Sentenza n. 84 del 1996

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SENTENZA N.84

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 del decreto-legge del 21 giugno 1995, n. 238 promossi con ordinanze emesse il 28 giugno 1995 e il 27 giugno 1995 dal Pretore di Verona, ed il 28 luglio 1995 dal Giudice istruttore del Tribunale di Rovigo, rispettivamente iscritte ai nn. 541, 592 e 664 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 40, 41 e 43, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 1996 il Giudice relatore Renato Granata.

Ritenuto in fatto

1. -- Nel corso del procedimento civile tra la Cassa di risparmio di Verona, Vicenza, Belluno ed Ancona e la società Carlutti costruzioni s.r.l. per il pagamento della somma di £ 36.160.453 a saldo del conto corrente di quest'ultima, l'adito Pretore di Verona con ordinanza del 27 giugno 1995 ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 21 giugno 1995, n.238 (Interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n.353, relativa al medesimo processo). Tale disposizione, modificando l'art. 8 cod. proc. civ., ha stabilito che il pretore è competente per le cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinquanta milioni, in quanto non siano di competenza del giudice di pace.

Il pretore rimettente dubita innanzi tutto che il decreto-legge n. 238 del 1995 sia sorretto dal requisito della straordinaria necessità ed urgenza di cui all'art. 77, secondo comma, della Costituzione; requisito questo che richiede situazioni oggettivamente eccezionali, tali da porsi al di fuori della concreta possibilità di intervento del legislatore ordinario. Nella specie la disposizione censurata non persegue affatto la finalità di colmare vuoti normativi di sorta o di fronteggiare una situazione di eccessivo carico del tribunale il quale risultava anzi già opportunamente sgravato delle controversie in materia di circolazione stradale nonché delle controversie locative, di comodato e di affitto d'azienda. Invece la modifica - in senso ampliativo - della competenza per valore pretorile, quale prevista dalla disposizione censurata, si muove nella direzione di un ulteriore sgravio del carico giudiziale dei tribunali, al di fuori di ogni disegno organico di revisione dei criteri di competenza verticali (nella auspicata prospettiva del giudice unico di primo grado) e senza alcuna previsione di razionalizzazione delle circoscrizioni giudiziarie. Inoltre tale aumento di competenza si accompagna alla restituzione al pretore della competenza per materia in ordine alle cause di opposizione alle ingiunzioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 nonché a quelle di opposizione alle sanzioni amministrative irrogate ex art. 75 del testo unico approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309; ciò infatti consegue dall'art. 1 del cit. decreto-legge n.238 del 1995 che ha sottratto al giudice di pace tale competenza, abrogando i commi terzo e quarto, numero 4, dell'art. 7 cod. proc. civ.

Tutto ciò - secondo il giudice rimettente - è destinato a comportare, tenendo conto comparativamente delle sopravvenienze medie annuali presso le preture e presso i tribunali, la paralisi dell'ufficio del pretore, essendo rimasta inalterata l'attuale pianta organica e la distribuzione territoriale dei pretori, entrambe fissate in relazione a competenze ampiamente minori di quelle odierne. Sarebbe quindi violato anche l'art. 97 della Costituzione sul buon andamento dell'amministrazione pubblica che trova applicazione anche all'amministrazione della giustizia.

2. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato eccependo pregiudizialmente l'inammissibilità della questione sollevata per intervenuta decadenza della disposizione censurata.

Nel merito l'Avvocatura sostiene l'infondatezza della questione rilevando da una parte che non esiste una riserva in favore del Parlamento quanto ai provvedimenti che incidono sulla competenza giurisdizionale; d'altra parte che non sussiste il lamentato sovraccarico dell'ufficio del pretore rispetto a quello del tribunale.

3. -- Analoga questione di costituzionalità ha sollevato il medesimo Pretore di Verona con ordinanza del 28 giugno 1995 nel procedimento civile tra la Banca nazionale del lavoro e Bonuzzi Giuseppe.

