Sentenza n. 197/98

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SENTENZA N. 197

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI  

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO  

- Dott. Riccardo CHIEPPA  

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE  

- Prof. Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794 (Norme comuni relative all'applicazione delle tariffe degli onorari di avvocato e procuratore), come richiamato dall'art. 11, sesto comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria), promosso con ordinanza emessa il 10 ottobre 1995 dalla Corte di cassazione, sul ricorso proposto da Torre Angelo contro Giacumbi Paolo ed altro, iscritta al n. 50 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1997.

  Udito nella camera di consiglio dell'11 febbraio 1998 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un giudizio di legittimità - instaurato da un perito d'ufficio per censurare il provvedimento con cui il Tribunale di Salerno aveva disposto l'archiviazione di un ricorso presentato contro la liquidazione del compenso per una perizia espletata in un processo penale - la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 10 ottobre 1995 (pervenuta alla Corte costituzionale il 23 gennaio 1997), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794 (Norme comuni relative all'applicazione delle tariffe degli onorari di avvocato e procuratore), come richiamato dall'art. 11, sesto comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria).

  Secondo la Corte, la norma denunciata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in relazione agli artt. 135 e 136 del codice di procedura civile, "nella parte in cui non prevede la comunicazione al ricorrente del decreto del Presidente del Tribunale in calce al ricorso, con cui viene fissata la comparizione delle parti davanti al collegio in camera di consiglio ed é determinato il termine per la notificazione del decreto e del ricorso stesso alla controparte interessata".

  Premesso che proprio a cagione di tale mancata comunicazione il ricorrente non aveva potuto conoscere il menzionato provvedimento, per cui era intervenuta l'archiviazione del ricorso, rileva la Corte rimettente che, allorquando si verta in materia di diritti soggettivi, la decadenza dall'azione e la perdita del diritto possono verificarsi solo con riguardo a situazioni conosciute dal soggetto. Pertanto - secondo la Suprema Corte - rapportare la presunzione di conoscenza al semplice deposito in cancelleria del decreto in calce al ricorso, significherebbe onerare l'interessato di un costante accesso alla cancelleria con modalità del tutto illogica ed arbitraria, soprattutto quando sia notevole il lasso di tempo intercorso tra il deposito del ricorso e l'assunzione del decreto.

  Richiamata la sentenza n. 156 del 1986 (con la quale questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 739 e 741 cod. proc. civ., nella parte in cui, disciplinando il reclamo avverso i decreti del giudice delegato in materia di determinazione dei compensi ad incaricati per opera prestata nell'interesse della procedura di amministrazione controllata, facevano decorrere il termine per il reclamo dal deposito del decreto in cancelleria, anzichè dalla comunicazione), osserva in particolare la Corte rimettente come la non presumibile conoscenza del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza camerale e del termine per la notificazione alla controparte, se rapportata al semplice deposito del decreto in cancelleria, porta alla decadenza del diritto di cui determina l'improcedibilità e la non riproponibilità. Per cui, ritenuto che detto deposito é inidoneo a far conoscere all'interessato il tenore del provvedimento e che l'inutile decorso del termine fissato dal giudice per la notifica alla controparte comporta la perdita dell'azione, per il giudice a quo sono identiche le conseguenze della disciplina normativa sulla tutela dei diritti.

Considerato in diritto

  1. - La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell'art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, come richiamato dall'art. 11, sesto comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319, "nella parte in cui [nel caso di ricorso avverso la liquidazione del compenso spettante al perito, per le operazioni peritali espletate a richiesta dell'autorità giudiziaria] non prevede la comunicazione al ricorrente del decreto del Presidente del tribunale in calce al ricorso, con cui viene fissata la comparizione delle parti davanti al collegio in camera di consiglio ed é determinato il termine per la notificazione del decreto e del ricorso stesso alla controparte interessata".

