Sentenza n. 78

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SENTENZA N. 78

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI

- Dott.   Cesare RUPERTO

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof.    Valerio ONIDA

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA      

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi con ordinanze emesse il 10 ottobre 1995 dal Pretore di Saluzzo, il 18 aprile 1996 dal Pretore di Torino ed il 24 settembre 1996 dalla Corte di cassazione, rispettivamente iscritte ai nn. 345, 1287 e 1300 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 17 e 49, prima serie speciale, dell'anno 1996;

  udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 1997 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

  1. - Citata a giudizio davanti al Pretore di Saluzzo per rispondere del reato di commercio colposo di medicinali scaduti, l'imputata, con il consenso del pubblico ministero, chiedeva l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale nella misura di mesi due di reclusione, pena da sostituirsi con quella di lire 4.500.000 di multa, previa qualificazione del fatto contestato nell'ipotesi di reato prevista dagli artt. 452 e 443 del codice penale (commercio o somministrazione colposa di medicinali guasti) e concessione delle circostanze attenuanti generiche.

  Il Pretore, premesso di non poter accogliere la richiesta per l'ostacolo derivante dall'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ha sollevato, su eccezione della difesa, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della detta disposizione della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui esclude che le sanzioni sostitutive si applichino ai reati previsti dall'art. 452 del codice penale.

  Secondo il giudice a quo il principio di eguaglianza risulterebbe vulnerato per l'irragionevole disparità di trattamento, ai fini dell'applicazione delle sanzioni sostitutive, riservata a chi ponga in essere il reato di omicidio colposo e di lesioni colpose (anche se con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro che abbiano determinato le conseguenze previste nel primo comma, numero 2, o dal secondo comma, dell'art. 583 del codice penale: v. sentenza n. 249 del 1993) che può essere ammesso al detto regime pur avendo leso il bene della vita e dell'incolumità individuale, con un comportamento, per di più (nel caso dell'omicidio colposo), assoggettato ad un regime sanzionatorio di maggior rigore, e chi abbia semplicemente posto in pericolo il bene della vita o dell'incolumità personale, non ammesso, invece, ad usufruire del detto regime (si richiamano, al riguardo, le sentenze n. 249 del 1993 e n. 254 del 1994).

  2. - Nel corso di un processo penale per il reato di somministrazione colposa di medicinali guasti, reato previsto dagli artt. 443 e 452 del codice penale, l'imputata domandava l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 e seguenti del codice di procedura penale, con richiesta di sostituzione della pena detentiva nella pena pecuniaria corrispondente; il pubblico ministero rifiutava il consenso per l'ostacolo derivante dall'art. 60, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, alla applicazione delle sanzioni sostitutive al reato contestato.

  Con ordinanza del 18 aprile 1996 il Pretore di Torino ha allora sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 60, primo comma, della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui non consente l'applicazione delle sanzioni sostitutive previste dalla medesima legge al reato di cui all'art. 452, ultimo comma, del codice penale, in relazione all'art. 443 dello stesso codice.

  Premette il giudice a quo che la ratio della esclusione dal regime delle sanzioni sostitutive, da individuare qui in una particolare rilevanza della tutela della salute pubblica, é divenuta contraddittoria sia alla stregua della sopravvenuta produzione normativa sempre volta alla protezione del medesimo bene giuridico sia con riferimento all'estensione dell'applicabilità delle sanzioni sostitutive per effetto dell'istituto del "patteggiamento" ed all'innalzamento dei limiti di pena stabiliti per l'applicabilità delle diverse sanzioni sostitutive.

  Sotto il primo profilo, si sottolinea come l'art. 23, comma 3, del decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178, commini l'arresto fino ad un anno e l'ammenda fino a lire dieci milioni per la condotta di chi "mette in commercio specialità medicinali per le quali non sia stata rilasciata, ovvero sia stata sospesa o revocata l'autorizzazione del Ministero della sanità". Una fattispecie che, benchè contravvenzionale, appare volta a reprimere anche comportamenti più gravi di quelli previsti dagli artt. 443 e 452 del codice penale (si fa l'esempio della commercializzazione di un farmaco rivelatosi dannoso per il quale sia stata revocata o sospesa l'autorizzazione del Ministero della sanità) e che, nonostante ciò, non é di ostacolo all'applicazione delle sanzioni sostitutive.

  Donde l'irrazionalità di una simile diversità di trattamento, accentuata dal fatto che, mentre i reati rientranti nella previsione dell'art. 452 del codice penale sono esclusivamente di natura colposa, l'art. 23 del decreto legislativo n. 178 del 1991 comprende anche violazioni dolose nei confronti delle quali, applicando le sanzioni sostitutive, può essere irrogata la sola pena pecuniaria.

