Sentenza n. 89/98

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SENTENZA N.89

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 3, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 30 gennaio 1997 dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Enna, nel procedimento penale a carico di M. C. ed altri, iscritta al n. 512 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

  1.— Nel corso di un procedimento penale a carico di tre imputati per il reato di furto aggravato ai sensi degli artt. 624 e 625, numeri 1 e 5, del codice penale, il Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Enna con ordinanza del 30 gennaio 1997 (R.O. n. 512 del 1997) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 77 (rectius: 76) della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui limita il potere del giudice di provvedere di ufficio nel corso delle indagini preliminari alla revoca o alla sostituzione delle misure cautelari quando <<assume l’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare o quando é richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari o dell’assunzione dell’incidente probatorio ovvero quando procede all’udienza preliminare o al giudizio>>.

  Il rimettente - premesso di essere stato investito di una istanza con la quale uno degli indagati aveva chiesto di essere autorizzato ad allontanarsi dal luogo in cui era ristretto agli arresti domiciliari per esigenze lavorative e di avere accertato, sulla base dell’istanza e della documentazione allegata, che sono venute meno le esigenze cautelari poste a base della misura - rileva che ai sensi dell’art. 299, comma 3, cod. proc. pen. non gli é però consentito disporre la revoca della misura cautelare. La disposizione richiamata attribuisce infatti al giudice per le indagini preliminari un potere d’intervento d’ufficio in ipotesi determinate (interrogatorio dell’indagato, decisione in ordine alla proroga delle indagini, incidente probatorio), che non ricorrono nel caso di specie in cui la richiesta attiene ad una diversa modalità di esecuzione della misura. Di qui il ritenuto contrasto della norma impugnata con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 76 Cost.

  Da un lato, infatti, l’art. 299 cod. proc. pen. dispone che le misure coercitive ed interdittive sono immediatamente revocate quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, i presupposti previsti dall’art. 274 cod. proc. pen., dall’altro il terzo comma dell’art. 299 cod. proc. pen., circoscrivendo il potere di ufficio del giudice alle sole ipotesi ivi previste, sottrarrebbe <<all’intervento diretto della giurisdizione il potere-dovere di valutare la permanenza delle condizioni di applicabilità della misura cautelare e delle esigenze cautelari e quindi il potere di mantenere lo stato di custodia cautelare, attribuendolo al P.M.>>, con la conseguenza che <<il controllo di legalità sulla permanenza delle predette condizioni ed esigenze cautelari viene così ad essere sostanzialmente subordinato alla richiesta di quest’ultimo in quanto la particolare natura della fase delle indagini preliminari consente alla difesa solo un intervento "alla cieca", non avendo questa cognizione - o comunque piena cognizione - dello sviluppo delle indagini e quindi di eventuali fatti sopravvenuti sulla cui base argomentare il venir meno delle condizioni di applicabilità di cui all’art. 274 c.p.p.>>.

  L’esigenza di una piena garanzia del contraddittorio in una fase come quella delle indagini preliminari, che <<implica per sua natura spazi preclusi alla difesa>>, imporrebbe invece, a parere del rimettente, che la tutela dell’imputato sia affidata anche al potere d’ufficio del giudice; nè a ciò sarebbe di ostacolo il fatto che la titolarità del procedimento nella fase delle indagini preliminari é attribuita al pubblico ministero, poichè é al giudice che spetta disporre l’applicazione delle misure cautelari nei limiti e alle condizioni previste dall’art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, che pone da un lato il divieto di <<disporre - e quindi di mantenere - la custodia in carcere>> se, con l’applicazione di altre misure di coercizione personale, possono essere adeguatamente soddisfatte le esigenze cautelari e prevede dall’altro l’obbligo di disporre la revoca delle misure applicate se vengono a cessare le esigenze cautelari (il richiamo, così genericamente effettuato nell’ordinanza, deve intendersi riferito alla direttiva n. 59).

  Con riferimento all’art. 3 Cost., il giudice a quo lamenta la disparità di trattamento che viene a determinarsi fra cittadini indagati in diversi procedimenti per il solo fatto che sia stato o non sia stato richiesto, per esempio, l’incidente probatorio, circostanza questa dalla quale deriva solo in caso affermativo la possibilità per il giudice di provvedere d’ufficio alla revoca delle misure.