4. -- Anche in questo secondo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato sostenendo pregiudizialmente l'inammissibilità della questione sollevata e nel merito la sua infondatezza.

5. -- Nel corso del procedimento civile tra Roccato Giuseppina e Anastasia Salvatore, avente ad oggetto il risarcimento del danno subito dall'attrice a seguito di incidente stradale provocato dal convenuto, il Giudice istruttore presso il Tribunale di Rovigo, sciogliendo la riserva in ordine ad una richiesta di provvisionale ex art. 24 della legge n.990 del 1969, ha da una parte accolto tale richiesta, e dall'altra - avendo le parti in sede di udienza di prima comparizione domandato la concessione del termine di cui all'art. 180 cod. proc. civ. per il deposito di memorie e documenti - ha sollevato (con ordinanza del 28 luglio 1995) questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 21 giugno 1995, n.238, modificativo dell'art. 180 cit.

In particolare il giudice rimettente ritiene insussistenti i presupposti di urgenza e necessità richiesti dall'art. 77 della Costituzione per la decretazione d'urgenza. Il considerevole lasso di tempo tra l'approvazione della riforma del processo civile (legge 26 novembre 1990, n. 353) e la sua entrata in vigore esclude - secondo il giudice rimettente - l'impellenza di provvedere ulteriormente per riformare norme (quale quella censurata) non ancora, quasi del tutto, applicate e non giustifica quindi il ricorso alla decretazione d'urgenza.

Inoltre l'art. 180 cod. proc. civ. novellato si pone anche in contrasto con l'art. 97 della Costituzione apparendo al giudice rimettente del tutto contrario al principio di buona amministrazione giudiziaria prevedere da una parte il frazionamento del processo, in luogo della sua tendenziale concentrazione, e dall'altro rinviare la prima udienza di trattazione senza che alla prima udienza di comparizione possa svolgersi alcuna attività istruttoria.

6. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato concludendo per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione di costituzionalità.

Considerato in diritto

1. -- E' stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 77, secondo comma, e 97 della Costituzione - dell'art. 2 del decreto-legge 21 giugno 1995, n.238 (Interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), nella parte in cui, modificando l'art. 8 cod. proc. civ., prevede che il pretore è competente per le cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinquantamilioni, in quanto non siano di competenza del giudice di pace; si sospetta - da parte del giudice rimettente - la violazione: a) dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione perché il cit. decreto-legge n. 238 del 1995 non è sorretto dal requisito della straordinaria necessità ed urgenza; b) dell'art. 97 della Costituzione perché non è assicurato il buon andamento dell'amministrazione della giustizia in quanto l'aumento della competenza per valore rischia di comportare la paralisi dell'ufficio del pretore, essendo rimasta inalterata l'attuale pianta organica e la distribuzione territoriale dei pretori, entrambe fissate in relazione a competenze molto minori di quelle odierne.

Altra censura di incostituzionalità - in riferimento ancora agli artt. 77, secondo comma, e 97 della Costituzione - ha investito l'art. 4 del medesimo decreto-legge 21 giugno 1995, n.238, nella parte in cui prevede una prima udienza di comparizione, distinta dalla successiva prima udienza di trattazione, in cui il giudice non può compiere alcuna attività processuale che non sia quella di verificare la correttezza del contraddittorio; si sospetta - da parte del giudice rimettente - la violazione: a) dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione perché il cit. decreto-legge n. 238 del 1995 non è sorretto dal requisito della straordinaria necessità ed urgenza; b) dell'art. 97 della Costituzione perché non è assicurato il buon andamento dell'amministrazione della giustizia in quanto, in contrasto con il principio di economia processuale, non è consentito al giudice il compimento di ulteriori attività processuali.

2. -- Preliminarmente i tre giudizi incidentali vanno riuniti per connessione oggettiva delle questioni sollevate.