  Sotto il secondo profilo, il giudice a quo, premesso come é ormai tutto l'impianto delle esclusioni oggettive previsto dall'art. 60 della legge n. 689 del 1981 a risultare intrinsecamente contraddittorio, addita, con riferimento alla medesima tipologia del reato contestato, la previsione dell'art. 441 del codice penale (adulterazione e contraffazione di altre cose in danno della pubblica salute) non compresa nell'elenco dei reati esclusi dal regime delle sanzioni sostitutive malgrado sia punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni (o con la multa non inferiore a lire seicentomila). Con la conseguenza, davvero irrazionale, alla stregua del disposto dell'art. 452, secondo comma, del codice penale, che lo stesso fatto se commesso con dolo é assoggettato al regime della sostituzione, mentre se commesso con colpa ne resta escluso.

  3. - Con ordinanza del 24 settembre 1996 la Corte di cassazione, pronunciando su ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino avverso la sentenza della stessa Corte di appello che aveva condannato un imputato del delitto di cui agli artt. 444 e 452 del codice penale (commercio colposo di sostanze alimentari nocive) alle pene di mesi due, giorni venti di reclusione e lire 300.000 di multa, con sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria determinata in lire due milioni, premesso che il ricorso avrebbe dovuto trovare accoglimento, per la preclusione all'applicabilità delle sanzioni sostitutive derivante dal disposto dell'art. 60, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale di tale norma della legge n. 689 del 1981 "nella parte in cui esclude l'applicabilità "di dette sanzioni" al reato "di cui all'art. 452, con riferimento all'art. 444" del codice penale.

  Sottolinea il giudice a quo lo "squilibrio" determinatosi nel sistema a seguito dell'abrogazione dell'art. 54 della legge n. 689 del 1981, ad opera dell'art. 5, comma 1-bis, del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito nella legge 12 agosto 1993, n. 294, che, consentendo l'applicazione delle sanzioni sostitutive anche a reati non attribuiti alla competenza del pretore, autorizza ora l'operatività di tali sanzioni per violazioni non ricomprese nella previsione della norma denunciata perchè precedentemente appartenenti alla cognizione del tribunale. Con conseguenze irragionevoli solo soffermandosi all'esame di previsioni di reati che tutelano beni omogenei, come la salute pubblica protetta dalla norma incriminatrice nella specie contestata. Così da autorizzare l'operatività del regime di cui all'art. 53 e seguenti della legge n. 689 del 1981 relativamente a reati previsti nella forma dolosa, come quello contemplato dall'art. 441 del codice penale, e da non consentirla, invece, per reati che, pur tutelando il medesimo bene giuridico, sono previsti nella forma colposa.

  4. - In nessuno dei tre giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri nè si é costituita la parte privata.

Considerato in diritto

  1. - Le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe. I relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

  2. - Comune oggetto di censura é l'art. 60, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non consente l'applicabilità delle sanzioni sostitutive contemplate dall'art. 53 e seguenti della stessa legge al reato previsto dall'art. 452, secondo comma, del codice penale.

  Più in particolare, tutte le ordinanze di rimessione si inseriscono nell'ambito di procedure di applicazione di pena su richiesta delle parti o già instaurate e concluse (così l'ordinanza della Corte di cassazione, pronunciata a seguito di ricorso del pubblico ministero che aveva contestato la sostituzione della pena operata dal giudice di merito, per essere il reato di cui all'art. 452, secondo comma, del codice penale sottratto all'applicabilità del regime delle sanzioni sostitutive) ovvero di cui era stata richiesta l'instaurazione (così le ordinanze del Pretore di Saluzzo e del Pretore di Torino, pronunciate nel corso di procedimenti per i reati derivanti dal combinato disposto degli artt. 452, secondo comma, e 443 del codice penale, l'una adottata in presenza della richiesta dell'imputato e del concomitante consenso del pubblico ministero, l'altra conseguente alla sola richiesta dell'imputato di fronte alla quale il pubblico ministero aveva espresso il suo dissenso).

  Dunque, pur nella varietà delle fattispecie concrete (nei procedimenti davanti ai Pretori di Saluzzo e di Torino l'imputazione "patteggiata" nel primo caso, e la richiesta di applicazione della pena ex art. 444 e seguenti del codice di procedura penale, nell'altro caso, concernevano l'aver detenuto per il commercio medicinali guasti; nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, invece, la sentenza di applicazione della pena su richiesta era stata illegittimamente pronunciata per il reato di cui al combinato disposto degli artt. 452, secondo comma, e 444 del codice penale, vale a dire, commercio di sostanze alimentari nocive), tutte le ordinanze perseguono il medesimo petitum, denunciando l'art. 60 della legge n. 689 del 1981 in quanto non prevede l'applicabilità del regime della sostituzione delle pene detentive brevi al reato colposo di cui all'art. 452, secondo comma, del codice penale.

