Sentenza n. 382 del 1996

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N.382

 

ANNO 1996

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

 

-     Prof. Luigi MENGONI

 

-     Prof. Enzo CHELI

 

-     Dott. Renato GRANATA

 

-     Prof. Giuliano VASSALLI

 

-     Prof. Francesco GUIZZI

 

-     Prof. Cesare MIRABELLI

 

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

-     Avv. Massimo VARI

 

-     Dott. Cesare RUPERTO

 

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

 

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

 

-     Prof. Valerio ONIDA

 

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica) promossi con ordinanza emessa il 28 luglio 1995 dal Pretore di Vigevano nel procedimento civile vertente tra Patella Bernarda e Ministero dell'interno, iscritta al n. 877 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1995, e con ordinanza emessa il 25 ottobre 1995 dal Pretore di Fermo nel procedimento civile vertente tra Giardini Paolo e Ministero dell'interno, iscritta al n. 887 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell'anno 1995.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1996 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Nel corso del procedimento civile promosso con ricorso di Bernarda Patella nei confronti del Ministero dell'interno avverso la revoca dell'indennità di accompagnamento, di cui la ricorrente era titolare, disposta dalla Prefettura di Pavia, e la richiesta, ai sensi dell'art. 11, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), di restituzione dei ratei della predetta indennità percepiti dalla data dell'accertamento sanitario ad opera della Commissione medica per le pensioni di guerra e di invalidità civile, il Pretore di Vigevano, con ordinanza del 28 luglio 1995 (R.O. n. 877 del 1995), ha sollevato questione di legittimità costituzionale della predetta norma, nella parte in cui prevede che, in caso di accertata insussistenza dei requisiti prescritti per beneficiare di pensioni, assegni e indennità per invalidità civile, cecità civile e sordomutismo, e se il beneficiario non rinuncia a goderne dalla data dell'accertamento, sono assoggettati a ripetizione tutti i ratei versati nell'ultimo anno precedente la data stessa.

 

Ad avviso del giudice a quo (che pur sottolinea che -l'interessata con lettera raccomandata dell'8 novembre 1994 aveva comunicato di rinunciare al beneficio dalla data dell'accertamento della insussistenza dei quo,requisiti-), tale disposizione si porrebbe in contrasto anzitutto con l'art. 38, primo e secondo comma, della Costituzione, essendo gli emolumenti in questione utilizzati da chi è inabile al lavoro e spesso in condizioni di ridotte capacità economiche, e quindi soddisfa con gli importi percepiti le più elementari esigenze di vita. La restituzione degli importi già percepiti, e certamente già utilizzati, determinerebbe, quindi, gravi difficoltà a carico di tali categorie. E ciò a prescindere dalla sussistenza del dolo.

 

La normativa in esame lederebbe, altresì, il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, determinando un'ingiustificata disparità di trattamento tra i beneficiari delle provvidenze corrisposte dal Ministero dell'interno e i pensionati INPS, per i quali l'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 sancisce il divieto di ripetizione di prestazioni pensionistiche indebitamente erogate, salvo il caso di dolo dell'interessato.

 

Infine, sarebbe violato il diritto alla difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione, in quanto la norma costringerebbe in un certo senso i beneficiari ad accettare la revoca dell'emolumento, prevedendo, in caso di mancata adesione, il recupero dei ratei percepiti non solo dalla data dell'accertamento ma per tutto l'anno precedente l'accertamento stesso.

 

2. Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione.

 

Ha rilevato, in proposito, l'autorità intervenuta che la disposizione in esame ha la finalità di verificare la regolarità e legittimità dell'attribuzione dei benefici di cui si tratta. Ciò premesso, quanto meno dalla data di accertamento della mancanza dei requisiti per il godimento di tali benefici, sarebbe venuta meno la esigenza cui gli stessi sono preordinati, donde la non conferenza del richiamo all'art. 38 della Costituzione.