  Secondo la Corte rimettente, la norma censurata si pone in contrasto: a) con l'art. 3 Cost., data l'irrazionalità di un sistema che - in base ad una presunzione di conoscenza del deposito del decreto - può di fatto portare a conseguenze quali la decadenza dall'azione e dal relativo diritto; b) con l'art. 24 Cost., poichè il rapportare la presunzione di conoscenza al semplice deposito in cancelleria del decreto in calce al ricorso significa onerare arbitrariamente l'interessato di un costante accesso in cancelleria.

  2. - La questione non é fondata, nei sensi appresso indicati.

  2.1. - Non si può non riconoscere che i dubbi d'incostituzionalità prospettati dalla rimettente sarebbero fondati ove non fosse possibile - attraverso un'interpretazione adeguatrice della denunciata normativa ai precetti costituzionali - escludere che l'inutile decorso del termine di notifica indicato nel decreto di fissazione dell'udienza emesso a' sensi dell'art. 29 della legge n. 794 del 1942 comporti, pur in difetto della comunicazione del decreto stesso, la decadenza dell'impugnazione già tempestivamente proposta a' sensi dell'art. 11, quinto comma, della legge n. 319 del 1980. Infatti, il semplice deposito di un provvedimento nella cancelleria non offre al soggetto che lo ha richiesto quella ragionevole possibilità di tempestiva conoscenza, senza oneri eccedenti la normale diligenza, che - come questa Corte ha più volte affermato e intende ribadire - é necessaria quando viene in considerazione l'osservanza d'un termine per l'esercizio del diritto di agire e di difendersi in giudizio (v. sentenze n. 156 del 1986 e n. 303 del 1985, nonchè n. 120 del 1986 e n. 15 del 1977).

  Ma ritiene la Corte che l'esame complessivo dell'insieme di dati ermeneutici (testuali, storici e sistematici) qui di séguito indicati possa condurre proprio a codesta interpretazione adeguatrice, la quale sembra non meno plausibile di quella posta dalla rimettente a base della sollevata questione.

  2.2. - La più significativa innovazione apportata dalla legge n. 319 del 1980 alla previgente legge 1° dicembre 1956, n. 1426, é stata quella di prevedere e regolamentare nell'àmbito di un organico contesto normativo l'impugnabilità del provvedimento di liquidazione degli onorari dei periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori, per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria.

  La possibilità di ricorso non trovava infatti riscontro diretto nell'abrogata disciplina legislativa, ma solo nella consolidata costruzione giurisprudenziale di legittimità, che riconduceva il summenzionato provvedimento (allora pronunciato ai sensi dell'art. 24 disp. att. cod. proc. civ., oppure dell'art. 23 disp. att. cod. proc. pen. del 1930) tra quelli speciali a carattere monitorio, emessi dal giudice in via provvisoria e senza preventiva contestazione della domanda, con ciò assimilandolo - anche relativamente all'utilizzazione, con gli opportuni adattamenti procedurali, degli strumenti di opposizione - al decreto ingiuntivo disciplinato dagli artt. 633 e segg. cod. proc. civ. Donde l'esclusione, da parte di questa Corte, dell'illegittimità costituzionale del sistema, proprio in ragione del differimento dell'attuazione del contraddittorio alla fase processuale di opposizione (v. sentenza n. 125 del 1972).

  Così - anche al fine di ovviare, comunque, alle problematiche cui dava luogo l'assenza di una coerente disciplina organica - il quinto comma dell'art. 11 della legge n. 319 del 1980 ha esplicitamente previsto che "avverso il decreto di liquidazione il perito, il consulente tecnico, l'interprete, il traduttore, il pubblico ministero e le parti private possono proporre ricorso entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione davanti al tribunale o alla corte d'appello alla quale appartiene il giudice o presso cui esercita le sue funzioni il pubblico ministero ovvero nel cui circondario ha sede il pretore che ha emesso il decreto". A sua volta, il denunciato sesto comma dello stesso art. 11 ha stabilito che il relativo procedimento "é regolato dall'art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794", il quale sancisce che "il Presidente del tribunale o della corte d'appello ordina, con decreto in calce al ricorso, la comparizione degli interessati davanti al collegio in camera di consiglio" e che "il decreto é notificato a cura dell'interessato".

