Sentenza n. 85

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SENTENZA N. 85

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA,  Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, quinto comma, della legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265. Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1995 dal Pretore di Benevento nel procedimento penale a carico di Barletta Luigi ed altro, iscritta al n. 229 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 1996.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 novembre 1996 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto in fatto

1.— Con ordinanza in data 20 dicembre 1995 il Pretore di Benevento ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dell’art. 6, quinto comma, della legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265. Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), secondo il quale in caso di condanna per frode tossica o comunque dannosa alla salute non si applicano le disposizioni degli artt. 163 e 175 del codice penale, che rispettivamente disciplinano i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

Preliminarmente il giudice a quo afferma la rilevanza della questione, in quanto nel processo penale innanzi a lui pendente a carico di Barletta Luigi e Barletta Giacomo per il reato di cui agli artt. 81 cod. pen., 5, lettera b), e 6 della legge n. 283 del 1962, proprio per effetto della disposizione censurata, in caso di affermazione della responsabilità degli imputati, non sarebbero applicabili la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna, benefici dei quali i condannati potrebbero, in astratto, godere, trattandosi di persone incensurate o comunque con precedenti penali non ostativi.

Premesso che i delitti nel nostro sistema penale presentano maggiore gravità rispetto alle contravvenzioni, il remittente rileva che l’art. 6, quinto comma, della legge n. 283 del 1962 impedisce la concessione dei benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen. per i reati contravvenzionali di cui agli artt. 5 e 6 della citata legge, mentre tali benefici possono essere concessi indistintamente a chi abbia commesso delitti previsti dal codice penale a tutela della salute alimentare dei cittadini, sicuramente più gravi delle ipotesi contravvenzionali disciplinate dalla legge speciale, le quali avrebbero per di più, in taluni casi, secondo un orientamento della Corte di cassazione, carattere sussidiario rispetto ad essi (ad esempio il delitto di vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine, previsto dall’art. 516 cod. pen.).

Il fatto che fattispecie meno gravi ricevano una disciplina meno favorevole di quella riservata a fattispecie più gravi, aventi identico oggetto giuridico, violerebbe il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, determinando una irrazionale disparità di trattamento.

Ad avviso del giudice a quo, la disposizione denunciata contrasterebbe altresì con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, poichè le esigenze di rieducazione che tende a soddisfare l’istituto della sospensione condizionale della pena (evitare il carcere al condannato a pene detentive di breve durata, essendo nei suoi confronti sufficiente il deterrente della condanna e della possibile futura esecuzione della pena) sarebbero del tutto frustrate, dovendo l’imputato comunque scontare in carcere la pena, anche se condannato per reati non eccessivamente gravi e comunque più lievi di altri per i quali é concedibile il beneficio di cui all’art. 163 cod. pen.

Anche l’impossibilità di fruire della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale per reati contravvenzionali puniti con pene detentive brevi impedirebbe la risocializzazione del condannato, scopo al quale tende l’art. 175 cod. pen.

2.— E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Ad avviso dell’Avvocatura, il superiore interesse della salute pubblica nella produzione e nel commercio delle sostanze alimentari imporrebbe di sanzionare tutti i comportamenti di coloro che, sia pure non dolosamente, producano e distribuiscano sostanze che presentino carenze degli elementi nutritivi richiesti dalle leggi vigenti: proprio tale finalità della disposizione censurata porterebbe ad escludere qualunque contrasto con l’art. 3 della Costituzione.

L’Avvocatura rileva ancora che, mentre le contravvenzioni di cui agli artt. 5 e 6 della legge n. 283 del 1962 mirerebbero a tutelare la salute pubblica, le disposizioni di cui agli artt. 515 e 516 del codice penale garantirebbero l’ordine economico.

Infine, ad avviso dell’Avvocatura, le contravvenzioni in esame non potrebbero essere ricomprese tra i reati "non eccessivamente gravi", come ritenuto dal Pretore, proprio perchè previste a salvaguardia della salute pubblica, bene essenziale, la cui tutela giustificherebbe l’immediata esecuzione della pena.

