Sentenza n. 308/97

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SENTENZA N.308

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI  

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO  

- Dott. Riccardo CHIEPPA  

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE  

- Prof. Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 febbraio 1997 dal Pretore di Trento, Sezione distaccata di Cles, nel procedimento penale a carico di Valentini Ivano, iscritta al n. 177 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Udito nella camera di consiglio del 18 giugno 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

Il Pretore di Trento, sezione distaccata di Cles, ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui, limitando l’incompatibilità ai casi in cui il giudice abbia previamente compiuto atti nel medesimo procedimento, non prevede l’ipotesi in cui il giudice del dibattimento abbia precedentemente pronunciato sentenza in un procedimento di opposizione a provvedimento amministrativo ai sensi della legge n. 689 del 1981, valutando incidentalmente la sussistenza del fatto-reato.

Il rimettente rileva che, in qualità di giudice del dibattimento, è chiamato a conoscere della imputazione di guida in stato di ebbrezza, a norma dell’art. 186 decreto legislativo n. 285 del 1992 (codice della strada). Tuttavia, prima del rinvio a giudizio, come giudice nel procedimento di opposizione instaurato ex art. 22 della legge n. 689 del 1981 avverso il provvedimento di sospensione della patente di guida, emesso ai sensi dell’art. 223 del codice della strada dal Commissario per il Governo per la Provincia di Trento quale sanzione accessoria per il reato di guida in stato di ebbrezza, aveva pronunciato sentenza, annullando il provvedimento di sospensione provvisoria della patente, sul presupposto della insussistenza del reato del quale ora si trova a giudicare come giudice penale.

Il rimettente riconosce che tale situazione si differenzia da quelle esaminate e decise dalla Corte costituzionale, perché la decisione pregiudicante è relativa ad attività compiuta nell’esercizio di funzioni giurisdizionali extrapenali; osserva, però, che ricorrono le stesse ragioni poste dalla Corte costituzionale a sostegno delle pronunce di accoglimento delle questioni di costituzionalità dell’art. 34 cod. proc. pen. Qualora, infatti, abbia avuto necessità di valutare, incidentalmente ma in maniera completa, il fatto costituente reato e la relativa responsabilità in un procedimento di opposizione a provvedimento amministrativo che irroghi sanzioni accessorie a reati, e nel quale l’opposizione sia motivata sulla base di vizi non meramente formali dell’atto, ma dell’insussistenza dei presupposti del provvedimento, il giudicante inevitabilmente deve procedere ad un esame di merito sulla responsabilità penale.

In questa ipotesi, del tutto simile nella sostanza al caso di decisione sul merito della regiudicanda presa dal medesimo giudice in altre fasi dello stesso procedimento penale, la mancanza di una previsione di incompatibilità contrasta, secondo il rimettente, con i parametri costituzionali salvaguardati dalla Corte nelle decisioni che hanno accolto le questioni di legittimità dell’art. 34 cod. proc. pen.

D’altro canto, prosegue il rimettente, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 1996, che ha esteso l’incompatibilità ad ipotesi in cui la decisione pregiudicante e quella pregiudicata attengono a procedimenti penali diversi nei confronti del medesimo imputato, dovrebbe discendere il superamento della preclusione legata alla rubrica dell’art. 34 cod. proc. pen. ed al fatto che in essa si fa riferimento soltanto ad atti compiuti <nel procedimento>; con la conseguenza che, dopo la sentenza n. 371 del 1996, limitare l’operatività del sistema delle incompatibilità al compimento di attività decisionali nelle sole sedi penali costituirebbe <opzione formalistica e priva di razionalità>.

Di conseguenza la mancata previsione della incompatibilità, nell’ipotesi in cui il giudice del dibattimento abbia già valutato, pronunciando sentenza nell’ambito di un procedimento di opposizione a sanzione amministrativa, la sussistenza del fatto-reato, violerebbe, secondo il giudice a quo, l’art. 24 della Costituzione, cioè il principio del <giusto processo> sotto forma della garanzia dell’imparzialità del giudice. Il <principio di prevenzione, inteso come naturale tendenza a mantenere un giudizio già reso>, opererebbe infatti nel caso in esame <con maggiore intensità [...] che non in altri pur già considerati dalla Corte come fonte di incompatibilità> (sentenze n. 432 del 1995, n. 131 e 155 del 1996), attesa la natura della decisione pregiudicante pronunciata dal medesimo giudice.

