Sentenza n. 51

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SENTENZA N. 51

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido N-EPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 2, e 299 cod. proc. pen. e del combinato disposto degli artt. 34, 279 e 299 dello stesso codice, promossi con ordinanze emesse il 17 novembre 1995 dalla Corte d'assise di Reggio Calabria, il 16 aprile 1996 dal Tribunale di Catanzaro e il 4 marzo 1996 dalla Corte d'assise di Reggio Calabria, rispettivamente iscritte ai nn. 210, 611 e 617 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11 e 27, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 novembre 1996 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

 

1.- Con due ordinanze di identico contenuto, emesse il 17 novembre 1995 (reg. ord. n. 210 del 1996) ed il 4 marzo 1996 (reg. ord. n. 617 del 1996), la Corte d'assise di Reggio Calabria ha sollevato, in relazione agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che nel dibattimento ha adottato misure coercitive nei confronti dell'imputato.

Nei due giudizi la Corte d'assise, competente ad applicare le misure cautelari quale "giudice che procede" (art. 279 cod. proc. pen.), aveva disposto, su richiesta del pubblico ministero e nella medesima composizione, la custodia cautelare in carcere di imputati nel procedimento in corso.

Il giudice rimettente osserva che questa situazione è distinta da quella che ha dato luogo alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dello stesso art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva l'incompatibilità a partecipare al giudizio del giudice per le indagini preliminari che avesse applicato una misura cautelare personale (sentenza n. 432 del 1995). Essendo i casi di incompatibilità tassativi, il giudice rimettente ritiene di non poter dare alla disposizione che li prevede una interpretazione analogica o estensiva. Tuttavia lo stesso giudice ricorda che l'applicazione di misure che limitano la libertà personale presuppone l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza. In altri termini occorrono elementi probatori che, nel loro complesso, consentano di pervenire ad un giudizio di alta probabilità in ordine all'esistenza del reato ed alla sua attribuibilità all'imputato. Questa valutazione del giudice chiamato ad applicare all'imputato, nel corso del dibattimento, la custodia cautelare in carcere, non ha carattere formale, bensì di contenuto, giacché riguarda la probabile fondatezza dell'accusa e l'inesistenza di condizioni che possano legittimare il proscioglimento.

Anche in questo caso, come in quello del giudice del dibattimento che quale giudice per le indagini preliminari ha adottato un analogo provvedimento, vi sarebbe un legittimo interesse dell'imputato a non essere giudicato da un giudice che ha già espresso, sia pure doverosamente, una valutazione dei medesimi fatti oggetto del giudizio. Si dovrebbero, pertanto. estendere anche a questo nuovo caso i principi sulla incompatibilità del giudice, già enunciati dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 432 del 1995).

2.- E’ intervenuto nei due giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

Avvocatura ritiene che l'incompatibilità dedotta dalla Corte d'assise di Reggio Calabria trovi origine nella occasionale discontinuità temporale, dovuta alla durata dell'istruzione dibattimentale, tra il momento in cui è stata emessa l'ordinanza di custodia cautelare e quello in cui sarà pronunciata la sentenza che definisce il dibattimento. Il dubbio di legittimità costituzionale non avrebbe avuto ragione di essere sollevato, se il provvedimento cautelare e la definizione del giudizio avessero avuto luogo contestualmente, nella stessa udienza.

Ad avviso dell'Avvocatura, si tratterebbe di verificare se il giudice del dibattimento, dopo aver emesso l'ordinanza che applica una misura cautelare personale all'imputato, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza, possa procedere al giudizio finale senza che vi sia sospetto di prevenzione. La questione, valutata prescindendo dagli elementi accidentali costituiti dalla pluralità di udienze dibattimentali e dalla discontinuità temporale dei provvedimenti, sarebbe del tutto infondata. Un'opinione contraria, difatti, porterebbe a negare al giudice il potere di disporre qualsiasi cosa nel dibattimento, giacché ogni provvedimento implica l'assunto, da dimostrare mediante l'istruzione dibattimentale, che l'accusa sia provvista di un certo fondamento.