Considerato in diritto

1.— La questione di legittimità costituzionale investe l’art. 6, quinto comma, della legge 30 aprile 1962, n. 283, secondo il quale, in caso di condanna per frode tossica o comunque dannosa alla salute, non si applicano le disposizioni degli artt. 163 e 175 del codice penale, che disciplinano rispettivamente il beneficio della sospensione condizionale della pena e quello della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

Ad avviso del giudice remittente, la disposizione denunciata violerebbe l’art. 3 della Costituzione, poichè essa troverebbe applicazione solo con riferimento alle contravvenzioni per frode alimentare previste e punite negli artt. 5 e 6 della legge n. 283 del 1962, che si qualifichino come tossiche o comunque dannose alla salute, e non anche in relazione a delitti previsti dal codice penale a salvaguardia della salute alimentare dei cittadini, che presentino le medesime caratteristiche. I delitti, nel nostro ordinamento penale, sono considerati reati più gravi delle contravvenzioni, sicchè la circostanza che fattispecie meno gravi ricevano un trattamento meno favorevole di fattispecie più gravi sarebbe tale da comportare, di per sè, una lesione del principio di razionalità della denunciata disciplina delle frodi tossiche. Sotto un diverso profilo, sarebbe leso l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, posto che l’istituto della sospensione condizionale della pena risponde all’esigenza di rieducazione del condannato, che verrebbe frustrata se, per reati puniti con pene detentive di breve durata e più lievi di quelli per i quali pure é consentito al giudice disporre la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna, il soggetto fosse aprioristicamente escluso da tali benefici.

2.— La questione non é fondata.

Per quanto riguarda la pretesa irrazionalità, ipotizzata sulla base di un’interpretazione che esclude i benefici per le contravvenzioni e ne afferma invece la concedibilità per le ipotesi delittuose, nessun elemento testuale é suscettibile di avvalorarla. Al contrario, la formulazione dell’art. 6 consente di ritenere che il divieto di concessione dei benefici é operante quando si sia in presenza di un’attività di preparazione, produzione, commercio e vendita di sostanze che risultino tossiche o comunque dannose alla salute, allorchè sussistano elementi di frode.

La circostanza che la disposizione sia inserita nella legge n. 283 del 1962 che configura come contravvenzioni gli illeciti ivi specificamente previsti, compiuti nella produzione e nella vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, anzichè nel codice penale, dove pure sono disciplinati (al capo II del titolo VI) delitti di comune pericolo mediante frode, non é sufficiente a superare il suo chiaro tenore letterale e a far ritenere che essa non si applichi anche a tali delitti. La norma, infatti, non si riferisce alle singole enumerate fattispecie contravvenzionali, ma, con espressione generale ed onnicomprensiva, si estende a tutte le ipotesi di condanna (qualunque sia la natura del reato), nelle quali all’elemento del pericolo per la collettività, rappresentato dalla tossicità dell’alimento o della bevanda o comunque dalla sua possibile nocività per la salute, si accompagni quello della frode. Vi rientrano pertanto tutti i comportamenti fraudolenti, che, in quanto tali, sono normalmente sorretti dall’elemento soggettivo della volontà dolosa.

Il fatto che tale severa previsione sia stata introdotta solo successivamente, allorchè il legislatore ha posto mano ad una disciplina generale dell’igiene nella produzione degli alimenti e delle bevande, e non fosse invece già presente nel codice penale, che pure contempla delitti ascrivibili al genus delle frodi alimentari, trova giustificazione in ragioni di carattere storico. Il passaggio da una produzione alimentare su scala prevalentemente artigianale quale quella tenuta presente dal legislatore del 1930, che comportava una diffusione di prodotti in ambiti territoriali per lo più circoscritti, ad una produzione industriale di massa nella quale la frode alimentare di una singola impresa é suscettibile di mettere a repentaglio la salute dell’intera collettività nazionale, spiega l’opzione a favore di una specifica tecnica di tutela penale dei valori coinvolti; una opzione che, diversamente dalla generalità degli illeciti penali, rispetto ai quali può trovare applicazione — entro limiti di pena predeterminati — l’istituto della sospensione condizionale, privilegia il principio dell’effettività della espiazione della pena.

