Sentenza n. 369 del 1996

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SENTENZA N. 369

 

ANNO 1996

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

 

-     Prof. Luigi MENGONI

 

-     Prof. Enzo CHELI

 

-     Dott. Renato GRANATA

 

-     Prof. Giuliano VASSALLI

 

-     Prof. Francesco GUIZZI

 

-     Prof. Cesare MIRABELLI

 

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

-     Avv. Massimo VARI

 

-     Dott. Cesare RUPERTO

 

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

 

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

 

-     Prof. Valerio ONIDA

 

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 5- bis, comma 6, decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento nella finanza pubblica) convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359, come sostituito dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promossi con ordinanze emesse il 17 gennaio 1996 dalla Corte d'appello di Napoli, il 30 gennaio 1996 dal Tribunale di Lecce, l'8 febbraio 1996 dalla Corte d'appello di Salerno, l'8 febbraio 1996 dal Tribunale di Lamezia Terme, il 2 febbraio 1996 (n.3 ordinanze) dal Tribunale di Palmi, il 17 gennaio 1996 dal Tribunale di Firenze, il 29 febbraio 1996 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Larino, il 2 febbraio 1996 dalla Corte d'appello di Catania, il 20 febbraio 1996 dal Tribunale di Cosenza, il 30 gennaio 1996 dal Tribunale di Benevento, il 24 gennaio 1996 dal Tribunale di Napoli, il 5 marzo 1996 dal Tribunale di Messina, il 5 marzo 1996 dalla Corte di appello di Venezia, il 27 febbraio 1996 dal Tribunale di Benevento, il 29 gennaio 1996 dal Tribunale di Brindisi e il 12 marzo 1996 dalla Corte di appello di Roma rispettivamente iscritte ai nn. 269, 270, 352, 361, 370, 371, 372, 389, 397, 398, 403, 415, 447, 493, 494, 495, 522, 595, 601 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 13, 17, 19, 20, 21, 23, 24, 26 e 27, prima serie speciale, dell'anno 1996.

 

Visti gli atti di costituzione di Vivacqua Lucia, di Como Bianca ed altra, di Garufi Domenico, di Noli Vittoria, di Ambrosone Nicola, di Ruggiero Elsa ed altri e di Massimo Lancellotti Paolo Enrico, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 1° ottobre 1996 il Giudice relatore Renato Granata;

 

uditi gli Avv.ti Lucio Marotta e Giovanni Leone per Como Bianca ed altra, Ivone Cacciavillani e Luigi Manzi per Noli Vittoria, Nicola Ambrosone per Ambrosone Nicola, Carlo Tatarano e Giuseppe Lavitola per Ruggiero Elsa ed altri e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - In diciannove distinti giudizi, aventi tutti analogamente ad oggetto domande di risarcimento danni da illegittima occupazione acquisitiva di fondi di proprietà privata interessati dalla realizzazione di opere pubbliche, le Corti di Appello di Napoli (n. 269 del 17 gennaio 1996), Salerno (n.352 dell'8 febbraio 1996), Venezia (n. 495 del 5 maggio 1996), Roma (n.601 del 12 marzo 1996) ed i Tribunali di Lecce (n. 270 del 30 gennaio 1996), Lamezia Terme (n. 361 dell'8 febbraio 1996), Palmi (nn.370,371,372 del 2 febbraio 1996), Firenze (n.389 del 17 gennaio 1996), Larino (nn. 397 e 398 del 29 febbraio 96), Catania (n. 403 del 2 febbraio 1996), Cosenza (n. 415 del 20 febbraio 1996), Benevento (n.447 del 30 gennaio 1996 e n. 522 del 27 febbraio 1996), Napoli (n. 493 del 24 gennaio 1996), Messina (n. 494 del 5 maggio 1996) e Brindisi (n.595 del 28 gennaio 1996) hanno sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, che ha sostituito il comma sesto dell'art. 5-bis del precedente decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 convertito in legge n. 359 dell'8 agosto 1992 nella parte in cui dispone che la disciplina del predetto art. 5-bis in tema di stima dell'indennizzo espropriativo si applica anche "in tutti i casi in cui non e' stato ancora determinato in via definitiva l'entità del risarcimento del danno alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (id est: della legge 8 agosto 1992, n. 359 di conversione del decreto-legge n. 333 cit.). Sulla premessa che il "risarcimento del danno", cui fa riferimento la norma denunciata, sia quello relativo alla perdita di proprietà nei casi di occupazione acquisitiva [o c.d. accessione invertita] in favore della pubblica amministrazione, tutte le autorità rimettenti hanno prospettato il conseguente contrasto, sotto varie angolazioni della norma stessa. Con l'art. 3 della Costituzione (cui la Corte di Salerno abbina, per un profilo, l'art. 113), e quasi tutte [esclusi solo la Corte di Salerno ed il Tribunale di Larino] anche con l'art.42 (cui il tribunale di Palmi affianca l'art.2).