Del pari, risulterebbe violato l’art. 3 della Costituzione, per l’irragionevolezza della disparità di trattamento riservata all’imputato tratto a giudizio dinanzi a giudice che non ha conosciuto della fattispecie in sede di opposizione alla sanzione amministrativa ex legge n. 689 del 1981, rispetto all’imputato che ha invece proposto opposizione già decisa dal medesimo giudice che dovrà poi giudicarlo in sede penale.

Considerato in diritto

1.— La questione sottoposta all’esame della Corte ha per oggetto l’art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a procedere al giudizio del giudice che abbia pronunciato una precedente sentenza in un procedimento di opposizione ad una sanzione amministrativa alla stregua degli articoli 22 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Il giudice rimettente rileva che la situazione di incompatibilità è particolarmente evidente quando la funzione pregiudicante si esplica nel giudizio di opposizione a provvedimenti amministrativi che irrogano sanzioni accessorie a reati, come nel caso di specie, in cui il Prefetto ha disposto, a seguito della contestazione del reato di guida in stato di ebbrezza, la sospensione provvisoria della patente di guida a norma degli articoli 186 e 223 del codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285): ove l’opposizione non sia basata su motivi meramente formali e procedimentali, il rapporto di accessorietà tra la sanzione amministrativa e il reato comporterebbe necessariamente un esame di merito sulla sussistenza del reato e, quindi, sulla responsabilità penale dell’imputato.

Ad avviso del giudice rimettente, in tale situazione il principio del "giusto processo", posto a garanzia dell’imparzialità del giudice, risulterebbe violato, con riferimento all’art. 24 della Costituzione, in forma ancora più intensa rispetto ad altri casi in cui la Corte costituzionale ha ritenuto che la "forza della prevenzione", intesa come naturale tendenza a mantenere il giudizio già reso, costituisca fonte di incompatibilità, per avere il giudice già valutato, sia pure incidenter tantum, la sussistenza della responsabilità penale. Risulterebbe violato anche l’art. 3 della Costituzione, a causa della irrazionale disparità di trattamento fra l’imputato rinviato a giudizio senza che il giudice del dibattimento abbia già preso in esame la sua posizione nel giudizio di opposizione, e l’imputato che venga giudicato in sede penale dal medesimo giudice che ha già pronunciato sentenza in sede di opposizione.

Il giudice rimettente è consapevole che la questione proposta "si differenzia strutturalmente da tutti i casi, precedentemente affrontati dalla Corte Costituzionale", in quanto si dovrebbe ora "attribuire rilievo non già al previo compimento di atti compiuti in diverse fasi del procedimento penale, ma addirittura ad atti compiuti dal medesimo magistrato nell’esercizio di funzioni giurisdizionali extrapenali", ma ritiene che la ratio delle precedenti decisioni della Corte ricorra anche nel caso di specie, e che comunque la sentenza n. 371 del 1996 abbia superato la preclusione del medesimo procedimento risultante dalla rubrica dell’art. 34 cod. proc. pen., estendendo l’incompatibilità nei confronti della funzione di giudizio svolta in un altro e separato processo dal giudice che in precedenza aveva valutato la responsabilità penale del medesimo imputato.

Ad avviso del giudice rimettente, limitare la sfera di applicazione dell’art. 34 cod. proc. pen. al compimento di precedenti atti di natura penale si tradurrebbe in "un’opzione formalistica e priva di razionalità in un sistema processuale che consente la decisione incidentale delle questioni pregiudiziali penali nel processo civile, e addirittura la impone in processi come quello di opposizione ex art. 205 del codice della strada, dove generalmente non è possibile una decisione che prescinda dall’accertamento della fattispecie penale".

2. La questione non è ammissibile.

3. Non vi è dubbio che, nelle ipotesi in cui l’opposizione alla sanzione amministrativa in esame non sia circoscritta a profili meramente formali e procedimentali, ma si basi su motivi di merito che coinvolgono la sussistenza del fatto e la riconducibilità al suo autore, il giudice dell’opposizione si trova necessariamente a esprimere valutazioni sul fatto e sulla responsabilità dell’imputato, che saranno poi oggetto del giudizio penale.

