Sentenza n. 385/97

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SENTENZA N.385

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI    

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 186-quater del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 19 luglio 1996 dal Giudice istruttore del Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Di Giacomantonio Dino e Universo Assicurazioni s.p.a. ed altri, iscritta al n. 1316 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, dell’anno 1996.

Udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento civile, nel quale l’attore, ai sensi dell’art. 186-quater del codice di procedura civile, aveva formulato istanza di condanna di uno dei convenuti al risarcimento del danno, il Giudice istruttore del Tribunale di Roma, con ordinanza emessa in data 19 luglio 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 186-quater del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che, in caso di rigetto dell’istanza, possa condannarsi la parte istante al pagamento delle spese di lite e che l’ordinanza sia suscettibile di acquistare l’efficacia della sentenza, analogamente a quanto previsto nell’ipotesi di accoglimento dell’istanza medesima.

Ad avviso del remittente, la norma censurata si porrebbe in contrasto anzitutto con l’art. 3 della Costituzione, per la ingiustificata disparità di trattamento tra le parti del processo, in quanto mentre colui che ha proposto domanda di condanna al pagamento di somme di denaro o al rilascio di beni può ottenere un provvedimento anticipatorio della condanna, che sia comprensivo della pronuncia sulle spese di lite, chi, invece, ha resistito a tale domanda, non può beneficiare dei medesimi effetti anticipatori di una eventuale ordinanza di rigetto dell’istanza.

Il giudice a quo prospetta, inoltre, la violazione dell’art. 24 della Costituzione, per essere ingiustificatamente compresso il diritto di difesa della parte contro cui é proposta l’istanza in oggetto, che é costretta ad attendere la pronuncia della sentenza che definisce il giudizio per ottenere la condanna dell’avversario alle spese di lite, e ciò anche nei casi in cui il giudice, nel rigettare l’istanza di cui all’art. 186-quater del codice di procedura civile, abbia già compiutamente accertato l’infondatezza dell’avversa domanda.

Infine, a parere del remittente, la norma in questione violerebbe il principio di buon andamento dell’amministrazione, stabilito dall’art. 97 della Costituzione, poichè la finalità perseguita dal legislatore, consistente nell’anticipare il momento conclusivo del processo, é di fatto pregiudicata dalla impossibilità per il giudice, che abbia accertato l’infondatezza della domanda, di rigettare la richiesta formulata ai sensi dell’art. 186-quater del codice di procedura civile, con un’ordinanza che contenga la condanna dell’istante al pagamento delle spese processuali e che sia suscettibile di acquistare l’efficacia di sentenza. Inoltre, la norma censurata determina una illogica duplicazione di attività processuale e decisionale, poichè il giudice che ritenga infondata la domanda non può definire la causa con il provvedimento in oggetto, ma dovrà comunque rimettere la causa al collegio o, se giudice unico, riservarla a sè per la decisione e dovrà svolgere quindi una seconda volta quella stessa attività decisionale già esercitata con l’esame dell’istanza formulata ai sensi dell’art. 186-quater del codice di procedura civile; e ciò, nell’attuale situazione processuale, caratterizzata da un’abnorme pendenza di cause e dalla conseguente difficoltà di definire sollecitamente i processi, pone in evidenza l’irragionevolezza della norma, poichè alla finalità perseguita dal legislatore, che é quella di anticipare l’esito del giudizio, non é adeguato il mezzo prescelto, in quanto esso non prevede la possibilità di concludere anticipatamente il processo, ove la domanda risulti infondata.

Considerato in diritto

1. - Il Giudice istruttore del Tribunale di Roma dubita della legittimità costituzionale dell’art. 186-quater del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che il giudice, ove rigetti l’istanza proposta ai sensi del primo comma del citato art. 186-quater, per essere infondata o non provata la domanda, possa condannare la parte istante al pagamento delle spese di lite e che l’ordinanza di rigetto sia suscettibile di acquistare l’efficacia di sentenza.