 

I tribunali di Lecce, Messina e Brindisi hanno ritenuto poi violato l'art.24 (che la Corte di Salerno invoca in combinato contesto con l'art. 113); la Corte di Salerno ed il tribunali di Cosenza, Messina e Brindisi hanno evocato inoltre l'art. 28; la Corte di Roma ed i tribunali di Lecce, Lamezia Terme, Cosenza, Benevento e Messina, hanno prospettato, la lesione anche dei valori garantiti dall'art. 97 Costituzione; ed il [solo ] Tribunale di Messina ha fatto, infine, riferimento, agli artt. 10 e 11 della Costituzione, in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale di Parigi 20 marzo 1952 della Convenzione Europea, e 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

 

2. - In tutti i giudizi (tranne in quello sollevato con l'ordinanza n.447/96) e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri per il tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato.

 

La quale ha eccepito, in limine, l'inammissibilità in taluni giudizi [quelli relativi alle ordinanze nn. 361, 415, 493], delle questioni sollevate;

 

ha preliminarmente, poi, nel merito sostenuto la possibilità di una diversa esegesi - adeguatrice - del testo denunciato; e contestato infine, in subordine, la fondatezza di ogni censura anche alla stregua dell'interpretazione presupposta dai giudici a quibus.

 

3. - Nei sei giudizi relativi alle ordinanze nn.415, 493, 494, 495, 522, 595, 601/1996, si sono costituite anche le parti private con argomentazioni sostanzialmente adesive, a quelle svolte dai rispettivi giudici a quibus.

 

Nell'imminenza della udienza di discussione le difese delle parti private costituite nei giudizi relativi alle ordinanze nn. 493, 494, 495 e 595/96, nonchè l'Avvocatura dello Stato, hanno depositato ampie e articolate memorie che diffusamente ripercorrono i rispettivi itinerari argomentativi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Al di là di alcuni equivoci accenni delle Corti di Palermo e Salerno, (rispettivamente) all'art. 5-bis della legge 1992, n. 359 nella sua interezza, ed al [solo] suo secondo comma, tutti i giudici a quibus convergono, in sostanza, nel denunciare l'equiparazione, operata dal legislatore del '95, della disciplina del < < risarcimento del danno>> alla disciplina concernente la determinazione della indennità dovuta nel caso di espropriazione per pubblica utilità: cioé l'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, che ha sostituito l'art. 5- bis, comma 6, del decreto-legge n. 333 del 1992, convertito in legge 8 agosto 1992, n.359; quindi, in definitiva, l'art. 5-bis , comma 6, così sostituito.

 

2. - L'identità della norma denunciata autorizza la riunione, per connessione oggettiva, dei giudizi relativi a tutte le ordinanze in epigrafe.

 

3. - Di detta norma e' stato prospettato - come detto - il contrasto con gli artt. 2, 3, 10, 11, 24, 28, 42, 97 e 113 della Costituzione.

 

3.1. - Premessa ermeneutica condivisa da tutti giudici a quibus e' quella per cui < < il risarcimento del danno>>, cui fa riferimento il nuovo comma sesto dell'art. 5- bis, sia quello relativo alla perdita di proprietà nei casi di occupazione acquisitiva tenuto conto che nella materia de qua il solo altro risarcimento ipotizzabile e' quello da occupazione temporanea illegittima, per la determinazione del quale e' inconcepibile il ricorso ai criteri determinativi sopra menzionati" (così testualmente ord. n. 269 del 1996);

 

reputandosi per ciò "evidente l'intenzione del legislatore di equiparare del tutto, sul piano patrimoniale, le conseguenze delle espropriazioni rituali a quelle derivanti dalle illegittime ablazioni di fatto poste in essere dalla pubblica amministrazione o dai soggetti per conto di essa operanti, facendo salve solo (come già avvenuto nel 1992) le determinazioni divenute inoppugnabili in sede amministrativa o per effetto di giudicato" .

 

E questa premessa, appunto, i giudici remittenti pongono a base comune delle rispettive censure.

 

3.2. - In tale contesto, la violazione dell'art. 3 della Costituzione, con varie sfumature argomentative, e' denunciata sostanzialmente sotto un quadruplice profilo di disparità di trattamento [dei proprietari che abbiano subito illegittima occupazione acquisitiva di suoli edificatori nei confronti rispettivamente:

a) dei soggetti danneggiati da altro tipo di illecito;

b) dei proprietari del pari illegittimamente privati di fatto di loro immobili, ma per esigenze di edilizia abitativa nel regime "risarcitorio" ex art. 3 della legge 1988, n. 458;

 

c) dei proprietari ritualmente espropriati; d) dei proprietari di suoli agricoli]; sotto un ulteriore profilo di irrazionale parificazione del trattamento di situazioni ontologicamente diverse, quali quelle dell'espropriazione secundum ius e dell'ablazione di fatto non iure; sotto altro connesso aspetto di ingiustificato privilegio riservato alla pubblica amministrazione; sotto un parallelo profilo, concernente la applicazione retroattiva della norma nei giudizi pendenti; e, infine, sotto un ultimo aspetto di irragionevolezza intrinseca, per irrisolubile contraddizione tra causa e contenuto della norma medesima.

