Sentenza n. 127 del 1996

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 127

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-   Avv. Mauro FERRI, Presidente

-   Prof. Luigi MENGONI

-   Prof. Enzo CHELI

-   Dott. Renato GRANATA

-   Prof. Giuliano VASSALLI

-   Prof. Cesare MIRABELLI

-   Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-   Avv. Massimo VARI

-   Dott. Cesare RUPERTO

-   Dott. Riccardo CHIEPPA

-   Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 16 maggio 1995 (Disposizioni concernenti il personale regionale e degli enti locali. Processi di mobilità degli operatori della formazione professionale. Garanzie occupazionali per il personale dei consorzi bonifica e dell'ESA. Alloggi delle forze dell'ordine. Rinvio elezioni consigli circoscrizionali. Disciplina transitoria della caccia. Provvedimenti in favore delle ditte STAT e Camarda e Drago), promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, notificato il 24 maggio 1995, depositato in cancelleria il 1° giugno 1995 ed iscritto al n. 37 del registro ricorsi 1995.

Visto l'atto di costituzione della Regione siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1996 il Giudice relatore Massimo Vari;

udito l'Avvocato dello Stato Aldo Linguiti per il ricorrente e gli Avvocati Giovanni Pitruzzella, Francesco Castaldi, Laura Ingargiola, Giovanni Lo Bue e Francesco Torre per la Regione.

Ritenuto in fatto

1.1.-- Con ricorso notificato il 24 maggio 1995, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 11, 51, 53, 81, quarto comma, 97, 101, 103 della Costituzione e agli artt. 12, 14, 17, lettera f), dello Statuto speciale, dell'intero testo e di vari articoli della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 16 maggio 1995 (Disposizioni concernenti il personale regionale e degli enti locali. Processi di mobilità degli operatori della formazione professionale. Garanzie occupazionali per il personale dei consorzi bonifica e dell'ESA. Alloggi delle forze dell'ordine. Rinvio elezioni consigli circoscrizionali. Disciplina transitoria della caccia. Provvedimenti in favore delle ditte STAT e Camarda e Drago).

La legge impugnata riproduce le disposizioni oggetto di precedenti ricorsi del medesimo Commissario dello Stato, disposizioni abrogate espressamente con il disegno di legge n. 1017, approvato nella stessa seduta del 16 maggio, al fine, secondo quanto risulta dai lavori preparatori, di rendere possibile la promulgazione della legge limitatamente alle norme non oggetto di gravame e, al contempo, di non precludere il giudizio della Corte sulle norme impugnate.

Sostiene il ricorrente che la anomala procedura seguita non trova giustificazione, in quanto il Presidente della Regione avrebbe potuto procedere, come molte volte in passato, alla promulgazione per intero della legge, senza impedire alla Corte di decidere sulle impugnative.

Tale procedura contrasta, oltre che con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, con l'art. 12 dello Statuto speciale, in quanto è mancata totalmente una valutazione nel merito, da parte della commissione competente, poiché ci si è limitati a riproporre le norme già impugnate, "peraltro attinenti a materie di competenza di commissioni diverse dalla Iª Affari Istituzionali, ai sensi dell'art. 62 del regolamento interno dell'ARS".

Si chiede, quindi, alla Corte, una pronuncia che faccia chiarezza sull'annosa problematica della promulgazione parziale delle leggi regionali siciliane.

1.2.-- L'art. 1 della legge regionale impugnata riproduce le disposizioni contenute negli artt. 12, 13, 14, 15, 20 e 21 del disegno di legge n. 815 del 1995, avverso il quale è stato promosso il ricorso n. 32 del 1995.

Nell'assumere violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, si osserva che i commi 2 e 3 del suddetto articolo sostanzialmente consentirebbero l'inquadramento, anche in sovrannumero, nella qualifica superiore del personale ammesso con riserva ai concorsi banditi ai sensi dell'art. 1 della legge regionale n. 21 del 1986 ed escluso in quanto privo del possesso dei requisiti prescritti (inquadramento nei ruoli regionali alla data dell'11 maggio 1986) e per di più rimasto soccombente con decisioni già passate in giudicato.

Il Commissario dello Stato, rilevato che l'intento è quello di una sanatoria che elimini la disparità di trattamento venutasi a creare tra soggetti che, pur versando nelle medesime condizioni, hanno subito diversa sorte, osserva che la disposizione estende la promozione conseguita illegittimamente da taluni, ma ormai divenuta irreversibile per il passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento dei ricorsi, agli altri soggetti per i quali l'esclusione, essendo stata correttamente motivata, è rimasta indenne nel primo e nel secondo grado di giudizio.

Si sostiene che "la circostanza che in precedenza e per taluni casi la legge sia stata erroneamente interpretata ed applicata non può dare di certo luogo alla disparità di trattamento invocata, non potendosi ammettere che l'Amministrazione, per il solo fatto che in passato sia incorsa in errore, debba perpetuare, per un malinteso principio di eguaglianza, tale illegittimo comportamento per tutte le fattispecie analoghe che siano occorse, o che possano successivamente verificarsi".

Al contrario, qualora la disposizione in questione trovasse applicazione, si verrebbe a determinare una illegittima ed immotivata disparità di trattamento tra i soggetti beneficiati dalla stessa e tutti quei dipendenti che non hanno presentato domanda di partecipazione ai concorsi, ritenendo di non essere in possesso dei prescritti requisiti, nonché nei confronti del personale regionale che ha partecipato, superandolo, al concorso perché in possesso di tutti i requisiti prescritti dall'art. 1 della legge regionale n. 21 del 1986.

Viene denunciato anche il comma 1 dell'articolo in esame, a causa dell'ingiustificata disparità cui dà luogo per il fatto di escludere dalla partecipazione ai concorsi previsti dalla norma transitoria di cui alla legge regionale n. 21 del 1986 quei dipendenti che si trovano nelle stesse condizioni di coloro ai quali sia stato riconosciuto dagli organi giurisdizionali, in base al vecchio testo della norma, il servizio di ruolo prestato anche presso altre amministrazioni.

Del pari in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione risulterebbe il comma 4, destinato a concedere, anche se ai soli fini giuridici, un ingiustificato vantaggio a quei dipendenti che hanno partecipato al concorso previsto dalla lettera b) dell'art. 1 della legge n. 21 del 1986 e che quindi, presumibilmente, alla data di entrata in vigore della legge 29 ottobre 1985, n. 41, non erano in possesso del diploma di laurea, conseguito successivamente.

Tale vantaggio consisterebbe nell'equiparare la loro situazione a quella di coloro che hanno conseguito il passaggio alla qualifica di dirigente ai sensi della lettera a) del medesimo art. 1, in quanto già in possesso di laurea conseguita al momento dell'entrata in vigore della citata legge n. 41 del 1985.

L'ipotesi che tale equiparazione avrebbe un significato ed una portata soltanto formale (essendo stati inquadrati nella qualifica di dirigente con la stessa decorrenza i dipendenti selezionati con i due distinti metodi, di cui alle lettere a) e b), dell'art. 1 della legge n. 21 del 1986) e che pertanto la norma non determinerebbe alcuna ingiustificata disparità di trattamento, è contraddetta dal disposto dell'art. 12 della legge regionale n. 41 del 1985 sopra richiamata, che prevede che "alla qualifica di dirigente superiore si accede mediante concorso al quale sono ammessi i dirigenti muniti di diploma di laurea richiesto per l'accesso alla relativa qualifica".

Rilevato che altri vantaggi ingiustificati potrebbero derivare da future norme che disciplinino l'accesso alla qualifica superiore, dando la precedenza ed una particolare valutazione ai soggetti inquadrati nella qualifica di dirigente ai sensi della lettera a) dell'art. 1 della legge n. 21 del 1986, si sostiene che non è chiaro il motivo per cui tale equiparazione viene prevista dal legislatore dopo circa nove anni, in presenza di situazioni giuridiche già consolidate e che, senza alcuna plausibile giustificazione di interesse pubblico, verrebbero sconvolte. Si soggiunge che non appare ammissibile, anzi si appalesa arbitrario, il trattamento riservato soltanto a coloro che hanno conseguito il titolo di studio superiore nel periodo considerato dalla norma, e non anche a coloro i quali, pur avendo sostenuto gli esami di cui alla lettera b) dell'art. 1 della legge regionale n. 21 del 1986, si sono laureati in epoca successiva.

Analoghe censure, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, vengono rivolte al comma 5, nel quale si prevede, anche qui dopo ben quasi nove anni dall'entrata in vigore della legge regionale n. 21 del 1986, l'ampliamento della sfera dei destinatari di un più favorevole trattamento pensionistico, in un momento in cui, a livello nazionale, si chiedono sacrifici in sede di revisione del trattamento previdenziale.

La norma contrasterebbe, altresí, con il "principio generale del pubblico impiego", oltreché con quello dell'affidamento, in quanto dalla data di pubblicazione del bando i cittadini possono determinarsi in ordine alla partecipazione al concorso.

Il comma 6 violerebbe, poi, gli artt. 3, 97, 101 e 103 della Costituzione: formulata in termini estremamente generici e priva di giustificazione plausibile in ordine ai reali motivi che hanno indotto il legislatore regionale a porla in essere, la norma si appalesa come una sorta di sanatoria di atti illegittimi e di comportamenti di sospetta illiceità.

Pur nella consapevolezza che, secondo costante giurisprudenza della Corte costituzionale, non sussiste una preclusione di principio per le leggi di sanatoria, il Commissario dello Stato rammenta, per le stesse, il duplice limite del rispetto del principio della parità di trattamento e della non indebita interferenza nei confronti dell'esercizio della funzione giurisdizionale (sentenze nn. 346 del 1991 e 94 del 1995).

Peraltro, la norma in esame tenderebbe a fornire copertura legislativa a provvedimenti illegittimi e sarebbe diretta ad esonerare da responsabilità patrimoniali gli amministratori che tali provvedimenti abbiano posto in essere nei riguardi di personale precario che, malgrado l'annullamento dei provvedimenti di assunzione, è stato trattenuto in servizio e regolarmente retribuito.

Non risultando chiara la sorte dei provvedimenti annullati, e cioè se siano stati eventualmente impugnati in sede giurisdizionale e con quale esito, né se siano stati eventualmente reiterati, appare suffragata la supposizione che, con la norma in questione, si tenda a sovvertire l'ordine delle competenze stabilito dall'ordinamento giuridico.

Secondo il ricorso, anche gli ultimi due commi dell'art. 1 si appalesano in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione: essi estendono la disciplina di cui all'art. 48 della legge 3 novembre 1993, n. 30 al personale di cui all'art. 10 della legge regionale 23 maggio 1991, n. 33, con il solo intento di arrecare benefici alle tre unità di personale che, provenienti dall'Istituto siciliano mutilati ed invalidi di guerra, si troverebbero ad essere inquadrate nel ruolo speciale transitorio di cui all'art. 8 della legge regionale n. 53 del 1985, venendo così a concretizzarsi una assunzione nominativa ope legis, con elusione delle ordinarie procedure di reclutamento del personale pubblico.

In ulteriore ed evidente contrasto con l'art. 97 della Costituzione, sotto il profilo del buon andamento, le norme in questione non lascerebbero evincere motivazioni né ragionevoli finalità che giustifichino l'inserimento di nuovo personale nelle strutture regionali. Né tantomeno è fatto alcun riferimento alle modalità ed ai criteri della susseguente collocazione nei rispettivi ruoli.