  Comune é, ancora, il parametro invocato, cioé l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento, ai fini dell'applicabilità del regime di cui all'art. 53 e seguenti della legge n. 689 del 1981, fra tipologie di reato relativamente alle quali la possibilità di accesso alle sanzioni sostitutive resta irrimediabilmente preclusa (l'art. 452, secondo comma, del codice penale, nelle sue diverse combinazioni con le previsioni descrittive di reati dolosi ciascuna delle quali assimilabile, sul piano della struttura materiale della fattispecie, al corrispondente schema colposo) e altre ipotesi di reato tutte richiamate dalla previsione ora ricordata ma caratterizzate, sul piano soggettivo, dalla natura intenzionale del comportamento addebitato.

  Non unanime é però l'indicazione del tertium comparationis. Infatti, il richiamo ad una categoria omogenea di reati, ognuno caratterizzato dalla lesione o dalla messa in pericolo della pubblica salute, fa emergere come dato cruciale di rilevanza interpretativa, dal quale poi procedere al vaglio della legittimità della norma denunciata, il capovolgimento di regime derivante dall'applicabilità delle sanzioni sostitutive a taluni dei reati dolosi e, più in particolare, a quello previsto dall'art. 441 del codice penale, ammesso alla sostituzione, a differenza della corrispondente ipotesi colposa, tanto da accostarsi, evocando tale precetto - non risultando nei processi a quibus alcuna imputazione che coinvolga il combinato disposto di questa norma con l'art. 452, secondo comma, del codice penale - alla censura di irrazionalità intrinseca. Non manca, peraltro, chi, esorbitando dalla comparazione comunemente utilizzata, addita come ulteriore canone di raffronto una disciplina extra codicistica volta a tutelare il medesimo bene giuridico protetto dall'art. 452, secondo comma, del codice penale. E' il caso dell'ordinanza del Pretore di Torino che, pur non omettendo di operare il consueto raffronto tra le norme del codice penale contemplanti ipotesi colpose ed ipotesi dolose di reato, individua un diverso, forse ancor più specifico, tertium. Proprio avuto riguardo all'imputazione nella specie elevata, il giudice a quo ha, infatti, ravvisato come ulteriore indice della disparità di trattamento la previsione contenuta nell'art. 23, comma 3, del decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178, che, recependo una direttiva della Comunità economica europea in materia di medicinali, reprime con l'arresto fino ad un anno e con l'ammenda fino a lire sei milioni la condotta di chi "mette in commercio specialità medicinali per le quali non sia stata rilasciata o confermata, ovvero sia stata sospesa o revocata l'autorizzazione del Ministero della sanità", una fattispecie, dunque, rispetto alla quale la pena é sostituibile, a norma dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981, a differenza di quella comminata dall'art. 452, secondo comma, del codice penale.

  Ancora, tutte e tre le ordinanze di rimessione invocano la medesima ratio decidendi delle sentenze n. 249 del 1993 e n. 254 del 1994; in un caso, peraltro (quello preso in esame dal Pretore di Saluzzo), introducendo come termine di raffronto anche la norma risultante dalla dichiarazione di illegittimità pronunciata dalla prima decisione di questa Corte adesso ricordata. E ciò perchè l'illegittimità dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui stabilisce che le pene sostitutive non si applicano al reato previsto dall'art. 590, secondo e terzo comma, del codice penale, limitatamente ai fatti commessi per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro, che abbiano determinato le conseguenze previste dal primo comma, numero 2, o dal secondo comma, dell'art. 583 dello stesso codice, segnala l'ulteriore disparità di trattamento ai fini dell'ammissione al regime delle sanzioni sostitutive tra il reato di cui all'art. 452, secondo comma, di natura colposa, che pone soltanto in pericolo la vita e l'incolumità individuale, e i reati previsti dagli artt. 589 e 590, pur essi connotati dal medesimo atteggiarsi dell'elemento soggettivo, ammessi al detto regime nonostante contemplino ipotesi di effettiva lesione della vita o della incolumità personale.

  3. - La questione é fondata.