 

3.2.1. - Ad illustrazione di tali censure, correlate al parametro dell'eguaglianza, in particolare tra l'altro si osserva, relativamente ai riferiti profili discriminatori:

a) che sarebbe "vistosa", in danno dei titolari di diritti di proprietà immobiliare illegittimamente acquisiti dalla pubblica amministrazione, o da chi per essa si sia avvalso dell'istituto dell'accessione invertita, "la deroga al principio basilare dell'ordinamento civilistico per cui chi abbia, per effetto della violazione della fondamentale regola di convivenza sociale del neminem laedere, subito un danno, ossia una decurtazione del proprio patrimonio, ha diritto alla integrale ricostituzione dello stesso a carico dell'autore dell'illecito, soggetto pubblico o privato che sia" (Appello Napoli; Trib. Benevento; Appello Roma);

 

b) che del pari manifesta sarebbe la natura deteriore del trattamento riservato ai titolari di diritti risarcitori, incisi dal denunciato ius superveniens, rispetto agli altri proprietari che, analogamente privati del suolo di loro proprietà, per effetto di provvedimenti previsti da norme dettate per finalità di edilizia residenziale pubblica agevolata o convenzionata avrebbero, viceversa, tuttora diritto al pieno risarcimento dei danni causati da provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato oltre alla rivalutazione ed interessi, come sancito dall'art. 3 della legge 27 ottobre 1988, n. 458, la cui applicazione e' stata estesa a tutti i casi di occupazione il legittima, per finalità abitative, con sentenze della Corte costituzionale 31 luglio 1990, n . 384 e 27 dicembre 1991, n. 486 (Appello Salerno);

 

c) che, per un triplice profilo, rispetto ai proprietari ritualmente espropriati, ulteriormente discriminati sarebbero i soggetti in causa.

 

Infatti, solo i primi, e non anche i secondi, hanno la possibilità di intervenire nel corso del procedimento ablatorio e di controllarne l'iter quali portatori di interessi legittimi diversificati e possono effettuare, nel corso della procedura, quella "cessione volontaria" del bene che, ai fini della stima, consente di evitare l'ulteriore riduzione del 40% ai sensi del comma 2 del citato art. 5-bis (v. Appello Venezia). Inoltre "il regime della prescrizione estintiva e' più favorevole nelle ipotesi di legittima espropriazione, in quanto il diritto alle indennità si estingue nel termine ordinario decennale di cui all'art. 2946 cod.civ., mentre nel caso di "accessione invertita" conseguente ad illecita occupazione il termine prescrizionale applicabile al diritto al risarcimento dei danni e' quello quinquennale di cui all'art. 2947 cod.civ." (App. Napoli);

 

d) che sotto il già accennato profilo, in particolare, della possibilità di cessione volontaria con fruizione dei relativi vantaggi, ulteriore disparità di trattamento si verificherebbe tra proprietari di fondi agricoli e proprietari di suoli edificabili, "in quanto, mentre per i suoli agricoli la indennità provvisoria e' correlata a precisi parametri, invece per i suoli edificatori la somma offerta (per indennità o per risarcimento) e' liberamente quantificata dall'autore della proposta, che può quindi determinarla in misura talmente irrisoria da costringere il proprietario a rifiutare l'offerta con conseguente rinuncia alla possibilità di escludere l'abbattimento del 40%" (App.Salerno);

 

3.2.2. - Quanto poi alla denunciata < irrazionale, ingiustificata e totale parificazione, agli effetti patrimoniali, delle conseguenze delle espropriazioni svoltesi nel rispetto delle regole ad esse preordinate e di quelle delle ablazioni di fatto, verificatesi in conseguenza della mancata osservanza delle regole medesime>>, tale parificazione - ancora sempre secondo Appello Napoli - < < non può trovare adeguata giustificazione nelle palesi esigenze di contenimento della spesa pubblica, che hanno indotto il legislatore ad introdurre la censurata disposizione, essendo altri i mezzi e le regole preordinati al corretto prelievo finanziario (v. artt. 23 e 53 Cost.), e non anche il sostanziale avallo dell'illecito posto in essere dalla pubblica amministrazione, nel quale si risolve l'operata eliminazione di ogni conseguenza patrimoniale sfavorevole per la stessa, in dipendenza della mancata osservanza del procedimento espropriativo, con il conseguente venir meno della principale remora al compimento di atti illegittimi>> (Trib. Benevento e Appello Roma).

 

3.2.3. - La violazione dell'art. 3 della Costituzione, in termini di "privilegio ingiustificato" attribuito alla pubblica amministrazione, rispetto ad altro soggetto od ente autore di illeciti, e' coonestata, a sua volta, dalla considerazione (ancora nella ordinanza della Corte di Salerno) che tale privilegio viene irragionevolmente riconosciuto < ad un soggetto - pubblica amministrazione - che avendo agito al di fuori e contro qualsiasi prescrizione normativa, che pure aveva l'obbligo di osservare, ed anzi con l'ingiustificabile lesione dell'ordine giuridico e dei diritti dei cittadini, si pone nella esecuzione del fatto illecito volontariamente alla pari di qualsiasi altro soggetto autore di illeciti, ricevendone, a differenza di ogni altro, un trattamento differenziato e più favorevole, quasi premio alla sua qualità pubblica, che dovrebbe tradursi invece in pubblico esempio di correttezza e di legittimo esercizio del potere>>.

 

3.2.4. - L'ulteriore profilo di violazione dell'art. 3 della Costituzione, sul piano diacronico, e' motivato in base alla considerazione che, con la disposta applicazione della norma denunciata anche nei giudizi in corso, "lo Stato si carica di una doppia iniquità a danno della uguaglianza dei cittadini, quella di non provvedere per una sollecita ed eguale giustizia in termini temporali e di ricavare un vantaggio economico dalla sua stessa inefficienza applicando sui processi, non definiti per sua inettitudine, ma iniziati sulla applicazione di una ben precisa anteriore disposizione di legge, una norma nuova, successiva alla proposizione del giudizio che danneggia solo i protagonisti dei processi ancora in corso e non quelli coevamente iniziati e sollecitamente definiti>> (App. Salerno).

