Sentenza n. 26/98

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SENTENZA N.26

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), promosso con ordinanza emessa il 31 ottobre 1996 dal Tribunale di Catania sui ricorsi proposti da Giuseppe Romano ed altri contro il Consorzio di bonifica della Piana di Catania, iscritta al n. 7 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Udito nella camera di consiglio del 1° ottobre 1997 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

Ritenuto in fatto

1. — Giuseppe Romano ed altri, nel corso del giudizio promosso per l’accertamento negativo del loro obbligo contributivo nei confronti del Consorzio di bonifica della Piana di Catania, chiedevano, con ricorso ex art. 700 cod. proc. civ., "la sospensione, in via d’urgenza, della riscossione dei contributi consortili già avviata [...] a mezzo di esecuzione esattoriale".

Il giudice istruttore dichiarava inammissibile la domanda cautelare per difetto di giurisdizione, in quanto riteneva che il potere cautelare fosse riservato ad un organo amministrativo "in base al combinato disposto degli artt. 39, 53, 54 d.P.R. n. 602 del 1973 e 21 r.d. n. 215 del 1933". I ricorrenti proponevano reclamo avverso l'ordinanza, eccependo l’irragionevolezza delle norme che escludono il potere cautelare del giudice pur chiamato a decidere la domanda di merito.

Il Tribunale, con ordinanza del 31 ottobre 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.

I giudici premettono che il principio affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 318 del 1995, benchè "abbia una portata assai generale", non sarebbe applicabile nella specie, dato che i contributi consortili configurano "prestazioni patrimoniali di natura pubblicistica [...] equiparabili a imposte dirette che gravano sui fondi dei contribuenti come oneri reali". L'inapplicabilità di siffatto principio, a loro avviso, fonda il dubbio di legittimità costituzionale della disposizione che esclude la "competenza del giudice ordinario a emanare provvedimenti cautelari in materia di riscossione esattoriale dei tributi".

I rimettenti assumono che é già "una compiuta applicazione dell’art. 113 Cost." a postulare che il potere dell’Autorità giudiziaria ordinaria, dotata di competenza per la tutela di situazioni giuridiche soggettive perfette, si estenda sempre fino a comprendere il momento cautelare della cognizione, poichè, secondo la giurisprudenza costituzionale, la protezione anticipata del diritto é strumentale all’effettività della tutela giurisdizionale in vista della garanzia piena di cui all’art. 24 della Costituzione. Inoltre, l'esclusione del potere cautelare del giudice ordinario che conosce del merito di una pretesa tributaria sarebbe irragionevole e violerebbe anche l’art. 3 della Costituzione, dato che, anche in sede di tutela degli interessi legittimi, il giudice dell’atto impugnato é, invece, munito della capacità di sospenderne gli effetti. Una diversa soluzione, osserva ancora il Tribunale, non può neppure essere affermata a seguito della novella di cui agli artt. 669- bis ss. cod. proc. civ., poichè la legge di riforma n. 353 del 1990, é lex generalis incapace di derogare alla speciale combinazione degli artt. 39, 53, 54 del d.P.R. n. 602 del 1973 e 21 del r.d. n. 215 del 1933 che disciplina il caso concreto. I giudici a quibus concludono, individuando nell’art. 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, anzichè nel combinato disposto da ultimo indicato, la disposizione che "affida al solo Intendente di finanza il potere di sospendere la procedura esecutiva nei confronti del contribuente" e che, quindi, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.

2. — Nel giudizio incidentale non vi é stata costituzione di parte, nè intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. — La questione di legittimità costituzionale, sollevata con l'ordinanza in epigrafe, investe l'art. 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nella parte in cui esclude "la competenza del giudice ordinario a emanare provvedimenti cautelari in materia di riscossione esattoriale di tributi". Secondo il giudice a quo, va individuata proprio nell'art. 54 "la disposizione-norma della quale appare non manifestamente infondata la incompatibilità con i principi contenuti negli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, poichè affida al solo Intendente di finanza il potere di sospendere la procedura esecutiva nei confronti del contribuente".