  2. — Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata non fondata.

  Osserva in via preliminare l’Avvocatura che in tema di applicazione delle misure cautelari vige il principio della <<domanda cautelare>>, da intendersi riferito secondo la costante giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. VI, 21 marzo 1992, n. 456; Cass., Sez. VI, 1° settembre 1994, n. 1352) alle ipotesi in cui debba procedersi non solo all’adozione della misura, ma anche alla modifica delle modalità esecutive della stessa. Di qui l’eccezionalità dei casi di iniziativa ufficiosa del giudice per le indagini preliminari in ordine alla revoca e alla sostituzione di una misura già adottata, in quanto derogatori rispetto al principio generale.

  Del resto, osserva ancora l’Avvocatura, tali deroghe hanno una loro ragion d’essere nella particolare circostanza che nelle ipotesi previste <<il processo si trova in una fase nella quale il giudice per le indagini preliminari ha a disposizione gli atti del processo e può, quindi, valutare a pieno se sussistono ancora le condizioni che giustificano la misura cautelare>>.

  Secondo la difesa erariale, dunque, la disciplina censurata non viola nè l’art. 24, secondo comma, nè l’art. 3 Cost.: in particolare, non é dato rilevare alcuna lesione del principio del contraddittorio, posto che l’indagato ha comunque la possibilità di chiedere la modifica della misura, sia pure con espressa istanza; quanto poi all’asserita disparità di trattamento fra indagati, l’Avvocatura fa rilevare che all’indagato competono ampie facoltà di iniziativa e che il pubblico ministero é tenuto, quale organo dotato di potestà pubblicistiche, al rispetto dell’art. 299, comma 1, cod. proc. pen. e dunque al controllo della sussistenza dei presupposti per il mantenimento delle misure cautelari. Generico, infine, a giudizio dell’Avvocatura, é il denunciato contrasto con l’art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81.

Considerato in diritto

  1. — Investito di una richiesta di modifica della misura cautelare degli arresti domiciliari, con la quale l’indagato chiedeva di essere autorizzato ad assentarsi dal domicilio per esigenze di lavoro, il Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Enna, avendo accertato che dall’istanza e dalla documentazione ad essa allegata era emersa una situazione che avrebbe imposto la revoca della misura per essere venute meno le esigenze cautelari, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 secondo comma, e 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui limita il potere del giudice di provvedere d’ufficio nel corso delle indagini preliminari alla revoca o alla sostituzione delle misure cautelari quando assume l’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare, o quando é richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari o dell’assunzione di incidente probatorio.

  In base alla premessa che la richiesta di modifica delle modalità di applicazione della misura cautelare non investirebbe il giudice del potere di revocare o sostituire la misura stessa, il rimettente ritiene che la limitazione del potere di intervenire d’ufficio alle sole ipotesi previste dall’art. 299, comma 3, cod. proc. pen. si pone in contrasto:

- con l’art. 3 Cost., perchè determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra persone indagate in diversi procedimenti a seconda che - ad esempio - sia stato o non sia stato richiesto incidente probatorio, in quanto solo in caso affermativo il giudice sarebbe abilitato a provvedere d’ufficio alla revoca della misura;

- con l’art. 24 Cost., in quanto nella fase delle indagini preliminari le minori garanzie di difesa rispetto a quelle previste per la fase del giudizio dovrebbero essere compensate da maggiori poteri di intervento d’ufficio del giudice;

- con l’art. 76 Cost., in relazione all’art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, ove nella direttiva n. 59 é previsto tra l’altro l’obbligo di disporre la revoca delle misure se vengono a mancare le esigenze cautelari.

  2. — La questione é infondata. Alla luce dei principi generali che ispirano la disciplina della libertà personale, la lettura logico-sistematica delle regole dettate dall’art. 299 cod. proc. pen. in tema di revoca, sostituzione e modifica delle misure cautelari conduce necessariamente ad una interpretazione della norma impugnata diversa da quella seguita dal rimettente.