 

3.2.5. - Infine, in ordine alla irragionevolezza intrinseca della norma denunciata, afferma il Tribunale di Brindisi che "non può, considerarsi coerente affermare il diritto del proprietario ad essere risarcito del danno e nel contempo ridurre unilateralmente, in favore dello Stato, l'entità del pregiudizio subito dal proprietario".

 

3.3. -- Parallelamente, la violazione dell'art. 42 della Costituzione [2 e 42 per trib.Palmi], e' conseguenzialmente dedotta dalla considerazione che l'operata parificazione, agli effetti patrimoniali, della ablazione non iure alla espropriazione secondum ius vanificherebbe il principio di legalità delle espropriazioni, posto a presidio della proprietà privata, se e' vero che, anche nel caso patologico di violazione della legge, la pubblica amministrazione può acquisire il diritto anzidetto, contraendo nei confronti degli ex titolari dello stesso obbligazioni quantitativamente identiche a quelle, più contenute, che avrebbe assunto nell'ipotesi "fisiologica" di osservanza della legge stessa.

 

Per cui - come osserva la Corte di Napoli - < < svincolando sul piano pratico la pubblica amministrazione dall'obbligo di osservare le norme del procedimento espropriativo, si e' finito con il creare una vera e propria fattispecie di "espropriazione di fatto", che si affianca a quella rituale e legittima, quale via alternativa e sommaria ai fini dell'acquisizione della proprietà dei suoli occorrenti per la realizzazione di opere di pubblico interesse. E poichè tale forma di ablazione, solo genericamente ed indirettamente prevista dalla legge, può svolgersi al di fuori di ogni garanzia formale, il suesposto principio di legalità appare del tutto eluso dal nuovo disposto normativo>>.

 

3.4. - A sua volta, il vulnus all'art. 24 (o agli artt. 24 e 113) della Costituzione e' in particolare ravvisato nella violazione, che la disposizione denunciata opererebbe, del diritto fondamentale del cittadino al corretto procedimento amministrativo, per la sostanziale soppressione delle garanzie poste dall'ordinamento giuridico a tutela del cittadino per la sua difesa contro gli atti illegittimi della pubblica amministrazione.

 

3.5 - Sulla stessa linea argomentativa, ma verificandone le implicazioni in tema di art. 28 della Costituzione, si osserva pure che, se dalla violazione del diritto soggettivo di proprietà attraverso l'occupazione appropriativa non derivano conseguenze di verse da quelle tipiche dell'ablazione secondo le procedure di legge, il pubblico funzionario non potrà essere chiamato a rispondere di alcun illecito sostanziale, avendo la stessa norma dichiarato irrilevante l'illecito formale. Dal che appunto, il paventato vulnus del principio della diretta responsabilità dei pubblici funzionari.

 

3.6. - Nella quale ultima prospettiva la Corte di appello di Roma ed i tribunali di Lecce, Lamezia Terme, Cosenza, Benevento e Messina, estendono, per logica connessione, la censura di illegittimità anche in relazione a possibili profili di f contrasto con l'art. 97 della Costituzione, sul rilievo che l'appiattimento dei criteri di valutazione dei danni cagionati con la propria condotta illegittima e/o illecita costituirebbe una spinta verso la violazione delle leggi in materia di espropriazione.

 

3.7. - Infine, ancora il Tribunale di Brindisi ha prospettato che, con l'introduzione della disposizione in esame, l'ordinamento giuridico italiano si sarebbe posto in contrasto con l'art. 1 del protocollo addizionale di Parigi 20 marzo 1952 della Convenzione Europea: che ricalca l'art. 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, per cui < < nessun individuo può essere arbitrariamente privato della sua proprietà>>. Ed ha ritenuto, per tal profilo, conseguentemente violati gli artt. 10 e 11 della Costituzione.

 

4. - A tutte queste censure - argomentatamente condivise dai difensori delle parti costituite (con enucleazione, in taluni casi, anche di doglianze ulteriori che non possono però esaminarsi, non essendo consentito alle parti di ampliare il thema decidendum) - ha replicato invece, il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

4.1. - Negli atti di intervento relativi alle prime ordinanze l'Avvocatura ha per altro, in via principale, affidato la difesa della norma impugnata ad una sua possibile diversa "interpretazione adeguatrice", prospettando che, con essa, il legislatore abbia inteso estendere alla occupazione acquisitiva le sole disposizioni (di cui ai commi 3 e 5) dell'art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 convertito in legge 8 agosto 1992, n.359, relative ai criteri di qualificazione dell'area (illegittimamente occupata od espropriata) ma non anche il meccanismo composito (di cui ai precedenti commi 1 e 2) di quantificazione quale specificamente modellato per l'indennizzo espropriativo. Per cui nessuna irragionevolezza vi sarebbe nel novellato comma 6 dell'art. 5-bis una volta che si riconosca, come unica sua finalità, quella di evitare che, per accadimenti molte volte casuali nell'iter della procedura espropriativa, alcuni proprietari - a differenza di altri i cui beni siano interessati dal medesimo intervento pubblico - possano trovarsi a beneficiare (ovvero, anche a soffrire) di mutate condizioni di edificabilità del terreno sopravvenute, eventualmente, tra la dichiarazione di pubblica utilità ed il perfezionamento della vicenda traslativa della proprietà.