Voler restringere l’applicazione di tale principio agli illeciti meno gravi ed escluderla per le fattispecie manifestamente più gravi, nelle quali il pericolo di danno alla salute si accompagna ad una attività fraudolenta, significa imputare al legislatore valutazioni irrazionali che in nessun modo sono desumibili dal tenore letterale della disposizione contenuta nell’art. 6, quinto comma, della legge n. 283 del 1962.

D’altra parte, la scelta del legislatore di accomunare delitti e contravvenzioni nella previsione di cui all’art. 6, quinto comma, della legge n. 283 del 1962 si inserisce in una linea di politica criminale che tende a sottoporre condotte particolarmente gravi nel comune sentire, pur qualificate come illeciti contravvenzionali, a un regime penale più severo, che é generalmente proprio dei delitti, come dimostrano le esclusioni oggettive di alcune contravvenzioni dall’amnistia (art. 2 d.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865; art. 3 d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75) e dalle sanzioni sostitutive delle pene detentive (art. 60 legge 24 novembre 1981, n. 689).

3.— Per quanto riguarda la pretesa contrarietà del sopracitato quinto comma dell’art. 6 all’art. 27, terzo comma, della Costituzione ed al principio in esso affermato secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, questa Corte deve ribadire che, pur essendo la finalità rieducativa qualità essenziale della pena, che l’accompagna dal suo nascere, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue (sentenze n. 313 del 1990 e n. 364 del 1988), concorrono con essa finalità di difesa sociale, che il legislatore é legittimato a perseguire purchè le sue valutazioni non eccedano i confini della discrezionalità politica e non si trasformino in arbitrio (sentenze n. 282 del 1989 e n. 264 del 1974). In questo senso la sospensione condizionale della pena non può dirsi postulata dalla Costituzione quale strumento assoluto e indefettibile per la rieducazione del condannato, essendo anch’essa rimessa, alla pari degli al-tri istituti di diritto penale, all’apprezzamento discrezionale del legislatore in via generale ed astratta prima ancora che a quello del giudice, da compiersi caso per caso. Spetta infatti al legislatore stabilire, quale condizione per l’applicabilità di tale istituto, che la condanna non superi un determinato ammontare, ma non può dirsi estraneo all’ambito delle sue valutazioni diversificare talune categorie di reati e negare la concessione del beneficio in fattispecie nelle quali la particolare gravità del reato emerga da elementi diversi dalla loro formale qualificazione (delitto o contravvenzione) o dalla pena edittale per esse prevista.

Il carattere di massa della produzione, della distribuzione e del consumo dei prodotti alimentari, l’inanità di qualsiasi cautela adottabile dai singoli consumatori, che non si risolva nel mero impraticabile rifiuto del rapporto di consumo, l’enorme diffusività del danno potenzialmente connesso ad ogni comportamento fraudolento nella produzione e nel commercio di sostanze alimentari costituiscono elementi che fanno apparire non irragionevole la scelta del legislatore intesa a realizzare, nelle frodi alimentari tossiche o comunque dannose alla salute, l’equilibrio tra le diverse finalità della pena, collegando la rieducazione ad alcuni aspetti — quali la qualificazione del reato come contravvenzionale, l’entità della pena edittale e la sua eventuale sostituibilità — ed attribuendo all’effettività dell’espiazione una specifica finalità di prevenzione, retribuzione e difesa sociale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, quinto comma, della legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265. Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Pretore di Benevento con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1997.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Carlo MEZZANOTTE

Depositata in cancelleria l'8 aprile 1997.