  E' necessario, anzi tutto, ricordare - anche per le indifferibili iniziative di cui, alla stregua delle argomentazioni che seguono, dovrà farsi necessariamente carico il legislatore, al quale questa Corte aveva già da tempo segnalato l'incongruità della disposizione adesso denunciata - che il regime delle esclusioni oggettive dalle sanzioni sostitutive quale delineato dall'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, rispondeva, al momento della sua introduzione, ad una precisa ratio di prevenzione generale che sembra ormai essersi dissolta in conseguenza delle novazioni normative nel frattempo intervenute. Del resto, fin dall'entrata in vigore della legge ora citata di "Modifiche al sistema penale", non si era mancato di rilevare come il catalogo delle esclusioni, il più delle volte conformato in rapporto a specifiche fattispecie di reato, avrebbe potuto provocare, nel caso di introduzione di nuove fattispecie accostabili, sul piano dell'interesse protetto dalla norma penale, a quella esclusa, uno squilibrio nell'intero microsistema delle esclusioni oggettive. Una conseguenza non riparabile altrimenti, stante l'impossibilità di un automatico inserimento nel medesimo elenco, ove l'esclusione già prevista non risultasse individuata attraverso l'indicazione dell'interesse protetto o di categorie di interessi protetti, se non utilizzando la tecnica legislativa - non informata, certo, a criteri di rigore - dell'immediata inclusione del nuovo reato nel catalogo di cui all'art. 60. Al contempo, essendo le fattispecie criminose in ordine alle quali le sanzioni sostitutive erano di possibile applicazione circoscritte ai reati di competenza del pretore, diveniva chiaro come sarebbe stato sufficiente un ampliamento di tale competenza per compromettere la razionalità dell'intera disciplina delle esclusioni oggettive tutte le volte in cui alla cognizione pretorile venissero attribuiti reati diretti alla protezione del medesimo bene giuridico, ma contrassegnati da maggiore gravità sul piano sanzionatorio, proprio perchè precedentemente attribuiti alla cognizione del tribunale e, quindi, non oggetto di possibile sostituzione.

  Una previsione non avveratasi in conseguenza delle modifiche apportate alla competenza pretorile in forza della parziale modifica dell'art. 31 del codice di procedura penale del 1930 a seguito dell'aggiunta di un secondo comma ad opera dell'art. 11 della legge 31 luglio 1984, n. 400, forse soltanto per la disomogeneità degli interessi tutelati dalle previsioni di reato attribuite alla nuova competenza del pretore rispetto a quelle escluse dall'accesso alla sostituzione, ma che avrebbe, invece, rivelato tutta la sua rispondenza all'assetto normativo in tal modo strutturato dall'art. 60 della legge n. 689 del 1981, così da segnalare subito l'incongruenza della norma ora denunciata e la sua impossibilità di vivere ancora a lungo nel sistema, in conseguenza dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale.

Il codice del 1988, infatti, da un lato, inserendo fra i procedimenti semplificati di deflazione dei dibattimenti l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, ha reso possibile, a seguito dell'accordo fra imputato e pubblico ministero, l'applicazione di una sanzione sostitutiva entro i limiti quantitativi indicati dall'art. 444, comma 1, del codice di procedura penale (con in più la previsione di un'apposita riduzione "premiale"); mentre, dall'altro lato, con l'innalzare, ratione poenae e ratione materiae (quest'ultimo per ipotesi di reato indicate nominatim) la competenza pretorile, non avrebbe potuto non determinare, per la latitudine delle innovazioni, quel paventato squilibrio tra fattispecie "nuove" non ricomprendibili nel perimetro dell'art. 60 e fattispecie escluse proprio in forza di detta norma in quanto non appartenenti all'originaria cognizione pretorile.

  D'altro canto, il rischio del sopravvenire di vere e proprie disparità di trattamento, insite nella indicazione, ad excludendum, di singole ipotesi di reato era, sin dalla sua genesi, destinato a prospettarsi tutte le volte in cui fossero assoggettate ad una disciplina sanzionatoria di pari o di maggiore gravità reati contrassegnati dalla comune protezione di un interesse omogeneo.

  4. - La problematica concernente i rapporti tra sanzioni sostitutive e "patteggiamento", non mancò di investire questa Corte in epoca immediatamente successiva all'entrata in vigore del codice del 1988, incentrandosi la parte più significativa delle denunce di illegittimità costituzionale sull'ampliamento della competenza pretorile rispetto a processi in corso alla data di entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale e che proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti; ma la Corte (v. ordinanza n. 489 del 1990), ritenendo che fosse stato erroneamente chiamato in causa l'art. 444 del codice di procedura penale, dovendo, invece, il giudice a quo dolersi sia della normativa transitoria sia dell'art. 54 della legge n. 689 del 1981 e dell'art. 7 del codice di procedura penale, dichiarò manifestamente inammissibile la questione.

  I sintomi di una vera e propria rottura sistematica emergono, ancora, dal reiterato ricorso al controllo di legittimità costituzionale, in relazione a reati di competenza del pretore, esclusi dall'applicabilità delle sanzioni sostitutive, e taluni reati di competenza del tribunale non compresi nell'elenco di cui all'art. 60 della legge n. 689 del 1981, ma per i quali l'accesso al regime della sostituzione restava impedito dal disposto dell'art. 54 della stessa legge, che riservava ai soli reati la cui cognizione é attribuita al pretore il ricorso ad un simile trattamento sanzionatorio (v. ordinanze, di manifesta infondatezza, n. 442 del 1991, n. 319 del 1992).