 

Ma da tale riduttiva proposta interpretativa, la stessa Avvocatura e' poi receduta - prendendo atto che con la sequenza delle numerose successive ordinanze la diversa esegesi dei giudici a quibus tendeva a costituire il diritto vivente - per cui ha poi dato primario rilievo alla confutazione della fondatezza della denuncia di illegittimità, in ogni suo profilo, della norma in esame nella accezione presuppostane dalle ordinanze di rinvio.

 

4.2. - A tal fine l'Avvocatura ha in particolare sostenuto, contro l'ipotesi di violazione dell'art. 3 della Costituzione, che: a) la dichiarazione di pubblica utilità e' elemento caratterizzante e, da solo, capace di giustificare una diversità di trattamento rispetto a quello fatto ai soggetti passivi di qualunque altro illecito civile (per così dire "non qualificato"), tenuto conto - in particolare - anche della regola comune posta dall'art. 2045 cod.civ.;

 

a.1.) l'art. 3 della legge n. 458 del 1958 (quale risultante ad esito di Corte cost. n. 486 del 1991) regolamenta vicende nelle quali la trasformazione della proprietà privata e la conseguente - eccezionale - accessione invertita sono riferibili ad attività materiali compiute da soggetti privati (nell'ambito di iniziative di edilizia residenziale "agevolata e convenzionata") con la realizzazione di beni non qualificabili come opere pubbliche e non soggetti al regime pubblicistico (del demanio e del patrimonio indisponibile);

 

a.2.) la diversità di trattamento sul piano diacronico sarebbe "effetto diretto e fisiologico della successione delle leggi nel tempo così da non integrare violazione del principio di uguaglianza";

 

a.3.) l'equiparazione tra espropriati ritualmente ed ablati di fatto, la cui irragionevolezza si critica, sarebbe non correttamente assunta, poichè ciò che in sostanza rileverebbe, ai fini dello scrutinio di ragionevolezza della scelta legislativa, e' che "l'effetto economico- sociale (lato sensu ablativo) sia direttamente collegato in entrambe le vicende considerate all'esistenza - formalmente dichiarata - d'un interesse pubblico capace di legittimare, alla luce dei precetti costituzionali, il sacrificio del diritto del singolo; ed altresì che la devianza, in un caso, dagli schemi predeterminati dall'ordinamento avvenga solo nella fase conclusiva del procedimento;

 

a.4.) il f privilegio riservato alla pubblica amministrazione troverebbe, quindi, adeguata giustificazione nel pubblico interesse (accertato e dichiarato nelle forme dovute) che contraddistingue l'occupazione appropriativa rispetto agli "analoghi illeciti" - in realtà, non riducibili nello schema dell'istituto di creazione giurisprudenziale dell'accessione invertita - commessi da qualsiasi altro soggetto;

 

a.5.) a sua volta, anche l'impossibilità, per il danneggiato, di evitare la riduzione del 40% del ristoro patrimoniale spettantegli sarebbe, almeno in astratto, suscettibile di configurare una "voce" del risarcimento e di essere, pur essa, ristorata come "danno" (conseguente all'occupazione appropriativa). Mentre il valore di mercato, da assumere a primo termine della semisomma, e' pur sempre un dato oggettivamente verificabile, per cui neppure sussisterebbe la discriminazione adombrata, per tal profilo, dalla Corte di Salerno.

 

b) Non sarebbe poi pertinente il riferimento alla garantita tutela giudiziale delle situazioni giuridiche soggettive (di cui al 1° comma dell'art. 24 Cost.), posto che - pur nell'assunto dei remittenti - non si scorgerebbe come la norma denunciata possa riuscire di ostacolo all'esercizio dello "ius persequendi iudicio" o possa - addirittura - determinare la "mancanza dell'oggetto" della tutela (invocata o da invocare).

 

Ne' la denuncia formulata in relazione agli artt.24 e 113 della Costituzione sarebbe dotata di miglior consistenza, < giacche' la norma impugnata, limitandosi a stabilire una riduzione della entità del risarcimento, postula la lesione d'un diritto soggettivo nella cui tutela giudiziale deve ritenersi risolta quella degli interessi legittimi del proprietario rispetto agli atti della procedura espropriativa)>;

 

c) del pari insussistente sarebbe il paventato contrasto della norma con l'art. 28 della Costituzione e il lamentato svuotamento del principio della responsabilità diretta dei funzionari e dipendenti della pubblica amministrazione, perchè < l'immutata qualificazione giuridica (come atto illecito) della occupazione appropriativa lascia pur sempre configurare - secondo i principi - la diretta, personale responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici, con la conseguenza che attraverso la riduzione della entità del risarcimento non può dirsi compromesso il principio di buon andamento della amministrazione>>;

 

d) manifestamente infondata si dimostrerebbe anche la denuncia di violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, dal momento che la norma censurata, per un verso, non si pone come "fonte" dell'effetto acquisitivo, da ricollegare invece alle regole generali poste dall'ordinamento in tema di modi d'acquisto della proprietà;

 

e, per altro (e più pertinente) verso, non colliderebbe con il principio del "necessario" ristoro patrimoniale del privato, posto che si limita a regolamentare il quantum della relativa prestazione (la cui misura non e' "costituzionalizzata") e sarebbe, del resto, in concreto parametrata su valori già, per analoghi fini, riconosciuti conformi alle regole della "serietà" e "non simbolicità".

