Sentenza n. 311/97

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SENTENZA N.311

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse:

1) il 16 settembre 1996 dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Catania, nel procedimento penale a carico di G.G., iscritta al n. 1310 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 1996;

2) il 10 dicembre 1996 dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Trieste, nel procedimento penale a carico di S.G. ed altri, iscritta al n. 5 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Udito nella camera di consiglio del 18 giugno 1997 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto in fatto

1. — Il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Catania ha sollevato, con ordinanza del 16 settembre 1996 (R.O. 1310 del 1996), questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, primo comma, 27, secondo comma e 101, secondo comma, della Costituzione.

Nell’ordinanza di rinvio si premette che il presidente del collegio chiamato a trattare l’udienza preliminare è lo stesso magistrato che in precedenza, quale giudice per le indagini preliminari, ha disposto, contestualmente alla convalida dell’arresto in flagranza, la misura della custodia cautelare in istituto penale per minorenni nei confronti dell’indagato.

Il rimettente richiama i numerosi interventi della Corte costituzionale sull’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., che ne hanno ampliato l’ambito di applicazione in vista del più rigoroso rispetto del principio del "giusto processo", nel suo aspetto della necessaria imparzialità del giudice, riconoscendo l’incostituzionalità della citata norma in tutte le mancate previsioni di incompatibilità alla funzione giudicante - quale si ravvisa in ogni decisione in ordine ai profili della responsabilità, della colpevolezza e del trattamento penale - a causa di una precedente pronuncia su temi, come quello della libertà personale, che rappresentano un’anticipazione del merito, effettuata secondo criteri omogenei di valutazione, come, ad esempio, per il profilo del giudizio prognostico sulla concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena (art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen.). In particolare, il giudice a quo riporta alcuni passaggi della sentenza n. 155 del 1996 della Corte costituzionale.

Relativamente allo svolgimento dell’udienza preliminare, osserva poi il rimettente, proprio i princìpi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di incompatibilità pongono in risalto una fondamentale distinzione tra processo ordinario e processo minorile.

Nel processo penale ordinario, le ipotesi nelle quali il giudice dell’udienza preliminare è chiamato a una funzione di giudizio sono identificabili solo nello svolgimento dei riti alternativi, con i quali il giudice definisce nel merito il processo; fuori di tali casi, il giudice dell’udienza preliminare non svolge una giurisdizione piena di merito, limitandosi a verificare se vi siano elementi sufficienti al passaggio alla fase dibattimentale, con una valutazione che, anche dopo l’ampliamento della regola stabilita a tale riguardo (art. 425 cod. proc. pen., come modificato dalla legge 8 aprile 1993, n. 105), non integra il "giudizio" nel senso anzidetto.

Sono diverse la struttura e la funzione dell’udienza preliminare nel processo minorile, che è caratterizzata in modo del tutto peculiare, "tanto da potersi considerare in sé quale rito alternativo".

Nell’udienza preliminare minorile, infatti, l’alternativa proscioglimento-rinvio a giudizio non è necessitata e anzi risulta in concreto la meno frequente. Al termine dell’udienza preliminare, il giudice ha diverse possibilità di conclusione del procedimento, tutte aventi contenuto decisorio: può sospendere il processo e mettere alla prova l’imputato, con successiva declaratoria di estinzione del reato in caso di esito positivo della prova (artt. 28 e 29 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, recante le disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni); può dichiarare non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (artt. 27 e 32 del d.P.R. citato), per concessione del perdono giudiziale o per difetto di imputabilità o per incapacità di intendere e di volere (artt. 26 e 32 del d.P.R. citato); può, ancora, disporre l’applicazione di una sola sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria (art. 32, comma 2, dello stesso d.P.R.). Ed è il contenuto decisorio di tali esiti che spiega la composizione collegiale del giudice dell’udienza preliminare in questione (art. 50-bis dell’ordinamento giudiziario).

Queste ipotesi presuppongono una valutazione e un convincimento sulla colpevolezza, in base allo stato degli atti disponibili, poiché le formule elencate possono essere adottate se e in quanto un fatto-reato sussista e l’imputato lo abbia commesso (come, del resto, si desume dalla sentenza n. 77 del 1993 della Corte costituzionale); ne è riprova la facoltà di opposizione (artt. 32 e 32-bis del d.P.R. richiamato) dinanzi al Tribunale per i minorenni, attribuita all’imputato (sentenza n. 77 del 1993) proprio per recuperare il giudizio dibattimentale, altrimenti evitato.

Tutte le ipotesi ricordate costituiscono un "giudizio", dagli esiti non preventivabili in anticipo. Il rispetto dei princìpi costituzionali (uguaglianza di trattamento, diritto di difesa, precostituzione del giudice naturale, presunzione di non colpevolezza, terzietà del giudice) che delineano il giusto processo impone dunque che alle suddette ipotesi venga applicata la medesima previsione di incompatibilità, in ragione della precedente valutazione sulla libertà personale, a presidio dell’imparzialità del giudice. Né una diversa soluzione potrebbe giustificarsi sostenendo che al processo penale minorile debbano accordarsi garanzie inferiori a quelle del processo ordinario.

