Sentenza n. 375 del 1996

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SENTENZA N. 375

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 7, e 5, comma 3, lettera a), del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 23 febbraio 1996 dal giudice designato della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, nei giudizi di responsabilità promossi dal Procuratore regionale nei confronti di Palillo Giovanni e di Gorgone Francesco Paolo ed altri, rispettivamente iscritte ai nn.523 e 869 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 25 e 29, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di costituzione del Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana della Corte dei conti;

udito nella camera di consiglio del 2 ottobre 1996 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.-- Con due ordinanze di identico contenuto -- emesse in data 23 febbraio 1996, nel corso di procedimenti cautelari promossi dal Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana nei confronti di Giovanni Palillo e di Francesco Paolo Gorgone ed altri -- il giudice designato per la conferma, modifica o revoca del decreto di sequestro conservativo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, primo comma, 97 e 101, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 7, e dell'art. 5, comma 3, lettera a), del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19.

Rammenta, in punto di fatto, il rimettente, che, in precedenza, il decreto presidenziale di sequestro aveva indicato, quale giudice designato per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti cautelari, la stessa sezione giurisdizionale la quale, all'udienza per la comparizione delle parti, aveva definito il procedimento, senza accogliere l'istanza del Procuratore regionale che ne richiedeva, invece, la sospensione, ai sensi dell'art.295 cod. proc. civ., motivando con l'avvenuto deferimento alle sezioni riunite, ai sensi dell'art. 1, comma 7, del menzionato decreto-legge, della questione di massima relativa alla sede, monocratica o collegiale, competente per l'adozione dei provvedimenti conseguenti al sequestro conservativo.

Riferisce, altresì, l'ordinanza che le sezioni riunite, con sentenza n. 24/QM pubblicata il 16 gennaio 1996, hanno affermato la competenza del giudice singolo, ai sensi dell'art. 5, comma 3, lettera a) del decreto- legge n. 453 del 1993, travolgendo gli atti adottati medio tempore dalla sezione giurisdizionale siciliana; in esecuzione della sentenza, il Presidente ha fissato l'udienza dinanzi al giudice singolo, designato per la conferma, modifica o revoca del decreto e in tale giudizio e' stata sollevata questione di legittimità costituzionale.

Secondo il rimettente, da detta sentenza e' dato desumere "con certezza l'esistenza di un diritto vivente che, proprio facendo punto sulla disposizione contenuta nell'art. 1, comma 7, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, e' nel senso di ammettere la generale potestà del Procuratore generale della Corte dei conti -- soggetto non solo estraneo all'apparato giudicante della Corte dei conti, ma posto al vertice dell'ufficio che esercita l'azione di responsabilità amministrativa e contabile -- e non anche delle altre parti processuali, di spostare ad altro giudice il potere-dovere di decidere sul punto o di un punto di diritto rilevante per la definizione del giudizio di merito, con effetti vincolanti per il giudice naturale precostituito per legge, anticipandone [...] ogni o la probabile manifestazione di volontà".

2.-- Muovendo da siffatta conclusione, da lui peraltro non condivisa, il giudice a quo ritiene di dover sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 7, del citato decreto-legge n. 453 del 1993, anzitutto per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, atteso che il secondo dei menzionati articoli, "alla luce del principio di eguaglianza, esclude che l'esercizio dell'azione possa essere condizionato da ingiustificati limiti soggettivi ed anzi garantisce l'effettiva eguaglianza delle parti processuali, attraverso il divieto di agevolazioni e di privilegi attribuiti senza ragionevole giustificazione alla parte pubblica in danno della controparte privata".

Viceversa, come emerge dal "diritto vivente sopra richiamato" la parte privata non ha, al contrario del Procuratore generale, alcuna possibilità di deferire la questione di massima alle sezioni riunite, ne' l'accettazione della rimessione della causa ad opera del Procuratore generale richiede un suo consenso esplicito; inoltre la sua presenza nel procedimento davanti alle sezioni riunite si riduce ad un fatto meramente formale, senza, per di più, considerare che, attraverso la richiesta alle sezioni riunite di risoluzione delle questioni di massima, il Procuratore generale può perfino precostituire, in suo favore, la decisione finale, avendo la facoltà di riproporre all'infinito anche una questione già risolta, in modo da ottenere una soluzione della causa collimante con le sue aspettative.