 

Mentre l'art. 2, sia pur in combinato contesto con l'art. 42, Cost., risulterebbe erroneamente invocato avuto riguardo alla f specificità della garanzia del diritto di proprietà, sub art. 42, che assorbe quella generica apprestata dall'art. 2 ai "diritti fondamentali";

 

e) priva di concretezza sarebbe pure l'ipotesi di violazione dell'art. 97 della Costituzione, poichè l'abrogazione di "fatto" dell'istituto dell'espropriazione, con sovvertimento del principio di legalità dell'azione amministrativa, che i giudici aquibus paventano, non potrebbe ritenersi effetto diretto della disposizione in esame, rappresentandone semmai solo una "ipotetica conseguenza pratica indiretta", come tale estranea al sindacato di legittimità;

 

f) manifestamente infondato sarebbe, infine, il sospetto di violazione dell'art. 10, e "fuor di luogo" il richiamo al successivo art. 11 della Costituzione, poichè la riduzione dell'entità del risarcimento nulla ha a che vedere con le invocate norme di Convenzioni internazionali (recepite nell'ordinamento nazionale) intese a garantire il diritto di proprietà dell'individuo da ipotizzabili forme di "avocazione" o di "arbitraria confisca" dei beni privati con atto d'imperio statuale.

 

5. - Alla esposizione delle argomentazioni in replica alle censure di illegittimità, come sopra riassunte, l'Avvocatura dello Stato ha fatto, per altro, precedere - con riguardo alle sole tre ordinanze dei Tribunali di Lamezia Terme, Cosenza e Napoli (nn. 361, 415, 493/96) - altrettante eccezioni di inammissibilità.

 

5.1. - Di dette eccezioni - il cui esame e' logicamente pregiudiziale - vanno accolte le prime due, poichè effettivamente - come dedotto dall'esponente - nelle ordinanze del Tribunale di Lamezia Terme e in quella di Cosenza [ove il magistrato remittente parrebbe aver per di più sollevato la questione non in veste di giudicante, ma di istruttore] risulta pretermesso ogni accertamento in fatto sull'esistenza o meno e di una pregressa dichiarazione di pubblica utilità e cioé - secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, pienamente recepita da questa Corte: sent. n. 486 del 1991, paragrafo n. 3 - sul presupposto stesso della fattispecie appropriativa: per cui difetta la motivazione sulla rilevanza della impugnativa.

 

5.2. - Va respinta la terza eccezione, atteso che l'ordinanza del Tribunale di Napoli, viceversa, dà atto che, nel caso al suo esame, una dichiarazione di pubblica utilità vi e' stata, ancorchè poi dichiarata illegittima, in sede di giudizio amministrativo: e la valutazione - non implausibile - che il giudice a quo fa per implicito della sufficienza di un siffatto accertamento iniziale di utilità dell'opera ai fini della identificazione di una fattispecie acquisitiva, assolve l'onere della motivazione in punto di rilevanza.

 

6. - Nel merito, la verifica di legittimità della disposizione denunciata va condotta alla stregua della interpretazione presupposta dalle autorità rimettenti: nella quale effettivamente può ravvisarsi - come riconosciuto anche dalla Avvocatura dello Stato - il "diritto vivente", trattandosi di esegesi univocamente accolta dai giudici di merito, condivisa anche dalla dottrina pressochè unanime e confortata infine dalla prima (e finora unica) decisione, in tema, della Cassazione (sentenza 18 luglio 1996, n.980).

 

Per cui, in sostanza, il punto centrale del dato normativo, su cui converge ogni censura, e' appunto quella della disposta applicazione estensiva dei medesimi criteri, introdotti dal citato art. 5-bis, per la determinazione dell'indennizzo espropriativo [semisomma del valore di mercato e del reddito dominicale, con ulteriore riduzione del 40%, evitabile solo con la cessione volontaria del bene], anche ai diversi fini della liquidazione del danno che compete al proprietario che in luogo di una rituale procedura ablatoria abbia subito una illegittima occupazione privativa.

 

7. - In premessa alle valutazioni di legittimità rimesse al riguardo a questa Corte va ancora richiamata la natura innegabilmente risarcitoria delle conseguenze patrimoniali ricollegate dall'ordinamento all'attuarsi della occupazione privativa-acquisitiva o c.d. "accessione invertita" (che, in dipendenza della irreversibile destinazione del suolo occupato all'opera pubblica, spiega all'un tempo l'effetto estintivo, dell'originario diritto di proprietà, e quello acquisitivo, dell'immobile così trasformato, alla pubblica amministrazione): qualificazione, che e', in tali termini, ormai consolidata da tempo nella giurisprudenza della Cassazione ed in quella conforme dei giudici di merito; ha superato anche il vaglio di costituzionalità con la recente sentenza n. 188 del 1995, ed ha trovato parallela ricezione, infine, sul piano normativo, negli artt. 11, commi 5 e 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, e 10, co. 3- bis, del decreto-legge 27 ottobre 1995, n. 444 , convertito in legge 20 dicembre 1995, n. 539.