1.3.-- L'art. 2 della legge impugnata, che riproduce l'art. 9 del disegno di legge n. 786 del 1995, già oggetto del ricorso n. 31 del 1995, viene censurato per contrasto con gli artt. 3, 81, quarto comma, e 97 della Costituzione, nonché con l'art. 17, lettera f), dello Statuto speciale.

La norma denunciata, autorizzando l'Assessore regionale per il lavoro, la previdenza, la formazione professionale e l'emigrazione ad attuare i processi di mobilità previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro degli operatori della formazione professionale, ed in particolare dall'art. 27 di quest'ultimo, non sfuggirebbe, secondo il ricorrente, alle censure già prospettate in passato avverso disposizioni analoghe, apparendo altresì incongrua rispetto al fine che si intende raggiungere.

Rilevato che la disposizione censurata, con una formulazione generica e volutamente ambigua, concreta l'ennesimo ulteriore tentativo di garantire ad ogni costo il mantenimento delle retribuzioni al personale interessato, si osserva che il contratto collettivo il cui art. 27 si intende attuare disciplina i rapporti di lavoro fra lavoratori ed enti gestori dei corsi; rapporti ai quali è estranea l'amministrazione regionale, che è solo ente finanziatore. Secondo il ricorso, è ininfluente, sotto questo profilo, il richiamo operato dall'art. 2 della legge regionale n. 25 del 1993 alla contrattazione collettiva ed allo "scaturente" diritto dei lavoratori al mantenimento dell'attività lavorativa e del trattamento economico, trattandosi di precetto che non si rivolge all'amministrazione regionale, ma ai soggetti privati datori di lavoro. La norma impugnata introduce, tra l'altro, arbitrarie disparità di trattamento in favore dei soggetti destinatari (limitando l'intervento soltanto ai dipendenti rimasti totalmente privi di incarico e non estendendolo anche a quelli di cui sia stato ridotto l'orario di servizio), e confligge con la disciplina regionale che regola l'accesso alla pubblica amministrazione.

Rilevato, altresí, che non viene compiuto alcun riferimento alle cause che hanno determinato la contrazione dell'attività formativa, potendosi, pertanto, farvi rientrare anche fattispecie inerenti a difficoltà operative dei singoli enti, si osserva che soltanto qualora manchino del tutto le condizioni per il reinserimento dei lavoratori negli enti di formazione è previsto e giustificato l'intervento dell'Assessore "con il quale si individuano di intesa con le organizzazioni sindacali, e le eventuali disponibilità esistenti e, previa sottoscrizione di apposite convenzioni, l'utilizzazione nella pubblica amministrazione del personale in mobilità". La disposizione denunciata, lungi dal coordinare e conciliare le previsioni contrattuali con i principi in materia di assunzione nella pubblica amministrazione, introduce una norma assolutamente generica, di impossibile o quantomeno difficilissima applicazione, per la mancata individuazione degli strumenti che l'Assessore deve mettere in opera.

Rilevata, poi, la totale mancanza di idonea copertura finanziaria per le spese derivanti dall'attuazione della mobilità esterna del personale nell'ipotesi "che qui si intende categoricamente escludere", di utilizzazione diretta del personale da parte della Regione, si osserva che il coinvolgimento dell'Assessore regionale nell'attuazione della mobilità implicherebbe un'automatica attivazione dei particolari meccanismi di salvaguardia dei livelli occupazionali esistenti, riconducibili sostanzialmente alla gestione o promozione di corsi di riqualificazione o di conversione professionale o, in "extrema ratio", la stipula di convenzioni fra l'amministrazione, gli enti e le organizzazioni sindacali per l'utilizzazione dei lavoratori rimasti totalmente privi di incarico; meccanismi che comporterebbero, fuor di dubbio, l'assunzione di oneri finanziari a carico dell'amministrazione regionale.

Il ricorso ritiene che unico intento del legislatore sia quello di tentare di assicurare ai soggetti già destinatari delle precedenti disposizioni, il mantenimento della retribuzione goduta, configurando indirettamente e surrettiziamente un anomalo intervento di assistenza sociale in favore di ristrette categorie di lavoratori privi di occupazione che, pur non andando esente dai prescritti controlli in sede amministrativa e contabile, è censurabile sotto il profilo del mancato rispetto del principio di eguaglianza nei confronti di tutti i dipendenti di enti o strutture o aziende private convenzionate con l'amministrazione regionale per l'espletamento di servizi di interesse pubblico.

Tale intervento contrasterebbe altresí con l'art. 97 della Costituzione, in quanto sarebbe immesso in servizio personale selezionato al di fuori delle ordinarie procedure concorsuali, in base a criteri che terrebbero conto della anzianità di servizio maturata nel settore e del carico di famiglia: la tutela del mantenimento dell'occupazione di una categoria specifica di lavoratori dipendenti da enti privati verrebbe ritenuta preminente rispetto al perseguimento dell'interesse pubblico all'efficienza dell'amministrazione.

1.4.-- Le disposizioni contenute nell'art. 3 -- che riproducono pedissequamente le previsioni dell'art. 30, commi 2, 3, 7, e dell'art. 33 di un precedente disegno di legge, approvato dall'Assemblea regionale il 7 aprile 1995, avverso le quali è stato proposto il ricorso n. 28 del 1995 -- vengono denunciate per violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.

Ad avviso del Commissario dello Stato, se, da un canto, si è ritenuto ragionevole e confacente alle attribuzioni demandate dalla nuova normativa ai consorzi di bonifica -- preposti essenzialmente alla erogazione di servizi per la gestione e la manutenzione delle opere realizzate in ausilio delle attività economiche dei consorziati -- la trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato delle preesistenti situazioni di precariato in cui versavano gli operai ed i braccianti agricoli, cosí come disposto dal comma 1 dell'art. 30 del sopra richiamato disegno di legge, non altrettanto plausibile si appalesa la estensione che il comma 1 dell'articolo censurato fa del medesimo trattamento ai soggetti che nel triennio 1992/1994 abbiano svolto incarico di prestazione d'opera per un periodo complessivo non inferiore a sei mesi nel suddetto triennio.

Premesso che i destinatari delle due previsioni versano in situazioni profondamente diverse quanto al servizio svolto, sia dal punto di vista quantitativo, sia qualitativo, si osserva che la deroga alla regolare procedura di reclutamento del personale presso la struttura pubblica può trovare adeguata motivazione nell'esigenza di sanare pregresse consolidate situazioni di precariato di lavoratori, le cui prestazioni vengono ritenute necessarie anche per la prosecuzione delle attività cui detto personale era in precedenza preposto. Detta deroga, invece, non può supportare l'assunzione a tempo indeterminato di una categoria di soggetti non legati da rapporti di lavoro subordinato e preposti preminentemente ad attività degli enti disciolti.

La stessa natura del contratto di prestazione d'opera è, del resto, inconciliabile con la quantificazione e la rilevazione dell'orario di servizio espletato, necessarie ai fini dell'individuazione dei soggetti beneficiari della norma.

Si assume, pertanto, disparità di trattamento, perché, mentre per i braccianti agricoli e gli operai è stato richiesto un lasso di tempo considerevole ai fini dell'ammissione al nuovo rapporto di lavoro, per gli altri si ritiene sufficiente un periodo notevolmente inferiore e di difficile rilevazione.

Ulteriore disparità di trattamento si realizzerebbe nei confronti dei soggetti di cui al comma 4 dell'art. 30 del menzionato disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale il 7 aprile 1995, i quali, avendo prestato servizio per un periodo inferiore a 250 giornate lavorative nel triennio in considerazione (quindi più dei sei mesi richiesti per i destinatari della disposizione oggetto di gravame), si vedono riconosciute soltanto limitate garanzie occupazionali.

Il comma 2 dell'art. 3 qui impugnato, assicurando congrue garanzie occupazionali, a semplice richiesta, ai prestatori d'opera non rientranti nei benefici di cui al comma 1, senza indicazione alcuna di un limite minimo di servizio prestato, che può essere, quindi, ipoteticamente, anche di un solo giorno, appare disposizione contraddittoria e illogica, data la natura giuridica della locatio operis.

In conclusione, i commi 1 e 2, nei fatti, autorizzano assunzioni dirette e nominative, precluse agli enti pubblici, la cui illegittimità risulta ancor più evidente se si considera che i beneficiari non saranno sottoposti ad alcuna prova selettiva, eccezione fatta per il vaglio dei titoli di studio e dei carichi di famiglia, in relazione al richiamo operato alla procedura di cui all'art. 19, comma 4, della legge regionale n. 25 del 1993.

Le medesime considerazioni valgono, ad avviso del Commissario dello Stato, a sostenere la censura di incostituzionalità del comma 3, che disciplina l'assunzione "a domanda" presso i consorzi di personale dell'ASCEBEM. Si è, infatti, tralasciato di considerare del tutto il principio di buon andamento della pubblica amministrazione: capovolgendo il principio di cui all'art. 97 della Costituzione, si è ritenuto preminente l'interesse dei singoli destinatari delle norme oggetto di censura al mantenimento dell'attuale rapporto di lavoro precario e temporaneo, rispetto alle esigenze di funzionamento e di organizzazione degli uffici pubblici.

Le esigenze di carattere organizzativo dei nuovi enti (ridotti, peraltro, da 23 a 11) avrebbero dovuto, infatti, comportare un più razionale utilizzo del personale di ruolo proveniente dai disciolti consorzi ed un conseguente minore ricorso a nuove assunzioni, da considerare ammissibili soltanto dopo l'avvenuta approvazione delle nuove piante organiche predisposte in relazione alla rilevazione dei carichi di lavoro e tenuto conto anche del personale già dipendente.

Non esenti dalle stesse considerazioni sono, inoltre, le previsioni dei successivi commi 4, 5 e 6, "rivolte a mantenere i livelli occupazionali dei quasi 800 braccianti agricoli utilizzati per esigenze relative all'esecuzione di lavori condotti in amministrazione diretta dall'Ente di Sviluppo Agricolo".

L'estensione ai predetti soggetti del trattamento riservato agli operai stagionali dei consorzi non sarebbe giustificabile, "atteso che la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro stagionale di quasi 500 unità non è correlata al verificarsi di sopravvenute esigenze di servizio dell'Ente presso il quale essi prestano la loro opera" (del resto oltre il 35% dei destinatari, prestando servizio presso il Centro di meccanizzazione agricola di una sola Provincia, risulta palesemente sovradimensionato rispetto alle prevedibili esigenze dei luoghi e in relazione al previsto limite chilometrico di utilizzazione).

Riguardo alla quantificazione della spesa, si osserva che, a fronte della previsione di soli 8 miliardi di lire per la trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro in parola ed il mantenimento a regime delle garanzie occupazionali, risulta che la spesa sostenuta dall'amministrazione ammonta, rispettivamente, per gli anni 1993 e 1994, a lire 12.726.000.000 e a lire 14.645.000.000. I maggiori oneri dovrebbero essere fronteggiati con gli ordinari trasferimenti in favore dell'ESA, con possibili conseguenti negative refluenze anche sull'ordinaria gestione dell'Ente.