3.— L’art. 299, comma 3, cod. proc. pen., nel primo periodo stabilisce che il giudice provvede con ordinanza sulla richiesta di revoca o di sostituzione delle misure formulata dal pubblico ministero o dall’imputato. La norma, subordinando l’investitura del giudice (si intende, del giudice per le indagini preliminari) alla proposizione di una domanda, si inscrive nel principio generale per il quale il giudice per le indagini preliminari esercita le sue funzioni su impulso di parte (art. 328, comma 1, cod. proc. pen.). Tale principio, più che una opzione discrezionalmente seguita dal legislatore, rappresenta una conseguenza necessitata del collegamento strutturale del giudice per le indagini preliminari con il procedimento: trattandosi di un giudice "senza processo", a funzione intermittente, tale organo, nella fase precedente l’esercizio dell’azione penale, non dispone degli atti di indagine e non é a conoscenza dello sviluppo del procedimento. La sua esistenza come organo esercitante la giurisdizione in tanto viene concretamente in campo in quanto egli sia evocato dalle parti.

  Diversamente é a dirsi per la fase successiva all’esercizio dell’azione penale: investito della richiesta di rinvio a giudizio, il giudice per le indagini preliminari dispone del processo, e nell’ambito di questa sua cognizione, in sede di udienza preliminare può provvedere d’ufficio alla revoca o sostituzione delle misure cautelari (art. 299, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen.). Analogamente (e, potrebbe dirsi, a maggior ragione) provvede d’ufficio, in base alla disposizione da ultimo citata, il giudice del dibattimento o il giudice investito comunque di una funzione di giudizio. Non irragionevolmente, poi, il legislatore ha ritenuto di attribuire anche al giudice per le indagini preliminari poteri d’ufficio, in connessione con l’esercizio di funzioni particolarmente significative dallo stesso svolte (naturalmente, sempre su domanda) nella fase precedente l’esercizio dell’azione penale (art. 299, comma 3, cod. proc. pen.: decisione sulla richiesta di proroga del termine per le indagini; incidente probatorio).

  4.— Una volta che il giudice, su domanda o d’ufficio, debba decidere in materia cautelare (in particolare, in tema di revoca o di sostituzione di una misura cautelare personale), l’ambito dei suoi poteri-doveri e il contenuto delle sue decisioni, complessivamente ispirati dal principio del favor libertatis, trovano la loro definizione normativa nei commi 1 e 2 dell’art. 299 cod. proc. pen.

Il comma 1 contempla il dovere di procedere alla revoca immediata delle misure "quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità" o "le esigenze cautelari", dettando una disciplina speculare a quella che subordina l’applicazione delle misure all’esistenza dei presupposti indicati dagli articoli 273 e 274 cod. proc. pen. A loro volta i principi di proporzionalità e di adeguatezza (art. 275 cod. proc. pen.), che sorreggono i criteri di scelta delle misure, trovano riscontro nel comma 2, che impone al giudice, "quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non appare più proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata", di sostituire la misura con altra meno grave, ovvero di disporne l’applicazione con modalità meno gravose.

  Il legislatore ha dunque concepito una disciplina idonea a garantire che nel corso del procedimento si realizzi sempre la necessaria corrispondenza tra la misura applicata e le esigenze cautelari, al fine di evitare sia ingiustificate restrizioni della libertà personale, sia l’applicazione di una misura inutile, in quanto non più adeguata alla tutela delle esigenze cautelari.

  Essendo vincolato al rispetto di tali disposizioni, costituenti puntuale applicazione del fondamentale principio del favor libertatis, il giudice non é in alcun modo legato allo specifico petitum contenuto nella richiesta: un limite in tal senso non potrebbe essere desunto dal comma 3, che si limita a stabilire che il giudice "provvede" sulle richieste di revoca o sostituzione delle misure.

  Se così non fosse, non si comprenderebbe la ragione dei poteri d’ufficio del giudice. Se egli può revocare le misure personali in via di occasione, nel momento cioé in cui é chiamato a esercitare poteri estranei alla materia cautelare, a maggior ragione si deve ritenere che sia abilitato ad intervenire in bonam partem senza limiti derivanti dallo specifico petitum, quando sia investito in via diretta della competenza funzionale in materia cautelare da una richiesta di parte.