Ad avviso del giudice a quo, la norma si porrebbe in contrasto: a) con il principio di eguaglianza, determinando una ingiustificata disparità di trattamento tra le parti del processo, in quanto, a differenza dell’istante, la parte che ha resistito ad una domanda rivelatasi infondata non può beneficiare degli effetti anticipatori di una eventuale ordinanza di rigetto; b) con l’art. 24 della Costituzione, poichè il diritto di difesa del convenuto, o comunque di colui contro il quale é invocata l’ordinanza, é ingiustificatamente compresso dalla impossibilità di ottenere anticipatamente un provvedimento di condanna della controparte alle spese di lite, anche quando si sia già accertata l’infondatezza della domanda; c) con il principio di buon andamento dell’amministrazione, per la inadeguatezza dello strumento processuale prescelto dal legislatore rispetto alla finalità dal medesimo perseguita, consistente nell’anticipare l’esito del giudizio, la quale non può raggiungersi nell’ipotesi di infondatezza della domanda, nonchè per la illogica e artificiosa duplicazione di attività decisionale, cui é tenuto il giudice nel riesaminare la medesima domanda nelle diverse fasi del processo.

2.1 - La questione non é fondata.

L’art. 186-quater del codice di procedura civile ha introdotto nel sistema processuale un istituto avente finalità anticipatoria degli effetti della decisione, che si realizza attraverso un meccanismo potenzialmente conclusivo del giudizio di primo grado; con il peculiare provvedimento denominato "ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione", il giudice, sulla base degli elementi probatori acquisiti, può disporre, ad istanza di parte, il pagamento di somme, ovvero la consegna o il rilascio di beni, provvedendo sulle spese processuali; detta ordinanza, revocabile con la sentenza che definisce il giudizio, oltre a costituire titolo esecutivo, é idonea ad acquistare l’efficacia della sentenza, qualora il processo si estingua, ovvero la parte intimata dichiari di rinunciare alla pronuncia della sentenza.

Con l’introduzione della norma in oggetto il legislatore ha voluto perseguire una essenziale finalità, consistente nell’anticipare i tempi di realizzazione del petitum rispetto all’ordinario schema processuale e nel semplificarne le modalità, in tutti quei casi in cui la domanda abbia ad oggetto il pagamento di somme ovvero la consegna o il rilascio di beni e il giudice ritenga raggiunta la prova del fatto costitutivo invocato. Tale effetto si realizza mediante l’emanazione di un provvedimento a cognizione piena, i cui tratti peculiari sono rappresentati dall’agile forma di ordinanza, dal contenuto decisorio ed esecutivo e dalla potenziale idoneità ad acquistare efficacia di sentenza; ed é proprio in funzione della detta idoneità che il provvedimento in esame contiene tutte le statuizioni della sentenza, tra le quali segnatamente la liquidazione delle spese, in modo tale da sostituirsi ad essa, allorchè si verifichi l’estinzione del processo o intervenga la dichiarazione di rinuncia della parte intimata.

La parte che ha proposto domanda di condanna potrà quindi ottenere una sollecita attribuzione del bene della vita richiesto, in attesa della definizione del giudizio; il procedimento, fatta eccezione per le ipotesi di estinzione e di rinuncia, non si esaurisce infatti con l’emanazione dell’ordinanza prevista dall’art. 186-quater, ma é destinato a concludersi con la pronuncia della sentenza, con la quale, oltre a statuirsi in ordine ad altre possibili domande, potrà eventualmente essere revocata l’ordinanza stessa.

L’acquisto dell’efficacia di sentenza da parte delle ordinanze determina poi l’effetto, non unico ed esclusivo, della riduzione della pendenza dei procedimenti, i quali vengono definiti così prima di giungere alla fase deliberativa e senza necessità di quest’ultima.

2.2 - La norma in esame non disciplina l’ipotesi in cui l’istanza, per motivi processuali o di merito, non possa essere accolta; ad avviso del giudice remittente, la mancata previsione della possibilità che sia emanata un’ordinanza di rigetto dell’istanza di cui all’art. 186-quater, la quale provveda anche sulle spese ed abbia anch’essa attitudine ad acquistare l’efficacia della sentenza, darebbe luogo alla violazione dei citati principi costituzionali.

Le censure mosse dal remittente si fondano sull’osservazione che la finalità perseguita dal legislatore é esclusivamente quella di anticipare il momento finale del processo, onde, a parere del medesimo giudice a quo, non vi sarebbe alcun motivo ragionevole per non prevedere l’applicabilità del descritto meccanismo processuale nelle ipotesi di rigetto dell’istanza.