1.5.-- Il Commissario dello Stato impugna altresí l'art. 4 della legge regionale, che riproduce le previsioni dell'art. 6 del precedente disegno di legge n. 894 del 1995, impugnato con il ricorso n. 30 del 1995.

Nel denunciare il suddetto articolo per violazione dei principi di cui agli artt. 97 e 53 della Costituzione, si rileva che il legislatore siciliano, a pochi mesi dalla entrata in vigore della legge regionale n. 43 del 1994, regolatrice della materia in questione, nel cui ambito sono ricompresi anche gli immobili occupati dagli appartenenti alle forze dell'ordine, ai sensi della precedente legge regionale n. 54 del 1985, ritorna sull'argomento, introducendo una norma volta a modificare irragionevolmente i criteri di determinazione del prezzo di vendita degli stessi.

La precedente disposizione, contenuta nell'art. 6 della legge regionale n. 43 del 1994, escludeva espressamente che gli immobili in questione potessero essere ceduti al prezzo determinato ai sensi del precedente art. 2, cioè valutati ope legis come appartenenti alla categoria catastale A/4 (abitazioni popolari), rinviando implicitamente per la quantificazione del prezzo di vendita al criterio del valore venale del bene, anche in ragione del fatto che, per gli immobili in questione, acquistati da privati secondo la legge regionale n. 54 del 1985, non erano state osservate le limitazioni proprie dell'edilizia residenziale pubblica, risultando essi di superficie utile superiore a quella definita dall'art. 16 della legge n. 457 del 1978.

In questo contesto la nuova disciplina violerebbe il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto "lungi dal perseguire una finalità pubblica, causerebbe un immediato depauperamento del patrimonio pubblico", dal momento che il prezzo di vendita degli immobili in questione, classificati in massima parte in categoria catastale A/2 (case di civile abitazione) ed, inoltre, di recente costruzione, risulterebbe notevolmente inferiore a quello di acquisto ed al valore effettivo di mercato.

Né gli introiti derivanti dalla vendita potrebbero "sufficientemente essere destinati per l'acquisto o la realizzazione d'altrettanti immobili da utilizzare per il fine originariamente perseguito", e tuttora avvertito, di soddisfare le esigenze abitative della categoria degli appartenenti alle forze dell'ordine, impegnate in Sicilia per contrastare il fenomeno della criminalità organizzata.

Né, infine, l'iniziativa legislativa in questione potrebbe ritenersi finalizzata "a colmare situazioni di deficit finanziario degli enti gestori, che in astratto potrebbe giustificare la cessione a prezzi ridotti se immediatamente produttiva di entrate".

Sotto altro profilo la suddetta iniziativa legislativa violerebbe l'art. 53 della Costituzione, in quanto "darebbe origine indirettamente ad una elusione fiscale in favore degli acquirenti, perché le imposte derivanti dagli atti di compravendita sarebbero inevitabilmente riferite ad una rendita catastale notevolmente inferiore rispetto a quelle effettive determinate dalla Direzione del Catasto".

1.6.-- L'art. 5 della legge regionale ripropone una disposizione già impugnata con il ricorso n. 29 del 1995, riguardo alle elezioni dei consigli circoscrizionali, in base alla quale le elezioni relative alla prima tornata elettorale, secondo l'art. 169 della legge regionale n. 16 del 1963, e successive modificazioni, sono rinviate alla seconda tornata prevista dalla medesima disposizione: tale norma sarebbe, ad avviso del ricorrente, "affetta da illogicità manifesta", in palese violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione. Senza motivi plausibili, infatti, il legislatore regionale avrebbe voluto interrompere le procedure già in atto (fin dalla indizione, con decreto dell'Assessore per gli enti locali del 10 marzo 1995) per il rinnovo dei consigli circoscrizionali di Bagheria e Siracusa, elezioni che, tra l'altro, hanno avuto luogo il 15 maggio 1995, rinviando le elezioni stesse al secondo turno autunnale, con "indubbio pregiudizio" del diritto dei cittadini di esprimere il proprio voto in tempi predeterminati e di "accedere, alle scadenze naturali, alle cariche pubbliche per le quali intendano candidarsi".

1.7.-- Viene impugnato, altresí, l'art. 6 della legge che, riproducendo una disposizione già oggetto anch'essa del ricorso n. 29 del 1995, introduce una disciplina transitoria dell'attività venatoria, valida sino al 31 gennaio del 1996. Tale disciplina sarebbe lesiva dei principi contenuti nella legge n. 157 del 1992, che si configurano quali norme fondamentali di riforma economico-sociale, nonché dell'art. 14 dello Statuto speciale e dell'art. 11 della Costituzione. Infatti, con tale norma, il legislatore regionale richiamerebbe in vita la legge regionale n. 37 del 1981, "anche nelle parti divenute illegittime a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 157 del 1992", in particolare per quanto attiene alle specie cacciabili, che, nell'art. 19 della legge regionale n. 37 del 1981 appaiono più ampie di quelle individuate dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992: l'elencazione delle specie cacciabili costituisce "l'oggetto minimo inderogabile della protezione che lo Stato, anche in adempimento degli obblighi assunti in sede internazionale e comunitaria, ha ritenuto di dover offrire al proprio patrimonio faunistico"; né questa censura può essere superata in base ai commi 1 e 2 dell'articolo in questione, che si limitano a rinviare all'art. 18 della citata legge statale soltanto relativamente ai periodi di caccia. Inoltre, il comma 2 dell'art. 6 vanifica un aspetto qualificante della normativa statale di riforma, consistente nella pianificazione degli ambiti territoriali nei quali può svolgersi la caccia, in quanto, nella norma regionale, si sostituisce l'autorità centrale (l'Assessore regionale) a quelle locali (le Province, secondo la legge statale). Infine, la disciplina transitoria introdotta influisce indirettamente sul sistema sanzionatorio penale, in quanto, prevedendo, fino al 31 gennaio 1996, l'attività venatoria nei confronti di specie protette dalle norme statali, renderebbe esenti dalle sanzioni di cui all'art. 30 della legge n. 157 del 1992 i cacciatori siciliani.

1.8.-- Circa l'art. 7 della legge impugnata, vengono riproposte le censure già alla base del ricorso n. 33 del 1995, in riferimento al mancato rispetto dei principi di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, in quanto la norma, disponendo la erogazione di contributi in favore di due sole aziende di trasporto, costituisce una deroga alla disciplina nazionale e regionale con cui si dispongono misure in favore degli imprenditori che hanno subito danni patrimoniali a causa del rifiuto opposto a richieste estorsive, con conseguente disparità di trattamento tra le vittime dell'estorsione. Inoltre, la disposizione, non subordinando l'erogazione a congrue modalità e procedure che assicurino il rispetto della finalità perseguita, colliderebbe con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione. Né varrebbe a giustificare l'intervento legislativo in questione il riferimento ad eventuali finalità socio-assistenziali in favore dei dipendenti delle aziende danneggiate, in quanto detto intervento non può trovare fondamento nella competenza, meramente concorrente, che spetta alla Regione in materia di assistenza sociale.

2.1.-- Nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale si è costituita la Regione siciliana, sostenendo la infondatezza del ricorso, anzitutto quanto alle censure rivolte avverso la legge nel suo complesso. Assume la Regione resistente che la abrogazione delle disposizioni censurate, prima della decisione della Corte, è lo strumento a disposizione dell'organo legislativo per valutare la opportunità di espungere certe norme dal contenuto della legge, di cui l'Assemblea regionale si è servita nel caso in esame, mentre la promulgazione parziale costituisce espressione di una scelta discrezionale del Presidente della Regione. Al tempo stesso, si è ritenuto, con una valutazione di tipo politico, insindacabile dal giudice costituzionale, di riprodurre, in un nuovo disegno di legge, il contenuto delle disposizioni impugnate, anche per consentire il sindacato di costituzionalità. Né da ciò potrebbe derivare una violazione del regolamento dell'Assemblea regionale, violazione che, tra l'altro, non potrebbe dar luogo ad una pronuncia della Corte. Quanto alla violazione dell'art. 12 dello Statuto speciale, si afferma che l'esame in Commissione è stato effettuato, mentre non rileva il fatto che questo sia stato più o meno approfondito, ovvero si sia incentrato sulla opportunità di riprodurre le norme già abrogate.

2.2.-- Quanto all'art. 1, commi 2 e 3, si osserva che "il legislatore regionale è intervenuto per porre rimedio ai problemi applicativi derivati dalla formulazione dell'art. 1 della l. n. 21 del 1986", che ha determinato un "folto contenzioso", sicché le norme in questione, volte a rimediare a disparità di trattamento, si giustificano proprio alla luce degli artt. 3 e 97 della Costituzione. In particolare, dopo che costanti pronunzie del giudice amministrativo avevano stabilito che, ai fini dei concorsi previsti dall'art. 1 della legge regionale n. 21 del 1986, si doveva valutare anche l'anzianità maturata preruolo, l'Amministrazione tornava a pronunziare provvedimenti di esclusione soltanto nei confronti di una parte dei dipendenti, con la motivazione che gli stessi non avrebbero potuto partecipare ai concorsi, perché non inquadrati nei ruoli regionali alla data di entrata in vigore della legge.

Ricordato che il problema è venuto a riguardare essenzialmente personale che, in base alla legge regionale n. 8 del 1981, fu inserito in graduatorie contemplate in un provvedimento registrato alla Corte dei conti il 2 maggio 1986, e pubblicato il 31 maggio successivo, si rileva che la disposizione dell'art. 1, comma 2, tende a ricondurre a coerenza il sistema, rispetto alla disciplina successivamente introdotta in materia dalla legge regionale n. 8 del 1993.

Riguardo al comma 1, "lungi dal determinare situazioni di disparità", esso si giustifica per l'esclusivo rilievo attribuito all'anzianità maturata nel ruolo, in base al particolare meccanismo di selezione previsto dall'art. 1 della legge regionale n. 21 del 1986. Si osserva che ad escludere la violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione basterebbe il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui si giustifica un trattamento differenziato per la stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo.

Ad un intento riparatorio si ispirerebbe anche la disposizione di cui al comma 4, poiché "la retrodatazione della rilevanza del possesso del titolo del diploma di laurea era apparsa illogica nonché lesiva della posizione di quei dipendenti regionali che, per l'appunto, avevano conseguito il suddetto diploma prima che fosse entrata in vigore la l. n. 21 del 1986".

Quanto al comma 5, i rilievi proposti risultano generici ed esprimono un ipotetico contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione. Di qui l'inammissibilità della questione, per l'ipoteticità e l'indeterminatezza delle censure. In ogni caso, poi, se il parametro è costituito dagli artt. 3 e 97 della Costituzione, non si vede rispetto a quali soggetti e per quali motivi sia sorta una disparità di trattamento.

Circa i commi 6 e 7, la memoria sostiene che deve ammettersi, come affermato da questa Corte, "la costituzionalità delle norme di sanatoria se dirette a tutelare un qualche pubblico interesse".

2.3.-- In ordine alla censura avverso l'art. 2, concernente il personale della formazione professionale, la difesa della Regione sostiene che la norma impugnata si differenzia da quella dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 437 del 1994, in quanto quella attuale, al contrario della precedente, persegue l'obiettivo di utilizzare effettivamente il personale in mobilità, facendo con ciò venir meno l'aspetto assistenzialistico.