Il rimettente conclude esponendo che osservazioni analoghe potrebbero essere formulate relativamente a ulteriori e diversi casi, esemplificativamente indicati ma dichiaratamente non rilevanti nel giudizio a quo.

2.— Con ordinanza del 10 dicembre 1996 (R.O. 5 del 1997) il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Trieste ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare all’udienza preliminare del processo a carico di imputati minorenni il giudice per le indagini preliminari che abbia, in precedenza, rigettato la richiesta del pubblico ministero per la declaratoria di non luogo a procedere nei confronti del minore per irrilevanza del fatto, a norma dell’art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988.

Alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale in ipotesi analoghe, anche nel caso in esame, nel quale il giudice per le indagini preliminari ha conosciuto del fatto e ha espresso un giudizio, di contenuto e non formale, sulla responsabilità dell’indagato, si configura - ad avviso del giudice a quo - quella prevenzione che giustifica l’incompatibilità alla successiva ulteriore valutazione del medesimo fatto nell’ambito dell’udienza preliminare; udienza che, nel processo minorile, è sede processuale con "prevalente carattere decisorio". In difetto, si verificherebbe la lesione dei parametri costituzionali dedotti (artt. 3, 24, 25 e 101 della Costituzione).

Considerato in diritto

1.— Il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Catania dubita della legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare all'udienza preliminare del processo penale minorile, concorrendo a comporne il collegio, il giudice che, in qualità di giudice per le indagini preliminari, abbia disposto una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato.

Il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Trieste, a sua volta, dubita della legittimità costituzionale del medesimo art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare all'udienza preliminare del processo minorile quello stesso giudice che, come giudice delle indagini preliminari, abbia rigettato la richiesta formulata dal pubblico ministero di sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, a norma dell'art. 27 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni).

In entrambi i casi, i giudici rimettenti ritengono l'esistenza di un pregiudizio del giudice che ne compromette l'imparzialità, con violazione del principio costituzionale del "giusto processo", quale risulterebbe dagli articoli 3, primo comma; 24, secondo comma; 25, primo comma; 27, secondo comma (parametro questo indicato solo dal primo giudice) e 101, secondo comma, della Costituzione.

2.— Le due questioni, riguardando entrambe problemi di compatibilità del giudice alla partecipazione all'udienza preliminare del giudizio penale minorile sotto il profilo del rispetto dell'esigenza costituzionale di imparzialità del giudice, possono essere riunite per essere decise in un'unica sentenza.

3.— La questione sollevata dal Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Catania è fondata.

Fuori discussione, dopo la sentenza n. 432 del 1995 di questa Corte, confermata in varie successive occasioni, è l'esigenza, imposta dalla Costituzione, di escludere la possibilità che il medesimo giudice, quale persona fisica, possa pronunciarsi nei confronti del medesimo imputato, sia in sede cautelare personale, sia in sede di giudizio sul merito dell'accusa. Il caso proposto dal giudice rimettente è costituito, per l'appunto, da un giudice che si è pronunciato in sede cautelare personale. L'esistenza dell'elemento pregiudicante non può dunque essere negata. E' invece da verificare l'altro termine della relazione d'incompatibilità, l'elemento pregiudicato. A tal fine occorre chiarire la natura delle pronunce che possono essere adottate in sede di udienza preliminare nel giudizio penale minorile.

La giurisprudenza di questa Corte, considerando che può farsi questione d'incompatibilità del giudice in conseguenza di precedenti decisioni prese nel corso del procedimento solo in quanto egli sia chiamato a rendere un giudizio sul merito dell'accusa, mentre all'attività cui il giudice è chiamato nell'udienza preliminare deve riconoscersi, anche dopo la modifica dell'art. 425 cod. proc. pen. operata dalla legge 8 aprile 1993, n. 105 (v. sentenza n. 71 del 1996), una funzione essenzialmente processuale, in quanto controllo sulla legittimità della domanda di giudizio avanzata dal pubblico ministero e non quale giudizio anticipato rispetto a quello dibattimentale (sentenza n. 82 del 1993), è ferma nell'escludere l'estensibilità della regola dell'incompatibilità prevista nel comma 2 dell'art. 34 cod. proc. pen. al giudice dell'udienza preliminare (sentenza n. 64 del 1991; ordinanze nn. 24, 232, 279, 333 e 410 del 1996, e n. 97 del 1997).

Tuttavia, nel processo penale minorile l'udienza preliminare si presenta con caratteristiche tali da escludere la riferibilità ad essa delle anzidette considerazioni, valide per il processo penale comune.

Deve considerarsi che nel processo penale a carico dei minori, il giudice dell'udienza preliminare - costituito da un collegio composto da un magistrato e da due giudici onorari, a norma dell'art. 50-bis, comma 2, del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (inserito dall'art. 14 delle "Norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni", in allegato al d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449) - è chiamato a prendere decisioni che non trovano riscontro nell'udienza preliminare del giudizio penale comune.