 

Né sarebbe censurabile il diverso trattamento riservato al titolare dell'indennità di accompagnamento, erogata dal Ministero dell'interno, rispetto alle prestazioni pensionistiche a carico dell'INPS, per la diversità delle situazioni poste a confronto. Infatti, mentre il comma 4 dell'art. 11 della legge n. 537 del 1993 prevede la ripetibilità dei ratei riscossi dal titolare del beneficio per il venire meno dei requisiti in base ai quali esso era stato concesso, l'art. 52 della legge n. 88 del 1989 riguarda gli errori commessi dagli enti erogatori di pensioni, prevedendo la irripetibilità delle somme riscosse in buona fede in ogni ipotesi di indebito, conseguente ad ogni possibile atto e a qualsiasi fase di gestione del rapporto pensionistico.

 

Non sussiste, infine, ad avviso dell'Avvocatura, violazione del diritto alla difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione, in quanto l'interessato può contestare l'accertamento negativo davanti all'autorità giudiziaria.

 

3. Nel corso del procedimento civile promosso da Paolo Giardini nei confronti del Ministero dell'interno, a seguito di revoca dell'indennità di accompagnamento, il Pretore di Fermo, con ordinanza del 25 ottobre 1995 (R.O. n. 887 del 1995), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 11, comma 4, della legge n. 537 del 1993, -nella parte in cui attribuisce al beneficiario di trattamento previdenziale o assistenziale la facoltà di rinunciare ad esso, esimendolo, in tale ipotesi, dalla responsabilità per pregresse indebite percezioni- anziché prevedere, eventualmente, una pura e semplice adesione ad un giudizio medico che lo riguardi.

 

Il giudice a quo, premesso che il ricorrente -ha rinunciato alla provvidenza prestando adesione alla revoca- e successivamente -ha richiesto la erogazione dell'indennità di accompagnamento già revocata dall'amministrazione competente, dopo aver rinunciato alla stessa, ex art. 11, comma 4, della competente-, rileva che la rinuncia alla provvidenza concerne il diritto all'assistenza, da considerarsi indisponibile in quanto diritto inviolabile (art. 2 della Costituzione), in forza di norma di rango costituzionale, e cioè l'art. 38 della Costituzione. Donde il contrasto con i richiamati parametri costituzionali.

 

Inoltre, ad avviso del rimettente, dovrebbe dubitarsi della piena capacità di autodeterminazione di un soggetto invalido, posto di fronte all'alternativa tra rinunciare alla provvidenza o rischiare la condanna alla restituzione di quanto già percepito, tra l'altro, sotto l'influenza del clima di contestazione che viene alimentato da una vasta campagna di propaganda nei confronti dei fruitori delle provvidenze assistenziali.

 

Le rinunce effettuate in tali condizioni potrebbero essere, quindi, ingiustificate, mentre quella di chi abbia dolosamente fruito di assistenza varrebbe come esimente, consentendogli di trattenere l'indebito, in violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza.

 

4. Anche in questo giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha rinviato alle considerazioni svolte con riferimento alla ordinanza n. 877 del 1995.

 

Considerato in diritto

 

1. Le questioni sottoposte all'esame della Corte concernono la medesima norma di cui all'art. 11, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), sia pure basandosi su diverse impostazioni. Il Pretore di Vigevano lamenta, infatti, che, in caso di accertata insussistenza dei requisiti prescritti per beneficiare di pensioni, assegni e indennità per invalidità civile, cecità civile e sordomutismo, qualora il beneficiario non rinunci a goderne dalla data dell'accertamento, la norma impugnata assoggetta a ripetizione tutti i ratei versati nell'ultimo anno precedente l'accertamento, in violazione dell'art. 38, primo e secondo comma, della Costituzione, privando gli interessati di emolumenti utilizzati per soddisfare le più elementari esigenze di vita; dell'art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento tra i beneficiari delle provvidenze corrisposte dal Ministero dell'interno e i pensionati INPS, per i quali l'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 sancisce il divieto di ripetizione di prestazioni pensionistiche indebitamente erogate, salvo il caso di dolo dell'interessato; dell'art. 24 della Costituzione, perché sarebbe violato il diritto alla difesa, in quanto la norma -costringerebbe- i beneficiari a rinunciare all'emolumento, prevedendo, in caso contrario, il recupero dei ratei percepiti non solo dalla data dell'accertamento ma per tutto l'anno precedente l'accertamento stesso (questione sollevata con l'ordinanza n. 877 del 1995).