  2.3. - Lo schema procedurale disciplinato da tale ultima norma con riferimento al giudizio di liquidazione degli onorari di avvocato e procuratore, non include nel suo contenuto precettivo alcun termine di decadenza. La norma infatti si limita a stabilire, in modo assolutamente neutro, una mera sequenza ordinatoria di adempimenti necessari per la regolare instaurazione del contraddittorio. La mancanza di un'espressa previsione dell'obbligo di comunicare il decreto di fissazione dell'udienza e del termine di notificazione del ricorso alla controparte, si spiega in quanto trova applicazione il generale principio di cui all'art. 136 cod. proc. civ., in conformità ad altri numerosi moduli procedimentali regolati nell'àmbito dello stesso codice.

  Ma il rito camerale disciplinato dall'art. 29 della legge n. 794 del 1942 si correla ontologicamente ad uno specifico giudizio contenzioso finalizzato soltanto alla sollecita liquidazione degli onorari di avvocato e procuratore (cfr. sentenze n. 238 del 1976 e n. 22 del 1973), che il professionista chiede col ricorso previsto dal precedente art. 28, avente natura di semplice domanda, sempre rinnovabile ove non dovesse essere notificato dalla parte istante il decreto emesso per la comparizione davanti al collegio in camera di consiglio. Mentre, viceversa, il ricorso proposto a' sensi dell'art. 11, quinto e sesto comma, della legge n. 319 del 1980 é atto impugnatorio della liquidazione già operata dal giudice o dal pubblico ministero che ha nominato il perito avente diritto al compenso. Atto, che costituisce espressione d'un diritto attribuito dalla norma col solo onere di osservare il termine di venti giorni "dall'avvenuta comunicazione".

  Osservato tale termine, una decadenza dalla già proposta impugnazione potrebbe ricollegarsi alla mera inattività relativamente ad adempimenti successivi, solo in quanto il ricorrente sia stato posto in condizione di conoscere il momento iniziale del termine entro cui provvedere agli adempimenti stessi: il che non può ragionevolmente ritenersi verificato a séguito del semplice deposito del decreto previsto nell'art. 29, primo comma, della legge n. 794 del 1942.

  Da un lato infatti é da rilevare che nessuna decadenza per codesta inattività viene espressamente prevista nell'art. 11 della legge n. 319 del 1980, mentre, dall'altro, in mancanza di dati che suffraghino l'avviso contrario, é da ritenersi che esula dal rinvio all'art. 29 della legge n. 794 del 1942 l'intentio legislativa di pervenire a codesto risultato, il quale contrasterebbe con i princìpi generali del sistema delle impugnazioni, più volte affermati da questa Corte. A tal proposito giova in particolare richiamare la già citata sentenza n. 15 del 1977, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 435, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non disponeva che l'avvenuto deposito del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di discussione fosse comunicato all'appellante, decorrendo da codesta comunicazione il termine per la notificazione all'appellato. Sentenza, codesta, che enuncia un generale criterio interpretativo (cfr. sentenza n. 358 del 1996) relativamente a tutte le norme riguardanti giudizi di impugnazione, le quali prevedano termini di decadenza.

  2.4. - Il risultato ermeneutico così conseguito - da preferire proprio perchè rispettoso dei valori costituzionali che la rimettente pone in evidenza nel sollevare la questione di costituzionalità - rende la denunciata normativa immune dai vizi prospettati muovendo da diversa premessa interpretativa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, sesto comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Cesare RUPERTO

Depositata in cancelleria il 3 giugno 1998.