3. - Il Tribunale di Catanzaro, investito nel corso del dibattimento della decisione sulla istanza dell'imputato di revoca della custodia in carcere, ha sollevato, con ordinanza emessa il 16 aprile 1996 (reg. ord. n. 611 del 1996), due questioni di legittimità costituzionale, che riguardano:

a)           l'art. 299 cod. proc. pen., che - nella parte in cui preclude, dopo il decreto di rinvio a giudizio, la valutazione della persistenza della gravità degli indizi di colpevolezza che legittima il mantenimento della misura cautelare personale - sarebbe in contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione;

b)           il combinato disposto degli artt. 34, 279 e 299 cod. proc. pen., che - nella parte in cui attribuisce al giudice del dibattimento, anziché ad un diverso ed autonomo giudice, la competenza a decidere sull'istanza di revoca della misura cautelare proposta dall'imputato, determinando una manifesta incompatibilità per il giudizio principale - sarebbe in contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione.

Il Tribunale di Catanzaro rileva che, secondo la giurisprudenza prevalente, dopo il decreto che dispone il giudizio (art. 429 cod. proc. pen.) sarebbe precluso un nuovo esame della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Lo stesso giudice ricorda che è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 309 e 310 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedevano la possibilità di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nell'ipotesi in cui fosse stato emesso il decreto di rinvio a giudizio (sentenza n. 71 del 1996). Ad avviso del giudice rimettente, se si ritenesse che tale pronuncia non comprenda anche la valutazione delle istanze di revisione di provvedimenti cautelari nel corso del dibattimento, dovrebbe essere dichiarata l'illegittimità costituzionale anche dell'art. 299 cod. proc. pen., nella parte in cui preclude, dopo il rinvio a giudizio, la valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Il Tribunale di Catanzaro ritiene di dovere, comunque, procedere all'esame nel merito dell'istanza di revoca della misura cautelare proposta dall'imputato, essendo stati dedotti fatti nuovi, e di dovere prendere cognizione non solo degli atti che compongono il fascicolo dibattimentale o sono stati allegati dalla parti alle rispettive richieste, ma anche degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero. In tal modo, tuttavia, verrebbe compromessa la terzietà e la necessaria neutralità del giudice del dibattimento. Difatti, decidere in materia cautelare comporterebbe l'apprezzamento della esistenza di gravi indizi di colpevolezza che, attraverso l'esame delle risultanze investigative, implicherebbe un controllo inquisitorio, sia pure incidentale, estraneo alla fase accusatoria, che caratterizza il giudizio dibattimentale. Sicché, ad avviso del giudice rimettente, l'attribuzione (stabilita dal combinato disposto degli artt. 34, 279 e 299 cod. proc. pen.) della competenza a decidere sulle istanze in materia di custodia cautelare al giudice del dibattimento, anziché ad un diverso ed autonomo giudice, determinerebbe un'incompatibilità a giudicare il merito della questione principale.

Il dubbio di legittimità costituzionale è prospettato in riferimento: a) all'art. 3, primo comma, della Costituzione, giacché, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della mancata previsione dell'incompatibilità per il giudizio del giudice per le indagini preliminari che ha applicato all'imputato una misura cautelare personale (sentenza n. 432 del 1995), la situazione considerata resterebbe regolata in modo diverso senza che sia giustificata una differente disciplina; b) all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, giacché la pronuncia del giudice del dibattimento sulla revoca della misura cautelare influenzerebbe l'imparzialità del giudizio di merito; c) all'art. 25, primo comma, della Costituzione, perché non sarebbe rispettato il principio del giudice naturale, che sarebbe invece garantito se la competenza sulle istanze concernenti la libertà personale fosse attribuita al giudice per le indagini preliminari, considerato giudice di cognizione inquisitoria.

Considerato in diritto

 

 1.- I dubbi di legittimità costituzionale riguardano:

a) l'incompatibilità del giudice del dibattimento che ha emesso o debba pronunciarsi su di un provvedimento di custodia cautelare nei confronti dell'imputato;

b) la preclusione, dopo il decreto di rinvio a giudizio, della possibilità di valutare la persistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai fini del mantenimento della custodia cautelare dell'imputato.

