Sentenza n. 429/97

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N.429

 

ANNO 1997

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO               

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dei decreti-legge 25 marzo 1996, n. 154 e 25 maggio 1996, n. 285 recanti: "Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata", promossi con ricorsi della Regione Piemonte notificati il 24 aprile ed il 21 giugno 1996, depositati in cancelleria il 2 maggio ed il 28 giugno 1996 ed iscritti ai nn. 20 e 30 del registro ricorsi 1996.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1997 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi l'avvocato Gustavo Romanelli per la Regione Piemonte e l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1.— Con ricorso notificato in data 24 aprile 1996 e depositato in data 2 maggio 1996 (R. Ric. n. 20 del 1996) la Regione Piemonte ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nel d.l. 25 marzo 1996, n. 154 (Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata). In particolare, vengono impugnati l'art. 3, nella parte in cui prevede la facoltà, per il ministro, di sostituire al Sindaco un Commissario ad acta per omissioni nell'adozione di provvedimenti sanzionatori; l'art. 5, nella parte in cui introduce un'ipotesi di silenzio-assenso nell'approvazione, da parte della Regione, degli strumenti urbanistici predisposti dai Comuni; l'art. 8 (recte: 7) che incide sulla definizione del contenzioso in materia di opere pubbliche.

La ricorrente ha, anzitutto, rilevato che le predette norme violerebbero i principi dettati dagli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione, come già lamentato dalla stessa, oltre che da altre Regioni, con altro ricorso, nei confronti di identiche disposizioni contenute in un precedente decreto-legge non convertito, ricorso peraltro deciso dalla Corte costituzionale con ordinanza di manifesta inammissibilità n. 174 del 1995.

La reiterazione, ormai da un biennio, di decreti-legge di contenuto analogo porrebbe, inoltre, in evidenza la insussistenza dei requisiti della necessità e dell'urgenza, richiesti dall'art. 77 della Costituzione, donde il contrasto con la citata norma costituzionale.

La ricorrente ravvisa, altresì, nella normativa impugnata una illegittima compressione dell'autonomia regionale, in contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione. In particolare, uno degli aspetti più gravi di violazione delle competenze regionali risiederebbe nella previsione, contenuta nell'art. 5 del decreto-legge impugnato, di una ipotesi di silenzio-assenso per l'approvazione, da parte della Regione, degli strumenti urbanistici e delle relative varianti, a seguito del decorso di centottanta giorni dalla trasmissione alla Regione da parte dell'ente che ha adottato tali strumenti. Si tratterebbe, infatti, di materia ad alto tasso di discrezionalità e, come tale, incompatibile con l'adozione del silenzio-assenso.

Nel ricorso, si fa, tra l'altro, presente che diversi Comuni piemontesi hanno applicato il silenzio-assenso previsto dai vari decreti-legge che si sono succeduti nel tempo.

Parimenti lesiva degli artt. 117 e 118 della Costituzione sarebbe la previsione, contenuta nell'art. 3, comma 1, del decreto impugnato, della sostituzione del Sindaco con un Commissario ad acta per eventuali omissioni, non meglio specificate, cui si accompagna l'attribuzione in via esclusiva al ministro competente del relativo potere sostitutivo, senza alcuna previsione di una partecipazione della Regione. Nel contempo, l'attribuzione di un potere di controllo sostitutivo al Ministro dei lavori pubblici integrerebbe una violazione dell'art. 130 della Costituzione, che postula il riconoscimento di tali poteri in capo ad un organo regionale.

Infine, l'art. 7 del d.l. n. 154 del 1996 interferirebbe illegittimamente nella competenza normativa ed amministrativa regionale in materia di lavori pubblici di interesse regionale. Esso, infatti, detta disposizioni per la definizione del contenzioso in materia di opere pubbliche. In particolare, il comma 9 prevede che le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 possano chiedere al Ministro dei lavori pubblici " l'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo" (relative alla ripresa dell'esecuzione di opere che per qualsiasi ragione risultino sospese). I relativi provvedimenti ministeriali sono condizionati dal comma 2 dello stesso art. 7 alla verifica del perdurare dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera, degli aspetti di tutela ambientale e di sicurezza, dei riflessi derivanti all'amministrazione dai provvedimenti giurisdizionali che eventualmente abbiano determinato la sospensione dell'opera, e della congruità degli aspetti economici dell'affidamento. Peraltro, in base allo stesso comma 2 dell'art. 7, é lo stesso Ministro dei lavori pubblici ad essere chiamato a dettare, con proprio decreto, i criteri di valutazione della sussistenza dei suddetti presupposti. Pertanto, rileva la ricorrente, ove la valutazione abbia ad oggetto opere pubbliche la cui realizzazione rientri nelle competenze regionali, la Regione viene assoggettata ad un controllo del Ministro; nè é riconosciuto alcun potere di nomina regionale alla Commissione chiamata ad esprimersi sulla valutazione di cui si tratta. Ed anche l'attribuzione al Ministro dei lavori pubblici del potere di determinare i criteri sulla base dei quali valutare il perdurare dell'interesse pubblico e la congruità degli aspetti economici esorbiterebbe dall'ambito del potere di indirizzo e coordinamento di cui all'art. 118 della Costituzione, potere, peraltro, non spettante al singolo ministro, dovendo, invece, essere esercitato, ai sensi della legge n. 400 del 1988, mediante deliberazione del Consiglio dei ministri.