Per i reati per cui sono previste, come appunto nel caso della guida in stato di ebbrezza, oltre alle pene principali, sanzioni accessorie, applicabili provvisoriamente anche dall’autorità amministrativa, quali la sospensione o la revoca della patente di guida, dal combinato disposto degli articoli 205, 218 e 223 del codice della strada (questi ultimi due articoli così come integrati dall’art. 117 del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360) si ricava infatti, conformemente alla recente giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione, che avverso il provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria della patente è ammessa opposizione avanti all’autorità giudiziaria a norma degli articoli 22 e 23 della legge n. 689 del 1981 anche in costanza del procedimento penale. Come affermato da questa Corte, l’opposizione non è neppure subordinata al previo esperimento del ricorso in via amministrativa al prefetto (v. sentenze n. 366 e n. 311 del 1994, nonché la sentenza n. 31 del 1996, che ha esteso la tutela giurisdizionale avverso il provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria della patente al caso di lesioni personali o di omicidio colposo derivanti da violazione di norme del codice della strada).

Alla stregua della disciplina apprestata dagli articoli 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, l’opposizione avanti al pretore civile si sostanzia in un vero e proprio giudizio di merito: il pretore dispone anche d’ufficio i mezzi di prova che ritiene necessari, può disporre la citazione di testimoni, può modificare la sanzione anche in relazione alla sua entità, deve accogliere l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente (art. 23, sesto, undicesimo e dodicesimo comma). Il carattere di merito del giudizio di opposizione ha trovato conferma in via interpretativa nella giurisprudenza costituzionale (v., ex plurimis, sentenza n. 507 del 1995) e in quella di legittimità, al fine di assicurare all’opponente, sotto il profilo del diritto di difesa, una tutela analoga a quella apprestata all’imputato nel giudizio penale.

E’ dunque evidente che avverso il provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria della patente può di fatto instaurarsi in sede di opposizione avanti al pretore civile un pieno giudizio di merito, che si conclude con sentenza e si sovrappone, anticipandolo, al giudizio penale sul fatto di reato; giudizio che a sua volta, a norma dell’art. 222 del codice della strada, si estende all’applicazione definitiva di quelle medesime sanzioni accessorie della revoca e della sospensione della patente eventualmente già disposte in via provvisoria dal prefetto.

4. Sulla base di queste premesse, la questione sottoposta all’esame della Corte sollecita alcune riflessioni generali sugli strumenti di tutela del valore dell’imparzialità del giudice apprestati dal codice di procedura penale e sulla loro idoneità a garantire in forma razionale ed esaustiva il principio del giusto processo.

Da un lato, le valutazioni di merito espresse, nel caso di specie, dal giudice rimettente in sede di giudizio civile di opposizione costituiscono effettivamente una anticipazione del giudizio penale: la sentenza con cui è stata accolta l’opposizione ed è stato annullato il provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria della patente si basa, infatti, "sull’espresso presupposto dell’insussistenza del reato di guida in stato di ebbrezza [ ...] contestato in sede penale" avanti al medesimo magistrato già investito del giudizio di opposizione. Sotto questo punto di vista, ricorrono entrambi i termini della relazione di incompatibilità, in quanto la funzione di giudizio in sede penale può risentire della forza della prevenzione esercitata dalla precedente valutazione di merito operata, sia pure in via incidentale, dal medesimo giudice sul medesimo fatto di reato e sulla responsabilità dell’imputato.

D’altro canto però - e lo stesso pretore rimettente ha posto in rilievo queste peculiarità - la funzione di cui è denunciato l’effetto pregiudicante non è stata esercitata nel medesimo procedimento penale, ma addirittura in un procedimento extrapenale, cioè fuori della sfera di previsione dell’art. 34 cod. proc. pen.; inoltre, la decisione presa e la precedente attività giudiziaria svolta nel giudizio civile non hanno necessariamente una valenza pregiudicante nei confronti del successivo giudizio penale, ma il pregiudizio per il principio dell’imparzialità si può verificare solo quando, essendo l’opposizione basata su motivi di merito, il giudice civile è conseguentemente chiamato ad esprimere - come nel caso di specie - valutazioni sul fatto e sulla responsabilità dell’imputato.

Si deve dunque accertare, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, della sentenza n. 371 del 1996, se nel caso di specie il principio del giusto processo possa essere tutelato mediante un ulteriore ampliamento della sfera di applicazione dell’art. 34 cod. proc. pen., ovvero si debba ricorrere ad altri istituti predisposti per assicurare le medesime garanzie di imparzialità e di terzietà del giudice penale.

