Ordinanza n. 267 del 1996

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 267

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 1° dicembre 1995 dal Pretore di Prato, il 2 dicembre 1995 dal Pretore di Ascoli Piceno ed il 20 gennaio 1996 dal Pretore di Saluzzo, rispettivamente iscritte ai nn. 156, 271 e 344 del registro ordinanze del 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9, 13 e 17, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1996 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

RITENUTO che il Pretore di Prato, dopo avere convalidato l'arresto e disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti degli imputati condotti a giudizio direttissimo, con ordinanza emessa il 1° dicembre 1995 (reg. ord. n. 156 del 1996) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il giudice che, all'esito del giudizio di convalida o comunque prima della fase dibattimentale, abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato;

che il Pretore di Prato richiama i principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 432 del 1995), secondo cui la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, necessaria per applicare misure cautelari restrittive della libertà personale, costituirebbe una anticipazione del giudizio idonea ad incidere sull'imparzialità del giudice;

che il Pretore di Ascoli Piceno, dopo aver convalidato l'arresto dell'imputato, con ordinanza emessa il 2 dicembre 1995 (reg. ord. n. 271 del 1996) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 101 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare alla successiva fase dibattimentale del giudice che ha convalidato l'arresto dell'imputato prima di procedere a giudizio direttissimo;

che, ad avviso del giudice rimettente, la mancata previsione di questa causa di incompatibilità contrasterebbe con il principio del giusto processo e con le garanzie di indipendenza del giudice, giacché con la pronuncia sulla legittimità dell'arresto si avrebbe un approfondito giudizio di colpevolezza dell'indagato, che può compromettere la genuinità e correttezza del processo formativo del libero convincimento del giudice;

che anche il Pretore di Saluzzo, con ordinanza emessa il 20 gennaio 1996 (reg. ord. n. 344 del 1996), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa celebrare il giudizio direttissimo il pretore che all'esito del giudizio di convalida dell'arresto abbia adottato una misura cautelare nei confronti dell'imputato;

che nell'ordinanza di rimessione specifico sviluppo argomentativo è dato al profilo della pratica identità tra la situazione dedotta e quella oggetto della sentenza n. 432 del 1995;

che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate.

CONSIDERATO che le questioni di legittimità costituzionale riguardano la stessa disposizione e sono poste da tutte le ordinanze di rimessione in termini e con argomenti identici o analoghi; i relativi giudizi possono pertanto essere riuniti per essere decisi con la medesima pronuncia;

che con la sentenza n. 177 del 1996 è stata già dichiarata non fondata, in riferimento agli artt. 24 e 101 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'omessa previsione dell'incompatibilità per il giudizio di merito del pretore che, investito del giudizio direttissimo, abbia convalidato l'arresto e disposto una misura cautelare nei confronti dell'imputato;

che nel giudizio direttissimo dinanzi al pretore, configurato dall'art. 566 cod. proc. pen., il giudice, al quale è presentato l'imputato per il giudizio, si pronuncia pregiudizialmente, con la convalida dell'arresto, sull'esistenza dei presupposti che gli consentono di procedere immediatamente al giudizio ed è competente ad adottare incidentalmente misure cautelari, attratte nella competenza per la cognizione del merito;

che la convalida dell'arresto, pur implicando una valutazione sulla riferibilità del reato all'imputato, non comporta la formulazione di un giudizio di merito, neppure prognostico, sulla sua colpevolezza, essendo volta a verificare la legittimità o meno dell'arresto (e pertanto se questo è avvenuto nei casi o fuori dei casi in cui è permesso, nonché se sussiste o meno lo stato di flagranza);

che non può essere, dunque, configurata una menomazione dell'imparzialità del giudice che adotta decisioni preordinate al proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso, né una violazione del principio di eguaglianza, essendo tale situazione diversa da quella, presa in considerazione dalla sentenza di questa Corte n. 432 del 1995, del giudice del dibattimento che in precedenza, quale giudice per le indagini preliminari, abbia adottato una misura restrittiva della libertà personale;

che le questioni vanno quindi dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 101 della Costituzione, dai Pretori di Prato, Ascoli Piceno e Saluzzo con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 19 luglio 1996.