Sentenza n. 154

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 154

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA         

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI                

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 318, primo comma, e 164, primo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa l'11 aprile 1996 dal Giudice di pace di Lecce, nel procedimento civile vertente tra Stefanizzi Daniele e la Regione Puglia, iscritta al n. 631 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 aprile 1997 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto in fatto

1. -- Nel corso di un procedimento civile, il Giudice di pace di Lecce, con ordinanza emessa in data 11 aprile 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale: a) dell'art. 318, primo comma, del codice di procedura civile, in relazione all'art. 164, primo comma, dello stesso codice, nella parte in cui non prevede che l'atto di citazione nel procedimento davanti al giudice di pace debba contenere l'avvertimento che la costituzione del convenuto oltre i termini di cui al successivo art. 319 implica le decadenze di cui all'art. 167 del codice di procedura civile; nonchè, in via derivata, b) dell'art. 164, primo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede la nullità della citazione, se manca in quest'ultima l'avvertimento, da ritenere imposto dal successivo art. 318, primo comma, che la costituzione del convenuto oltre i termini di cui all'art. 319 del codice di procedura civile implica le decadenze di cui all'art. 167 del medesimo codice.

Il giudice a quo, dopo aver premesso che il contenuto della domanda nel procedimento innanzi al giudice di pace é dettato dall'art. 318 del codice di procedura civile, il quale deroga alla disciplina paradigmatica prevista dall'art. 163 del detto codice per il procedimento innanzi al tribunale e al pretore, osserva che la menzionata norma derogatrice non prevede, a differenza della disposizione di cui all'art. 163, terzo comma, numero 7), del codice di procedura civile, che l'atto introduttivo debba contenere l'avvertimento che la costituzione del convenuto oltre i termini propri del procedimento innanzi al giudice di pace implica le decadenze di cui all'art. 167 del codice stesso. Poichè il regime delle decadenze opera, ad avviso del remittente, anche nel procedimento davanti al giudice di pace, risulta evidente il vulnus inferto al diritto di difesa dalla mancata previsione dell'avvertimento in esame, il quale costituisce, invece, elemento essenziale della vocatio in ius nel procedimento davanti al tribunale e al pretore.

Afferma inoltre il giudice remittente che la mancata previsione del citato avvertimento e, ove questo sia omesso, della conseguente nullità dell'atto di citazione configura una irragionevole disparità di trattamento tra le parti del processo innanzi al tribunale e al pretore e quelle del processo davanti al giudice di pace, in relazione ai rispettivi oneri, volti ad assicurare la regolarità del contraddittorio.

2. -- Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione in ordine alla rilevanza delle stesse nel giudizio a quo e, comunque, per la infondatezza delle stesse.

Ad avviso dell'Avvocatura, non può ravvisarsi il preteso vulnus al diritto di difesa, in quanto non sono applicabili nel procedimento innanzi al giudice di pace le disposizioni relative alle decadenze e alle preclusioni di cui all'art. 167 del codice di procedura civile, nè sussiste la denunciata violazione del principio di uguaglianza, poichè le differenze tra il processo ordinario e quello innanzi al giudice di pace derivano dalle diverse finalità perseguite dal legislatore, non incompatibili tra loro.

Considerato in diritto

1. -- Il giudice a quo denuncia l'illegittimità costituzionale dell'art. 318, primo comma, del codice di procedura civile e, in via derivata, dell'art. 164, primo comma, del medesimo codice, nella parte in cui rispettivamente non prevedono: che l'atto di citazione nel procedimento davanti al giudice di pace debba contenere l'avvertimento che la costituzione del convenuto oltre i termini di cui al successivo art. 319 implica le decadenze previste dall'art. 167 del medesimo codice; che la citazione é nulla se in essa manca il predetto avvertimento, da ritenere per ciò imposto dall'art. 318, primo comma, del codice di procedura civile.

Ad avviso del giudice remittente, le norme censurate si porrebbero in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per la irragionevole disparità di trattamento operata tra le parti del processo innanzi al tribunale e al pretore e quelle del processo innanzi al giudice di pace, in relazione agli oneri diretti ad assicurare la regolarità del contraddittorio, e per violazione del diritto di difesa, derivante dal mancato avvertimento circa le conseguenze connesse alla tardiva costituzione del convenuto.

2. -- Preliminarmente, non può essere accolta l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato, in quanto dalla descrizione della fattispecie concreta, oggetto del giudizio, e dal contesto delle argomentazioni svolte dal remittente si traggono elementi che attestano la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale nel giudizio a quo.

3. -- Le questioni sono infondate.

Il legislatore, nel delineare il procedimento innanzi al giudice di pace, ha dettato una disciplina autonoma e del tutto peculiare, in ragione della diversità ontologica di tale rito rispetto a quello ordinario, svolgentesi davanti al tribunale e davanti al pretore; le disposizioni speciali contenute nel Capo III del Titolo II del Libro secondo del codice di procedura civile dimostrano come si sia voluto nettamente differenziare il procedimento davanti al giudice di pace, attribuendo ad esso una particolare connotazione, rappresentata dalla massima semplificazione delle forme.

Caratteristiche proprie del procedimento in esame sono infatti la proposizione della domanda introduttiva in forma verbale e la mancata previsione di termini per la costituzione delle parti, che non trovano riscontro nelle regole processuali dettate per il procedimento davanti al tribunale.

Affatto particolari sono poi le modalità di costituzione in giudizio del convenuto, che non ha l'onere della preventiva redazione della comparsa di risposta, nè del suo deposito, essendogli attribuita la facoltà di costituirsi in udienza mediante la proposizione anche orale delle proprie difese e di eventuali domande riconvenzionali.

Dalla mancata previsione di un termine di costituzione in giudizio delle parti anteriormente all'udienza consegue che non operano nel procedimento in questione le preclusioni e le decadenze che nel rito davanti al tribunale sono invece connesse agli atti introduttivi; pertanto, non vi é ragione alcuna di stabilire che, tra gli elementi dell'atto introduttivo, debba essere contenuto l'avvertimento circa le conseguenze della costituzione tardiva del convenuto, proprio perchè ad essa non sono ricollegabili le decadenze previste dall'art. 167 del codice di procedura civile. Da ciò deriva che l'omissione del detto avvertimento non può provocare alcuna conseguente nullità.

E' allora evidente l'erroneità del presupposto da cui muove il giudice a quo, nel ritenere applicabile anche al procedimento innanzi al giudice di pace quel citato regime di preclusioni e decadenze, che é invece incompatibile con la struttura semplificata del rito in esame, la cui disciplina é stata volutamente e non irragionevolmente differenziata da quella del procedimento ordinario.

Deve, quindi, escludersi che possano ravvisarsi nelle denunciate norme i dedotti profili di illegittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 318, primo comma, e 164, primo comma, del codice di procedura civile, sollevate dal Giudice di pace di Lecce, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1997.

Renato GRANATA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 29 maggio 1997.