3.-- La medesima disposizione contrasterebbe, inoltre, con l'art.25, primo comma, della Costituzione, verificandosi "una oggettiva ed ingiustificata sottrazione della competenza" al giudice naturale, in quanto "i presupposti della rimessione (sussistenza di una questione di massima) appaiono generici e assolutamente discrezionali", e "la rimessione della questione di massima alle sezioni riunite, ancor prima che intervenga qualsiasi decisione del giudice di primo grado, incide direttamente sulla valutazione del merito della causa e, dunque, attiene all'effettivo e concreto esercizio della giurisdizione", tanto più quando una tale attività sia esercitata da una parte processuale, avuto altresì riguardo al fatto che l'ordinamento non ha previsto alcun sindacato dell'atto e del giudizio attributivi della competenza alle sezioni riunite.

4.-- Sotto il profilo del principio della indipendenza del giudice e della sua soggezione solo alla legge, sarebbe violato, infine, l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, non essendo consentito introdurre vincoli che abbiano oggettivamente il solo o principale effetto di ridurre il giudice a mero esecutore della decisione assunta da altri, precludendo perfino la più piccola espressione della sua volontà sulla decisione di questioni dalle quali dipende la soluzione della causa. E questo "soprattutto quando la soluzione dipenda dall'attività discrezionale di un soggetto che non solo e' partecipe dell'esercizio della funzione giurisdizionale, ma e' anzi parte processuale". Un soggetto che, secondo il diritto vivente, "ha la possibilità di anticipare, fin dall'inizio del processo, la decisione dei giudici di merito (di primo e secondo grado) su punti di diritto, non solo formali ma anche sostanziali, e di guidare la causa verso una determinata soluzione, indipendentemente dalla loro volontà". In particolare, il deferimento della questione di massima da parte del Procuratore generale può -- secondo l'ordinanza -- rappresentare un mezzo per imporre ai giudici di merito l'uniformità delle precedenti pronunzie delle sezioni riunite, disattendendo, così, il principio secondo il quale il vincolo posto da precedenti decisioni giurisprudenziali non può comportare una vera e propria esclusione del giudice di merito dal giudizio.

5.-- Anche l'art. 5, comma 3, lettera a), del decreto-legge n. 453 del 1993 forma oggetto di censura, così come interpretato dalla "assolutamente pacifica" giurisprudenza delle sezioni riunite, ovvero nel senso di individuare nel giudice singolo il soggetto appositamente incaricato dal Presidente della sezione giurisdizionale regionale di adottare l'ordinanza di cui al comma successivo. Viene, perciò, lamentato il contrasto con il principio di buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione, che, secondo la giurisprudenza, si riferisce "anche alla organizzazione degli uffici giudiziari", osservando che "il procedimento di sequestro conservativo nel giudizio di responsabilità amministrativa e contabile presenta rilevanti profili di irrazionalità", tali da pregiudicare l'efficienza dell'esercizio della funzione giurisdizionale.

Infatti, la norma denunciata, così come interpretata secondo il diritto vivente, rimettendo la verifica, in contraddittorio, della legittimità del decreto presidenziale di sequestro conservativo ad un giudice singolo, "che di regola e' un magistrato diverso dal Presidente", non solo appare difforme rispetto "alla ratio insita nell'analoga disciplina recata dalla normativa di riforma della giustizia civile alla quale la disposizione in questione si ispira", ma fa sì che la verifica delle ragioni delle parti venga svolta "da un giudice con qualifica e funzioni inferiori a quelle del Presidente della sezione giurisdizionale che ha adottato il decreto positivo o negativo di sequestro, e non viceversa".