Occorre sottolineare che il legislatore, all’evidente fine di contrastare il pregiudizio derivante alla parte vittoriosa dall’eccessiva durata del processo, ha previsto la possibilità di attuare anticipatamente la tutela giurisdizionale mediante l’ordinanza in oggetto, disponendo che il processo debba concludersi con la pronuncia della sentenza, salve le ipotesi di rinuncia e di estinzione, nelle quali é l’ordinanza ad assumere la veste di atto conclusivo del procedimento. La necessità che il procedimento sia comunque definito con sentenza, secondo le ordinarie regole processuali - rimanendo nell’ambito della mera eventualità la conclusione di esso con ordinanza - dimostra che l’obiettivo perseguito non é quello di anticipare il momento conclusivo del processo, riducendone i tempi, bensì quello di consentire la realizzazione anticipata del petitum.

E’ allora del tutto ragionevole la mancata previsione della operatività del meccanismo processuale in esame nel caso di rigetto dell’istanza, in quanto, allorchè la domanda di condanna risulti infondata o non provata, vengono meno gli stessi motivi di attuazione anticipata della tutela giurisdizionale.

2.3 - Il procedimento delineato dall’art. 186-quater del codice di procedura civile non confligge con i principi posti dall’art. 3 della Costituzione, come sostiene il giudice remittente, per la mancata previsione della possibilità, per la parte che abbia resistito ad una domanda infondata, di ottenere un provvedimento anticipatorio di condanna alle spese, che sia suscettibile di acquistare l’efficacia di sentenza.

Il parametro dell’eguaglianza, che non si traduce in un’astratta e assoluta regola di omologazione di situazioni, ma comporta invece la necessità di verificare se una diversa attribuzione di poteri e facoltà sia assistita da una causa giustificativa, non può essere invocato nella fattispecie, nella quale le situazioni poste a raffronto non sono riconducibili ad una ratio comune.

La previsione relativa alla pronuncia sulle spese é strettamente connessa, come si é già posto in evidenza, alla eventualità che, ove il processo si estingua o la parte intimata rinunci alla emanazione della sentenza, l’ordinanza acquisti l’efficacia della sentenza; per tale ragione, il giudice, con la detta ordinanza, la quale potrebbe chiudere il processo davanti a lui, deve disporre in ordine alle spese, in forza del principio generale posto dall’art. 91 del codice di procedura civile, che é applicabile indipendentemente dalla forma assunta dal provvedimento, quando questo definisce il procedimento.

La pronuncia sulle spese non assume, quindi, autonoma rilevanza, quale provvedimento anticipatorio di condanna, ma é prevista solo in funzione dell’astratta idoneità dell’ordinanza ad acquistare l’efficacia della sentenza.

Nella previsione dell’art. 186-quater del codice di procedura civile, ai sensi del quale "con l’ordinanza il giudice provvede sulle spese processuali", sono pertanto assenti, in relazione alle spese, quelle ragioni di tutela anticipatoria, invocate dal remittente come preteso discrimine rispetto alla posizione della parte processuale che resiste, la quale non può ottenere, con un’ordinanza di rigetto, la condanna dell’istante alle spese processuali.

La scelta del legislatore di riferire gli effetti anticipatori dell’ordinanza in esame alla sola ipotesi di accoglimento della domanda di condanna, alla quale essi sono strutturalmente collegati, prevedendo esclusivamente in tal caso che essa debba contenere il provvedimento di liquidazione delle spese, é perciò coerente con la ratio della norma, stante la potenziale attitudine dell’ordinanza ad acquistare l’efficacia della sentenza e a sostituirsi a questa.

Nessun contrasto si ravvisa poi con il principio sancito dall’art. 24 della Costituzione, in quanto, allorchè si sia concluso, con il rigetto dell’istanza, il procedimento incidentale instaurato ai sensi dell’art. 186-quater, riprendono vigore le ordinarie regole processuali, in forza delle quali con la sentenza che definisce il processo il giudice dispone in ordine alle spese; non é quindi in alcun modo ridotta, nè tantomeno ostacolata la possibilità della parte di ottenere tutela in relazione a tale domanda.

Infine, quanto all’invocato principio del buon andamento dell’amministrazione, non può che ricordarsi che esso riguarda le leggi inerenti all’ordinamento degli uffici giudiziari (v., tra le altre, ordinanze nn. 189, 168 e 7 del 1997), mentre resta del tutto estraneo all’esercizio della funzione giurisdizionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 186-quater del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Roma, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Fernanda CONTRI

Depositata in cancelleria il 11 dicembre 1997.