  5. - La seconda problematica, quella interna al procedimento davanti al pretore, avrebbe presto mostrato le incongruenze di un assetto normativo che, facendo irrompere nella cognizione del pretore reati già di competenza del tribunale, avrebbe inevitabilmente comportato, anche (ma non solo) utilizzando la procedura di cui all'art. 444 e seguenti del codice di procedura penale, la possibilità di accedere al regime delle sanzioni sostitutive di fattispecie omologhe pur se assoggettate ad una più severa sanzione penale per l'incidenza del comportamento sull'interesse protetto, fino a far ravvisare un vero e proprio rapporto di progressività tra le fattispecie, rispetto a quelle ricomprese nell'elenco di cui all'art. 60 della legge n. 689 del 1981.

  Con sentenza n. 249 del 1993 questa Corte, infatti, pronunciò la prima delle dichiarazioni di illegittimità dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui stabiliva che le pene sostitutive non si applicano al reato di lesioni colpose previsto dall'art. 590, secondo e terzo comma, del codice penale, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro che abbiano determinato le conseguenze previste dal primo comma, numero 2, o dal secondo comma dell'art. 583 dello stesso codice.

  Una questione, quella sottoposta allora all'esame della Corte, scaturente dalla chiara disparità di trattamento ravvisata tra il reato di lesioni colpose commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro, che abbiano determinato l'indebolimento permanente di un senso o di un organo ovvero una malattia da definire gravissima ai sensi del secondo comma dell'art. 583 del codice penale, escluso dalle sanzioni sostitutive, ed il reato di omicidio colposo che, invece, nonostante la sua maggiore gravità, avrebbe potuto accedere al regime di sostituzione della pena.

  L'evidente distonia creatasi nel sistema a seguito dell'attribuzione alla cognizione pretorile del delitto di omicidio colposo aveva, infatti, comportato la perdita automatica di "qualsiasi ragion d'essere" della preclusione sancita dall'art. 60 della legge n. 689 del 1981, che inibisce l'applicazione delle sanzioni sostitutive al reato di lesioni colpose (sia pure qualificato dalla tipologia delle norme violate e dalla gravità della malattia prodotta); considerando il rapporto "di naturale continenza che lega fra loro il delitto di omicidio colposo e quello di lesioni personali colpose nell'ipotesi in cui entrambe le fattispecie siano state realizzate con violazione delle norme volte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro, finisce per risultare ictu oculi carente di ragionevolezza e si presenta perciò stesso fortemente lesivo del principio di eguaglianza, un complesso normativo che consente di beneficiare delle sanzioni sostitutive chi ha posto in essere, fra due condotte gradatamente lesive dell'identico bene, quella connotata da maggiore gravità, discriminando, invece, il fatto che meno offende lo stesso valore giuridico" (sentenza n. 249 del 1993).

  Sembra utile rammentare che lo stesso legislatore delegato ebbe a prospettarsi il problema della congruità della permanenza delle esclusioni oggettive previste dall'art. 60 della legge n. 689 del 1981 (anche con riferimento alla norma dichiarata illegittima dalla sentenza ora richiamata) nel corso dei lavori preparatori del codice di rito.