Inoltre in via pregiudiziale deve affermarsi in particolare la legittimazione del giudice istruttore a sollevare la questione di costituzionalità dell'art. 4 cit. trattandosi di una disposizione di cui egli deve fare diretta applicazione per adottare provvedimenti di sua competenza, quale è quello di fissazione della prima udienza di trattazione (cfr. ex plurimis ordinanza n. 436 del 1994).

3. -- Va poi esamimata in via ulteriormente pregiudiziale l'eccezione sollevata dall'Avvocatura dello Stato secondo cui tutte le questioni di costituzionalità, come sopra formulate, sarebbero inammissibili atteso che il decreto-legge contenente le due disposizioni censurate (decreto-legge n.238 del 1995) non è stato convertito in legge, ancorché i suoi effetti siano stati fatti salvi dall'art. 1, comma 2, della legge 20 dicembre 1995, n. 534 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, che, reiterando quello decaduto, reca peraltro disposizioni di contenuto normativo identico a quello delle disposizioni censurate.

In effetti non può dubitarsi che tali due disposizioni censurate abbiano sin dall'inizio perso efficacia ex art. 77, terzo comma, della Costituzione in ragione della mancata conversione in legge del decreto-legge n.238 del 1995, che le conteneva; tuttavia il comma 2 dell'art. 1 della medesima legge n.534 del 1995 ha previsto (con una tipica clausola di salvezza) che restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge 21 aprile 1995, n.121, 21 giugno 1995, n.238 e 9 agosto 1995, n.347. E questa Corte ha già affermato, in generale (sentenza n. 243 del 1985), che "traverso la tecnica della sanatoria" "il terzo comma dell'art. 77 della Costituzione abilita il legislatore a dettare una regolamentazione retroattiva dei rapporti", senza porre "altri limiti se non quelli rappresentati dal rispetto delle altre norme e principi costituzionali". Nel caso particolare, poi, in cui il contenuto precettivo (id est la norma) espresso dalla disposizione decaduta sia riprodotto in uno o più decreti-legge successivi, l'ultimo dei quali convertito (così come nella specie), tale clausola di salvezza ha la funzione (ispirata alla esigenza di certezza dei rapporti giuridici) di ripristinare - secondo un'opzione che è rimessa alla valutazione discrezionale del Parlamento - un continuum normativo facendo risalire nel tempo la nuova disciplina alla originaria disposizione decaduta e consolidandola negli effetti, così da assicurare la permanenza dei medesimi senza soluzione di continuità.

Da una parte, quindi, resta salvo, nel giudizio pendente innanzi al Pretore di Verona, l'effetto di radicare la (più elevata) competenza per valore del pretore adito quale fissata dall'art. 2 del decreto-legge n.238 del 1995, modificativo dell'art. 8 cod. proc. civ.; sicché, pur essendo l'art. 2 decaduto, il giudice rimettente deve tener conto del suo contenuto precettivo in forza della disposizione di salvezza, della quale egli deve fare applicazione. Analogamente, d'altra parte, nel giudizio pendente innanzi al Tribunale di Rovigo, la norma espressa dalla disposizione censurata è stata fatta salva nei suoi effetti dalla medesima clausola di salvezza dettata con il comma 2 dell'art. 1 della legge di conversione.

4. -- Si pone quindi la questione di principio se la censura rivolta nei confronti di una disposizione che esprima una determinata norma possa riferirsi alla medesima norma riprodotta in una diversa e successiva disposizione, identica nel nucleo precettivo essenziale o addirittura, come nella specie, nella sua stessa formulazione letterale.

4.1. -- La valorizzazione della perdurante identità della norma pur nel mutamento della disposizione per jus superveniens già si rinviene nella giurisprudenza della Corte.