  5. — La disciplina circa la investitura del giudice e circa l’ambito dei suoi poteri é invece diversa per ciò che attiene agli interventi in pejus, non essendo per essi previsto un potere di iniziativa d’ufficio: in base al comma 4 dell’art. 299 cod. proc. pen., ove le esigenze cautelari risultino aggravate, la sostituzione della misura applicata con altra più grave, ovvero la sua applicazione con modalità più gravose, può essere disposta dal giudice solo a seguito di richiesta del pubblico ministero.

  Le differenti modalità procedurali rispettivamente previste per gli interventi in melius o in peius riflettono la scansione generale dei rapporti tra pubblico ministero e giudice in tema di misure cautelari: mentre l’applicazione di una misura cautelare (art. 291, comma 1, cod. proc. pen.), così come il suo aggravamento (art. 299, comma 4, cod. proc. pen.), sono necessariamente condizionati dalla previa richiesta del pubblico ministero, la revoca e la sostituzione in melius, pur necessitando di regola della richiesta di parte, non sono parse incompatibili, in quanto provvedimenti sorretti dal principio del favor libertatis, con un potere di iniziativa d’ufficio del giudice (art. 299, comma 3, cod. proc. pen.), sentito comunque il pubblico ministero (art. 299, comma 3-bis, cod. proc. pen.).

  Al riguardo, é opportuno rilevare che la compatibilità tra poteri di intervento d’ufficio del giudice in bonam partem in materia di misure cautelari ed il principio generale della netta ripartizione dei ruoli tra pubblico ministero "richiedente" e giudice "decidente" ha trovato conferma in una significativa modifica dell’art. 291 cod. proc. pen. Il decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12 (Disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate), aveva introdotto in tale norma il comma 1-bis, ove si stabiliva che nel corso delle indagini preliminari "il giudice può disporre misure meno gravi solo se il pubblico ministero non ha espressamente richiesto di provvedere esclusivamente in ordine alle misure indicate". Tale disciplina, limitativa del potere del giudice di intervenire in melius in favore dell’indagato, pur non essendo stata ritenuta incostituzionale dalla sentenza n. 4 del 1992 di questa Corte, é stata abrogata dall’art. 8 della legge 8 agosto 1995, n. 332 (Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di norme cautelari e di diritto di difesa), che ha così ampliato i poteri decisori in bonam partem del giudice in materia de libertate.

  6. — Così delineato il sistema disciplinato dall’art. 299 cod. proc. pen. in tema di revoca e sostituzione delle misure cautelari, la specifica situazione denunciata dal giudice rimettente, che lamenta di non essere abilitato a disporre la revoca della misura quando la richiesta dell’imputato abbia per oggetto la mera modifica in melius delle modalità di applicazione, può essere agevolmente inquadrata nell’ambito dei principi generali che sorreggono la materia in esame.

  Se il potere di intervento d’ufficio é riconosciuto nelle situazioni, tassativamente previste dall’art. 299, comma 3, cod. proc. pen. (v. ordinanze nn. 340 del 1995 e 435 del 1993), in cui il giudice per le indagini preliminari risulti investito del procedimento per l’esercizio di poteri attinenti alla sua competenza funzionale, ma estranei alla materia de libertate (e cioé: proroga del termine per le indagini preliminari e assunzione dell’incidente probatorio), a maggior ragione si deve ritenere che il giudice sia abilitato ad intervenire in bonam partem senza limiti derivanti dallo specifico petitum, quando sia comunque investito della competenza funzionale in materia cautelare da una richiesta dell’imputato.

  In definitiva il giudice, investito del procedimento dalla richiesta dell’imputato di applicazione con modalità meno gravose della misura cautelare, può adottare un provvedimento di revoca della misura ove ritenga cessate le esigenze cautelari.

  Tale interpretazione non estende le ipotesi, tassativamente previste dalla legge, in cui il giudice é abilitato a provvedere d’ufficio de libertate, ma si limita a riconoscere un potere di intervento pro libertate quando il giudice é già investito di una domanda cautelare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 76 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Enna, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 1° aprile 1998.