2.— Sulla base delle medesime argomentazioni, e con riferimento ai medesimi parametri costituzionali, la stessa Regione Piemonte, con ricorso notificato il 21 giugno 1996 e depositato il 28 giugno 1996 (R. Ric. n. 30 del 1996), ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 5 e 7 del d.l. 25 maggio 1996, n. 285 (Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata), che hanno riprodotto nella formulazione letterale e nel contenuto precettivo le norme rispettivamente di cui agli artt. 3, 5 e 7 del precedente d.l. n. 154 del 1996, decaduto per mancata conversione.

3.— In entrambi i giudizi si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza dei ricorsi.

Sotto il primo profilo si osserva nell'atto di costituzione che non tutte le censure sono riferite alla lesione della sfera di competenza regionale.

Comunque, la materia regolata dai decreti-legge impugnati rientrerebbe tra le competenze che gli artt. 117 e 118 della Costituzione, e l'art. 81, primo comma, lettera a), del d.P.R. n. 616 del 1977 riservano allo Stato, cui é attribuito il potere di fissare le linee fondamentali della disciplina del territorio nazionale, con particolare riferimento alla tutela ambientale ed ecologica e alla difesa del suolo.

Quanto alle singole censure, si rileva che il silenzio-assenso previsto dall'art. 5 del decreto impugnato assolve soltanto la funzione di elemento di certezza, trasparenza ed efficacia dell'azione amministrativa. D'altra parte, ad avviso dell'Avvocatura, le censure atterrebbero, più che alla legittimità della normativa, al merito della stessa, e si risolverebbero soprattutto nella contestazione della congruità del termine previsto per l'esercizio dei poteri assegnati alla Regione in materia, termine, peraltro, fissato con sufficiente larghezza e suscettibile di essere interrotto.

Quanto all'eccezionale potere di nomina di commissari ad acta, non vi sarebbe alcuna indeterminatezza dei presupposti di applicazione, nè attribuzione di poteri autonomi al Ministro dei lavori pubblici, ma solo l'indicazione del soggetto al quale gli organi titolari di poteri in materia possono delegare l'attività di loro competenza.

Neanche le disposizioni di cui all'art. 7 determinerebbero alcuna lesione delle competenze regionali, trattandosi di norme di principio che disciplinerebbero una forma di autotutela della pubblica amministrazione, consentendo la prosecuzione delle procedure di affidamento o di esecuzione di opere pubbliche che siano state sospese.

Le norme non imporrebbero obblighi, ma, se mai, l'onere di valutare la permanenza dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera, la congruità sul piano economico e la possibilità di riavviare con provvedimento amministrativo la procedura sospesa, onere che dovrebbe ritenersi già compreso nei principi generali sulla buona amministrazione.

In vista della fissazione della udienza pubblica, la difesa della ricorrente Regione Piemonte ha depositato una prima memoria, nella quale fa presente che, successivamente all'impugnato decreto-legge 25 maggio 1996, n. 285, decaduto come i precedenti, per mancata conversione in legge, altri decreti-legge sono stati emanati con il medesimo contenuto normativo, e che, avendo, infine, il Governo rinunziato ad introdurre la disciplina in questione con lo strumento della decretazione d'urgenza, é intervenuto nella materia de qua l'art. 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, commi 37-60, che non riproduce la previsione del silenzio-assenso in ordine ai piani regolatori, denunciati dalla ricorrente.

Tuttavia, il comma 61 dello stesso art. 2 prevede che restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge impugnato, come di quelli precedenti, e dei successivi decreti-legge reiterati.