5. L’esigenza di individuare gli strumenti processuali più idonei ed efficaci ai fini della tutela del principio di imparzialità induce a prendere in considerazione le rispettive sfere di applicazione dei casi di incompatibilità e di astensione o ricusazione, sotto il profilo degli elementi comuni e di quelli differenziali che rispettivamente caratterizzano le situazioni disciplinate dagli articoli 34 e 36-37 cod. proc. pen.

Emerge in primo luogo che i casi di incompatibilità e di astensione o ricusazione sono sottoposti ad una disciplina sostanzialmente unitaria e sono sorretti dalla comune matrice di condizioni impeditive dell’esercizio di specifiche funzioni giurisdizionali, le quali, sotto il profilo dell’imparzialità, verrebbero pregiudicate dalle attività svolte in precedenza dal medesimo soggetto processuale.

Sul terreno procedimentale, l’elemento comune alle cause di incompatibilità, di astensione e di ricusazione del giudice penale va ravvisato nei meccanismi attivabili per assicurarne l’osservanza. Da un lato, infatti, le situazioni di incompatibilità costituiscono altrettante cause di astensione (art. 36, comma 1, lettera g, cod. proc. pen.), dall’altro le cause di astensione determinano la facoltà delle parti di ricusare il giudice che non si sia astenuto (art. 37, comma 1, lettera a, cod. proc. pen.).

Alla regola della corrispondenza tra casi di astensione e di ricusazione fa eccezione l’ipotesi prevista dall’art. 36, comma 1, lettera h, cod. proc. pen. (esistenza di "altre gravi ragioni di convenienza"); specularmente, vi è poi un caso di ricusazione (art. 37, comma 1, lettera b, cod. proc. pen.: l’avere il giudice, nell’esercizio delle funzioni, "manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione") che non comporta l’obbligo di astensione.

Sul terreno sostanziale, le cause di incompatibilità e di astensione o ricusazione sono accomunate dall’esigenza di evitare situazioni che, comunque, incidano sull’imparzialità e obiettività di giudizio. Si può trattare di funzioni svolte dal giudice nel medesimo procedimento, ovvero di uffici ricoperti o condotte da lui tenute, precedentemente o nel corso del procedimento, in relazione all’oggetto di questo o ad alcune delle parti: cioè situazioni a vario titolo ritenute dal legislatore capaci di avere effetti pregiudicanti nei confronti delle successive funzioni di giudizio o in genere giurisdizionali.

6.1.— A questi tratti comuni fanno riscontro alcuni caratteri peculiari che contrassegnano, rispettivamente, le ipotesi di incompatibilità e quelle di astensione o ricusazione.

Per quanto riguarda le prime, il giudice è inabilitato a esercitare funzioni di giudizio (art. 34, comma 2, cod. proc. pen.) o, più in generale, giurisdizionali (art. 34, commi 1 e 3, cod. proc. pen.) a causa degli atti precedentemente compiuti nell’ambito dello stesso procedimento (art. 34, commi 1 e 2, cod. proc. pen.), ovvero perché vi ha esercitato determinate funzioni o prestato determinati uffici o ha compiuto atti propulsivi del giudizio stesso (art. 34, comma 3, cod. proc. pen.). Su un diverso terreno si pongono le particolari ipotesi previste dall’art. 35 cod. proc. pen., peraltro sempre riferite a rapporti che interessano il medesimo procedimento.

Le situazioni pregiudicanti descritte dall’art. 34 cod. proc. pen. operano dunque all’interno del medesimo procedimento in cui interviene la funzione pregiudicata (vedi sentenza n. 131 del 1996); inoltre sono espressamente predeterminate dal legislatore in base alla presunzione che quelle funzioni e quegli atti tipicizzati siano oggettivamente incompatibili con l’esercizio di ulteriori attività giurisdizionali svolte nel medesimo procedimento. Tali incompatibilità riguardano, infatti, non tanto la "capacità del giudice di rivedere sempre di nuovo i propri giudizi alla luce degli elementi via via emergenti nello svolgimento del processo, quanto l’obiettività della funzione del giudicare, che esige, per quanto è possibile, la sua massima spersonalizzazione" (sentenza n. 155 del 1996). E’ questa la ragione per cui gli effetti pregiudicanti di tali situazioni sono stati valutati a priori dal legislatore, a prescindere dalle modalità con cui la funzione è stata svolta, ovvero dal concreto contenuto dell’atto preso in considerazione. Ne deriva che le situazioni di incompatibilità, proprio perché astrattamente tipicizzate dal legislatore come pregiudicanti, dovrebbero consentire di organizzare preventivamente l’esercizio della giurisdizione nel pieno rispetto dei principi della terzietà e dell’imparzialità del giudice (vedi sentenza n. 307 in pari data).