 

8. - In questa prospettiva, lo ius superveniens si risolve quindi nella compressione del diritto al risarcimento del danno all'interno di una fattispecie di illecito aquiliano. Ed il primo quesito cui dare risposta e' pertanto quello se sia o non sia, in via di principio, consentito al legislatore ordinario di operare una siffatta compressione.

 

8.1. - Per tal profilo può convenirsi con l'Avvocatura che la regola generale di integralità della riparazione ed equivalenza al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha - come del resto, evidenziato nella sentenza n. 132 del 1985 [punto 4.3. della motivazione] - copertura costituzionale.

 

Ed in realtà - in casi eccezionali (di cui non mancano in dottrina tentativi di ricognizione sistematica) - il legislatore può pure ritenere equa e conveniente una limitazione del risarcimento del danno.

 

Tale limitazione può attuarsi sia nel campo della responsabilità contrattuale (v. ad esempio, artt.1784, 1786 cod. civ.; 275, 412, 423 cod. navig.), sia in materia di responsabilità extracontrattuale in considerazione delle particolari condizioni dell'autore del danno.

 

8.2. - Ciò posto, non prive di rilievo risultano, a questi fini, le valutazioni dell'interveniente sulla peculiare connotazione dell'illecito in esame, per il suo dispiegarsi tra i due estremi (iniziale) della dichiarazione di pubblica utilità di un'opera e (finale) di concreta realizzazione, sia pur non iure, dell'opera stessa.

 

Per cui può, in linea di principio, convenirsi con l'Avvocatura dello Stato, anche sulla conclusione, cui per tale via essa perviene che nella fattispecie sussistano in astratto gli estremi giustificativi di un intervento normativo ragionevolmente riduttivo della misura della riparazione dovuta dalla pubblica amministrazione al proprietario dell'immobile che sia venuto ad essere così incorporato nell'opera pubblica.

 

9. - La ragionevolezza di una siffatta riduzione viene peraltro a dipendere - come pure precisato nella citata sentenza n. 132 del 1985 - dall'equilibrato componimento, che la norma di conformazione del danno risarcibile deve assicurare, degli opposti interessi in gioco.

 

Interessi che, in questo caso, sono, da un lato, quello riferibile all'amministrazione di conservazione dell'opera di pubblica utilità, con contenimento dell'incremento di spesa correlativa; e, dall'altro, l'interesse del privato ad ottenere riparazione per l'illecito subito.

 

9.1. - Le censure dei giudici a quibus, nella loro capillare e variegata articolazione (come innanzi riassunta), convergono tutte però nell'escludere che la disposizione denunciata abbia rispettato un tale equilibrio. E ciò per l'abnormità (che avrebbe, appunto, plurime negative ricadute sul principio di eguaglianza, sulla tutela della proprietà e la legalità dell'azione amministrativa) di una riduzione della misura della riparazione, per l'illecito della pubblica amministrazione, spinta al punto di farla coincidere con l'entità dell'indennizzo dovuto in caso di legittima procedura ablatoria.

 

9.2. - E' proprio questo, in definitiva, il filo logico che lega tra loro le varie impugnative, il nucleo comune di doglianza da cui muove ogni altro rilievo, il cuore - come già detto - del problema di costituzionalità all'esame della Corte.

 

E l'equiparazione - così assunta in premessa - del risarcimento da illecita occupazione appropriativa all'indennizzo espropriativo e', a parere del collegio, esatta sia nella sua enunciazione sia nelle implicazioni che se ne traggono.

 

9.2.1. - Sotto il primo profilo, e' stato invero pur vigorosamente contestato dal Presidente del consiglio che la prevista applicazione della nuova disciplina dell'indennizzo, di cui all'art. 5-bis, commi 1 e 2, del decreto legge 1992 n.359, anche ai fini della liquidazione del danno derivante dalla c.d. "accessione invertita" comporti in concreto la denunciata equiparazione della misura dei due istituti.

 

E ciò perchè, come eccepito negli atti di costituzione ed ulteriormente illustrato in memoria ed in sede di discussione orale:

(a) nella determinazione del risarcimento non potrebbe farsi applicazione dell'ulteriore detrazione (del 40% del valore dimidiato), di cui all'ultima parte del primo comma del menzionato art. 5-bis, per non essere di fatto possibile, nelle vicende di occupazione privativa, la "cessione volontaria del bene", a quella riduzione invece "legata" nel complessivo meccanismo di computo previsto dal combinato contesto dei commi primo e secondo della norma stessa;

 

(b) del pari inapplicabili alla stima del danno sarebbero altre "detrazioni", previste invece per l'indennità di espropriazione, quali la detrazione per il vantaggio derivante al fondo residuo dall'esecuzione dell'opera pubblica (art. 41 della legge 1865, n. 2359), la detrazione del valore delle piantagioni e costruzioni effettuate a scopo surrettizio di incremento dell'indennizzo (art. 43 della legge 2359 cit.) e quella del valore dei fabbricati edificati in assenza o in difformità da licenza edilizia (art. 16 della legge del 1971, n. 865);

 

(c) il credito risarcitorio, come credito "di valore", sarebbe pur sempre ulteriormente incrementabile per rivalutazione, a differenza del credito indennitario, cui corrisponde un debito "di valuta".

 

9.2.2. - Ma nessuno di tali rilievi coglie nel segno.