In tale situazione, se ed in quanto la previsione del comma 61 dovesse essere intesa nel senso di far salvi gli effetti del silenzio-assenso previsto dai decreti decaduti, considerandosi la somma dei periodi di efficacia temporanea di ciascun decreto come idonea al perfezionamento del termine di centottanta giorni previsto per la formazione del silenzio-assenso, si sottolinea nella memoria che essa determinerebbe l'interesse della Regione Piemonte ad una pronunzia nel merito del ricorso.

4.— Nell'imminenza della udienza pubblica del 14 ottobre 1997, la difesa della Regione Piemonte ha depositato una nuova memoria, con la quale insiste per la declaratoria di illegittimità costituzionale del d.l. n. 285 del 1996, sottolineando il proprio attuale interesse a ricorrere, originato dalla circostanza che i Comuni hanno fatto ricorso allo strumento del silenzio-assenso per considerare approvati, pur in assenza di deliberato regionale, i piani regolatori adottati. Tant'é che laddove la Regione ha introdotto correttivi ai predetti strumenti urbanistici si é vista impugnare il relativo provvedimento avanti alla magistratura amministrativa.

Al riguardo, la ricorrente ha prodotto copia di un ricorso proposto dal Comune di Grignasco innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Piemonte per l'annullamento della deliberazione della Giunta regionale del Piemonte del 3 febbraio 1997, con la quale era stata approvata una variante al piano regolatore generale vigente in detto Comune subordinatamente alla introduzione, negli elaborati progettuali della variante, di ulteriori modifiche.

Considerato in diritto

 

1.— Le questioni sottoposte all'esame della Corte riguardano gli artt. 3, comma 1, 5, comma 3, e 7 del d.l. 25 marzo 1996, n. 154 (Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata) e del d.l. 25 maggio 1996, n. 285 (Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata), che reitera il precedente riproducendolo — nella parte impugnata — nella sua formulazione letterale, prevedendo, rispettivamente: la possibilità, per il Ministro competente, di sostituire il Sindaco con un Commissario ad acta per eventuali omissioni nella adozione di provvedimenti sanzionatori; l'introduzione di un'ipotesi di silenzio-assenso nell'approvazione, da parte delle Regioni, degli strumenti urbanistici predisposti dai Comuni; la richiesta da parte delle Regioni al Ministro dei lavori pubblici dell'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 7 del decreto relativo alla ripresa della esecuzione di opere, per qualsiasi ragione sospese, condizionata alla verifica da parte del Ministro stesso — che deve anche dettare, con proprio decreto, i criteri di tale valutazione — del perdurare dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera, degli aspetti di tutela ambientale e di sicurezza, dei riflessi derivanti all'amministrazione dai provvedimenti giurisdizionali che eventualmente abbiano determinato la sospensione dell'opera, e della congruità degli aspetti economici dell'affidamento. L'illegittimità costituzionale viene denunciata sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 9, 97, 77 (per la non sussistenza degli estremi della necessità e dell'urgenza), 117, 118 e 130 della Costituzione per la compressione delle competenze regionali.

2.— I due ricorsi devono essere riuniti e decisi con unica sentenza, stante l'evidente connessione oggettiva e soggettiva.

3.— Preliminarmente deve essere affrontato il problema se le censure, proposte con ricorso in via principale dalla Regione Piemonte, concernenti norme contenute in una serie di reiterati decreti-legge tutti decaduti, e non più riprodotte in disposizioni successive, possano essere "trasferite" alla norma di salvezza degli effetti dei predetti decreti, cioé ad un atto normativo diverso dalla legge di conversione, per di più intervenuto a distanza di tempo dalla serie dei decreti-legge decaduti.

Infatti, ove al cennato problema si dia soluzione negativa, rimane precluso l'esame nel merito della questione per inammissibilità della stessa in difetto di autonoma impugnativa regionale nei confronti della clausola di salvezza.

Con i ricorsi di cui si tratta la Regione Piemonte ha impugnato alcune norme contenute nei decreti-legge 25 marzo 1996, n. 154 e 25 maggio 1996, n. 285 recanti "Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata", entrambi decaduti, i cui effetti sono stati fatti salvi dall'art. 2, comma 61, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).

L'anzidetta legge é intervenuta a distanza di circa un mese dalla cessazione degli effetti dell'ultimo della serie dei decreti-legge decaduti (d.l. 24 settembre 1996, n. 495 — non impugnato — decaduto per mancata conversione, come da comunicato in Gazzetta Ufficiale n. 275 del 23 novembre 1996), dopo che il Governo aveva rinunciato a introdurre con lo strumento della decretazione di urgenza la disciplina che era stata oggetto dei ricorsi in via principale. La stessa legge, peraltro, non ha riprodotto la previsione del silenzio-assenso in ordine ai piani regolatori, che costituisce il nucleo residuo della denunciata lesione della sfera regionale, suscettibile di essere esaminato in questa sede.