6.2. I casi di astensione o ricusazione propriamente detti, cioè ulteriori rispetto a quelli di incompatibilità, si ricollegano, invece, a situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità della funzione di giudizio che possono anche preesistere, e anzi normalmente preesistono, al procedimento (art. 36, comma 1, lettere a, b, d, e, f, cod. proc. pen.), ovvero si collocano comunque al di fuori di esso (art. 36, comma 1, lettera c, cod. proc. pen.). In sintesi, nei casi ora menzionati il giudice è a vario titolo interessato al procedimento, ovvero ha manifestato il suo convincimento sull’oggetto del procedimento stesso.

Anche l’ipotesi di ricusazione descritta dall’art. 37, comma 1, lettera b, cod. proc. pen. non si sottrae a tale criterio di massima: il giudice che nell’esercizio delle sue funzioni ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, senza alcuna necessità e senza alcun collegamento con l’attività giurisdizionale, opera - per usare le espressioni della prevalente giurisprudenza di legittimità - fuori della sede processuale e dei compiti che gli sono propri.

Le ragioni del pregiudizio appaiono cioè oggettivamente identiche sia nel caso in cui il giudice abbia manifestato il proprio convincimento come privato (art. 36, comma 1, lettera c, cod. proc. pen.), sia in quello in cui il convincimento sia stato manifestato indebitamente nell’ambito di funzioni svolte nello stesso procedimento (art. 37, comma 1, lettera b, cod. proc. pen.), operando egualmente, in entrambi i casi, la cosiddetta forza della prevenzione.

Identica ragione di pregiudizio ricorre, poi, nei casi in cui il giudice abbia espresso legittimamente il proprio convincimento sull’oggetto del procedimento nell’ambito di un diverso procedimento, penale o anche non penale.

6.3.— Dal confronto tra le ipotesi di astensione o ricusazione e quelle di incompatibilità emerge dunque che, ove la situazione si verifichi al di fuori del procedimento penale, entrano in campo gli istituti della astensione o ricusazione, mentre quando il pregiudizio è ricollegabile a funzioni esercitate nell’ambito del medesimo procedimento penale trova applicazione l’art. 34 cod. proc. pen. In effetti, se la manifestazione del convincimento sull’oggetto del procedimento è espressione tipicizzata e, come tale, necessitata delle funzioni del giudice, l’atto pregiudicante non può che essere tipicamente individuato in base ad una valutazione presuntiva di pregiudizio dell’imparzialità.

E’ così possibile cogliere anche le ragioni per cui i casi di astensione o di ricusazione - ovviamente diversi da quelli costituiti da rapporti interpersonali tra il giudice e le parti, anch’essi oggettivamente e astrattamente tipicizzati come situazioni pregiudicanti (art. 36, comma 1, lettere a, e, f, cod. proc. pen.) - debbono sempre essere oggetto di una puntuale valutazione di merito, che consenta di verificare in concreto l’eventuale effetto pregiudicante. Sarebbe infatti impossibile pretendere dal legislatore uno sforzo di astrazione e di tipicizzazione idoneo a individuare a priori tutte le situazioni in cui il giudice, avendo esercitato funzioni giudiziarie in un diverso procedimento, potrebbe poi venire a trovarsi in una situazione di incompatibilità nel successivo procedimento penale.

La scelta del legislatore di qualificare una situazione come causa di incompatibilità, ovvero di astensione o ricusazione, discende, in altri termini, dalla possibilità o dalla impossibilità di valutarne preventivamente e in astratto l’effetto pregiudicante per l’imparzialità del giudice penale. Nel primo caso, le incompatibilità trovano la loro ratio nell’esigenza obiettiva, attinente alla stessa logica del processo, di garantire l’autonomia della funzione giudicante nei confronti di attività compiute in fasi e gradi precedenti (v. sentenza n. 306 in pari data): il legislatore ha cioè ritenuto che l’atto o la funzione abbiano di per sé un effetto pregiudicante, a prescindere dallo specifico contenuto dell’atto stesso o dalle modalità con cui la funzione è stata esercitata. Nel secondo caso - tra cui rientra in modo emblematico la situazione oggetto del presente giudizio di costituzionalità - l’effetto pregiudicante è meramente eventuale, e deve quindi essere accertato in concreto e, ove necessario, rimosso, ricorrendo agli istituti dell’astensione e ricusazione, ogniqualvolta ne venga verificata l’esistenza.