 

Ed infatti : sub a) una corretta lettura dell'art. 5 - bis del decreto- legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992 n. 359, nel testo risultante dall'intervento additivo su di esso operato con sentenza 283 del 1993, consente di argomentare che, come nel caso di immobile già espropriato nel periodo antecedente alla entrata in vigore della predetta legge, così nell'ipotesi di suolo già occupato con effetto irreversibilmente privativo, al proprietario e' comunque consentito, in via transattiva, di "accettare" l'offerta del valore mediato del suolo, come determinato dall'amministrazione, con la conseguenza che - in mancanza di una tale accettazione - anche al danneggiato si applica (non diversamente che all'espropriato) la medesima ulteriore riduzione del 40%;

 

sub b) del pari estese alla disciplina della liquidazione del danno da accessione invertita devono ritenersi le su citate disposizioni della legge del 1865 e della legge n. 865 del 1971 relative alla stima dell'indennità, e ciò in forza del rinvio a quelle operato - per il tramite del riferimento al valore del suolo come termine da mediare ai sensi dell'art.13 della legge n. 2892 del 1885, e quindi alle regole generali per la sua determinazione - dal comma 1 dell'art. 5 - bis del decreto-legge 359/92, cui, a sua volta, rinvia il comma 6 per la liquidazione del "risarcimento";

 

sub c) del tutto eventuale e comunque di non apprezzabile rilievo e' l'incremento che alla voce risarcitoria può derivare dalla sua natura di "debito di valore", considerato (oltre l'intervenuta elevazione della misura degli interessi legali nel debito di valuta e, per converso, l'attenuata incidenza della svalutazione, ai fini del computo degli interessi sulla stessa, nel più recente e ormai consolidato orientamento della Cassazione: Sez. Un. 1712/95;Cass.3660/96 ex plurimis) soprattutto il fatto che anche per i debiti di valuta - e quindi anche per quello relativo alla indennità di espropriazione - e' ora largamente ammesso il computo della svalutazione, attraverso la prova del maggior danno (per effetto di quella) subito dal proprietario creditore; prova il cui onere, per ormai del pari consolidata giurisprudenza della stessa Cassazione, può essere assolto anche con presunzioni semplici legate alla mera qualità soggettiva del creditore (modesto risparmiatore; consumatore ecc.).

 

9.3. - Quanto al secondo dei profili sopra (paragrafo n. 2) evidenziati - cioé quanto alle implicazioni, sul piano della legittimità costituzionale, della verificata sostanziale equiparazione dell'entità del risarcimento del danno da accessione invertita a quella dell'indennizzo espropriativo - e' innegabile, in primo luogo, la violazione che ne deriva del precetto di eguaglianza, stante la radicale diversità strutturale (cfr. sentenza n. 188 del 1995 cit.) e funzionale delle obbligazioni così comparate.

 

Infatti, mentre la misura dell'indennizzo - obbligazione ex lege per atto legittimo - costituisce il punto di equilibrio tra interesse pubblico alla realizzazione dell'opera e interesse del privato alla conservazione del bene, la misura del risarcimento - obbligazione ex delicto - deve realizzare il diverso equilibrio tra l'interesse pubblico al mantenimento dell'opera già realizzata e la reazione dell'ordinamento a tutela della legalità violata per effetto della manipolazione- distruzione illecita del bene privato. E quindi sotto il profilo della ragionevolezza intrinseca (ex art.3 Costituzione), poichè nella occupazione appropriativa l'interesse pubblico e' già essenzialmente soddisfatto dalla non restituibilità del bene e dalla conservazione dell'opera pubblica, la parificazione del quantum risarcitorio alla misura dell'indennità si prospetta come un di più che sbilancia eccessivamente il contemperamento tra i contrapposti interessi, pubblico e privato, in eccessivo favore del primo.

 

Con le ulteriori negative incidenze, ben poste in luce dalle varie autorità rimettenti, che un tale "privilegio" a favore dell'amministrazione pubblica può comportare, anche sul piano del buon andamento e legalità dell'attività amministrativa e sul principio di responsabilità dei pubblici dipendenti per i danni arrecati al privato.

 

10. - Risulta contestualmente vulnerato anche l'art. 42 comma 2 della Costituzione, per la perdita di garanzia che al diritto di proprietà deriva da una così affievolita risposta dell'ordinamento all'atto illecito compiuto in sua violazione.

 

11. - Per tali profili - nei quali resta assorbita ogni altra censura delle autorità rimettenti - il comma 6 dell'art. 5 - bis del d.l. 11 luglio 1992 n. 333 convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359, come sostituito dall'art.1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, va quindi dichiarato illegittimo nella parte censurata.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Riuniti i giudizi,

a) dichiara l'illegittimità costituzionale del comma 6 dell'art. 5 - bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359, come sostituito dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n.549(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui applica al < < risarcimento del danno>> i criteri di determinazione stabiliti per < < il prezzo, l'entità dell'indennizzo>>.

 

b) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del comma 6 dell'art 5 - bis del decreto- legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito in legge 8 agosto 1992, n.359, come sostituito dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995 n.549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 42, 28 e 97 della Costituzione, dai Tribunali di Lamezia Terme e di Cosenza con le ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/10/96.

 

Mauro FERRI, Presidente

 

Renato GRANATA, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 02/11/96.