Rilevato, inoltre, che la Regione sarebbe vincolata, ai sensi dell'art. 13 della legge regionale 6 marzo 1976, n. 24, ad adeguare i suoi interventi al contenuto del contratto collettivo, si evidenzia che quest'ultimo non si limita a disciplinare la posizione del personale nei confronti dei rispettivi enti, ma prevede adempimenti ed oneri che gravano direttamente sulle Regioni, dei quali l'art. 27 costituisce un esempio. Proprio la totale attuazione di tale articolo incontra un limite nella incompleta disciplina dettata dalla legge regionale n. 24 del 1976, sicché non può contestarsi il diritto dell'Assemblea regionale ad intervenire legislativamente, onde consentire la piena attuazione degli obblighi contrattuali già assunti, secondo quanto sostenuto, tra l'altro, dal Consiglio di Giustizia amministrativa.

Osservato che è priva di fondamento la censura di disparità di trattamento, in quanto una apposita disposizione per i dipendenti ai quali sia stato ridotto l'orario di lavoro era contenuta già nell'art. 2, comma 2, della legge regionale n. 25 del 1993, si rileva che nell'attuazione dell'art. 27 del contratto collettivo l'Assessore non potrà non tener conto della previsione relativa alla connessione con il processo di ristrutturazione e riqualificazione e che le eventuali discrasie potranno assumere rilievo nell'ambito del controllo di legittimità sugli atti posti in essere in applicazione della norma. Si sostiene, inoltre, l'infondatezza delle censure relative alla violazione dell'art. 97 della Costituzione e dell'art. 17 dello Statuto speciale, in quanto, da un lato, la previsione dell'anzianità di servizio e del carico di famiglia, in aggiunta agli altri requisiti previsti dall'art. 27 del contratto collettivo, non contrasta con la normativa regionale vigente in materia (art. 2 della legge regionale n. 25 del 1993); dall'altro, la norma impugnata rientra nella competenza legislativa della Regione, trattandosi di materia concernente la legislazione sociale ed in particolare i rapporti di lavoro (art. 17, lettera f, dello Statuto speciale). Si assume, inoltre, l'esistenza nella legislazione nazionale di riferimento di una norma, ovvero l'art. 9, quarto comma, della legge n. 845 del 1978 che, al fine di garantire la mobilità del personale, e quindi i livelli occupazionali, impone alla Regione di legiferare al riguardo, anche per evitare agli operatori della formazione professionale in mobilità una disparità di trattamento nei confronti di personale in analoga situazione su tutto il territorio nazionale.

Circa la lamentata violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, secondo la Regione sarebbe da considerare implicito il riferimento al cap. 34109 del bilancio della Regione, concernente la formazione professionale.

2.4.-- Quanto all'art. 3, si osserva, in linea generale, che le censure mosse dal ricorrente, del tutto destituite di fondamento, scaturiscono "da una insufficiente ed incompleta conoscenza della situazione di fatto" relativa ai consorzi di bonifica in Sicilia, destinatari da lungo tempo di divieti, con poche eccezioni, di assumere nuovo personale e costretti, per compiti indispensabili, al reclutamento di personale mediante rapporti di lavoro a tempo determinato, incarichi di prestazione d'opera, assunzioni stagionali.

Rilevato che analoghe considerazioni valgono per l'Ente di sviluppo agricolo, si osserva che le norme impugnate costituiscono il risultato di una esatta valutazione delle effettive esigenze di funzionamento e di organizzazione, sulla quale risulta ininfluente il fenomeno della riduzione del numero dei consorzi.

Rilevato che la stessa esigenza di sanare pregresse situazioni di precariato di lavoratori, le cui prestazioni sono necessarie per la prosecuzione delle attività dei consorzi, riconosciuta dal Commissario dello Stato a proposito del comma 1 dell'art. 30 del disegno di legge approvato il 7 aprile 1995, ricorre anche per la disposizione di cui al comma 1 dell'art. 3 della delibera legislativa impugnata, si contesta l'inconciliabilità del contratto di prestazione d'opera con la quantificazione e rilevazione dell'orario di servizio espletato, necessarie secondo il ricorrente ai fini della "individuazione dei soggetti destinatari della norma" e si nega altresí che sussista disparità di trattamento tra i soggetti di cui al comma 1 dell'art. 3 della delibera legislativa impugnata e quelli di cui ai commi 1 e 4 dell'art. 30 del disegno di legge approvato il 7 aprile 1995.

Nè il comma 3 dell'articolo censurato si presta al rilievo commissariale sulla mancata indicazione di alcun limite minimo di servizio, trattandosi di impiego precario.

Rilevato che si tratta di scelte discrezionali del legislatore regionale, sindacabili solo per macroscopici vizi di arbitrarietà e di illogicità, si afferma che non sussistono neppure le pretese violazioni degli artt. 51 e 97 della Costituzione, costituenti unica censura in mancanza di argomenti sulla prima delle due, anche perché l'obiettivo della salvaguardia dell'occupazione, indubbiamente prefissosi dal legislatore regionale con la delibera legislativa impugnata, non è certo indice di irragionevolezza (sentenza n. 63 del 1995).

Tale considerazione vale anche per il personale contemplato dal comma 3 dell'art. 3 della delibera legislativa impugnata, peraltro ammontante a due sole unità.

Gli appunti poi mossi dal ricorrente al comma 4 dell'art. 3, sarebbero il frutto di una superficiale valutazione delle esigenze che hanno indotto il legislatore regionale ad estendere, ai prestatori d'opera utilizzati dall'ESA, i benefici previsti per gli operai stagionali dei consorzi.

Invero, l'utilizzo di detto personale per interventi di protezione civile ha carattere marginale, mentre, per il limite chilometrico previsto dal comma 5 per l'impiego del personale in discorso, una lettura non frammentaria della norma evidenzia che il predetto raggio di azione non si dirama necessariamente da un punto fisso, dal momento che il personale stesso può essere utilizzato anche in località distanti quaranta chilometri "dal luogo della precedente adibizione".

La censura relativa alla lamentata "sottostima" degli oneri finanziari, sarebbe, invece, inammissibile, dato che non viene dedotta violazione dell'art. 81 della Costituzione; ovvero infondata se intesa come diretta a prospettare ulteriore violazione dell'art. 97 della Costituzione. E anche perché la previsione di spesa attiene ai soli oneri aggiuntivi connessi al nuovo tipo di rapporto.

2.5.-- La Regione chiede che anche le questioni sollevate nei confronti dell'art. 4 della legge circa i criteri di determinazione del prezzo di cessione degli immobili occupati dalle forze dell'ordine, siano dichiarate non fondate, assumendo, sulla base della giurisprudenza costituzionale, che il principio del buon andamento "non può implicare un sindacato sulla ponderazione degli interessi compiuta dal legislatore né può estendersi a valutazioni in ordine ai possibili altri modi con cui provvedere alle situazioni considerate dalla norma", non senza evidenziare che l'obiettivo perseguito dalla norma censurata è quello di fornire un "tangibile riconoscimento del ruolo svolto in Sicilia dai suoi destinatari, impegnati in prima linea nella lotta contro la mafia".

Rilevata l'esigenza di una interpretazione sistematica della disposizione nel contesto della legge regionale 31 dicembre 1985, n. 54, e successive modificazioni, si osserva che la possibilità di determinazione del prezzo di vendita degli alloggi sulla base della categoria catastale A/4 (abitazioni popolari) non appare irragionevole, attesa la previsione dell'art. 2, comma 1, della legge regionale n. 54 del 1985, di dare priorità all'acquisto di alloggi aventi le caratteristiche tipologiche previste dalla legge 5 agosto 1978, n. 457, anche se, in pratica si è fatto largo ricorso all'acquisizione di case con superficie utile superiore (ma con il limite massimo di 120 mq.).

Il motivo di doglianza relativo all'elusione fiscale è privo di consistenza giacché il valore ope legis di cui all'art. 2 della legge regionale n. 43 del 1994, è valido solo ai fini della determinazione del prezzo di cessione in proprietà dell'immobile assegnato.

2.6.-- Quanto alle censure rivolte avverso l'art. 5, la difesa della Regione afferma che, nonostante la norma impugnata, i procedimenti elettorali sono proseguiti senza alcun rinvio, per cui si ritiene possa dichiararsi cessata la materia del contendere.

2.7.-- In ordine all'art. 6 della legge regionale, la resistente, ricordato che, nell'ambito della disciplina posta dalla legge n. 157 del 1992, un diverso trattamento è riservato alle Regioni a statuto speciale rispetto a quelle ordinarie, nega che, con la norma transitoria in esame, si sia inteso riportare in vita la legge regionale n. 37 del 1981, posto che essa non ha mai cessato di avere vigore nella Regione. D'altra parte, il termine per l'adeguamento della legislazione regionale, che aveva originariamente scadenza di un anno, è stato successivamente prorogato e, al momento della approvazione della legge aveva scadenza quadriennale, in base al decreto-legge n. 140 del 1995 (fino al febbraio 1996). Pertanto, la disciplina regionale transitoria, che provvede per un periodo di tempo non eccedente il 31 gennaio 1996, non può considerarsi in contrasto con i principi della legge statale. Quanto alla violazione dell'art. 11 della Costituzione, si rileva che il ricorso non assume la violazione di alcuna norma comunitaria puntualmente determinata, per cui dovrebbe ritenersi inammissibile, o comunque infondato.

2.8.-- Infine, quanto alle censure relative all'art. 7 della legge, la difesa della Regione, dopo aver chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata, ha successivamente depositato il testo della legge regionale approvata il 4 agosto 1995 dall'Assemblea regionale siciliana (Provvedimenti straordinari in favore delle ditte di trasporto STAT, Camarda e Drago ed Emanuele Antonino, vittime di attentati incendiari di natura mafiosa. Provvidenze per i danni causati da atti criminosi), il cui art. 5 abroga l'art. 7 della legge impugnata.

3.-- In prossimità dell'udienza la difesa della Regione ha presentato una memoria per ribadire le ragioni a sostegno della legittimità costituzionale delle disposizioni dell'art. 1, commi 6, 7 e 8.

Quanto al comma 6, si evidenzia, in linea generale, come la norma "nasce con il preciso scopo di fornire un'interpretazione autentica dell'art. 3, comma 1, della legge regionale n. 22 del 1991", qualificandosi pertanto come norma interpretativa e non di sanatoria.

Attese le finalità della disposizione, sarebbero infondate le censure concernenti l'asserita violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, e, al tempo stesso, sarebbe "inconferente", e pertanto inammissibile, la questione relativa al contrasto con gli artt. 101 e 103 della Costituzione, non essendo queste norme costituzionali "precisamente dirette alla salvaguardia della funzione giurisdizionale nel senso invocato nel ricorso".

Riguardo alle disposizioni di cui ai commi 7 e 8, la memoria illustra, nei dettagli, le vicende anche normative che giustificano l'estensione della norma di cui all'art. 48 della legge regionale n. 30 del 1993 al personale comandato dall'Istituto siciliano mutilati e invalidi di guerra, presso l'Assessorato regionale agli enti locali, ai sensi dell'art. 10 della legge regionale n. 33 del 1991. Poiché anche i comandi disposti ai sensi della disposizione testé menzionata sono preordinati al perseguimento di finalità istituzionali, al pari di quelli dei dipendenti considerati dal menzionato art. 48 della legge regionale n. 30 del 1993, l'inquadramento dei dipendenti dell'Istituto siciliano mutilati e invalidi di guerra nel ruolo speciale transitorio di cui all'art. 8 della legge regionale n. 53 del 1985 appare volto a recuperare coerenza al sistema, "collocando il personale in questione nella posizione che gli competeva, realizzandosi altrimenti una disparità di trattamento con l'altro personale comandato, contemplato dall'art. 48 della l.r. n. 30 del 1993".

