalla Costituzione, <<non appare suscettibile di differenziate e graduate guarentigie>>.

  Sulla base di queste argomentazioni, il giudice rimettente chiede appunto a questa Corte una sentenza additiva sull’art. 267, comma 1, cod. proc. pen., al fine di assoggettare anche l’acquisizione dei "tabulati" alla disciplina più garantita prevista da tale norma.

  2.— La questione é inammissibile.

L’intercettazione del contenuto di conversazioni o comunicazioni telefoniche, telematiche o tra presenti é disciplinata dagli artt. 266 e seguenti cod. proc. pen. - nonchè, per i delitti di criminalità organizzata, dall’art. 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, come modificato dall’art. 3-bis, comma 2, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - che prevedono condizioni, limiti e garanzie particolarmente rigorosi a tutela della sfera della riservatezza dei singoli.

  La normativa vigente mira a contemperare il potenziale contrasto tra i due valori costituzionali espressi dal <<diritto dei singoli individui alla libertà e alla segretezza delle loro comunicazioni>>, riconosciuto come inviolabile dagli artt. 2 e 15 Cost., e <<l’interesse pubblico a reprimere i reati e a perseguire in giudizio coloro che delinquono>> (sentenza n. 366 del 1991, nonchè sentenze nn. 63 e 463 del 1994). Ne sono significativa espressione la disciplina dei limiti di ammissibilità delle intercettazioni, dei presupposti e delle forme del provvedimento del giudice, dei limiti di durata delle operazioni e dei provvedimenti di proroga (artt. 266 e 267, comma 3, cod. proc. pen.), nonchè la disciplina relativa allo stralcio delle conversazioni manifestamente irrilevanti e delle registrazioni di cui é vietata l’utilizzazione, anche in vista della tutela dei terzi di cui siano state occasionalmente registrate le conversazioni nel corso delle operazioni di intercettazione (art. 268, comma 6, cod. proc. pen.) e la previsione dei limiti e dei divieti di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni (artt. 270 e 271 cod. proc. pen.).

  3.— Dal complesso delle norme previste negli articoli richiamati emerge - come già evidenziato dalla sentenza n. 81 del 1993 - che la disciplina é modellata con esclusivo riferimento all’intercettazione del contenuto delle conversazioni e comunicazioni e non é pertanto estendibile ad istituti diversi, quale l’acquisizione a fini probatori di notizie riguardanti il mero fatto storico della avvenuta comunicazione telefonica.

  Invero la disciplina applicabile all’acquisizione dei "tabulati", nei cui confronti opera la tutela che l’art. 15 Cost. appresta alla libertà e alla segretezza di ogni forma di comunicazione, va ricercata – come é stato puntualizzato nella sentenza da ultimo citata – nell’art. 256 cod. proc. pen., relativo al dovere di esibizione all’autorità giudiziaria di documenti riservati o segreti; disciplina alla quale sono peraltro sottese le irrinunciabili garanzie stabilite dall’art. 15, secondo comma, Cost., secondo cui la libertà e la segretezza di ogni forma di comunicazione possono essere limitate solo con atto dell’autorità giudiziaria, sorretto da adeguata e specifica motivazione.

  4.— Tenendo conto della diversità di discipline che rispettivamente regolano i due istituti, nonchè dei diversi elementi di conoscenza alla cui acquisizione sono rispettivamente finalizzati e delle differenti esigenze investigative che mirano a soddisfare, la pretesa del giudice rimettente di estendere la specifica garanzia dell’autorizzazione giurisdizionale, prevista per l’intercettazione del contenuto di conversazioni, all’acquisizione documentale concernente i soli dati identificativi di tali conversazioni, mediante una sentenza additiva sull’art. 267, comma 1, cod. proc. pen., deve essere dichiarata inammissibile.

  L’intervento richiesto comporterebbe infatti il trapianto di un frammento della specifica disciplina dell’intercettazione telefonica al diverso istituto dell’acquisizione dei tabulati. Quest’ultimo istituto risulterebbe così impropriamente assimilato alle intercettazioni telefoniche, e si aprirebbero delicati problemi interpretativi in ordine all’applicazione dei presupposti e dei limiti funzionali alle specifiche esigenze di garanzia che sottostanno alle intercettazioni del contenuto di conversazioni, ma non tutti egualmente riconducibili alla diversa forma di intrusione nella sfera della riservatezza che si realizza mediante l’acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico.

  Una sentenza additiva della Corte – che, per le considerazioni sinora svolte, dovrebbe intervenire non sull’art. 267, comma 1, cod. proc. pen., ma sull’art. 256, comma 1, cod. proc. pen., inserito nel capo relativo ai sequestri - verrebbe inoltre ad interferire con scelte, riservate alla discrezionalità del legislatore, in ordine alle garanzie più idonee a contemperare la tutela della sfera della libertà e della segretezza delle comunicazioni, coinvolta anche dalla acquisizione dei tabulati, con le esigenze sottese alla investigazione e alla repressione dei reati.

  Basti pensare che, ove si riservasse al giudice l’autorizzazione alla acquisizione dei tabulati, spetterebbe comunque al legislatore l’individuazione dei parametri di giudizio del relativo decreto, ora definiti dall’art. 267, comma 1, cod. proc. pen. (e per i delitti di criminalità organizzata dall’art. 13 del decreto-legge n. 152 del 1991), limitandosi l’art. 15, secondo comma, Cost. a prescrivere la necessità di un atto motivato dell’autorità giudiziaria nel rispetto delle garanzie stabilite dalla legge.

  Fermo restando che il <<livello minimo di garanzie>> enunciato dalla sentenza n. 81 del 1993 (requisito soggettivo della autorizzazione della autorità giudiziaria e oggettivo della sussistenza di una adeguata motivazione del provvedimento) risulta allo stato rispettato per l’aspetto specificamente dedotto della autorizzazione del pubblico ministero alla acquisizione dei tabulati, é peraltro auspicabile che il legislatore provveda a disciplinare in modo organico l’acquisizione e l’utilizzazione della documentazione relativa al traffico telefonico, in funzione della specificità di questo particolare mezzo di ricerca della prova, che non trova compiuto sviluppo normativo nella disciplina generale prevista dal codice in tema di dovere di esibizione di atti e documenti e di sequestro.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 267, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1998.

Presidente: Giuliano VASSALLI

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1998.