1.1. - Le questioni concernenti 19incompatibilità del giudice sono state proposte con distinte prospettive.

La Corte d'assise di Reggio Calabria - competente ad applicare le misure cautelari quale "giudice che procede" (art. 279 cod. proc. pen.) - dopo aver emanato, su richiesta del pubblico ministero, un provvedimento di custodia in carcere nei confronti degli imputati, ritiene che l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che ha applicato al medesimo imputato, nei confronti del quale si svolge il giudizio, una misura coercitiva, contrasti con gli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione.

Si tratterebbe di una situazione analoga a quella del giudice del dibattimento che, quale giudice per le indagini preliminari, ha applicato una misura cautelare personale, situazione questa per la quale la mancata previsione dell'incompatibilità è già stata dichiarata costituzionalmente illegittima (sentenza n. 432 del 1995).

Inoltre la valutazione dell'esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell'imputato, che è il presupposto per l'adozione della custodia cautelare, inciderebbe sul diritto a non essere giudicato da un giudice che ha espresso una valutazione sui medesimi fatti oggetto del giudizio.

1.2.-Il Tribunale di Catanzaro, chiamato a pronunciarsi sulla istanza dell'imputato di revoca della custodia cautelare, richiama gli stessi principi sopra enunciati in materia di incompatibilità del giudice, ma prospetta in modo diverso la questione di legittimità costituzionale. Difatti denuncia il contrasto, con gli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, della Costituzione, del combinato disposto degli artt. 34, 279 e 299 cod. proc. in cui attribuisce la competenza a pronunciarsi sui provvedimenti cautelari concernenti la libertà personale dell'imputato al giudice del dibattimento, anziché ad un diverso ed autonomo giudice, determinando così una manifesta incompatibilità a giudicare il merito del giudizio principale.

1.3.- Altra e diversa questione, sollevata dal Tribunale di Catanzaro in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, investe l'art. 299 cod. proc. pen., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, precluderebbe di valutare, dopo il decreto di rinvio a giudizio, la persistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai fini della revoca di una misura cautelare.

2.- Le diverse questioni, attinenti all'incompatibilità del giudice ed all'adozione di misure cautelari, sono connesse e possono essere decise con unica pronuncia.

3.- La questione che investe l'art. 34 cod. proc. pen. per la omessa previsione dell'incompatibilità del giudice che abbia adottato, in dibattimento, la misura della custodia cautelare in carcere dell'imputato, è inammissibile.

La Corte d'assise di Reggio Calabria rileva che la competenza ad adottare misure cautelari personali spetta al giudice che procede (art. 279 cod. proc. pen.) e, quindi, al giudice del dibattimento quando sia investito del giudizio. Si tratta di una competenza accessoria, che si radica in capo al giudice in ragione di quella principale, che gli è propria, del giudizio sul merito.

Il giudice rimettente vorrebbe che, esercitata incidentalmente la competenza accessoria, venga sostanzialmente meno quella principale, a causa dell'incompatibilità che ritiene si determini.

L'esito prefigurato finirebbe con l'attribuire alle parti la potestà di determinare l'incompatibilità nel corso del giudizio del quale il giudice è già investito. Difatti, in qualsiasi momento del dibattimento, il pubblico ministero potrebbe chiedere l'applicazione di una misura cautelare nei confronti dell'imputato, e quest'ultimo, là dove la misura sia stata, anche in Precedenza, adottata, chiederne la revoca. Con l'effetto configurabile in base alla Prospettazione della questione delineata dal giudice rimettente, che il giudice già investito del giudizio verrebbe spogliato del giudizio stesso in ragione del compimento di un atto processuale Cui è tenuto, a seguito dell'istanza di una parte. Alla scelta processuale di quest'ultima sarebbe, in definitiva, rimessa la permanenza della titolarità del giudizio in capo al giudice che ne è investito. Esito, questo, non solo irragionevole, ma anche in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge, dal quale l'imputato verrebbe o potrebbe chiedere di essere distolto.