Considerato in diritto

1.-- Con il ricorso in epigrafe, il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha impugnato, in riferimento agli artt. 3, 11, 51, 53, 81, quarto comma, 97, 101 e 103 della Costituzione nonché agli artt. 12, 14 e 17, lettera f), dello Statuto speciale, l'intero testo e vari articoli della legge approvata dall'Assemblea regionale il 16 maggio 1995 (Disposizioni concernenti il personale regionale e degli enti locali. Processi di mobilità degli operatori della formazione professionale. Garanzie occupazionali per il personale dei consorzi bonifica e dell'ESA. Alloggi delle forze dell'ordine. Rinvio elezioni consigli circoscrizionali. Disciplina transitoria della caccia. Provvedimenti in favore delle ditte STAT e Camarda e Drago).

La legge censurata è riproduttiva di norme già impugnate innanzi a questa Corte da parte del Commissario dello Stato (r. ric. nn. 28, 29, 30, 31, 32 e 33 del 1995) ed è stata approvata nella medesima seduta in cui è stata assunta un'altra delibera legislativa, la n. 1017, con la quale sono state abrogate le disposizioni avverso le quali erano state proposte le cennate impugnative. A seguito dell'abrogazione posta in essere con tale delibera (divenuta legge regionale 25 maggio 1995, n. 48), la Corte ha dichiarato cessata la materia del contendere sui precedenti ricorsi (sentenze nn. 392, 393, 394, 395, 396 e 407 del 1995).

2.-- Il Commissario dello Stato, nel definire "anomala" ed "artificiosa" la procedura seguita, premette che, secondo quanto emerge dagli atti dell'Assemblea regionale, la sua ragion d'essere va rinvenuta nell'intento, da una parte, di pervenire all'immediata promulgazione, con conseguente entrata in vigore, delle leggi limitatamente alle norme non oggetto di gravame; dall'altra, in quello di non vanificare, quanto alle norme censurate, il precedente deliberato assembleare e di non precludere il giudizio della Corte costituzionale sulle impugnative proposte dal Commissario stesso.

Non condividendo dette ragioni, il ricorrente ritiene che l'intero provvedimento legislativo, nella sua "illogicità manifesta", si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione nonché con l'art. 12 dello Statuto speciale: infatti il Presidente della Regione, avvalendosi del disposto dell'art. 29, secondo comma, dello Statuto medesimo, allo scadere del trentesimo giorno (id est 15 maggio 1995) dalla proposizione dei ricorsi, avrebbe potuto legittimamente promulgare per intero la legge, senza precludere alla Corte costituzionale la decisione sulle impugnative che erano già state proposte.

Ci si duole, al tempo stesso, delle modalità secondo le quali si sarebbe svolto l'esame del merito del provvedimento, avvenuto con la mera riproposizione del contenuto delle delibere legislative oggetto dei precedenti ricorsi, in materie assegnate, dal regolamento dell'Assemblea, a commissioni diverse da quella che lo ha esaminato; oltretutto senza tener conto, eventualmente anche per confutarli, dei rilievi d'ordine costituzionale che, con i ricorsi, erano stati mossi avverso i testi originari.

La Regione, dal canto suo, nel ricordare che la Corte costituzionale ha riconosciuto che il Presidente della Regione può scegliere se promulgare integralmente la legge regionale ovvero se procedere alla promulgazione omettendo le disposizioni impugnate, osserva che, mentre la promulgazione parziale costituisce espressione di una scelta discrezionale del Presidente della Regione, attraverso l'abrogazione in corso di giudizio e la conseguenziale promulgazione delle parti non impugnate è lo stesso organo legislativo che valuta l'opportunità di espungere certe norme dal contesto della legge.

Le questioni non sono fondate.

Quanto alla prima, va premesso che non sfuggono alla Corte gli inconvenienti della procedura posta in essere, dalla quale sono derivati indubbiamente una duplicazione e un dispendio di attività, tanto per l'Assemblea regionale, che per il Commissario dello Stato, come pure per la Corte medesima. Incidentalmente è dato rilevare che, ad ulteriore dimostrazione della singolarità dell'iter seguito, sta anche il fatto che, per le leggi oggetto dei precedenti ricorsi, come risulta dalla Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana, l'abrogazione posta in essere con la delibera del 16 maggio 1995, ha preceduto la conclusione del procedimento legislativo che si è compiuto successivamente, essendo state, talune delle leggi, promulgate e pubblicate in data 18 maggio, con esclusione delle disposizioni già oggetto di ricorso e altre, integralmente, in data 25 maggio 1995.

Ciò nonostante, le doglianze avanzate dal ricorso, se possono offrire occasione di valutazioni critiche in ordine all'opportunità delle scelte procedimentali operate dalla Regione, non evidenziano, nei riguardi del testo legislativo impugnato con l'odierno ricorso, specifiche censure che attingano il livello di veri e propri vizi di costituzionalità.

Sorte non migliore merita la censura relativa alle modalità dei lavori assembleari, cosí come svoltisi in commissione. L'art. 12 dello Statuto prevede che i progetti di legge siano elaborati dalle commissioni dell'Assemblea regionale, ma, una volta che la norma sul deferimento in commissione, come mostrano i lavori preparatori, sia stata osservata, non spetta alla Corte valutare il grado di approfondimento del dibattito ovvero gli argomenti e gli aspetti sui quali l'attenzione della commissione stessa si è maggiormente soffermata. Per il resto, e quanto al problema della competenza di quest'ultima, trattasi di questione che attiene all'osservanza delle norme regolamentari relative alla distribuzione interna dei singoli affari, che non può trovare qui ingresso, non essendo ammissibile in questa sede la deduzione di vizi attinenti al mancato rispetto delle norme regolamentari sui lavori dell'Assemblea.

3.1.-- Forma, poi, oggetto di censura l'art. 1, comma 1, della legge, il quale dispone che -- ai fini della formulazione delle graduatorie dei concorsi previsti dalle lettere a) e b) dell'art. 1 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 21, non ancora banditi alla data di entrata in vigore della legge qui impugnata -- l'anzianità effetti-vamente posseduta nella qualifica di provenienza è quella relativa al servizio effettivamente prestato nel ruolo e nella qualifica attualmente posseduti, con esclusione dei periodi di servizio riscattati e/o riconosciuti presso altre amministrazioni.

Trattasi dei concorsi riservati di accesso alla qualifica superiore, previsti, in sede di prima applicazione, dalla legge regionale 9 maggio 1986, n. 21, per i quali i concorrenti delle precedenti tornate, come risulta dal ricorso, si erano giovati, sulla scorta di conformi pronunzie giurisprudenziali, anche dell'anzianità maturata presso altre amministrazioni.

Assume il ricorrente che la disposizione censurata, nel dare una definizione restrittiva dell'anzianità valutabile per i predetti concorsi, comporterebbe, in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, una ingiustificata disparità di trattamento fra gli interessati, escludendo dalla partecipazione ai concorsi stessi dipendenti che versano nelle medesime condizioni di coloro che vi hanno partecipato a suo tempo.

La questione è fondata.

E' vero, infatti, come afferma la Regione resistente, che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, ai fini del trattamento differenziato riservato, in momenti diversi, alla stessa categoria di soggetti, un valido criterio discretivo può essere rinvenuto proprio nello stesso fluire del tempo. Ma tale principio non può essere invocato quando, come nel caso in esame, si tratti di dipendenti che partecipano, sia pure in tempi diversi, a concorsi previsti dalle stesse disposizioni, nella specie quelle della legge regionale n. 21 del 1986, giacché il diverso criterio valutativo applicato ad alcuni soltanto finirebbe per risolversi in una non ragionevole alterazione delle condizioni richieste per la partecipazione ai concorsi stessi.

3.2.-- Il Commissario dello Stato impugna, altresì, i commi 2 e 3 del medesimo art. 1. La prima disposizione prevede che il personale in servizio già ammesso con riserva alla partecipazione ai concorsi banditi dalla Presidenza della Regione, ai sensi dell'art. 1 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 21, è collocato, anche in sovrannumero, nelle qualifiche per le quali ha superato le relative prove, con la medesima decorrenza giuridica del personale che già era stato inquadrato a seguito dei concorsi medesimi; la seconda disposizione concerne la copertura della relativa spesa.

Secondo il ricorrente, le disposizioni censurate contrasterebbero con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, comportando l'inquadramento in qualifiche superiori di personale che era stato escluso dai concorsi perché privo di un requisito prescritto dalla legge regolatrice (legge regionale n. 21 del 1986), e cioè quello dell'inquadramento nei ruoli regionali alla data dell'11 maggio 1986.

La Regione resistente, senza contestare nella sostanza il rilievo avanzato dal Commissario dello Stato, oppone, tuttavia, che l'intento delle disposizioni censurate sarebbe quello di rimediare alla disparità di trattamento derivante dall'applicazione data alle norme cui le disposizioni impugnate fanno rinvio, non avendo tenuto l'amministrazione regionale un comportamento uniforme nei confronti di tutti i dipendenti.

La questione è fondata.

Come emerge dalla lettura degli atti prodotti dalle due parti del giudizio, essa si colloca nell'ambito di una vicenda, amministrativa e giurisdizionale, dagli aspetti piuttosto complessi, dalla quale -- a quel che risulta -- hanno tratto benefici non dovuti soggetti che si trovavano nelle medesime condizioni di quelli che la Regione ha inteso agevolare con le odierne disposizioni.

Ma questo nulla toglie all'illegittimità delle disposizioni denunciate, giacché, contrariamente a quanto opinato dalla resistente, l'esigenza di pari trattamento non può avere come termine di riferimento l'erronea applicazione cui, in passato, possono aver dato luogo le disposizioni in materia, con ingiustificato vantaggio da parte di taluno.

3.3.-- E' impugnato, altresí, il comma 4 dell'art. 1. Tale disposizione prevede che "il personale che ha conseguito il passaggio alla qualifica di dirigente previo superamento di esami, ai sensi dell'art. 1, lettera b), della legge regionale 9 maggio 1986, n. 21, e che, essendo in possesso, alla data di entrata in vigore della predetta legge, del diploma di laurea prescritto dall'art. 1, lettera a), della legge regionale 9 maggio 1986, n. 21, avrebbe avuto titolo a conseguire il passaggio alla qualifica di dirigente previo superamento dell'esame colloquio, viene equiparato, ai soli fini giuridici, al personale che ha conseguito il passaggio in applicazione dell'art. 1, lettera a), della legge regionale suddetta, per quanto concerne il possesso del diploma di laurea, quale condizione necessaria per l'accesso alla carriera direttiva".