In realtà, come del resto sottolineato dalla stessa difesa della Regione, l'interesse regionale potrebbe in astratto residuare limitatamente ai profili originariamente denunciati concernenti il silenzio-assenso in ordine all'approvazione dei piani regolatori in relazione alla possibilità di applicazione concreta della norma di salvaguardia degli effetti.

3.1.— Al fine di valutare se nella presente fattispecie possa operare il principio del "trasferimento" della questione da uno ad altro atto normativo, é necessario anzitutto richiamare l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale presupposto di tale "trasferimento" é la perdurante identità della norma, cioé la permanenza della medesima norma nell'ordinamento — con riferimento allo stesso spazio temporale rilevante per il giudizio (incidentale nella specie allora considerata) — perchè riprodotta nella sua espressione testuale o comunque nella sua identità essenziale da altra disposizione successiva, alla quale dovrà riferirsi la pronuncia (v. sentenza n. 84 del 1996; ed anche nn. 482 e 157 del 1995).

Il trasferimento può, dunque, operare rispetto a disposizione contenuta in decreto-legge decaduto, quando il contenuto precettivo sia stato riprodotto in un decreto-legge successivo (sentenza n. 360 del 1996), ovvero quando l'ultimo dei successivi decreti-legge sia stato convertito con legge recante clausola di salvezza degli effetti prodotti dai precedenti decreti-legge decaduti che abbia "la funzione (ispirata alla esigenza di certezza dei rapporti giuridici) di ripristinare — secondo una opzione che é rimessa alla valutazione discrezionale del Parlamento — un continuum normativo facendo risalire nel tempo la nuova disciplina alla originaria disposizione decaduta e consolidandola negli effetti, così da assicurare la permanenza dei medesimi senza soluzione di continuità." (sentenza n.84 del 1996; v. anche, sulla non sussistenza di soluzione di continuità della disciplina, sentenza n. 446 del 1995).

Il principio di economia processuale e il favor per la effettività, tempestività e pienezza del controllo demandato alla Corte, sono stati posti a fondamento della riconosciuta possibilità di trasferimento della questione, escludendosi, nei casi sopra evidenziati, la necessità "di riproposizione delle medesime censure nei confronti della medesima norma" con denuncia ex novo della "sopravvenuta diversa disposizione che la contiene, inalterata nella sua portata precettiva" (sentenza n. 84 del 1996).

3.2.— Tuttavia, l'applicazione di questi principi deve tenere conto dei diversi caratteri fondamentali del processo costituzionale relativo a questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale nel corso di un giudizio, e di quello relativo a questioni proposte in via principale con ricorso delle Regioni e Province autonome.

Infatti, nei giudizi incidentali, il giudice a quo é tenuto a mantenere sospeso il giudizio, una volta sollevata la questione e rimessi gli atti alla Corte costituzionale, rimanendo, nel medesimo processo, privo del potere di riproporre la questione anche sotto profili diversi almeno fino alla decisione sulla pregiudiziale costituzionale.

Invece, nei giudizi in via principale, sottoposti a termini a pena di decadenza ed aventi carattere e struttura di azione di impugnazione da parte di soggetto pubblico, che ha una situazione legittimante in relazione ad una sua posizione costituzionale e ad un interesse preso in considerazione da leggi costituzionali, il ricorrente conserva sempre la facoltà di impugnazione rispetto ai sopravvenuti atti aventi valore di legge.

Pertanto, i surrichiamati principi di economia processuale devono essere applicati con i necessari adattamenti, quando vi sia stata per il ricorrente nei giudizi in via principale la possibilità concreta di effettiva e tempestiva riproposizione della questione con azione di impugnazione avente per oggetto la nuova disposizione. Ciò in particolare quando questa, avente un contenuto più ristretto e limitato, nell'ambito temporale e negli effetti, come nell'ipotesi di pura e semplice clausola di sanatoria di precedente decreto-legge non convertito, non accompagnata da riproduzione della disciplina per il futuro (v. sentenza in pari data n. 430), comporti una esigenza di valutazione della persistenza di interesse alla impugnativa, tenuto conto della legittimazione della Regione o Provincia autonoma ad agire solo per invasione della sfera della competenza ad essa assegnata dalla Costituzione o da leggi costituzionali.