  Più in particolare, la Relazione al Progetto preliminare (pag. 238), dopo aver premesso che "caratteristica del nuovo "patteggiamento é anche la sua generale applicabilità, nei limiti di pena della direttiva 45, in quanto non sono previste esclusioni soggettive (del genere di quelle dell'art. 80 l. n. 689) od oggettive (in relazione a specifici reati o categorie di reati)", nel richiamare le successive stesure di quello che sarebbe divenuto, poi, l'art. 2, numero 45, della legge-delega, ebbe a precisare che l'espressione "l'applicazione delle sanzioni sostitutive nei casi consentiti" stava ad indicare, "da un lato, che il legislatore delegato non ha il compito di specificare, al di là delle previsioni del delegante, i casi in cui é consentita l'applicazione delle pene su richiesta delle parti e, dall'altro, che l'applicazione delle sanzioni sostitutive su richiesta é ammessa nei soli casi in cui queste sanzioni risultano applicabili in generale (indipendentemente cioé dalla richiesta delle parti) in base alla l. n. 689 del 1981, che le ha introdotte nel nostro sistema e le disciplina"". E, pur se venne posta in risalto la necessità di un apposito intervento normativo, da operare "probabilmente in sede di coordinamento", al precipuo scopo di "cancellare la distonia derivante dalla inapplicabilità, a norma dell'art. 60, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, delle sanzioni sostitutive (ex officio o a istanza di parte, previste dall'art. 53 e seguenti di detta legge) al reato di lesioni colpose in relazione a fatti commessi con violazione delle norme sull'igiene del lavoro che abbiano determinato le conseguenze previste dal primo comma, n. 2, e dal secondo comma dell'art. 583 del codice penale", e che, "invece, resterebbero applicabili all'omicidio colposo commesso con violazione delle stesse norme", l'unica risposta intervenuta in tale sede (art. 234 delle norme di coordinamento) resta l'abrogazione degli artt. 77, 78, 79 e 80 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Ciò proprio perchè "la fisionomia attribuita al patteggiamento nel nuovo codice non lasci incertezze in ordine al carattere assorbente di tale disciplina rispetto a quella risalente alla legge n. 689/1981 (v. Relazione al Progetto preliminare delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie"). Significativo del riconoscimento dell'importanza della tematica in questione appare, peraltro, il suggerimento (anche se, forse, non del tutto appropriato, attesa la natura dell'intervento, di predominante valenza sostanziale) formulato, in sede di parere sul Progetto definitivo delle norme di coordinamento, dalla Commissione parlamentare (secondo parere, pag. 8), di "prendere attentamente in esame, nell'espletamento di quanto previsto dalla legge delega, la possibilità di una modifica del codice di procedura penale".

6. - La "novellazione" della legge 24 novembre 1981, n. 689, ad opera del decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito, con modificazioni, nella legge 12 agosto 1993, n. 296, ha reso ancor più palesi le additate discrasie, sia per la parte in cui il detto testo normativo ha disposto, sia per la parte in cui ha omesso di provvedere.

  Sotto il primo profilo, per un verso, l'art. 53 della legge n. 689 del 1981 é stato modificato dall'art. 5 del detto decreto-legge n. 187 del 1993, prevedendosi un'estensione quoad poenam dell'applicabilità delle sanzioni sostitutive (un anno anzichè sei mesi per la semidetenzione, sei mesi anzichè tre mesi per la libertà controllata, tre mesi anzichè un mese per la pena pecuniaria), per un altro verso, l'art. 5, comma 1-bis dello stesso decreto-legge, ha abrogato l'art. 54 della legge n. 689 del 1981, così da sopprimere quella condizione precedentemente operante per le sanzioni sostitutive costituita dall'essere i reati per cui si procede attribuiti alla cognizione del pretore (anche se giudicati, per effetto della connessione, da un giudice superiore). L'effetto abrogativo, infatti, anche per la sua complementarità con i nuovi contenuti dell'art. 53 della legge n. 689 del 1981, consente, dunque, l'accesso alle sanzioni sostitutive, considerate sia le diminuzioni ordinarie di pena sia (nel caso di definizione del processo attraverso la pena patteggiata) la diminuzione "speciale" prevista dall'art. 444, comma 1, del codice di procedura penale, pure a reati di particolare gravità, tenuto conto della possibilità di applicare il disposto dell'art. 53 della legge n. 689 del 1981 ai reati di competenza del tribunale e della corte di assise.

  Sotto il secondo profilo, rimaneva intatta l'obsoleta catalogazione contenuta nell'art. 60 della legge ora ricordata e che, soprattutto per le ipotesi di esclusione previste nominatim (ma non soltanto per queste), diveniva un dato normativo suscettibile di far emergere incongruenze nell'intero sistema delle esclusioni oggettive, mai neppure ritoccato in sede legislativa.

  7. - Proprio l'indicazione nominativa delle fattispecie escluse dalla sostituzione ha determinato questa Corte ad incidere nuovamente sull'art. 60 della legge n. 689 del 1981. Con sentenza n. 254 del 1994, é stata, infatti, dichiarata l'illegittimità di tale norma "nella parte in cui esclude che le pene sostitutive si applichino ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento".

  Pure qui viene in considerazione il principio di eguaglianza attraverso la concomitante evocazione di tertia comparationis individuati in fattispecie di reato, sopravvenute alla norma di cui é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale, tali da indicare la predisposizione di "un vero e proprio sistema repressivo "antinquinamento", talora con dirette interferenze nell'area della legge n. 319 del 1976 - dal quale rimaneva estraneo il regime dei divieti di cui all'art. 60 della legge n. 689 del 1981". Così da pervenire alla conclusione che "fattispecie aventi identica obiettività giuridica" rispetto alla normativa denunciata, pur essendo più gravemente sanzionate, rimangono comunque ammesse alla sostituzione della pena.

