Sentenza n. 199 del 1996

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SENTENZA N. 199

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Luigi MENGONI, Presidente

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza emessa il 28 luglio 1995 dal Giudice di pace di Pietrasanta nel procedimento civile vertente tra Francesconi Gian Paolo e l'Ispettorato provinciale del lavoro di Lucca, iscritta al n. 680 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 maggio 1996 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1.-- Nel corso di un procedimento civile promosso con un ricorso in opposizione proposto da Francesconi Gian Paolo nei confronti dell'Ispettorato provinciale del lavoro di Lucca, il Giudice di pace di Pietrasanta, con ordinanza emessa il 28 luglio 1995, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, nella parte in cui non consente la proposizione del ricorso in opposizione mediante spedizione in plico raccomandato (entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento) al cancelliere dell'ufficio giudiziario competente.

Il giudice a quo, dopo aver rilevato la sussistenza nel caso di specie della propria competenza (successivamente venuta meno in forza del decreto-legge 21 giugno 1995, n. 238, reiterato con decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, da ultimo convertito nella legge 20 dicembre 1995, n. 534), ritiene che, in base al diritto vivente, il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile in quanto irritualmente proposto.

Nell'ordinanza di rimessione si fa presente che, in forza della disciplina in esame, il soggetto legittimato all'opposizione - residente talvolta in località assai lontane da quella dell'ufficio giudiziario - può trovarsi nell'impossibilità o nella grave ed obiettiva difficoltà di depositare a mano presso la competente cancelleria il ricorso sì che il divieto di proporre ricorso per mezzo del servizio postale può determinare una compressione del diritto di difesa (art. 24), appare inaccettabile sotto il profilo dei principi dell'eguaglianza e della ragionevolezza (art. 3), contrasta con il principio del buon andamento dell'amministrazione e della giustizia (art. 97), e viola il principio della tutela giurisdizionale dei diritti contro gli atti della pubblica amministrazione (art. 113).

Al riguardo il giudice rimettente rileva inoltre che l'ordinamento ammette l'uso del mezzo postale relativamente ad una consistente gamma di ipotesi, e che - alla luce di tale tendenza, sviluppata dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza anche in relazione ad ambiti in cui la lettera della legge sembra rigorosamente pretendere la presentazione personale della domanda - la norma in esame appare priva di razionale e plausibile giustificazione.

L'irrazionalità della disposizione impugnata risulta ancora più evidente atteso che nessun vantaggio od interesse di natura organizzativa o di qualunque altra natura avrebbe l'organo giudicante alla formalità del deposito a mano del ricorso, né alcun concreto vantaggio ne deriverebbe per la pubblica amministrazione.

Si rileva inoltre che la disposizione come interpretata sembra collidere con la filosofia di fondo che ha ispirato la normativa sul giudice di pace, tendente nelle intenzioni del legislatore a realizzare un più diretto accesso alla giustizia.

2.-- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Ritiene la difesa erariale che la norma impugnata deve essere integrata, con le disposizioni contenute negli artt. 163 e 414 cod. proc. civ., da cui si deduce che la data del deposito sarebbe indispensabile per verificare la tempestività dell'opposizione. L'art. 23, primo comma, della legge n. 689 del 1981 riconosce infatti al Pretore il potere-dovere di valutare la tempestività del deposito, e prevede che, in caso di ricorso tardivo, il giudice lo dichiari inammissibile. Pertanto il "deposito" (e non la spedizione) del ricorso è funzionale al rilievo della tempestività dell'opposizione, e pertanto non può rilevarsi contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, avendo questa Corte affermato che quest'ultima disposizione non esclude che le modalità dell'esercizio dell'attività difensiva delle parti possano essere diversamente regolate in funzione delle peculiari caratteristiche dei singoli procedimenti, e che il diritto di difesa deve essere garantito dalla legge in modo effettivo e adeguato alle circostanze.

Considerato in diritto

1.-- La questione che viene sottoposta all'esame della Corte è se l'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non consente la proposizione del ricorso in opposizione mediante spedizione di plico raccomandato (entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento) al cancelliere dell'ufficio giudiziario competente, sia in contrasto con gli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione.