La quale ha, in primo luogo, implicitamente mostrato di ritenere ipotizzabile il "trasferimento" (nel senso che sarà precisato infra) da uno ad altro atto normativo della censura proposta contro la identica norma dettata nell'uno e nell'altro, quando nei tempi più recenti - pronunciando su questioni proposte nei confronti di decreti-legge non convertiti - ha abbandonato la perentoria enunciazione di principio, propria della sua giurisprudenza precedente (da ultimo affermata nelle ordinanze nn. 171, 172, 173 e 174 del 1995) ed ha valorizzato significative precisazioni di specie. Così, nell'adottare decisioni di manifesta inammissibilità, ha espressamente messo in evidenza la circostanza che la disciplina dettata dal decreto-legge censurato risultava modificata ad opera di un successivo decreto-legge reiterato (ordinanze nn. 179, 176, 175 e 165 del 1995) ovvero, nell'adottare decisioni di restituzione atti, ha sottolineato, a seconda dei casi, che era mutata la disciplina nel successivo decreto-legge convertito (ordinanze nn. 535, 403 e 272 del 1995) o nel decreto-legge reiterato al momento vigente ma non ancora convertito (ordinanze nn. 518, 279 e 243 del 1995), con ciò lasciando intendere - come la dottrina ha avvertito - che appunto la diversità del contenuto precettivo concorreva a costituire la ratio decidendi delle pronunce così adottate.

Ma soprattutto è da ricordare che in non poche occasioni la Corte ha, nel concreto, "trasferito" di fatto la sua valutazione da uno ad altro atto normativo in ordine alla stessa norma già contenuta nel primo e riprodotta nel secondo.

A parte le pronunce nelle quali - riguardo ad ordinanze di rimessione che, pur lasciando chiaramente intendere quale norma si volesse censurare, tuttavia individuavano erroneamente la disposizione denunciata - si è ritenuto di dover affrontare egualmente la questione con riferimento all'atto effettivamente contenente quella norma (cfr. ex plurimis sentenza n. 188 del 1994), casi nei quali è dato ravvisare, sottesa all'aspetto più appariscente di una mera operazione interpretativa dell'ordinanza di rimessione, anche la implicita valorizzazione della norma come vero oggetto del giudizio, non di rado, invero, la Corte ha in concreto tenuto conto della disciplina normativa, già espressa in una disposizione non più in vigore, sull'esplicito rilievo che quella disciplina continuava ad essere operante nell'ordinamento perché riprodotta in altro atto normativo.

Così nel caso di abrogazione della disposizione impugnata in sede di giudizio incidentale, il cui contenuto precettivo era stato però riformulato in altra disposizione sostitutiva della prima, la Corte ha ritenuto di dover procedere all'esame di merito della censura. In particolare la Corte nella sentenza n. 482 del 1995, nel rilevare che la disposizione censurata era stata sostituita da altra, osserva che "permane, tuttavia, la stessa disciplina sostanziale ..."; in senso conforme è anche l'ulteriore pronuncia di poco precedente (sentenza n.446 del 1995) con cui la Corte ha ritenuto che l'abrogazione della disposizione censurata e la riformulazione del contenuto precettivo in altra disposizione non comporta la restituzione degli atti al giudice rimettente, ma la censura va esaminata nel merito. Analogamente in altro giudizio la Corte (sentenza n. 482 del 1991) - nel rilevare che la disposizione impugnata è stata abrogata, ma che nel contempo il medesimo contenuto precettivo è stato riformulato in altra disposizione "che sostituisce la disposizione censurata" - afferma che "ciò consente di esaminare le censure nel merito, pur se formalmente proposte nei confronti della disposizione sostituita".

Così di fronte alla intervenuta decadenza del decreto-legge invocato dal giudice a quo come tertium comparationis, la Corte - ancora - ha ritenuto di dover apprezzare il contenuto precettivo di quella disposizione quando la norma interposta sia "indiscutibilmente presente nell'ordinamento" in quanto riprodotta nel successivo decreto-legge di reiterazione del precedente (sentenza n.429 del 1993). Particolarmente significativa, rispetto alla specie, si appalesa poi la circostanza che proprio nella ipotesi in cui, successivamente alla decadenza del decreto-legge per mancata conversione, intervenga una disposizione che ne faccia salvi gli effetti, egualmente la Corte ha ritenuto che il richiamo - contenuto in un ricorso per conflitto di attribuzione - alla disciplina prevista dalla prima disposizione vigente al momento della adozione dell'atto oggetto del conflitto conserva efficacia proprio in forza della clausola di salvezza stabilita dalla seconda disposizione (sentenza n.40 del 1994).