Inoltre, detto Presidente, pur essendo posto al vertice della sezione giurisdizionale regionale, non potrebbe mai far parte del collegio giudicante quando questo sia chiamato a pronunciarsi sul reclamo, in virtù della incompatibilità disposta dall'art. 669-terdecies, comma 2, cod. proc. civ., "con la conseguenza che la sezione, proprio nella fase delicata ed importante dell'impugnazione dell'ordinanza emessa dal giudice singolo, e' costretta a decidere senza l'apporto del suo componente più qualificato ed esperto".

6.-- In punto di rilevanza, si afferma che qualora le norme denunciate venissero dichiarate incostituzionali verrebbe meno l'efficacia vincolante della sentenza delle sezioni riunite n. 24/QM del 16 gennaio 1996, e, con essa, non solo la competenza, ma anche la stessa potestas iudicandi del giudice singolo.

7.-- In entrambi i giudizi di fronte alla Corte costituzionale si e' costituito il Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana della Corte dei conti, depositando due memorie, nelle quali si chiede che le questioni sollevate vengano dichiarate inammissibili o infondate.

Considerato in diritto

1.-- Poichè le ordinanze di rimessione sollevano identiche questioni, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza.

2.-- La Corte deve, anzitutto, pronunziarsi sull'ammissibilità della costituzione in giudizio del Procuratore regionale della Corte dei conti.

La giurisprudenza costituzionale ha già avuto occasione di evidenziare la specificità della posizione del pubblico ministero, soprattutto allorchè egli sia il titolare del potere d'impulso del processo, come, per l'appunto, nel caso del Procuratore regionale, che esercita l'azione di responsabilità e agisce sempre nell'interesse oggettivo dell'ordinamento, assumendo il ruolo di "organo di giustizia". In ragione di tale specificità, questa Corte (sentenza n. 1 del 1996;ordinanza n. 327 del 1995) ha escluso che la costituzione, nei giudizi incidentali di legittimità costituzionale, del pubblico ministero dei giudizi a quibus possa reputarsi prevista o disciplinata dalle norme generali e dalle norme integrative di procedura dinanzi alla Corte costituzionale e, al tempo stesso, di poter ricorrere all'applicazione, in via analogica, della disciplina dettata per le parti.

Sulla base di tali orientamenti, dai quali non vi é motivo di discostarsi, la costituzione del Procuratore regionale va, pertanto, dichiarata inammissibile.

3.-- Nel merito, le ordinanze di rimessione pongono in discussione la disciplina del processo innanzi alla Corte dei conti dopo le modifiche ad esso addotte dal decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, dubitando, anzitutto, della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 7, "nella parte in cui prevede che le sezioni riunite della Corte dei conti decidono sulle questioni di massima a richiesta del Procuratore generale".

4.-- Secondo il giudice rimettente sarebbero violati: -- gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per la disparità tra i poteri del Procuratore generale e quelli della parte privata, che non ha alcuna possibilità di deferire la questione di massima alle sezioni riunite;

-- l'art. 25, primo comma, della Costituzione, in quanto la rimessione della questione di massima alle sezioni riunite, ancor prima che intervenga una qualsiasi decisione del giudice di primo grado, tanto più se esercitata da una parte processuale, incide direttamente sulla valutazione del merito della causa, comportando una oggettiva ed ingiustificata sottrazione della competenza al giudice naturale;

-- l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, in quanto la legge non può introdurre vincoli che abbiano soggettivamente il solo o principale effetto di ridurre il giudice a mero esecutore della decisione assunta da altri;

e questo tanto più in quanto il Procuratore generale, attraverso il deferimento della questione di massima, ha la possibilità di "anticipare, fin dall'inizio del processo, la decisione dei giudici di merito", e di imporre loro l'uniformità delle precedenti decisioni delle sezioni riunite, in contrasto con il principio di indipendenza del giudice, mentre il vincolo posto da precedenti decisioni giurisprudenziali non può comportare una vera e propria esclusione del giudice di merito dal giudizio.

5.-- La questione e' da reputare inammissibile, per quanto attiene alla lamentata violazione degli artt. 3, 24, 25, primo comma, e, per un primo profilo, anche dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione.