Si determinerebbe così una irragionevole riduzione, nell'ambito della procedura di riscossione coattiva di contributi dei consorzi di bonifica, delle forme di tutela dei diritti del contribuente nei confronti della pubblica amministrazione, sottraendo così l'indispensabile complemento del potere cautelare al giudice ordinario, che abbia giurisdizione sul rapporto controverso.

2. — In via preliminare, questa Corte deve meglio precisare, ai fini della valutazione della rilevanza della questione, il thema decidendum prospettato dall'ordinanza di rinvio ed in proposito si conferma il precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui spetta proprio alla Corte di individuare le disposizioni sulle quali effettivamente convergono i dubbi di legittimità costituzionale esposti nell'ordinanza di rimessione, anche al di là del tenore letterale delle espressioni usate (ex plurimis: sentenza n. 155 del 1990).

Ciò premesso, nell'ordinanza in esame i giudici rimettenti si riferiscono al "combinato disposto" degli artt. 39, 53, 54 del d.P.R. n. 602 del 1973 e 21 del r.d. n. 215 del 1933, che essi dubitano che contrasti con gli indicati parametri della Costituzione, ma appuntano la propria formale censura soltanto su uno dei termini normativi del combinato disposto stesso, e cioé sull'art. 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Vero é infatti che é proprio questa norma a determinare la lamentata "esclusione della competenza del giudice ordinario a emanare provvedimenti cautelari", ma é altrettanto vero che questa disposizione non é invocabile ex se, in quanto può essere applicata nel giudizio a quo esclusivamente in forza del rinvio operato dall'art. 21, secondo comma del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215 alle "norme che regolano l'esazione delle imposte dirette", tra le quali specificamente il citato art. 54. Quindi proprio l'art. 21, disciplinando, sia pure attraverso la tecnica del rinvio normativo, la procedura di riscossione dei contributi consortili, é immediatamente applicabile nel giudizio a quo, in cui si controverte sulla procedura di esazione di contributi consortili ricadente appunto nell'ambito previsionale dell'art. 21 medesimo.

Il prospettato criterio logico e temporale di applicazione, nel concorso delle norme suddette, induce pertanto questa Corte a ritenere, anche sulla base delle enunciazioni dell'ordinanza di rimessione, che la questione di legittimità sia appunto da riferire, nei suoi più esatti termini, all'art. 21, secondo comma, del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, nella parte in cui, rinviando alle "norme che regolano l'esazione delle imposte dirette" e rendendo così applicabile l'art. 54 del d.P.R. n. 602 del 1973, non consente all'autorità giurisdizionale ordinaria di sospendere la procedura di riscossione dei contributi consortili.

Del resto, come ha già rilevato questa Corte, l'accoglimento della prospettata questione di costituzionalità sulla norma di rinvio rende, oltre tutto, necessariamente irrilevante la quaestio relativa alla norma rinviata, cosicchè la questione incentrata sull'art. 21 é astrattamente idonea ad assorbire le proposte censure di costituzionalità, senza compromettere la perdurante vigenza della norma oggetto del rinvio nell'ambito applicativo proprio di quest'ultima (sentenze n. 239 del 1997 e n. 318 del 1995, ordinanza n. 359 del 1997).

3. — Nel merito la questione é fondata.

Nella giurisprudenza di questa Corte é ormai principio consolidato quello secondo il quale é discriminatoria ed arbitraria, sotto il profilo della violazione dei mezzi di difesa giurisdizionale, la disciplina mediante rinvio alle norme, che regolano la procedura di riscossione delle imposte dirette, disposta nei confronti di entrate di natura non tributaria (sentenze n. 318 del 1995, n. 239 e n. 372 del 1997).