In questi casi, dunque, deve essere precluso il trasferimento della questione di costituzionalità, con conseguente inammissibilità della stessa per la esclusione della perdurante vigenza nell'ordinamento della norma impugnata; e deve essere affermato l'onere di esercitare nel termine decadenziale l'azione di impugnazione delle disposizioni diverse rispetto a quelle contenute nel precedente decreto-legge censurato e decaduto (v. sentenza in pari data n. 430).

Ovviamente, nei giudizi in via principale il trasferimento — sussistendone i presupposti surrichiamati — della questione sollevata alla nuova disposizione riproduttiva é destinato ad operare in modo normale quando in astratto sia configurabile il denunciato vizio di illegittimità costituzionale anche rispetto alla disposizione sopravvenuta: ciò non può verificarsi quando il vizio attiene esclusivamente alla procedura di approvazione della originaria norma, e non può inficiare neppure per relationem o per effetto riflesso la disposizione sopravvenuta (ordinanza n. 392 del 1997).

3.3.— In modo omologo, in giudizi incidentali relativi a decreti-legge decaduti per mancata conversione e non ulteriormente reiterati e seguiti da norma contenente clausola di salvezza degli effetti prodottisi, la Corte, ispirandosi alla stessa ratio decidendi, ha ordinato la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza, indotto dal mutamento dei termini di applicabilità della norma censurata, conseguente alla sopravvenuta situazione normativa costituitasi a seguito della decadenza dei decreti-legge impugnati e non reiterati (v. ordinanze nn. 128, 230, 317 del 1997).

4.— Che nella presente fattispecie la sopravvenuta clausola di salvaguardia abbia una diversa — e ridotta — portata rispetto a quella che sarebbe stata la sfera di efficacia della legge di conversione dei decreti impugnati, che avrebbe definitivamente consolidato gli effetti delle disposizioni in essi contenute — rectius, dell'unica disposizione in relazione alla quale permane attuale, come già rilevato, l'interesse a ricorrere della Regione Piemonte, quella di cui all'art. 5, comma 3, dei predetti decreti, concernenti il silenzio-assenso in ordine all'approvazione regionale degli strumenti urbanistici — é stato, del resto, già affermato dalla Corte.

  Proprio con riguardo alla previsione del predetto silenzio-assenso e alla portata della clausola di salvezza contenuta nell'art. 2, comma 61, della legge n. 662 del 1996, in occasione dell'esame di ricorso proposto da altra Regione nei confronti della clausola di salvezza anzidetta (e non delle norme contenute nei decreti legge decaduti), questa Corte ha, in realtà, escluso che la sanatoria possa comportare violazione della sfera regionale di competenza. Infatti "l'interpretazione di norma di sanatoria degli effetti del decreto-legge non convertito deve essere condotta tenendo presente che tale potere attribuito al legislatore (art. 77, terzo comma, della Costituzione) é ontologicamente diverso, anche per le conseguenze giuridiche, da quello di conversione in legge del decreto-legge, in quanto riguarda i rapporti giuridici sorti nel periodo di vigenza del decreto, la cui provvisoria efficacia é venuta meno ex tunc. Di conseguenza possono essere salvati solo gli effetti già prodottisi durante il periodo di vigenza del singolo provvedimento di urgenza decaduto" (sentenza n. 244 del 1997), e non può la salvezza estendersi a situazioni che non si erano ancora verificate nello stesso periodo e che potevano verificarsi (in relazione al previsto termine di centottanta giorni) solo dopo la scadenza dei sessanta giorni previsti per la conversione, cioé quando i decreti avevano perso efficacia sin dall'inizio. In realtà solo i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e conseguentemente le situazioni verificatesi durante il periodo di vigenza dei decreti-legge non convertiti possono essere oggetto dell'intervento normativo — previsto dal terzo comma dell'art. 77 della Costituzione — che é legge ordinaria con possibilità di efficacia retroattiva consentita espressamente da Costituzione.

L'interpretazione costituzionalmente corretta della clausola di cui si tratta esclude che si sia potuto verificare in ordine al silenzio-assenso in sede di approvazione di strumenti urbanistici un qualsiasi effetto di sanatoria, in quanto nessun silenzio-assenso si era potuto compiere nel periodo di sessanta giorni di vigenza del singolo decreto-legge.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 5 e 7 del d.l. 25 marzo 1996, n. 154 (Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata), e del d.l. 25 maggio 1996, n. 285 (Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 9, 97, 77, 117, 118 e 130 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Riccardo CHIEPPA

Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1997.