Per un secondo profilo, attinente sempre alla presunta violazione dell'art.101, secondo comma, della Costituzione, la stessa e' da ritenere, invece, infondata.

Al fine di chiarire il quadro di riferimento normativo nel quale essa si colloca, va rammentato che l'art. 4 della legge 21 marzo 1953, n.161, contemplava la facoltà per le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti di deferire alle sezioni riunite i giudizi per i quali il punto di diritto sottoposto al loro esame avesse dato luogo a contrasti giurisprudenziali ed analoga facoltà era prevista per il Presidente della Corte dei conti in ordine ai giudizi che rendessero necessaria "la risoluzione di questioni di massima di particolare importanza".

Su tale disciplina e' venuta, di recente, ad innestarsi la disposizione sospettata di incostituzionalità, secondo la quale "le sezioni riunite della Corte dei conti decidono sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali, ovvero a richiesta del Procuratore generale".

Il giudice rimettente, a seguito della sentenza delle sezioni riunite che ha affermato che il giudice "designato" per la conferma, modifica o revoca del decreto di sequestro conservativo, va individuato, ai sensi dell'art. 5, comma 3, del decreto-legge n. 453 del 1993, nell'organo monocratico e non in quello collegiale, e' stato investito, dal Presidente della sezione giurisdizionale, della competenza in ordine agli ulteriori provvedimenti relativi al processo cautelare. Dubitando, peraltro, della legittimità costituzionale della norma attributiva al Procuratore generale della facoltà di rimessione dei giudizi alle sezioni riunite, erroneamente suppone che, nel caso in cui venisse dichiarata l'incostituzionalità della disposizione denunciata, "verrebbe meno l'efficacia vincolante della sentenza n. 24 QM e, con essa, non solo la competenza ma la stessa potestas iudicandi del giudice singolo".

Non si avvede, infatti, che la questione così sollevata, consistente nella pretesa di sindacare la conformità a Costituzione del potere conferito dall'ordinamento al Procuratore generale di adire le sezioni riunite, si risolve in realtà nel porre in discussione la legittima investitura di queste ultime in ordine alle materie previste dall'art. 1, comma 7, del decreto-legge n. 453 del 1993. In questi termini, non e' dubbio che la sede ove una siffatta questione potrebbe eventualmente rilevare e' quella del giudizio innanzi alle sezioni stesse, al momento della verifica da parte di queste ultime dei presupposti della propria competenza.

Già questa Corte, in sue precedenti pronunzie, ha affermato che, per potersi ravvisare il requisito della rilevanza in concreto della questione proposta, e' in ogni caso necessario che la norma impugnata sia applicabile nel giudizio a quo e non, invece, come nella specie, in una fase processuale anteriore (sentenza n. 247 del 1995).

A riprova di ciò sta il fatto che gli atti compiuti in quest'ultima non sarebbero certamente resi inefficaci da un'eventuale pronunzia di incostituzionalità nei termini sollecitati dal rimettente, non avendo esso alcun potere di far caducare o comunque modificare la pronunzia emessa dalle sezioni riunite della Corte dei conti.

Ne consegue, dunque, che la cognizione del giudice a quo risulta delimitata dalla sentenza emessa dalle sezioni riunite, senza che egli sia legittimato a rilevare eventuali vizi di quest'ultima; a ritenere il contrario, si consentirebbe al medesimo di avvalersi del giudizio di costituzionalità quale strumento per pervenire alla caducazione di una decisione cui non intende adeguarsi, utilizzando in definitiva il sindacato incidentale come un surrettizio mezzo di impugnazione.

Per le esposte considerazioni, la questione e', quindi, da ritenere inammissibile per i profili attinenti alla pretesa violazione degli artt.3, 24 e 25, primo comma, della Costituzione.