  Di qui la constatazione dell'esistenza di un "sistema assolutamente squilibrato, restando assoggettate al trattamento preclusivo soltanto le previsioni espressamente indicate dalla norma denunciata": con la conseguente arbitrarietà di tale preclusione. Un'arbitrarietà non intrinseca alla singola esclusione, sicuramente congrua al momento di entrata in vigore della legge n. 689 del 1981, ma scaturente dalla sopravvenienza di analoghe norme protettive nella specifica materia.

  Non mancò, peraltro, la Corte di additare al legislatore la necessità "al fine di scongiurare il prodursi di ulteriori squilibri e di ulteriori arbitrarie discriminazioni" di pervenire ad una più puntuale opera di coordinamento del regime dei divieti, rifuggendo da una parcellizzazione normativa per ipotesi di reato previste nominatim (così, ancora, la sentenza n. 254 del 1994), segnalando come la modifica legislativa intervenuta nel 1993 avesse direttamente inciso sull'istituto dell'applicazione della pena su richiesta, "una volta affermata la cumulabilità delle due richieste" (quella di "patteggiamento" e quella volta all'applicazione di una sanzione sostitutiva), "i cui conseguenti effetti deflattivi possono risultare consistentemente rafforzati". Il che non poteva significare se non che l'immobilità delle previsioni dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981 rischiasse di porsi anche in linea di controtendenza rispetto ai fini perseguiti dal legislatore con la "novellazione" dell'art. 53 e l'abrogazione dell'art. 54 della legge n. 689 del 1981.

  L'accresciuto, insistente ricorso successivo al giudizio di legittimità costituzionale sta, del resto, ancora una volta, a dimostrare (al di là del contenuto delle singole decisioni adottate da questa Corte) l'esistenza di un diffuso inquietante malessere dei giudici a quibus nella applicazione del limite preclusivo stabilito dalla norma pure adesso denunciata.

  8. - Ad una pronuncia di illegittimità costituzionale non può, dunque, sottrarsi l'art. 60 della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui preclude l'applicabilità delle sanzioni sostitutive relativamente ai reati previsti dall'art. 452, secondo comma, del codice penale (delitti colposi contro la salute pubblica).

  Nonostante la varietà dei tertia evocati, l'illegittimità della norma denunciata emerge, in forza dei due termini di comparazione, entrambi indicati dal Pretore di Torino ed uno solo di essi chiamato in causa dalla Corte di cassazione: si tratta, da un lato, dell'art. 23, comma 3, del decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178, e, dall'altro lato, dell'art. 441 del codice penale.

Che queste debbano essere le norme da utilizzare per la necessaria opera di raffronto deriva, più in particolare, dalla considerazione che voler far derivare l'illegittimità della norma ora ricordata dalla dichiarazione di illegittimità della preclusione all'accesso alle sanzioni sostitutive relativamente al delitto di lesioni colpose, appare operazione non corretta, sia per l'impossibilità di utilizzare come tertium tanto l'art. 589 quanto l'art. 590 del codice penale contrassegnati da un'obiettività giuridica non riferibile a quella alla base delle previsioni dei "delitti di comune pericolo mediante frode", sia perchè la dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata dalla sentenza n. 249 del 1993 resta rigorosamente ancorata, non soltanto al principio di "progressività della violazione", ma anche alla irruzione nel sistema, in forza dell'art. 7, comma 2, lettera h , del codice di procedura penale, della norma che attribuisce al pretore la cognizione del reato di omicidio colposo, anche se commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro.

  9. - Ancora una volta, dunque, così come si é verificato in occasione della dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 254 del 1994, é una norma sopravvenuta a rivelare subito l'irragionevolezza di un sistema normativo che preclude l'applicabilità delle sanzioni sostitutive relativamente a reati qualificabili come meno gravi, consentendola, invece, per l'immobilità dell'elenco previsto dall'art. 60 della legge n. 689 del 1981, relativamente a fattispecie da considerare di pari o maggiore gravità, incidenti nella medesima materia, ma tuttavia ammessi alla sostituzione.

  Si tratta, più in particolare, del decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178, che, nel recepire le direttive della Comunità economica europea in materia di specialità medicinali, punisce (art. 23, comma 3) con l'arresto sino a un anno chiunque mette in commercio specialità medicinali per le quali l'autorizzazione all'immissione al commercio non sia stata rilasciata o confermata ovvero sia stata sospesa o revocata, o specialità medicinali aventi una composizione dichiarata diversa da quella autorizzata.