Ai fini della più chiara comprensione della questione che si pone in ordine a detta disposizione, invero di non agevole lettura, occorre rifarsi alla norma richiamata dalla disposizione censurata, e cioè all'art. 1 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 21. Questo, nel modificare a sua volta l'art. 59 della precedente legge 29 ottobre 1985, n. 41, ha aggiunto ad esso alcuni commi, il primo dei quali consente, in sede di prima applicazione della legge, al personale dei ruoli amministrativo e tecnico con qualifica non superiore ad assistente, il conseguimento della qualifica superiore, secondo un duplice alternativo procedimento:

a) il superamento di un esame colloquio, per il personale che, oltre ad avere una anzianità effettiva nella qualifica di provenienza di almeno due anni, sia in possesso del titolo di studio e degli eventuali titoli abilitativi richiesti per l'accesso alla qualifica superiore con riferimento, secondo l'espresso dettato legislativo, "alla data di entrata in vigore della presente legge"; locuzione quest'ultima da riferire, come è evidente, alla legge 29 ottobre 1985, n. 41, che è per l'appunto quella alla quale la legge 9 maggio 1986, n. 21, aggiunge alcuni commi;

b) il superamento di un esame a norma degli artt. 60, terzo comma, e 62, terzo comma, della legge regionale 23 marzo 1971, n. 7 (e successive modifiche), per il personale che, oltre ad avere una anzianità effettiva di servizio di almeno cinque anni, sia in possesso del titolo di studio richiesto per la qualifica ricoperta.

Secondo il ricorrente, la disposizione denunciata sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, in quanto destinata a concedere, anche se ai soli fini giuridici, un ingiustificato vantaggio a quei dipendenti che hanno partecipato ai concorsi previsti dalla lettera b) dell'art. 1 della legge n. 21 del 1986 e che, quindi, presumibilmente, alla data di entrata in vigore della legge 29 ottobre 1985, n. 41, non erano in possesso del diploma di laurea, conseguito successivamente.

La questione non è fondata.

Non v'è dubbio che, nell'originaria disciplina della materia, il legislatore regionale intendesse conferire specifico rilievo alla laurea solo ove conseguita alla data di entrata in vigore della legge 29 ottobre 1985, n. 41, facendone uno dei requisiti richiesti per poter partecipare all'esame colloquio sub a). Tanto premesso, si osserva che i canoni invocati dal ricorrente impongono al legislatore, anche regionale, di esercitare la discrezionalità di cui gode in materia di inquadramento dei pubblici dipendenti, nel rispetto del principio di ragionevolezza, alla stregua di criteri selettivi che creino corrispondenza fra qualifiche e livelli di professionalità, avuto riguardo ai titoli di studio e all'anzianità nelle precedenti qualifiche. A tali canoni non sembra contraddire la disposizione censurata, ove valutata in sé, alla luce delle generiche doglianze avanzate dal Commissario dello Stato, per il solo fatto di limitarsi ad equiparare a coloro che erano in possesso del diploma di laurea al momento dell'entrata in vigore della legge n. 41 del 1985, gli altri dipendenti inquadrati a seguito dell'esame sub b), che si siano trovati in possesso di tale diploma in epoca successiva e comunque al momento dell'entrata in vigore della legge n. 21 del 1986.

3.4.-- Ulteriore questione che viene sollevata concerne il comma 5 del medesimo art. 1 che -- a modifica del terzo comma dell'art. 10 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 21 -- riconduce il personale "assunto in esito ai concorsi pubblici i cui decreti di indizione siano stati adottati alla data di entrata in vigore" della medesima legge n. 21 del 1986, nel regime previdenziale che la legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2 (e successive modifiche ed integrazioni), aveva previsto per i dipendenti della Regione; regime venuto meno proprio per effetto dell'art. 10 della legge regionale n. 21 del 1986, che, nella sua prima formulazione, aveva esteso, infatti, agli impiegati regionali la disciplina generale degli statali, escludendo, tuttavia, dalla riforma, oltre "al personale in servizio o già in quiescenza" (secondo comma), anche coloro che erano in procinto di essere assunti "in esecuzione di concorsi già banditi" (terzo comma).

La norma denunciata, a modifica di quest'ultima disposizione, pone come termine di riferimento non più i bandi, bensì i decreti di indizione dei concorsi, "ancorché pubblicati in data successiva", ampliando così l'ambito della disciplina transitoria.

Assume il ricorrente che l'estensione, in tal modo operata, di un "particolare e più favorevole trattamento", a vantaggio di un ristretto numero di soggetti, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, violando, altresì, il "principio generale del pubblico impiego" oltre che quello dell'"affidamento", in quanto alla data di pubblicazione del bando i cittadini potevano avere effettiva conoscenza delle condizioni del rapporto di impiego e quindi determinarsi di conseguenza in ordine alla partecipazione al concorso stesso.

La questione non è fondata.

Infatti, a fronte di una disposizione che è espressione della discrezionalità che indubbiamente spetta al legislatore regionale nel dettare norme volte a determinare, in via transitoria, le categorie di soggetti che restano sottoposti al vecchio regime, il Commissario dello Stato prospetta la violazione, tra l'altro, di un non meglio specificato "principio generale del pubblico impiego" ovvero dell'"affidamento"; e cioè censure delle quali è difficile cogliere il livello costituzionale, come pure la correlazione con gli invocati parametri costituzionali.

3.5.-- Non fondata è anche la questione sollevata dal ricorrente in ordine al comma 6 del medesimo art. 1, secondo il quale, "ai fini della determinazione e del riscontro del possesso del requisito temporale di cui all'art. 3, comma 1, della legge regionale 15 maggio 1991, n. 22, debbono intendersi quali provvedimenti formali di cui alla stessa norma tutti quei provvedimenti, ordini e disposizioni che abbiano portato alla corresponsione delle retribuzioni al personale della refezione scolastica o che ne abbiano consentito l'immissione in servizio o che abbiano regolamentato l'espletamento delle attività lavorative nell'ambito del servizio, come istituito od erogato dall'ente Comune".

Secondo il Commissario dello Stato "è ragionevole presumere" che la disposizione intenda realizzare -- in violazione degli artt. 101 e 103, oltre che degli artt. 3 e 97 della Costituzione -- una ampia sanatoria di provvedimenti illegittimi, esonerando da responsabilità patrimoniali gli amministratori che tali provvedimenti abbiano posto in essere.

In realtà, la disposizione, vista in sé, ha una finalità ben più circoscritta di quella ipotizzata dal ricorrente, essendo palesemente rivolta all'attuazione del disposto dell'art. 3, comma 1, della legge regionale 15 maggio 1991, n. 22, il quale -- in vista della formazione delle liste di collocamento per la copertura presso gli enti locali dei posti per i servizi di cui all'art. 1 della stessa legge -- prende in considerazione coloro che abbiano già prestato servizio presso l'ente, con rapporto di lavoro subordinato o con contratto d'opera individuale instaurato sulla base di "provvedimento formale". Lo stesso contesto letterale della disposizione censurata, dimostra come essa intenda semplicemente chiarire, in via interpretativa, quali sono i provvedimenti formali che danno titolo, in relazione alle prestazioni lavorative già rese, ad iscriversi nelle liste di collocamento, per lo svolgimento delle specifiche prestazioni di cui all'art. 1 della legge regionale n. 22 del 1991.

3.6.-- Fondata è, invece, la questione concernente le disposizioni di cui ai commi 7 e 8 dello stesso art. 1. La prima estende al personale di cui all'art. 10 della legge regionale 23 maggio 1991, n. 33, la disciplina di cui all'art. 48 della legge regionale 3 novembre 1993, n. 30; la seconda provvede alla copertura della relativa spesa.

Secondo il ricorrente, le disposizioni si porrebbero in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, prevedendo -- per i tre dipendenti dell'Istituto siciliano mutilati ed invalidi di guerra, di cui è autorizzato il comando presso l'Assessorato alla sanità, a mente del ricordato art. 10 -- una assunzione nominativa ope legis con elusione delle ordinarie procedure di reclutamento ed oltretutto senza che se ne evincano motivazioni di interesse per la Regione.

Oppone la resistente che la soluzione legislativa criticata dal Commissario dello Stato è volta a recuperare coerenza al sistema, realizzandosi altrimenti una disparità di trattamento con l'altro personale comandato di cui all'art. 48 della legge regionale n. 30 del 1993.

Giova rilevare che le disposizioni impugnate, per conseguire il risultato su cui si appuntano le critiche del Commissario dello Stato, richiamano una precedente norma -- e cioè l'art. 48 della legge regionale n. 30 del 1993 -- che aveva inteso dare definitivo assetto alla posizione di personale delle Unità sanitarie locali e del Servizio sanitario nazionale che prestava la propria attività in posizione di comando presso l'Assessorato regionale della sanità, in virtù di varie disposizioni legislative (art. 1, capoverso 5, della legge regionale 5 dicembre 1991, n. 46; art. 17 della legge regionale 23 dicembre 1985, n. 52, modificato dall'art. 15 della legge regionale 22 aprile 1986, n. 20; art. 4 della legge regionale 5 gennaio 1991, n. 3), collocando detto personale in un ruolo speciale transitorio; ruolo che, invero, era stato originariamente previsto dall'art. 8 della legge regionale 27 dicembre 1985, n. 53, per esigenze precipuamente connesse all'inquadramento dei dipendenti degli enti le cui funzioni erano passate alla Regione.

Le ragioni che in passato possono avere indotto il legislatore regionale ad un primo ampliamento del ruolo speciale a soggetti che, quali i dipendenti delle Unità sanitarie locali, erano già iscritti in ruoli regionali, non appaiono di per sé estensibili alle tre unità di personale dell'Istituto siciliano mutilati e invalidi di guerra di cui all'art. 10 della legge regionale n. 33 del 1991, in favore delle quali si viene a concretare -- come osserva giustamente il ricorso -- una assunzione nominativa ope legis, al di fuori delle ordinarie procedure di reclutamento del personale, che costituiscono, per consolidata giurisprudenza, strumento attuativo dei canoni di imparzialità e buon andamento fissati nell'art. 97 della Costituzione.

4.-- Viene denunciato anche l'art. 2, che autorizza l'Assessore regionale per il lavoro, la previdenza, la formazione professionale e l'emigrazione ad attuare -- per il personale della formazione professionale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato che sia rimasto totalmente privo di incarico -- i processi di mobilità previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro.

Il ricorrente, con una censura invero di complessa e non del tutto puntuale articolazione, muove dal presupposto che la disposizione costituisca, con la sua formulazione generica e volutamente ambigua, un ennesimo tentativo del legislatore siciliano di garantire ad ogni costo il mantenimento della retribuzione al personale precedentemente impegnato nello svolgimento di corsi di formazione professionale gestiti da enti privati, reputando perciò violati gli artt. 3, 81, quarto comma, e 97 della Costituzione, nonché l'art. 17, lettera f), dello Statuto speciale. E questo perché:

a) verrebbe posto in essere un anomalo intervento di assistenza sociale in favore di una ristretta categoria di lavoratori, e cioè soltanto del personale della formazione professionale che sia rimasto totalmente privo di incarico, escludendo sia quei lavoratori del settore medesimo ai quali sia stato ridotto l'orario di servizio, sia i dipendenti di enti operanti in settori diversi da quello della formazione professionale;

b) vi sarebbe incongruità della disposizione censurata rispetto al fine che il legislatore si è prefisso di raggiungere, con pregiudizio dell'interesse pubblico all'efficienza e alla funzionalità della pubblica amministrazione: tramite un intervento assistenziale si immetterebbe in servizio personale selezionato al di fuori delle ordinarie procedure concorsuali, in base a criteri volti a tener conto dell'anzianità di servizio maturata nel settore della formazione professionale e del carico di famiglia, ma non dei requisiti e delle capacità professionali possedute;

c) verrebbe prevista una nuova spesa non quantificata nè accompagnata da copertura finanziaria.