6.-- Quanto, poi, all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, la proposta censura si scinde in due profili: l'uno, inammissibile, per la parte in cui, attraverso doglianze apparentemente rivolte alla sentenza delle sezioni riunite, si torna a denunciare l'illegittimità dei poteri del Procuratore generale;

l'altro da ritenere, invece, ammissibile, ma infondato, là dove il giudice rimettente pone in discussione la costituzionalità del vincolo in se' che deriva dalla pronunzia delle sezioni riunite medesime, supponendo che essa sia tale da precludergli ogni ambito decisorio.

Mentre, per il primo profilo, può farsi rinvio a quanto sopra considerato in ordine all'irrilevanza di questioni attinenti a norme applicabili nelle fasi processuali anteriori, per il secondo aspetto e' sufficiente osservare che il deferimento alle sezioni riunite di una questione di massima -- preordinato ad esigenze di uniforme interpretazione della legge, nell'ottica dell'art. 3 della Costituzione e in funzione di un interesse palesemente trascendente quello del singolo caso -- non dà luogo alla definizione del giudizio da parte delle sezioni stesse, che decidono soltanto in ordine al punto oggetto della questione medesima.

Pertanto -- pur a prescindere da ogni questione sull'esatta individuazione della disposizione che conferisce carattere vincolante alle sentenze delle sezioni riunite -- non può ritenersi violato l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, in quanto la pronunzia del giudice rimane pur sempre sotto l'imperio della legge, anche se egli e' tenuto a formare il suo convincimento con riguardo a ciò che ha deciso altra sentenza emessa nella stessa causa (sentenza n. 234 del 1976).

7.-- Le ordinanze sollevano, infine, questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera a), del medesimo decreto-legge n. 453 del 1993, nella parte in cui, alla stregua degli orientamenti espressi dalle sezioni riunite, da considerare -- secondo il rimettente -- come un vero e proprio "diritto vivente", stabilisce che il giudice designato per la conferma, modifica o revoca del provvedimento di sequestro conservativo sia da individuare nel giudice singolo e non nella sezione giurisdizionale.

Viene, in particolare, prospettata la violazione dell'art. 97 della Costituzione, sotto il profilo del buon andamento della organizzazione degli uffici giudiziari, in quanto: -- il procedimento di sequestro conservativo, nel giudizio di responsabilità amministrativa e contabile, presenta profili di irrazionalità che incidono sull'esercizio della funzione giurisdizionale, pregiudicandone l'efficienza;

-- l'attività di verifica in contraddittorio delle ragioni delle parti viene ad essere svolta da "un giudice con qualifica e funzioni inferiori a quelli del Presidente della sezione giurisdizionale che ha adottato il decreto positivo o negativo di sequestro, e non viceversa"; il quale Presidente, sulla base della incompatibilità disposta dall'art.669-terdecies, comma 2, cod. proc. civ., neppure può fare parte del collegio giudicante chiamato a pronunciarsi sul reclamo.

8.-- La questione, sebbene ammissibile, e' da ritenere non fondata.

Invero, come già altre volte affermato dalla Corte, non può negarsi al giudice la facoltà di sollevare questione di legittimità costituzionale di norme di cui egli, a seguito di una sentenza emessa in una precedente fase, sia tenuto a fare applicazione (in tal senso v., da ultimo, sentenze n. 314 del 1996 e n. 247 del 1995). Non sussistono, dunque, ostacoli all'esame della questione, con la quale viene posta in discussione proprio la norma che il giudice a quo, a seguito della sentenza delle sezioni riunite, e' tenuto ad applicare.

Tuttavia, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il principio del buon andamento e dell'imparzialità dell'amministrazione della giustizia attiene solo alle leggi che definiscono l'ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, restando, per contro, estraneo alla tematica dell'esercizio della funzione giurisdizionale (sentenze n. 313 del 1995; n. 428 del 1993; n. 376 del 1993; n. 140 del 1992). Di qui l'inidoneità, a prescindere da ogni altra considerazione, dell'invocato parametro a sorreggere la prospettata questione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 7, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, primo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, dal giudice designato della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, con le ordinanze in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, sollevata, in riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera a), del medesimo decreto-legge, sollevata, in riferimento all'art.97 della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/10/96.

Mauro FERRI, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 02/11/96.