Ordinanza n. 433 del 1996

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ORDINANZA N. 433

 

ANNO 1996

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-     Dott. Renato GRANATA, Presidente

 

-     Prof. Cesare MIRABELLI

 

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

-     Avv. Massimo VARI

 

-     Dott. Cesare RUPERTO

 

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

 

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

 

-     Prof. Valerio ONIDA

 

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

 

-     Avv. Fernanda CONTRI

 

-     Prof. Guido NEPPI MODONA

 

-     Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 34 cod. proc. pen., anche in relazione all'art. 449, commi 1 e 3, cod. proc. pen., e dell'art. 566, comma 6, cod. proc. pen., promossi con ordinanze emesse il 20 febbraio 1996 dal Pretore di Reggio Calabria, il 1° giugno 1996 dal Tribunale di Roma e il 23 maggio 1996 dal Pretore di Ancona, rispettivamente iscritte ai nn. 608, 809 e 830 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 27, 36 e 37, prima serie speciale, dell'anno 1996.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 13 novembre 1996 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

 

RITENUTO che il Pretore di Reggio Calabria, con ordinanza emessa il 20 febbraio 1996 (reg. ord. n. 608 del 1996), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il pretore che ha partecipato all'udienza di convalida dell'arresto, adottando all'esito di questa una misura cautelare personale;

 

che il giudice rimettente, richiamando la dichiarazione di illegittimità costituzionale della stessa disposizione, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che ha applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato (sentenza n. 432 del 1995), ritiene che anche l'omessa previsione dell'incompatibilità nel caso del giudizio direttissimo comporti una menomazione dell'imparzialità del giudice, considerata espressione del diritto di difesa (art. 24 Cost.), e leda il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), perché i due casi sono diversamente disciplinati, mentre sarebbe identica la forza di prevenzione derivante dalla valutazione di merito sulla gravità degli indizi a carico dell'imputato;

 

che il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 1° giugno 1996 (reg. ord. n. 809 del 1996), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., in relazione all'art. 449, commi 1 e 3, dello stesso codice, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il giudice che ha convalidato l'arresto ed eventualmente adottato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato;

 

che il giudice rimettente prospetta la menomazione dell'imparzialità del giudice in termini analoghi a quelli in precedenza esposti;

 

che il Pretore di Ancona, con ordinanza emessa il 23 maggio 1996 (reg. ord. n. 830 del 1996), unendo il testo di una propria precedente ordinanza le cui prospettazioni richiama per proporre nuovamente identico quesito, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 2, e 566, comma 6, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono l'incompatibilità del pretore del dibattimento a giudicare l'imputato nei cui confronti abbia applicato una misura cautelare;

 

che anche il Pretore di Ancona propone il dubbio di legittimità costituzionale in termini analoghi a quelli proposti dal Pretore di Reggio Calabria e dal Tribunale di Roma;

 

che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza delle questioni.

 

CONSIDERATO che le questioni di legittimità costituzionale concernono la mancata previsione dell'incompatibilità a partecipare al giudizio direttissimo del giudice (pretore o tribunale) che, all'esito del giudizio di convalida dell'arresto, ha disposto una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato, e sono prospettate da tutte le ordinanze di rimessione in termini e con argomenti identici o analoghi;

 

che i relativi giudizi possono pertanto essere riuniti per essere decisi congiuntamente;

 

che con la sentenza n. 177 del 1996 è stata già dichiarata non fondata, in riferimento agli artt. 24 e 101 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'omessa previsione dell'incompatibilità per il giudizio di merito del pretore che, investito del giudizio direttissimo, abbia convalidato l'arresto e disposto una misura cautelare nei confronti dell'imputato;

 

che nel giudizio direttissimo, sia dinanzi al pretore sia dinanzi al tribunale (disciplinato, rispettivamente, dall'art. 566 cod. proc. pen. e dall'art. 449, commi 1 e 3, cod. proc. pen.), è attribuita alla cognizione del giudice competente per il merito la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio, cui accede ogni altro provvedimento cautelare: il giudice del dibattimento, al quale è presentato l'imputato per il giudizio direttissimo, si pronuncia pregiudizialmente sull'esistenza dei presupposti che gli consentono di procedere immediatamente al giudizio ed è competente ad adottare incidentalmente misure cautelari, attratte nella competenza per la cognizione del merito;

 

che non può, quindi, essere configurata una menomazione dell'imparzialità del giudice che adotta decisioni preordinate al proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso, né una violazione del principio di eguaglianza, essendo la situazione considerata diversa da quella, esaminata con la sentenza di questa Corte n. 432 del 1995, del giudice del dibattimento che in precedenza, quale giudice per le indagini preliminari, abbia adottato una misura restrittiva della libertà personale (ordinanze n. 267 e 316 del 1996);

 

che le questioni vanno quindi dichiarate manifestamente infondate (ordinanza n. 284 del 1996).

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale -- o dell'art. 34, comma 2, ovvero dell'art. 34, comma 2, in relazione all'art. 449, commi 1 e 3, cod. proc. pen. -- e dell'art. 566, comma 6, cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3 -- o 3, primo comma --, 24 -- o 24, secondo e terzo comma --, 25, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Reggio Calabria, dal Tribunale di Roma e dal Pretore di Ancona con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996.

 

Renato GRANATA, Presidente

 

Cesare MIRABELLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1996.