Ordinanza n. 281 del 1996

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ORDINANZA N. 281

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 27 settembre 1995 dal Pretore di Padova - sezione distaccata di Cittadella, nel procedimento penale a carico di Marchiori Gilberto ed altri, iscritta al n. 890 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

RITENUTO che il Pretore di Padova - sezione distaccata di Cittadella ha sollevato, con ordinanza del 27 settembre 1995, in riferimento agli articoli 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio dibattimentale del giudice per le indagini preliminari che, sulla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, abbia ordinato a quest'ultimo di eseguire ulteriori indagini, a norma dell'art. 554, comma 2, del codice di procedura penale (quale risultante a seguito della sentenza n. 445 del 1990 di questa Corte, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale della disposizione nella parte in cui, diversamente da quanto stabilito nell'art. 409, comma 4, per i procedimenti di competenza del tribunale, non prevedeva la possibilità per il giudice per le indagini preliminari presso la pretura circondariale di indicare le ulteriori necessarie indagini al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il loro compimento);

che, nel sollevare la questione, il giudice rimettente muove dal rilievo secondo il quale l'ordinanza che dispone le ulteriori indagini è provvedimento del tutto diverso da quello con il quale, sempre in sede di decisione sulla richiesta di archiviazione, il giudice per le indagini preliminari ordina al pubblico ministero di formulare l'imputazione, nonostante il comune riferimento di entrambe le ipotesi al già citato art. 554, comma 2, del codice di rito;

che, data questa premessa, il giudice a quo osserva che la questione sollevata non è inclusa nella statuizione della sentenza n. 502 del 1991 della Corte costituzionale, dichiarativa dell'illegittimità dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale quanto alla partecipazione al giudizio dibattimentale del giudice per le indagini preliminari che abbia emesso l'ordinanza di cui al citato art. 554, comma 2, dello stesso codice, dovendosi intendere quest'ultimo elemento come riferito esclusivamente all'ordine di formulare l'imputazione;

che, mancando, per quanto esposto, una incompatibilità riconducibile all'art. 34, comma 2, nel caso, verificatosi nel giudizio principale, della partecipazione al giudizio dibattimentale del giudice per le indagini preliminari che abbia precedentemente ordinato l'espletamento di ulteriori indagini, il Pretore solleva il correlativo dubbio di costituzionalità di tale mancata previsione alla luce delle indicazioni offerte dalla sentenza n. 432 del 1995 di questa Corte, decisione quest'ultima dalla quale emergerebbe in generale l'esigenza di escludere che il giudice che abbia adottato "provvedimenti significativi" quale giudice per le indagini preliminari possa poi celebrare il giudizio dibattimentale, a causa del verificarsi del condizionamento psicologico nella valutazione conclusiva della responsabilità dell'imputato che è stato sottolineato nella ratio decidendi della richiamata sentenza;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

CONSIDERATO che, come è stato ripetutamente affermato in via generale da questa Corte, può configurarsi una situazione riconducibile alla disciplina dell'incompatibilità del giudice rispetto alla funzione di giudizio (sia essa svolta nell'ordinario giudizio dibattimentale ovvero nell'ambito dei riti alternativi del giudizio abbreviato e dell'applicazione della pena concordata) solo quando la valutazione precedentemente effettuata dallo stesso giudice sia resa nell'ambito e in occasione dello svolgimento di funzioni decisorie, cosicché non possono dare luogo a un "pregiudizio" rilevante ai fini dell'incompatibilità determinazioni sullo svolgimento del processo che il giudice si sia trovato a dover prendere, in una fase anteriore, sia pure in seguito a una valutazione delle risultanze processuali (sentenze nn. 131 del 1996; 455 e 453 del 1994; 186 e 124 del 1992);

che, a specificazione dell'anzidetto enunciato generale, questa Corte ha, più in particolare, disatteso questione analoga a quella in esame (ordinanza n. 157 del 1993), osservando che, con il provvedimento con il quale dispone che il pubblico ministero compia ulteriori indagini, il giudice per le indagini preliminari non effettua - diversamente da quanto avviene nel caso dell'ordine di formulare l'imputazione - una valutazione contenutistica del materiale di indagine, ma adotta una decisione di natura processuale, meramente interlocutoria, che può essere seguita non solo dall'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero ma anche da un'ulteriore richiesta di archiviazione e quindi dalla gamma dei provvedimenti che in tale ultimo caso il giudice può adottare, a norma dell'art. 409 del codice di procedura penale;

che le argomentazioni addotte dal giudice a quo non sono idonee a condurre a diversa conclusione, dovendo restare fermo il necessario presupposto della valutazione decisoria e di contenuto non puramente processuale ai fini della configurabilità di un "pregiudizio" incidente sull'imparzialità del giudice, presupposto che nell'ipotesi dedotta non ricorre;

che, pertanto, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Padova - sezione distaccata di Cittadella, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta l'11 luglio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.