7. In altra occasione (sentenza n. 371 del 1996) questa Corte ha ritenuto che anche le valutazioni di merito in ordine alla responsabilità di un terzo non imputato espresse in una precedente sentenza penale rientrano tra le situazioni di incompatibilità, essendo idonee a determinare un pregiudizio per l’imparzialità del giudice chiamato a giudicare il medesimo soggetto in un diverso procedimento penale, ma tale estensione è stata operata in un contesto caratterizzato dal fatto che i due procedimenti, derivanti da un procedimento originariamente unico, riguardavano la medesima vicenda processuale (vedi sentenze n. 306 e n. 307 in pari data), sicché la valutazione pregiudicante risultava espressa sostanzialmente nel medesimo procedimento, intendendo l’unicità di questo in senso non formalistico (cfr. ordinanza n. 404 del 1995).

Queste considerazioni, insieme al rilievo che la valutazione pregiudicante era stata espressa in una sentenza penale, cioè nell’atto con cui viene definito il processo e che è l’espressione tipica della funzione giurisdizionale (vedi sentenza n. 307 in pari data), rendono evidente che la questione oggetto del presente giudizio di legittimità non è assimilabile alla situazione presa in esame dalla sentenza n. 371 del 1996.

8.— Sulla base della distinzione tra le situazioni in cui le funzioni pregiudicante e pregiudicata intervengono nel medesimo procedimento penale e quelle in cui il rapporto di interferenza riguarda procedimenti diversi, anche non penali, si può quindi concludere che la tutela dell’imparzialità è assicurata, mediante una razionale ed esaustiva utilizzazione degli istituti volti ad assicurare il principio del "giusto processo", ricorrendo, a seconda dei casi, alle incompatibilità delineate dall’art. 34, ovvero alle ipotesi di astensione e di ricusazione di cui agli articoli 36 e 37 cod. proc. pen.

Se i termini della relazione di incompatibilità intercorrono nel medesimo procedimento, la tutela è apprestata dai casi preventivamente e astrattamente predeterminati dall’art. 34 cod. proc. pen., così come integrato dalle sentenze di questa Corte. Si tratta delle situazioni in cui, per la sua stessa natura, l’atto non può non contenere valutazioni di merito tali da pregiudicare le successive funzioni giurisdizionali.

Se poi, sempre all’interno del medesimo procedimento, la valutazione di merito non è imposta dal tipo di atto, che anzi, di per sé, non presuppone accertamenti sulla responsabilità penale, l’ipotesi non rientra nella sfera di applicazione dell’art. 34 cod. proc. pen., sicché l’eventuale effetto pregiudicante dovrà essere accertato in concreto, ricorrendo, ove ne sussistano i presupposti, agli istituti dell’astensione o della ricusazione.

Analogamente, quando i due termini della relazione di incompatibilità intercorrono tra procedimenti diversi, sia penali che non penali, si è fuori dal modello di incompatibilità delineato dall’art. 34 cod. proc. pen. (salva l’estensione ai procedimenti diversi operata, nei limiti sopra indicati, dalla sentenza n. 371 del 1996): in tali casi, ove si accerti che - non importa se legittimamente o illegittimamente - è stata espressa una valutazione di responsabilità con effetti pregiudicanti per le successive funzioni giurisdizionali, la tutela dell’imparzialità deve essere assicurata mediante gli istituti dell’astensione o della ricusazione.

9. La questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice rimettente è dunque inammissibile, in quanto nel caso di specie la dedotta violazione del principio dell’imparzialità del giudice non è riconducibile alla sfera dell’art. 34 cod. proc. pen.

Dall’ordinanza di rimessione emerge, peraltro, una situazione di fatto che potrebbe determinare un pregiudizio per l’imparzialità del giudice chiamato a decidere in sede penale sulla responsabilità dell’imputato. Spetterà al giudice rimettente valutare se nella specie il dedotto pregiudizio sia riconducibile ad alcuna delle ipotesi di astensione o ricusazione già previste dall’ordinamento, o se invece le esigenze di tutela del valore dell’imparzialità postulino un intervento di questa Corte sulla disciplina di tali istituti, al fine di garantire comunque la tutela del giusto processo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Trento, Sezione distaccata di Cles, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 settembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA.

Relatore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 1° novembre 1997.