In particolare, oltre a poter pronunciare d'ufficio sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (artt. 27 e 32 del d.P.R. n. 448 del 1988), può sospendere il processo e mettere alla prova l'imputato e, dopo non oltre tre anni o un anno a seconda dei casi, dichiarare l'estinzione del reato, prendendo provvedimenti conseguenti circa l'affidamento del minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia e impartendo prescrizioni dirette alla riparazione delle conseguenze del reato e alla conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato (artt. 28 e 29); può pronunciare sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale (art. 32, comma 1) o (in conseguenza del rinvio operato dall'art. 32, comma 1, all'art. 425 cod. proc. pen.) per difetto di imputabilità (v. sentenza n. 41 del 1993), nonché sentenza di condanna a sola pena pecuniaria o a sanzione sostitutiva (art. 32, comma 2).

Questa più ampia gamma di esiti dell'udienza preliminare nel processo penale minorile, che è giustificata dalla necessità di evitare fin dove è possibile la celebrazione del giudizio dibattimentale, in considerazione delle speciali esigenze di protezione della personalità dei minori coinvolti, fa sì che la funzione di tale udienza non possa ritenersi di natura analoga a quella dell'udienza preliminare nel giudizio penale comune, cioè esclusivamente processuale. Non potrebbe ritenersi che il giudice dell'udienza preliminare minorile sia chiamato a svolgere essenzialmente un’attività di controllo sull'azione del pubblico ministero al fine di aprire o chiudere la possibilità dello svolgimento del processo nella sede propria del dibattimento: la sua è infatti una funzione di giudizio che include la possibilità di adottare pronunce altrimenti riservate all’organo del dibattimento e che può perfino sfociare in una sentenza di condanna o in una sentenza che presuppone comunque l'accertamento della responsabilità (v. sentenza n. 77 del 1993).

Per le considerazioni che precedono circa la natura di alcune delle decisioni che il giudice dell'udienza preliminare è chiamato a prendere, il riferimento più pertinente che può farsi alla giurisprudenza di questa Corte è alla sentenza n. 155 del 1996, con la quale venne affermato che la precedente pronuncia in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato determina un pregiudizio dell'imparzialità del giudice, qualora lo stesso venga chiamato nell'udienza preliminare, su iniziativa delle parti, a pronunciarsi in sede di giudizio abbreviato (artt. 438 e seguenti cod. proc. pen.), ovvero a disporre l'applicazione della pena su richiesta (artt. 444 e seguenti cod. proc. pen.). Pur nella diversità delle situazioni, il punto comune è rappresentato da pronunce terminative del giudizio che contengono o presuppongono l'affermazione di responsabilità dell'imputato. La possibilità di tali pronunce dimostra l'esistenza di un giudizio, con la partecipazione al quale, in conseguenza dell'esigenza di imparzialità che questa Corte in numerose pronunce ha ritenuto essere aspetto determinante del "giusto processo" voluto dalla Costituzione, deve ritenersi incompatibile il giudice che in precedenza si sia pronunciato in ordine a una misura cautelare personale nei confronti del medesimo imputato.

4.— La questione sollevata dal Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Trieste è invece infondata per l'assenza di forza pregiudicante nella pronuncia del giudice per le indagini preliminari che respinge la richiesta formulata dal pubblico ministero di sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto.

Contrariamente a quanto asserito dal giudice rimettente, la valutazione che il giudice per le indagini preliminari è chiamato a svolgere a norma dell'art. 27, comma 1, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, non può affatto ritenersi quale "giudizio contenutistico e non meramente formale sulla responsabilità" dell'imputato, giudizio che, per la giurisprudenza di questa Corte, è idoneo a determinare pregiudizio per l'imparzialità del giudice. Tale valutazione concerne infatti, oltre l’apprezzamento del pregiudizio che il procedimento penale in sé considerato reca alle esigenze educative del minore, la fondatezza delle ragioni che inducono il pubblico ministero a richiedere la peculiare declaratoria, ragioni che il citato art. 27, comma 1, indica nella tenuità del fatto e nell'occasionalità del comportamento. Ma è evidente che il giudice per le indagini preliminari è chiamato a pronunciarsi sulla richiesta del pubblico ministero in astratto e assumendo l'ipotesi accusatoria, per l'appunto, come mera ipotesi, e non dopo aver accertato in concreto che il fatto è stato effettivamente commesso e che l'imputato ne porta la responsabilità. Una tale valutazione non sarebbe del resto nemmeno possibile, data la fase processuale in cui si versa, anteriore tanto al dibattimento quanto all'udienza preliminare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudice dell’udienza preliminare nel processo penale a carico di imputati minorenni del giudice per le indagini preliminari che si sia pronunciato in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 101 della Costituzione, dal Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Trieste, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Relatore: Gustavo ZAGREBELSKY

Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1997.