Ai fini dell'applicabilità di questo principio giurisprudenziale nella fattispecie in esame assume dunque peculiare rilievo la qualificazione dei contributi pretesi dagli enti di bonifica, formulata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione che, confermando un precedente orientamento, hanno statuito che "pur dovendosi collocare le prestazioni patrimoniali in questione nell'area applicativa dell'art. 23 della Costituzione, l'assimilazione dei contributi consortili ai tributi erariali non si profila come assoluta, ma limitata piuttosto a taluni fondamentali aspetti, tra cui quello dell'esazione" (Cass., sez. unite, sentenza n. 5443 del 1991).

Lo stesso giudice rimettente, d'altronde, sembra conformarsi a questo indirizzo giurisprudenziale, se é vero che qualifica le entrate degli enti di bonifica come prestazioni patrimoniali di natura pubblicistica soltanto "equiparabili" alle imposte dirette "che gravano sui fondi dei contribuenti come oneri reali".

4. — In definitiva, il quadro normativo e giurisprudenziale esaminato conduce a valutazioni non dissimili da quelle poste a base dell'indirizzo di questa Corte, già ricordato. Ed invero, i contributi in questione non sono configurabili, per caratteri ontologici, come prestazioni patrimoniali aventi la identica natura giuridica dei tributi erariali e non rientrano quindi integralmente nel sistema disciplinare delle imposte dirette, cosicchè al massimo si può riscontrare -come già rilevato dalle Sezioni unite della Cassazione- una loro "assimilazione" alle entrate tributarie, peraltro solo parziale e limitata, per quanto qui interessa, ai profili procedimentali della riscossione coattiva. Anche in questo caso, quindi, appare evidente l'incongruità di una scelta legislativa che prefigura un sistema privilegiato di esazione a carico del debitore, senza però che risulti applicabile, in caso di contestazione giudiziaria, quella graduazione ope legis dell'esecutorietà, che, nella disciplina positiva delle entrate tributarie, si attua in "riferimento alla probabilità di fondamento della pretesa tributaria rilevabile in base alle decisioni che intervengono nei vari gradi di giudizio"; graduazione che, in quel sistema, appunto "bilancia la mancata previsione di misure cautelari giurisdizionali" (sentenza n. 318 del 1995).

In questa ottica, l'art. 21, secondo comma, del r.d. n. 215 del 1933 si pone pertanto in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, proprio perchè estende arbitrariamente, mediante la tecnica del rinvio normativo, la particolare disciplina di esazione delle imposte dirette sul reddito oltre lo stretto ambito d'origine in assenza di un'identità di ratio, escludendo irragionevolmente, nelle controversie sulla riscossione esattoriale dei contributi consortili, il potere cautelare del giudice ordinario, che pure ha giurisdizione sul merito. La devoluzione, nei termini prospettati, all'autorità giurisdizionale ordinaria delle contestazioni riguardanti il potere impositivo dei consorzi di bonifica -indotta dalla mancata previsione, nell'art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, tra gli oggetti della giurisdizione tributaria delle controversie concernenti la peculiare categoria dei "contributi" consortili (Cass. sentenza n. 9534 del 1997)- dà luogo, quindi, ad una disciplina incongrua e discriminatoria, sotto il profilo della limitazione degli strumenti di difesa giurisdizionale del debitore assoggettato a procedura di riscossione coattiva, imponendogli così "un sacrificio assolutamente sproporzionato rispetto alle finalità e alla natura dell'ente creditore" (sentenza n. 239 del 1997).

5. — La proposta questione di costituzionalità va dunque accolta per i motivi esposti, restando così assorbiti gli altri profili di illegittimità prospettati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 21, secondo comma, del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215 (Nuove norme per la bonifica integrale), nella parte in cui, rinviando alle norme previste per la esazione delle imposte dirette, non consente all'autorità giurisdizionale ordinaria - nell'ipotesi in cui il debitore contesti l'esistenza o l'entità del credito- di sospendere l'esecuzione dei ruoli esattoriali relativi ai contributi nella spesa di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere pubbliche di bonifica.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Piero Alberto CAPOTOSTI

Depositata in cancelleria il 26 febbraio 1998.