Ordinanza n. 7

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ORDINANZA N. 7

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-         Dott. Renato GRANATA, Presidente

-         Prof. Giuliano VASSALLI

-         Prof. Francesco GUIZZI

-         Prof. Cesare MIRABELLI

-         Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

-         Avv. Massimo VARI

-         Dott. Cesare RUPERTO

-         Dott. Riccardo CHIEPPA  

-         Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-         Prof. Valerio ONIDA

-         Prof. Carlo MEZZANOTTE

-         Avv. Fernanda CONTRI  

-         Prof. Guido NEPPI MODONA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 181, primo comma, del codice di procedura civile, come novellato dall'art. 4, comma 1-bis, della legge 20 dicembre 1995, n. 534 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432 recante interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo) e 309 del codice di procedura civile, promossi con le ordinanze emesse l'11 gennaio 1996 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Milano, il 23 gennaio 1996 dal Pretore di Monza, l'11 gennaio 1996 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Milano, il 18 maggio, il 14 maggio, 1l 13 maggio, il 18 maggio ed il 14 maggio 1996 dal Pretore di Monza rispettivamente iscritte ai nn. 431, 446, 453, 455, 603, 738, 739, 740, 741 e 742 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20, 21, 27 e 34, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 dicembre 1996 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto che il Tribunale di Milano, con quattro ordinanze di identico contenuto emesse nell'ambito di altrettanti procedimenti civili, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 97 della Costituzione, dell'art. 181, primo comma, del codice di procedura civile, nel testo novellato dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534;

che il giudice a quo, dopo aver brevemente ricostruito l'iter che ha portato alla graduale entrata in vigore della legge 26 novembre 1990, n. 353, di riforma del processo civile, osserva che l'art. 181 cod. proc. civ., per effetto del richiamo contenuto nell'art. 309 cod. proc. civ., si applica non solo alla prima udienza di comparizione davanti al giudice istruttore, bensì anche alle successive udienze, ivi comprese quelle davanti al collegio;

che la norma impugnata, dopo essere stata modificata dall'art. 16 della legge n. 353 del 1990, è stata nuovamente ritoccata, in sede di conversione del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, con la sostanziale reintroduzione della versione precedentemente vigente, sicché attualmente la cancellazione della causa dal ruolo può avvenire solo ad una successiva udienza fissata dal giudice, della quale il cancelliere deve dare comunicazione alle parti costituite;

che il ripristino del sistema della cancellazione a seguito di una doppia udienza confliggerebbe sotto molti profili con il parametro di cui all'art. 97 della Costituzione, da ritenersi applicabile anche all'attività di amministrazione della giustizia, poiché l'immediata cancellazione della causa dal ruolo, in caso di mancata comparizione di tutte le parti, determinava notevoli risparmi di energie lavorative ed una maggiore concentrazione del processo;

che con sei ordinanze di contenuto fra loro assai simile anche il Pretore di Monza ha sollevato analoga questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, primo comma, e 97 della Costituzione, dell'art. 309 cod. proc. civ. nel testo risultante dal rinvio contenuto nell'art. 181, primo comma, cod. proc. civ., come modificato dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534;

che nelle ordinanze di rimessione il Pretore, oltre a dubitare della legittimità costituzionale della norma impugnata in riferimento all'art. 97 della Costituzione, con argomentazioni concettualmente analoghe a quelle svolte dal Tribunale di Milano, rileva che la medesima si porrebbe in contrasto anche con gli artt. 3, secondo comma, e 24, primo comma, della Costituzione, perché il dilazionamento dei tempi del processo, rimesso al sostanziale arbitrio dei difensori, determinerebbe una lesione dell'effettività della tutela giurisdizionale, comportando anche la sottrazione di risorse finanziarie che potrebbero essere utilmente destinate a migliorare la funzionalità del servizio giustizia;

che nei giudizi davanti alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate vengano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.

Considerato che i giudizi, concernendo questioni di identico contenuto, vanno riuniti per essere decisi contestualmente;

che, con riferimento alla denunciata violazione dell'art. 97 Costituzione, questa Corte ha più volte affermato (v., da ultimo, sentenza n. 84 del 1996 e sentenza n. 313 del 1995) che il principio del buon andamento della pubblica amministrazione attiene esclusivamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari, con esclusione della funzione giurisdizionale nel suo complesso;

che le censure poste in relazione agli artt. 3, secondo comma, e 24, primo comma, della Costituzione, si risolvono nel prospettare alla Corte l'opportunità di una diversa disciplina del processo, finalizzata al miglior funzionamento della giustizia civile, con ciò ponendo un problema di politica legislativa (v. ordinanza n. 114 del 1984;

che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il legislatore, nel regolare il funzionamento del processo, dispone della più ampia discrezionalità, sicché le scelte concretamente compiute sono sindacabili soltanto ove manifestamente irragionevoli (v. sentenza n. 65 del 1996 e sentenza n. 295 del 1995);

che i lamentati inconvenienti di fatto derivanti dall'applicazione di norme non possono costituire unico fondamento di questioni di legittimità costituzionale.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 181, primo comma, e 309 del codice di procedura civile sollevate, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, primo comma e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Milano e dal Pretore di Monza con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 1997.

Renato GRANATA, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 10 gennaio 1997.