 

La questione sollevata dal Pretore di Fermo concerne la stessa norma -nella parte in cui attribuisce al beneficiario di trattamento previdenziale o assistenziale la facoltà di rinunciare ad esso, esimendolo, in tale ipotesi, dalla responsabilità per pregresse indebite percezioni-, anziché prevedere, eventualmente, una pura e semplice adesione ad un giudizio medico che lo riguardi, con violazione degli artt. 2 e 38 della Costituzione, in quanto la rinuncia alla provvidenza concerne il diritto all'assistenza, che è un diritto inviolabile e, quindi, indisponibile; e dell'art. 3 della Costituzione per lesione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza. Infatti la rinuncia effettuata da un soggetto invalido, posto di fronte all'alternativa tra la rinuncia stessa o il rischio della condanna alla restituzione di quanto già percepito, e sotto l'influenza della campagna di propaganda contro i fruitori delle provvidenze in questione, potrebbe essere ingiustificata, mentre chi abbia dolosamente beneficiato dell'assistenza, attraverso la rinuncia godrebbe di un'esimente, trattenendo l'indebito (questione sollevata con l'ordinanza n. 887 del 1995).

 

2. I due giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza per evidenti ragioni di connessione.

 

3. Preliminarmente deve essere puntualizzato, ai fini della verifica dell'ambito della rilevanza delle questioni proposte, che in ambedue i procedimenti, nei quali sono state pronunciate le ordinanze di rimessione, si controverteva sulla indennità di accompagnamento e i titolari della indennità stessa avevano espresso, secondo le formalità previste, rinuncia a goderne dalla data dell'accertamento della insussistenza dei requisiti.

 

Di conseguenza, l'ammissibilità delle questioni deve essere circoscritta alla suddetta ipotesi di intervenuta rinuncia al godimento (con effetti dalla data dell'accertamento) dell'indennità di accompagnamento, mentre resta fuori l'alternativa (ipotetica e per nulla riferibile alle fattispecie in cui sono sorte le questioni) della ripetizione di tutti i ratei versati nell'ultimo anno precedente la data dell'anzidetto accertamento, che presuppone la mancata rinuncia a godere del beneficio.

 

4. Sulla "rinuncia a godere" i benefici, deve essere anzitutto osservato che non si tratta di rinuncia al diritto al trattamento assistenziale (indennità di accompagnamento nelle fattispecie in esame), ma semplicemente alla contestazione in sede giurisdizionale dell'accertamento, con la conseguenza che dalla data di esso sono da ritenersi in modo definitivo non sussistenti i requisiti previsti per il beneficio.

 

Tale adesione alle risultanze dell'accertamento non preclude ovviamente nel futuro (proprio perché non si può configurare una rinuncia per l'avvenire a chiedere, ottenere e godere di provvidenze assistenziali) di presentare nuova domanda (riferita a periodi successivi), sulla base della nuova situazione, qualora vengano a sussistere (o a ripristinarsi) tutti i requisiti prescritti per le provvidenze stesse.