La questione non è fondata, secondo quanto di seguito si dirà.

La norma impugnata rientra in una sequenza di interventi normativi concernenti il personale degli enti della formazione professionale, dei quali la Corte ha già avuto occasione di occuparsi (sentenze nn. 407 del 1995 e 437 del 1994), dichiarando la illegittimità costituzionale di precedenti disposizioni in argomento, volte a realizzare non consentite finalità assistenziali ed occupazionali.

Nel richiamare tali pronunce, il ricorrente assume che anche la presente disposizione, al pari delle precedenti, costituisce un tentativo di realizzare un indiscriminato inserimento di personale presso enti pubblici, per finalità meramente assistenziali.

La difesa della Regione, nel negare la violazione dei principi costituzionali invocati nel ricorso, obietta che la disposizione impugnata, differenziandosi dalle precedenti già dichiarate incostituzionali, è indirizzata a consentire la piena attuazione degli obblighi discendenti, per la Regione, dal contratto collettivo nazionale della categoria.

La Corte ritiene che la soluzione della questione posta dal Commissario dello Stato richieda un preliminare cenno sul quadro normativo nell'ambito del quale essa si colloca, avendo riguardo soprattutto a quanto si evince in tema di occupazione e mobilità del personale addetto alla formazione professionale. La legge regionale n. 24 del 1976 (Addestramento professionale dei lavoratori) -- nell'affidare (art. 4) all'Assessore regionale il compito di attuare i corsi e le altre iniziative formative, avvalendosi degli enti locali e di altri enti che hanno per fine la formazione professionale -- rimette (art. 13) agli enti addetti alla formazione la disciplina del trattamento del personale, nel rispetto delle norme stabilite dai contratti di categoria, istituendo, nel contempo, un albo (art. 14) al quale va iscritto il personale medesimo.

Ad integrazione di tale disciplina generale, la successiva legge regionale n. 25 del 1993 stabilisce (art. 2, comma 1) il principio che al personale iscritto nel citato albo, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, è garantita la continuità lavorativa e il trattamento economico stabilito dal contratto collettivo nazionale di categoria.

La disposizione censurata, aggiungendo un ulteriore comma a detto articolo, autorizza, con riguardo ai lavoratori testé menzionati, l'Assessore regionale ad attuare i processi di mobilità previsti dal contratto collettivo. Quest'ultimo, come ricorda anche la difesa della Regione, contempla procedure di mobilità del personale che, anche a fini di salvaguardia dell'occupazione, ne prevedono, tra l'altro, l'impiego presso strutture pubbliche, attraverso apposite convenzioni, alle quali è interessata anche la Regione.

Ma il semplice richiamo che la disposizione impugnata effettua ai processi di mobilità previsti dal contratto collettivo non sembra idoneo a conferire, al di là del richiamo stesso, autonoma portata precettiva alla disposizione medesima, tale da comportare gli effetti che il Commissario dello Stato paventa, nel senso, in particolare, della garanzia ad ogni costo della retribuzione, ovvero dell'immissione, "con un anomalo rapporto di servizio", di personale presso enti pubblici, in vista del mantenimento dell'occupazione di una specifica categoria di lavoratori dipendenti da enti privati, piuttosto che dell'interesse pubblico all'efficienza e funzionalità della pubblica amministrazione.

A ben vedere, la disposizione censurata, nella sua genericità, non investe l'Assessore regionale di competenze e di responsabilità, in tema di mobilità, maggiori di quelle che possano essere desunte, di per sè, dal citato contratto collettivo di lavoro, nel quadro delle sopra richiamate norme legislative regionali. Così intesa, la stessa più che risultare, secondo quanto sostenuto dalla difesa della Regione, funzionale all'attuazione dell'art. 27 del contratto collettivo di lavoro, appare addirittura tautologica e perciò superflua, in quanto volta a ribadire ciò che già è dato evincere aliunde.

E' certo che essa, proprio per la sua indeterminatezza, non è in grado di aggiungere alcunché alle previsioni del contratto collettivo, genericamente richiamato, né tantomeno di conferire al medesimo l'idoneità a porsi quale fonte di disciplina di rapporti e situazioni al di là dei limiti che allo stesso afferiscono in via di principio, superando, tra l'altro, i vincoli già messi in evidenza nelle precedenti sentenze di questa Corte.

Pertanto, una volta negata la esattezza della premessa dalla quale muove il Commissario dello Stato, va escluso che la disposizione si ponga in contrasto con i parametri costituzionali invocati nel ricorso.

5.1.-- Sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, viene denunciato, inoltre, l'art. 3, il quale contiene varie disposizioni, la cui comune caratteristica si rinviene nell'intento di estendere ad altri soggetti le garanzie già previste dagli artt. 30 e 33 della legge approvata dall'Assemblea regionale il 7 aprile 1995 (Norme sui consorzi di bonifica. Garanzie occupazionali per i prestatori d'opera dell'ESA e disposizioni per i commissari straordinari), promulgata come legge regionale 25 maggio 1995, n. 45.

Le disposizioni vengono censurate, sotto vari profili, dal Commissario dello Stato, in quanto preminentemente rivolte a raggiungere finalità occupazionali, piuttosto che a soddisfare le esigenze dei singoli enti. E di ciò darebbero conferma le stesse modalità di assunzione, al di fuori di ogni procedimento selettivo volto a verificare l'idoneità degli interessati. Dal canto suo la Regione oppone che le norme considerate, lungi dal sovvertire i canoni dell'art. 97 della Costituzione, "costituiscono il risultato di una prioritaria esatta e capillare valutazione delle effettive esigenze di funzionamento e di organizzazione degli enti interessati".

5.2.-- Data la loro evidente connessione, le censure avverso i commi 1 e 2 vanno esaminate congiuntamente. La prima norma prevede che "le disposizioni di cui al comma 1 dell'art. 30 della legge approvata dall'Assemblea regionale il 7 aprile 1995 [...] si applicano, in osservanza delle procedure previste dall'art. 19, comma 4, della legge regionale 1° settembre 1993, n. 25, anche ai soggetti che nel triennio 1992/1994 abbiano svolto incarico di prestazione d'opera per le esigenze istituzionali dei consorzi, per un periodo complessivo non inferiore a sei mesi nel suddetto triennio".

La seconda norma prevede, invece, che ai prestatori d'opera non rientranti nei benefici di cui al comma 1 vengano assicurate, a richiesta, 151 giornate lavorative con le procedure di cui al comma 6 del già citato art. 30.

Lamenta il ricorrente che la prima delle testé riferite disposizioni si risolve nell'estendere a coloro che hanno svolto incarichi di prestazione d'opera un trattamento -- e cioè l'assunzione a tempo indeterminato -- che il menzionato art. 30, comma 1, della legge regionale n. 45 del 1995 aveva, invece, inteso riservare agli operai, braccianti agricoli ed altri soggetti che, assunti a norma delle vigenti disposizioni in materia di collocamento, avevano prestato, nel triennio 1992/1994, la loro attività alle dipendenze dei consorzi stessi, "per un numero non inferiore a 400 giornate lavorative ai fini previdenziali o almeno 250 in due anni del predetto triennio". E questo senza tener conto delle finalità ispiratrici della originaria disposizione, tali da giustificare la deroga alle regole che disciplinano le assunzioni nei pubblici impieghi.

Illogica e contraddittoria sarebbe anche la previsione del comma 2, consistente nel contemplare una garanzia occupazionale pari ad un determinato numero di giornate lavorative, a semplice richiesta da parte dei prestatori d'opera non rientranti nei benefici di cui al comma 1, e senza indicazione alcuna di un limite minimo di servizio prestato.

Le questioni sono fondate.

Come osserva il ricorrente, le disposizioni censurate non valutano la situazione del tutto diversa in cui si trovano i soggetti da esse considerati rispetto ai destinatari delle disposizioni di cui viene operata l'estensione, ignorando completamente la peculiare ratio delle stesse e cioè quella di sanare la pregressa situazione di precariato in cui versavano operai e braccianti agricoli. A parte la diversa qualificazione del rapporto, riconducibile al lavoro subordinato, nell'un caso, e alla prestazione d'opera autonoma, nell'altro, è la natura stessa del contratto di prestazione d'opera a non consentire il riscontro, in termini di rilevazione e quantificazione del servizio prestato, delle condizioni previste dall'art. 30 della legge regionale n. 45 del 1995, per l'assunzione.

Si può, pertanto, convenire che i commi 1 e 2 mirano essenzialmente a realizzare garanzie occupazionali, equiparando situazioni tra loro non omogenee e, oltretutto, con modalità che non contemplano per i beneficiari alcuna prova selettiva, eccezione fatta per il vaglio dei titoli di studio e dei carichi di famiglia, come è dato desumere dal richiamo operato alla procedura di cui all'art. 19, comma 4, della legge regionale n. 25 del 1993.

5.3.-- Il ricorso censura, poi, il comma 3 del predetto art. 3, il quale prevede che il personale dell'ASCEBEM (Associazione siciliana dei consorzi ed enti di bonifica e di miglioramento fondiario) in servizio alla data del 31 dicembre 1994, sia assunto, a domanda da presentare entro 120 giorni, presso il consorzio il cui comprensorio maggiormente insiste nella Provincia di Palermo.

Secondo il ricorrente, la disposizione, nel prestarsi alle stesse valutazioni critiche rivolte alle norme esaminate nel precedente paragrafo, disattenderebbe il principio del buon andamento, privilegiando l'interesse dei singoli destinatari delle norme censurate al mantenimento dell'attuale rapporto di lavoro precario e temporaneo, rispetto alle esigenze di funzionamento e di organizzazione degli uffici pubblici.

Anche detta questione è fondata.

Le considerazioni negative espresse dal Commissario trovano, invero, conferma nelle stesse modalità dell'assunzione, che la disposizione prevede avvenga a domanda, senza indicazione di un termine minimo di servizio prestato, né del tipo di rapporto esistente, e senza subordinazione ad alcuna forma di verifica della professionalità e capacità degli interessati. V'è, perciò, fondato motivo di ritenere che il legislatore regionale abbia inteso darsi carico piuttosto dell'esigenza di salvaguardare i posti di lavoro, che della valutazione dell'interesse degli enti a carico dei quali le assunzioni sono destinate ad operare. Valutazione ancor più necessaria, come osserva il ricorso, a fronte della menzionata legge regionale n. 45 del 1995 che, nel riorganizzare la struttura degli enti consortili, ha provveduto ad una loro drastica riduzione.

5.4.-- Sempre alla luce dei parametri indicati sub 5.1, il Commissario denuncia altresí le disposizioni dei successivi commi 4, 5 e 6, dell'art. 3.

Secondo la prima di dette norme, l'Ente di sviluppo agricolo applica le disposizioni di cui ai commi 1, 4, lettera b), e 5 dell'art. 30 della legge approvata dall'Assemblea regionale il 7 aprile 1995, con decorrenza 1° gennaio 1996 e, in quanto compatibili, nei confronti dei prestatori d'opera dallo stesso utilizzati.