Sostiene il rimettente che, in base al diritto vivente formatosi in relazione alla disposizione impugnata, il ricorso proposto al giudice di pace e spedito per posta dovrebbe essere dichiarato inammissibile in quanto irritualmente proposto: ma ciò determinerebbe una compressione del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione), apparirebbe inaccettabile sotto il profilo dei principi dell'eguaglianza e della ragionevolezza (art. 3), nonché di quello del buon andamento dell'amministrazione e della giustizia (art. 97), e risulterebbe altresì in contrasto con il principio della tutela giurisdizionale dei diritti contro gli atti della pubblica amministrazione (art. 113).

2.-- Nell'ampia ordinanza di rimessione si deduce in particolare che l'imposizione dell'onere di depositare di persona il ricorso, con conseguente inammissibilità dello stesso se inviato per posta, non risponde ad alcun razionale principio di bilanciamento tra l'interesse del cittadino, che può risiedere molto lontano dall'ufficio giudiziario, e le esigenze della pubblica amministrazione e del giudicante, considerato che la regolare instaurazione del rapporto processuale può essere soddisfatta anche con l'invio del ricorso per posta, specie quando gli atti siano esenti da qualsiasi tassa o imposta.

Inoltre - soggiunge il giudice a quo - la interpretazione restrittiva non è in linea con un sistema efficiente e moderno di amministrazione della giustizia, tanto che l'ammissibilità della trasmissione di atti con mezzi telematici, e comunque con il servizio postale, viene riconosciuta - come risulta da un esame analitico delle numerose norme - sia come regola generale (art. 149 cod. proc. civ. per le notificazioni), sia per molteplici ipotesi (ricorso e controricorso in cassazione, istanza al tribunale della libertà e in genere per la materia penale, per i ricorsi amministrativi e tanti altri casi), perfino quando la lettera della legge sembrerebbe pretendere la presentazione personale della domanda.

3.-- Nonostante le non trascurabili considerazioni qui sintetizzate dell'ordinanza di rimessione, la questione va dichiarata inammissibile.

Il giudice a quo, invero, prospetta a questa Corte non già l'illegittimità della norma intesa nel senso di prevedere come obbligatorio ed esclusivo il deposito personale del ricorso in cancelleria, ma chiede - sia nel dispositivo che nella motivazione dell'ordinanza - che si riconosca "il rispetto del termine di presentazione del ricorso in opposizione con la spedizione dello stesso per mezzo del servizio postale entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento al cancelliere dell'ufficio giudiziario competente".

In altri termini, alla Corte non viene richiesto solo di valutare la ragionevolezza della scelta operata dal legislatore in ordine alle modalità di deposito, bensì si richiede di adottare, fra le tante opzioni possibili, una nuova forma di deposito del ricorso attraverso la indicazione specifica di modalità ed effetti del mezzo di trasmissione prescelto. Una tale opzione, tuttavia, in mancanza di una soluzione costituzionalmente obbligata, esorbita dai confini istituzionalmente assegnati a questa Corte nel sindacato di costituzionalità delle leggi. Ciò è tanto più significativo in quanto la notifica di un atto tramite il servizio postale non necessariamente si perfeziona con la spedizione del plico raccomandato.

Va in proposito considerato, infatti, che l'ammissibilità della presentazione del ricorso in forme diverse dal deposito dello stesso in cancelleria suppone una comparazione fra diversi mezzi di trasmissione, peraltro in continuo sviluppo col progredire della tecnologia, nonché la precisazione circa le modalità necessarie per ritenere completo il mezzo di trasmissione prescelto e la determinazione del momento di decorrenza degli effetti (ad esempio, l'art. 583 cod. proc. pen. prevede che questo momento si identifica con la spedizione, mentre la legge 20 novembre 1982, n. 890, fa riferimento alla data dell'avviso di ricevimento e, se questa non risulti, alla data dell'apposizione del bollo sull'avviso da parte dell'ufficiale postale che lo restituisce).

Conclusivamente la questione, così come posta dal giudice a quo, va dichiarata inammissibile alla luce della giurisprudenza costante di questa Corte, secondo cui è inammissibile la questione quando sia diretta ad ottenere una sentenza di tipo additivo che, in mancanza di una soluzione costituzionalmente obbligata, miri ad introdurre un determinato modello normativo a fronte di una pluralità di scelte, invadendo così la sfera riservata alla discrezionalità del legislatore (v., tra le più recenti, le sentenze nn. 78, 55 e 46 del 1996, e nn. 294, 282 e 222 del 1995).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, dal Giudice di pace di Pietrasanta, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 giugno 1996.

Luigi MENGONI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 17 giugno 1996.