 

Lo scopo della norma è duplice, cioè da un canto, nell'ambito del disegno complessivo di semplificazione ed accelerazione delle procedure, quello di cercare di ridurre il contenzioso prevedibile in conseguenza di verifiche e di riesame programmato con precedenza nelle zone a più alta densità (già nel complesso anomala) di beneficiari di pensioni, assegni ed indennità in materia di invalidità civile, cecità civile e sordomutismo; dall'altro, quello di dare un beneficio premiale, cioè di escludere completamente la ripetibilità per coloro che rinunciano al godimento dalla data dell'accertamento, realizzando un incentivo per la composizione consensuale di tutte le situazioni a rischio di revisione e di revoca per mancanza dei presupposti.

 

5. Del resto, non può non tenersi conto della specificità dell'indennità di accompagnamento, che costituisce -una particolare provvidenza in favore di soggetti non autosufficienti, al fine di porli in grado di far fronte alle esigenze di accompagnamento e di assistenza che quella condizione necessariamente comporta, consentendo loro condizioni esistenziali compatibili con la dignità della persona umana- (sentenze n. 193 del 1994, n. 88 del 1993 e n. 346 del 1989).

 

Tale particolare natura della indennità di cui si tratta, la quale si concretizza in un rimborso forfettario di spesa e di oneri particolari derivanti dallo stato elevato di invalidità o di menomazione, dà ragione, in caso di difetto dei presupposti per la erogazione della stessa, del trattamento differenziato rispetto al sistema della ripetibilità delle pensioni INPS. Infatti, nella fattispecie di indennità di accompagnamento, la mancanza dei requisiti prescritti coincide con il venir meno della esigenza di spesa (o dei maggiori oneri). Pertanto, cessano anche le esigenze di rimborso: in tal caso la corresponsione dell'indennità assumerebbe, quindi, il carattere di mera locupletazione senza giustificazione.

 

Né può essere invocato il principio di irripetibilità che non è generale, ma introdotto, con alterne vicende variate nel tempo nel settore INPS in parte derogatorio rispetto ai principi regolanti l'indebito nel codice civile, in relazione a particolari esigenze in quel differente settore pensionistico, e collegato in molti casi a comportamenti e ritardi addebitabili allo stesso ente.

 

6. Sulla base delle predette considerazioni risulta la infondatezza di tutte le questioni proposte. E' anzitutto da escludere la violazione dell'art. 38, primo e secondo comma, della Costituzione: trattandosi di indennità di accompagnamento, dei cui requisiti l'interessato ha riconosciuto la mancanza, è fuori questione il diritto al mantenimento e all'assistenza sociale, né vengono compromesse le esigenze di vita, non sussistendo la necessità di quelle spese che, sole, giustificano il beneficio assistenziale della indennità di accompagnamento.

 

Né è configurabile alcuna lesione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione in relazione alla evidenziata diversità di prestazioni e di presupposti, anche in considerazione della rinuncia dell'interessato.

 

Parimenti, è da escludere una menomazione al diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione, in quanto l'invalido, che subisce un accertamento negativo in ordine alla sussistenza dei requisiti prescritti, conserva ogni diritto di tutela giurisdizionale contro l'accertamento, essendo l'adesione una eventualità rimessa alla sua volontà.

 

Né è ravvisabile alcuna violazione dei principi derivanti dall' art. 2 della Costituzione, in quanto da un canto, come già sottolineato, la rinuncia al godimento non preclude la possibilità di chiedere e di fruire nel futuro della specifica forma di assistenza, quando vengano a sussistere o siano ripristinati i requisiti prescritti dalla legge; dall'altro, la garanzia della inviolabilità del diritto non equivale alla intangibilità di esso in presenza di modificazioni delle situazioni che ne costituiscono presupposto, né esclude la possibilità che l'interessato presti adesione ad un accertamento di insussistenza dei requisiti di legge, compiuto con tutte le garanzie procedimentali previste dall'ordinamento e suscettibile di sindacato giurisdizionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 38, primo e secondo comma, 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Vigevano, e, in riferimento agli artt. 2, 38 e 3 della Costituzione, dal Pretore di Fermo con le ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996.

 

Mauro FERRI, Presidente

 

Riccardo CHIEPPA, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 5 novembre 1996.