Sentenza n. 277/98

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SENTENZA N.277

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Veneto notificato il 20 giugno 1997, depositato in Cancelleria il 30 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 marzo 1997, recante "Modificazione dell'elenco delle specie cacciabili di cui all'art. 18, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157", ed iscritto al n. 36 del registro conflitti 1997.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1998 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

udito l'avv. Fabio Lorenzoni per la Regione Veneto e l'avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1. - La Regione Veneto, con ricorso notificato il 20 giugno 1997 e depositato il 30 giugno 1998, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in riferimento al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 marzo 1997 recante "Modificazione dell'elenco delle specie cacciabili di cui all'art. 18, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157" (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 luglio 1997).

2. - Il ricorrente sostiene che l’atto impugnato viola la propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita anzitutto perchè interferisce con il potere demandato dall'art. 17 della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 al Presidente della Giunta regionale, di imporre limiti all'attività venatoria delle specie di fauna selvatica contemplate nell'art. 18 della legge n. 157 del 1992, in quanto non permette la valutazione delle concrete caratteristiche ambientali, faunistiche ed agricole, del territorio regionale. Inoltre, a suo avviso, l'art. 3 del decreto, nella parte in cui dispone che "le regioni provvedono ai rispettivi atti legislativi e amministrativi di adeguamento alle disposizioni del (...) decreto", vulnera l'art. 117 della Costituzione, dato che la competenza legislativa regionale non può essere vincolata da norme di "rango regolamentare".

3. - Secondo la Regione, l'atto in esame inoltre viola sia la legge di delegazione 15 marzo 1997, n. 59, sia il d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143, emanato successivamente alla adozione dell'atto stesso.

In particolare, sostiene la ricorrente, il decreto impugnato si pone in contrasto con l'art. 4, comma 3, lettere a) e b), della legge n. 59 del 1997, il quale, disponendo che le funzioni amministrative devono essere "allocate al livello di governo in cui possono essere meglio esercitate all'interno delle comunità locali", ed affidando "alle Regioni i compiti e le funzioni che non sono attribuite agli altri enti locali", riserva allo Stato soltanto le competenze correlate alla cura dei rapporti internazionali ed all'esecuzione dei relativi impegni. Inoltre, il decreto costituirebbe anche espressione di un potere di livello inadeguato alla specifica funzione, esercitato unilateralmente, in violazione degli strumenti di consultazione ed intesa, in modo frammentario e senza tenere conto delle singole specificità territoriali, cosicchè contrasterebbe con i principi di "efficienza ed economicità", di "adeguatezza", di "cooperazione", di "responsabilità ed unicità dell'amministrazione", e di "differenziazione" che, ad avviso della Regione, pure sarebbero stabiliti dalla legge n. 59 del 1997. Secondo la ricorrente, la circostanza che detti principi sono caratterizzati da un sufficiente grado di determinatezza rende infatti illegittimo il decreto, in quanto adottato sulla scorta di norme che contrastano con essi.

In ogni caso, prosegue la ricorrente, l’atto impugnato appare viziato da "illegittimità sopravvenuta", dato che sono ormai in vigore le disposizioni del d.lgs. n. 143 del 1997, che ha trasferito le competenze del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, ivi comprese quelle sulla caccia, alle Regioni, le quali hanno facoltà di esercitarle direttamente o mediante delega o nuovo trasferimento agli enti locali.

4. - La Regione Veneto eccepisce, infine, che il decreto invade la propria sfera di attribuzioni, in quanto é stato adottato in applicazione dell'art. 18 della legge n. 157 del 1992, il quale é, però, costituzionalmente illegittimo. Ed infatti, tale ultima norma, prevedendo che le competenze regionali possono essere limitate da fonti secondarie, si pone in contrasto diretto con l’art. 117 della Costituzione ed indiretto con l’art. 118 della Costituzione.

La ricorrente ha, pertanto, concluso chiedendo che la Corte annulli il decreto impugnato.

5. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto nel giudizio ed ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile e, comunque, infondato.