La comune obiettività giuridica di tale disposizione rispetto a quelle di cui al capo III, del titolo VI, del libro secondo del codice penale (ricavabile univocamente dal riferimento alle sostanze medicinali da parte degli artt. 440, terzo comma, 441, 443, 445, del codice penale, tutti richiamati dall'art. 452, secondo comma, dello stesso codice), conduce alla conclusione che, al di là della sua natura contravvenzionale, la violazione é da ritenere, sia in rapporto alla sanzione comminata, sia con riferimento alla possibilità che la condotta rilevi anche nella forma intenzionale, di maggiore gravità rispetto alla previsione dell'art. 452, secondo comma, del codice penale, che contempla la riduzione da un terzo alla metà della pena prevista per i reati di cui agli artt. 443 e 444 dello stesso codice, quando gli stessi siano commessi per colpa. Il tutto, peraltro, con il frequente rilievo del principio di specialità - significativo proprio nei casi sottoposti al giudizio del Pretore di Saluzzo e del Pretore di Torino - che conduce a ravvisare una irragionevole disparità di trattamento in punto di applicazione delle sanzioni sostitutive.

  Ma un contributo decisivo, questa volta interno al sistema codicistico, al fine di pervenire all'univoco riconoscimento dell'incongruenza della norma censurata, deriva dalla constatazione della irragionevolezza dell'assoggettamento di una previsione colposa, avente ad oggetto la commercializzazione, lato sensu intesa, di sostanze alimentari (e di medicinali) ad un trattamento più severo, relativamente all'accesso al regime delle sanzioni sostitutive, rispetto a quella dolosa contemplata con riguardo alle medesime sostanze.

  Significativa é, appunto, la previsione dell'art. 441 del codice penale che punisce con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire seicentomila chiunque adultera o contraffà, in modo pericoloso per la salute pubblica, cose destinate al commercio diverse dalle sostanze alimentari; un reato la cui pena é sostituibile se commesso intenzionalmente, e la cui sostituzione ove assuma la forma colposa resta preclusa dal precetto dell'art. 452, secondo comma, del codice penale.

  Ma, solo se appena si prosegua nella verifica delle fattispecie previste dal capo II del titolo III, ancor più irragionevole si rivela il raffronto, ora istituibile in forza dell'abrogazione dell'art. 54 della legge n. 689 del 1981, con il reato, previsto nell'art. 440 del codice penale, di adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari, con un aumento di pena in caso di adulterazione o contraffazione di sostanze medicinali, per cui é comminata la reclusione da tre a dieci anni. Una pena sostituibile, in forza della possibile applicazione di attenuanti e della riduzione premiale nella forma dolosa e non sostituibile, sempre in forza dell'art. 452, secondo comma, del codice penale, nella forma colposa.

Con la conseguenza che non può, certo, sottrarsi alla dichiarazione di illegittimità costituzionale l'art. 60 della legge 689 del 1981 là dove esclude dalla applicabilità delle sanzioni sostitutive tutte le ipotesi contemplate dall'art. 452, secondo comma, del codice penale, e ciò perchè quest'ultima norma, oltre a caratterizzarsi per il richiamo alle singole fattispecie dolose, resta definita dall'omogenea modalità di determinazione della pena (riduzione da un terzo a un sesto rispetto alla pena prevista per le corrispondenti fattispecie dolose).

La matrice comune delle previsioni colpose rispetto a quelle dolose conduce, dunque, a ravvisare nel combinato disposto degli artt. 60 della legge n. 689 del 1981 e 452, secondo comma, del codice penale una norma istituente una discriminazione palesemente arbitraria quanto alla possibilità di accedere al regime delle sanzioni sostitutive.

  10. - La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 60, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui esclude che le pene sostitutive si applichino ai reati previsti dall'art. 452, secondo comma, del codice penale, non é in grado, peraltro, di cancellare la distonia, già più volte stigmatizzata, dell'intero microsistema delle esclusioni oggettive dalle sanzioni sostitutive.

  L'applicabilità di tali sanzioni a prescindere dalla competenza, per di più, ma non soltanto, attraverso l'utilizzazione del "patteggiamento", rende, perciò, indifferibile un intervento del legislatore che ridetermini l'ambito delle esclusioni oggettive, secondo criteri che precludano il perpetuarsi delle disparità di trattamento inevitabilmente ricollegata alle successioni normative - tanto di natura sostanziale quanto di natura processuale - sopra ricordate.

  Tutto ciò pure al fine di scongiurare l'eventualità che, dalla fino ad ora necessaria parcellizzazione degli interventi demolitori di questa Corte, debba pervenirsi alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'intero art. 60 della legge n. 689 del 1981, con la conseguenza di eliminare ogni preclusione oggettiva all'accesso alle sanzioni sostitutive, mentre tali preclusioni potrebbero esplicare, secondo valutazioni peraltro rimesse al legislatore, in relazione agli interessi di volta in volta protetti dalla norma penale, una efficace funzione di prevenzione generale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui esclude che le sanzioni sostitutive si applichino ai reati previsti dall'art. 452, secondo comma, del codice penale.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1997,

Renato GRANATA, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore.

Depositata in cancelleria il 3 aprile 1997.