La seconda disposizione censurata prevede che detto personale "è utilizzato in località distanti fino a 40 km dal luogo di residenza o dal luogo della precedente adibizione e, su richiesta delle prefetture, degli enti locali e degli enti parco, anche per lo svolgimento di interventi di protezione civile, antincendio e nel campo della conservazione del suolo e della tutela ambientale, nonché per lavori di diserbamento e manutenzione della viabilità rurale, trazzerale ed interpoderale".

La terza disposizione prevede la copertura della spesa.

Il ricorrente, nel richiamare le considerazioni già svolte, ritiene che non appaia giustificabile l'estensione ai predetti soggetti del trattamento riservato agli operai stagionali dei consorzi, che comporterebbe una ingiustificata trasformazione a tempo indeterminato di rapporti di lavoro stagionale, non correlata al verificarsi di sopravvenute esigenze di servizio dell'ente presso il quale gli interessati prestano la loro opera.

Le questioni sono fondate.

Le disposizioni denunciate si risolvono nell'applicare a coloro che hanno prestato la loro opera in favore dell'Ente di sviluppo le garanzie che l'art. 30 della legge approvata il 30 aprile 1995 riserva (ai commi 1, 4, lettera b), e 5) a coloro che abbiano prestato la loro attività in favore dei consorzi. Tali disposizioni, come già detto, prevedono l'assunzione con rapporto di lavoro a tempo indeterminato per gli operai, i braccianti agricoli ed altri soggetti che nel triennio 1992/1994 abbiano prestato alle dipendenze dei consorzi la loro opera per un numero non inferiore a 400 giornate lavorative ai fini previdenziali o almeno 250 in due anni del predetto triennio (comma 1); nonché la garanzia di 151 giornate per il triennio 1996/1998, per coloro che, nel medesimo periodo di cui sopra, abbiano svolto almeno 101 giornate lavorative ai fini previdenziali (comma 4, lettera b); con applicazione in questo caso (comma 5) dei benefici di cui all'art. 30 della legge regionale 5 giugno 1989, n. 11, che contempla garanzie occupazionali, con possibilità di assunzione a tempo indeterminato, nell'ambito dei contingenti fissati dalla legge.

Peraltro la mancanza nelle disposizioni censurate di ogni riferimento alle esigenze degli Enti di sviluppo, confermata dalle stesse modalità di utilizzazione del personale in questione, secondo criteri che appaiono rivolti più alla garanzia del posto di lavoro che non alla considerazione delle effettive necessità operative delle strutture chiamate ad utilizzarlo, alle quali viene dunque preclusa la possibilità di valutare caso per caso l'effettivo fabbisogno, appare in evidente contrasto con il principio di buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione.

L'accoglimento delle questioni nei termini di cui sopra assorbe ogni altro profilo.

6.-- Con il ricorso in epigrafe viene impugnato, altresí, l'art. 4, il quale prevede, al comma 1, che gli alloggi -- realizzati in base alla legge regionale 31 dicembre 1985, n. 54, per essere destinati agli appartenenti alle forze dell'ordine - possono essere alienati nella misura del 100 per cento. A sua volta, il comma 2 -- sostituendo l'art. 6 della precedente legge regionale 3 novembre 1994, n. 43 -- estende agli alloggi predetti le disposizioni dell'art. 2 della legge regionale n. 43 del 1994, e cioè quelle che prevedono criteri di favore nella determinazione del prezzo.

Il Commissario dello Stato denuncia il suddetto articolo:

a) per violazione dell'art. 97 della Costituzione, lamentando che il legislatore regionale, a pochi mesi dalla entrata in vigore della legge regionale n. 43 del 1994, che aveva espressamente escluso gli immobili di cui trattasi dalle disposizioni di favore relative al prezzo, sia ritornato sull'argomento, introducendo la regola opposta;

b) per contrasto con l'art. 53 della Costituzione, in quanto la disposizione denunciata darebbe "origine indirettamente a una elusione fiscale in favore degli acquirenti, perché le imposte derivanti dagli atti di compravendita sarebbero inevitabilmente riferite ad una rendita catastale notevolmente inferiore rispetto a quelle effettive determinate dalla Direzione del Catasto".

La questione, ancorché genericamente riferita all'art. 4, riguarda in realtà il solo comma 2. In questi limiti essa è fondata.

Il legislatore regionale, con l'art. 6 della legge n. 43 del 1994, aveva, infatti, escluso che gli immobili qui considerati potessero essere ceduti al prezzo determinato ai sensi dell'art. 2 della legge medesima, che ne prevede la valutazione come appartenenti alla categoria catastale A/4 (abitazioni popolari).

Osserva il Commissario dello Stato che tale esclusione era indubbiamente ragionevole in quanto teneva conto del fatto che, per gli immobili in questione, acquistati da privati in base alla legge regionale n. 54 del 1985, non risultavano ricorrere le limitazioni proprie dell'edilizia residenziale pubblica: in particolare quelle di cui all'art. 16, terzo comma, della legge n. 457 del 1978, che, a pena di decadenza da ogni beneficio normativo, fissa la superficie massima delle abitazioni.

Oppone la Regione resistente che la possibilità di determinazione del prezzo di vendita degli alloggi in parola sulla base della categoria catastale A/4 -- stabilita dall'art. 2 della legge regionale n. 43 del 1994 per l'alienazione degli immobili di edilizia residenziale pubblica in genere -- non appare irragionevole in astratto, attesa la previsione dell'art. 2, comma 1, della più volte citata legge regionale n. 54 del 1985, di dare priorità, ai fini di cui trattasi, "all'acquisto di alloggi aventi le caratteristiche tipologiche previste dalla legge 5 agosto 1978, n. 457", anche se, in pratica si è fatto largo ricorso all'acquisizione di abitazioni con superficie utile superiore.

In questo contesto, la disposizione censurata è da ritenere illegittima, nella parte in cui estende agli alloggi occupati dagli appartenenti alle forze dell'ordine, ai sensi della legge regionale n. 54 del 1985, non aventi le caratteristiche tipologiche previste dalla legge 5 agosto 1978, n. 457, i criteri di determinazione del prezzo statuiti dall'art. 2 della legge regionale n. 43 del 1994. Infatti, la modifica dei criteri a suo tempo fissati dall'art. 6 della medesima legge regionale n. 43 del 1994 non trova altra giustificazione se non quella di concedere agli interessati benefici che, in contrasto con il principio del buon andamento, si traducono in un immotivato depauperamento del patrimonio pubblico.

Resta assorbito ogni altro motivo di ricorso.

7.-- Viene, poi, impugnato per violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, l'art. 5, in base al quale le elezioni amministrative "indette dai consigli circoscrizionali dei comuni della Sicilia, relative alla prima tornata secondo l'art. 169 dell'Ordinamento amministrativo degli enti locali, approvato con legge regionale 15 marzo 1963, n. 16, e successive modifiche ed integrazioni, sono rinviate alla seconda tornata prevista dalla medesima disposizione".

Il Commissario, mentre da una parte assume che la disposizione persegue il fine di interrompere le procedure già in atto per il rinnovo dei consigli circoscrizionali di Bagheria e Siracusa, indette con decreto dell'Assessore per gli enti locali del 10 marzo 1995, dall'altro dà atto, nello stesso ricorso, che i procedimenti elettorali in questione sono proseguiti senza alcun rinvio, richiamando una circostanza confermata dalla stessa difesa della Regione.

Poiché la disposizione denunciata già al momento della proposizione del ricorso non aveva cagionato l'effetto impeditivo posto a fondamento della questione sollevata, né era più in grado di cagionarlo, la questione stessa va dichiarata inammissibile.

8.-- Forma, altresí, oggetto di censura la disposizione dell'art. 6, che introduce una disciplina transitoria dell'attività venatoria, sino al 31 gennaio 1996; disciplina, secondo il ricorrente, da ritenere lesiva dei principi contenuti nella legge n. 157 del 1992 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che si configurerebbero quali norme fondamentali di riforma economico-sociale, e quindi contrastante con l'art. 14 dello Statuto speciale, nonché con l'art. 11 della Costituzione.

La questione non è fondata, dal momento che i termini per l'adeguamento della legislazione regionale -- che secondo l'art. 36 della predetta legge n. 157 del 1992 erano stati previsti entro e non oltre un anno dalla sua entrata in vigore -- sono stati successivamente differiti ed attualmente ne è prevista -- per effetto dell'art. 4, comma 7, del decreto-legge 26 febbraio 1996, n. 81 -- la scadenza al 31 luglio 1996.

9.-- Va, infine, esaminata la questione di costituzionalità dell'art. 7, avente ad oggetto un contributo straordinario alla ditta STAT e alla ditta Camarda e Drago, sollevata dal Commissario dello Stato in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

La successiva legge regionale approvata il 4 agosto 1995 (Provvedimenti straordinari in favore delle ditte di trasporto STAT, Camarda e Drago ed Emanuele Antonino, vittime di attentati incendiari di natura mafiosa. Provvidenze per i danni causati da atti criminosi) ha provveduto a ridisciplinare la materia, dichiarando, nel contempo, "abrogato" il predetto art. 7. Risulta palese da tale legge regionale, sulla quale il Commissario dello Stato ha parimenti proposto ricorso innanzi a questa Corte (r. ric. n. 46 del 1995), la volontà dell'Assemblea regionale siciliana di porre nel nulla la disposizione qui denunciata. Tale volontà è sufficiente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, a far dichiarare cessata la materia del contendere (v. sentenza n. 309 del 1994).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3, 7 e 8; nonché dell'art. 3 della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 16 maggio 1995 (Disposizioni concernenti il personale regionale e degli enti locali. Processi di mobilità degli operatori della formazione professionale. Garanzie occupazionali per il personale dei consorzi bonifica e dell'ESA. Alloggi delle forze dell'ordine. Rinvio elezioni consigli circoscrizionali. Disciplina transitoria della caccia. Provvedimenti in favore delle ditte STAT e Camarda e Drago);

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, della medesima legge regionale, nella parte in cui estende i criteri di determinazione del prezzo di cui all'art. 2 della legge regionale n. 43 del 1994, anche agli alloggi occupati dagli appartenenti alle forze dell'ordine, ai sensi della legge regionale n. 54 del 1985, non aventi le caratteristiche tipologiche previste dalla legge n. 457 del 1978;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Commissario dello Stato con il ricorso in epigrafe avverso l'art. 5 della predetta legge regionale, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Commissario dello Stato con il ricorso in epigrafe, nei confronti:

-- dell'intera legge regionale approvata dalla Assemblea regionale siciliana il 16 maggio 1995, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nonché all'art. 12 dello Statuto speciale;

-- dell'art. 1, commi 4 e 5 in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione;

-- dell'art. 1, comma 6, in riferimento agli artt. 3, 97, 101 e 103 della Costituzione;

-- dell'art. 6, in riferimento all'art. 14 dello Statuto speciale e all'art. 11 della Costituzione;

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Commissario dello Stato con il ricorso in epigrafe, avverso l'art. 2 della medesima legge regionale, in riferimento agli artt. 3, 81, quarto comma, 97 della Costituzione e 17, lettera f), dello Statuto speciale;

dichiara cessata la materia del contendere in ordine allo stesso ricorso promosso dal Commissario dello Stato, per quanto concerne la questione relativa all'art. 7 della medesima legge regionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 aprile 1996

Mauro FERRI, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24 aprile 1996.