Difatti, per un verso, con la Pronuncia sulla custodia cautelare non solo verrebbe meno la possibilità di proseguire il dibattimento ma, addirittura, tale situazione, determinata da istanze sempre riproponibili dalle parti, Potrebbe ripetersi

indefinitamente anche nel dibattimento che, a seguito della incompatibilità, abbia avuto di nuovo inizio con una diversa composizione dell'organo giudicante. Per altro verso, affermandosi una incompatibilità derivante dalla pronuncia accessoria sulla libertà personale, il giudizio principale verrebbe sottratto, quale effetto dell'iniziativa e della scelta di una parte, al giudice già investito del merito.

Così come prospettata dal giudice rimettente, la questione non può, dunque, avere ingresso.

4.- Egualmente inammissibile, ma per una diversa ragione. è la questione relativa alla medesima incompatibilità del giudice Proposta dal Tribunale di Catanzaro chiamato a pronunciarsi, in dibattimento, sull'istanza di revoca di una misura cautelare Personale.

Anche il Tribunale di Catanzaro Prende in considerazione la Competenza, principale, del giudice del dibattimento per il giudizio di merito, e la competenza, accessoria, dello stesso giudice per la Pronuncia sulle misure cautelari personali nel corso del dibattimento. Ma, diversamente dalla Corte d'assise di Reggio Calabria, vorrebbe che l'effetto di incompatibilità per il giudizio, che ritiene si determini con la pronuncia incidentale sulla libertà personale dell'imputato a causa della conoscenza degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, possa essere prevenuto ed escluso attribuendo ad altro e diverso giudice la competenza sulle misure cautelari.

La questione, così come viene prospettata, indipendentemente da ogni valutazione nel merito, implica o prefigura molteplici scelte, rimesse al legislatore. Difatti non sarebbe l'unica, né sarebbe necessitata, la soluzione adombrata dal giudice rimettente - e senza qui valutare se si tratti di un'ipotesi correttamente percorribile - di una permanente competenza per le misure coercitive rimessa al giudice per le indagini preliminari, quale giudice più idoneo in ragione di una (asserita) connotazione inquisitoria del giudizio cautelare.

5. - Il Tribunale di Catanzaro dubita, inoltre, della legittimità costituzionale dell'art. 299 cod. proc. pen., nella parte in cui, secondo l'interpretazione che considera diritto vivente, precluderebbe, nel giudizio di revoca delle misure coercitive, di valutare nuovamente, dopo il decreto di rinvio a giudizio, la persistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

La questione è infondata.

La Corte ha già affermato (sentenza n. 71 del 1996; ed anche ordinanze nn. 123, 212 e 314 del 1996) che il decreto che dispone il giudizio non può ritenersi in alcun modo assorbente rispetto alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, che sostengono l'adozione ed il mantenimento delle misure cautelari personali, ed ha quindi dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che, nel riesame o nell'appello in materia di. misure cautelari (artt. 309 e 310 cod. proc. pen.), non prevedono la possibilità di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza quando sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio (art. 429 cod. proc. pen.). Tale decisione si riflette, evidentemente, anche sulla revoca e sulla sostituzione delle misure cautelari. Difatti il decreto che dispone il giudizio, pur dando ingresso alla successiva fase del processo, non ha più il valore di una definitiva valutazione dell'esistenza di gravi indizi, tale da fondare la previsione di una probabile condanna.

Rimane, dunque, esclusa la preclusione, ipotizzata dal giudice rimettente, di un nuovo apprezzamento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, nel giudizio sulla revoca delle misure cautelari personali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1)           dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale:

a) dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d'assise di Reggio Calabria con le ordinanze indicate in epigrafe;

b)           del combinato disposto degli artt. 34, 279 e 299 cod. proc. pen., sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro con l'ordinanza indicata in epigrafe;

2)           dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 299 cod. proc. pen., sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1997.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Cesare MIRABELLI

Depositata in cancelleria il 28 febbraio 1997.