La difesa erariale deduce che l'art. 18 della legge n. 157 del 1992 esprime "l'interesse unitario dello Stato alla tutela della fauna selvatica" e ne demanda la cura al Presidente del Consiglio dei ministri, anche attraverso la modifica dell'elenco delle specie cacciabili. L’atto impugnato, a suo avviso, non soltanto non lede le competenze regionali in materia di valutazione delle esigenze di protezione faunistica del singolo territorio regionale, ma é anche "sorretto da ragioni che travalicano la stessa dimensione nazionale dell'interesse protetto". Il preambolo del decreto puntualmente esplicita, infatti, che l’ampliamento dell’elenco delle specie non cacciabili é stato disposto allo scopo di adeguarlo alle direttive comunitarie in materia di caccia.

Il d.lgs. n. 143 del 1997, prosegue il Presidente del Consiglio dei ministri, é stato inoltre inesattamente evocato per sostenere l’invasività dell’atto, dato che esso ha espressamente escluso dal novero delle competenze trasferite alle regioni i "compiti di disciplina generale e di coordinamento nazionale", quale appunto quello concernente l'identificazione delle "specie cacciabili ai sensi dell'art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992".

La censura di illegittimità del decreto derivante dal dedotto contrasto dell'art. 18 della legge n. 157 del 1992 con la Costituzione, secondo l'Avvocatura dello Stato, é, infine, inammissibile, in quanto configura un’eccezione che avrebbe dovuto e potuto essere formulata esclusivamente mediante l'impugnazione della norma in via principale, nell'osservanza dei termini di decadenza ormai perenti.

6. - All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l'accoglimento delle rispettive conclusioni.

Considerato in diritto

 

1. - Il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri ha ad oggetto il d.P.C.m. 21 marzo 1997, che reca "Modificazione dell'elenco delle specie cacciabili di cui all'art. 18, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157", in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione ed all'art. 17 della legge regionale del Veneto 9 dicembre 1993, n. 50, nonchè ai principi introdotti dalla legge di delegazione 15 marzo 1997, n. 59 e dal d.lgs 4 giugno 1997, n. 143.

Secondo la Regione ricorrente, l'atto impugnato violerebbe la propria sfera di attribuzione costituzionalmente garantita sotto diversi profili: a) l'interferenza con le norme che assegnano alla regione il potere di stabilire limiti all'attività venatoria, essendo "impensabile che una disposizione di rango regolamentare statale possa modificare una legge cornice o altra legge contenente principi generali vincolanti la Regione"; b) l'inosservanza dei principi e dei criteri direttivi della legge di delegazione 15 marzo 1997, n. 59, nonchè "in via sopravvenuta" il contrasto con il d.lgs 4 giugno 1997, n. 143, che ha trasferito alle regioni la materia della "caccia", neppure riservata allo Stato dalla predetta legge n. 59 del 1997; c) l'applicazione, infine, dell'art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, da ritenere costituzionalmente illegittimo per contrasto (diretto) con l'art. 117 della Costituzione e (indiretto) con l'art. 118 della stessa, nella parte in cui consente la compressione delle competenze regionali ad opera di fonti secondarie.

2. - Il ricorso é inammissibile.

Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, si deve escludere che il conflitto di attribuzione tra Regione (o Provincia autonoma) e Stato possa essere instaurato in relazione ad atti di mera esecuzione di norme di legge, in quanto esso sarebbe diretto, nella sostanza, a censurare queste ultime, fuori delle forme previste a tale scopo (sentenze n. 467 del 1997, n. 215 del 1996).

Nella fattispecie in esame, l'impugnato d.P.C.m. 21 marzo 1997 risulta emanato ai sensi dell'art. 18, comma 3, primo periodo, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, per il recepimento delle direttive comunitarie 79/409/CEE e 94/24/CEE, al fine di "completare l'adeguamento dell'elenco delle specie cacciabili, di cui all'art. 18, comma 1, della legge n. 157 del 1992, alla normativa comunitaria" e costituisce pertanto esplicazione della competenza prevista dall'art. 18, comma 3, primo periodo, della citata legge n. 157 del 1992. Si tratta dell'esplicazione di una funzione del Presidente del Consiglio dei ministri, avente "carattere amministrativo di aggiornamento in relazione a dati tecnici e di fatto forniti dai competenti istituti"; funzione che "non configura alcuna delega da parte del legislatore (...), essendo prevista esclusivamente nei limiti di aggiornamento e di adeguamento degli elenchi nazionali, suggeriti dagli organi tecnici nello stretto ambito dei rigorosi criteri fissati dalla legge" (sentenza n. 278 del 1988).

Considerato dunque che il disposto legislativo predetermina rigidamente presupposti, contenuto e modalità applicative del d.P.C.m. 21 marzo 1997, non vi é materia per un conflitto costituzionale che abbia ad oggetto il medesimo decreto, in quanto esso non ha autonoma attitudine lesiva della sfera di attribuzione costituzionalmente spettante alla Regione ricorrente (cfr. sentenza n. 467 del 1997). In questo senso va appunto rilevato che il ricorso della Regione Veneto prospetta censure che, in realtà, non riguardano il predetto decreto del Presidente del Consiglio, in quanto tale, ma piuttosto le norme di legge -in particolare l'art. 18, comma 3, della citata legge n. 157- delle quali il decreto stesso costituisce applicazione. Ed invero, non solo l'ultimo motivo di ricorso eccepisce direttamente l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 per contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, ma anche gli altri motivi si risolvono, in definitiva, in altrettante censure di norme di legge, le quali però non sono state ritualmente impugnate dalla ricorrente.

In questo quadro, é evidente che non é il decreto del Presidente del Consiglio, identificando le specie di volatili cacciabili, ad interferire, di per sè, con l'art. 17 della legge regionale n. 50 del 1993, che attribuisce al Presidente della Giunta regionale il potere di imporre limiti all'attività venatoria, ma é proprio il comma 3 dell'art. 18 citato ad autorizzare il predetto decreto ed i conseguenti adempimenti nei confronti delle regioni. Tra tali adempimenti rientrano, dunque, anche quelli che impongono alle regioni di provvedere all'adeguamento alle disposizioni del decreto in questione, tanto più che l'art. 2, comma 2, del sopravvenuto d.lgs. 4 giugno 1997 n. 143, confermando precedenti competenze, riserva al Ministero per le politiche agricole compiti di disciplina generale e di coordinamento nazionale relativi, fra l'altro, alla materia delle "specie cacciabili ai sensi dell'art. 18, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157".

Ed é ancora una norma di legge, precisamente l'art. 69, comma 1, lettera i), del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112, e non già il decreto impugnato, a definire, ai sensi dell'art. 1, comma 4, lettera c) della legge n. 59 del 1997, "compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambiente" quelli relativi, tra l'altro, "alle variazioni dell'elenco delle specie cacciabili, ai sensi dell'art. 18, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157". E quindi l'esercizio statale dei predetti compiti di "rilievo nazionale" non solo non comporta alcuna lesione di attribuzioni regionali, ma anzi si conforma alla giurisprudenza di questa Corte, che ha stabilito, in fattispecie analoghe, che spetta allo Stato far valere, nei confronti delle regioni, anche quando queste esercitano competenze loro costituzionalmente garantite, gli interessi unitari, di cui esso é portatore (sentenze n. 272 del 1996, n. 577 del 1990, n. 1002 del 1988).

In definitiva, la ricorrente propone censure di costituzionalità che attengono propriamente a disposizioni legislative, di cui reca mera esecuzione l'atto impugnato, cosicchè ne deriva l'inammissibilità del ricorso in questa sede di giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Veneto nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 marzo 1997 (Modificazioni dell'elenco delle specie cacciabili di cui all'art. 18, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157), con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Relatore: Piero Alberto CAPOTOSTI

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1998.