4.2.1. - La Corte ritiene che la linea di tendenza emergente dalle citate pronunce dimostri come non sia essenziale alla attività della Corte, per rendere operante la sua funzione di garanzia, la identità formale tra la disposizione denunciata e quella successiva con riferimento alla quale viene resa la pronuncia di merito, ove invariata rimanga la norma dall'una e dall'altra espressa.

In generale la disposizione - della cui esatta identificazione, al momento dell'ordinanza di rimessione, è onerato il giudice rimettente (sentenza n.176 del 1972), non potendo egli limitarsi a denunciare un principio (sentenza n.188 del 1995) - costituisce il necessario veicolo di accesso della norma al giudizio della Corte, che si svolge sulla norma quale oggetto del raffronto con il contenuto precettivo del parametro costituzionale, e rappresenta poi parimenti il tramite di ritrasferimento nell'ordinamento della valutazione così operata, a seguito di tale raffronto, dalla Corte medesima, la quale quindi giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni. Si disvela così, in tal caso, la funzione servente e strumentale della disposizione rispetto alla norma, sicché è la immutata persistenza di quest'ultima nell'ordinamento ad assicurare la perdurante ammissibilità del giudizio di costituzionalità sotto il profilo dell'inalterata sussistenza del suo oggetto (che costituisce altresì, sotto questo aspetto, ragione della sua persistente rilevanza), mentre l'eventuale successione di una disposizione ad altra rileva soltanto al fine di riversare correttamente l'esito del sindacato di costituzionalità nell'ordinamento. Sicché solo in senso figurato può dirsi "trasferita" la questione di costituzionalità, che viceversa rimane ancorata all'oggetto identificato nell'atto introduttivo del giudizio.

4.2.2. -- Il giudizio di costituzionalità - così essendo strutturato il suo oggetto - risulta in tal modo assistito da un favor per la sua effettività e tempestività, che viceversa sarebbero in una qualche misura frustrate quando invece si ritenesse necessaria - di fronte a vicende come quella in esame - la riproposizione delle medesime censure nei confronti della medesima norma provvedendosi a denunziare ex novo la sopravvenuta, diversa disposizione che la contiene, inalterata nella sua portata precettiva; favor non dissimile da quello che ha ispirato la giurisprudenza che ritiene possibile il trasferimento del quesito referendario dalla disposizione abrogata, oggetto del quesito stesso, a quella successivamente introdotta di contenuto sostanzialmente analogo (sentenza n.68 del 1978). Il principio dell'economia dei giudizi nel processo costituzionale - che tra l'altro costituisce anche la ragione giustificatrice della ammissibilità di censure plurime, una subordinata all'altra (sentenza n. 188 del 1995) - sottende il valore fondamentale della effettività e della pienezza del controllo demandato alla Corte, controllo tanto più efficace quanto più tempestivo.

4.2.3. -- In conclusione deve affermarsi in linea di principio che la norma contenuta in un atto avente forza di legge vigente al momento in cui l'esistenza nell'ordinamento della norma stessa è rilevante ai fini di una utile investitura della Corte, ma non più in vigore nel momento in cui essa rende la sua pronunzia, continua ad essere oggetto dello scrutinio alla Corte stessa demandato quando quella medesima norma permanga tuttora nell'ordinamento - con riferimento allo stesso spazio temporale rilevante per il giudizio - perché riprodotta, nella sua espressione testuale o comunque nella sua identità precettiva essenziale, da altra disposizione successiva, alla quale dunque dovrà riferirsi la pronunzia.

4.3. - Nella specie si ha che la norma, introdotta dalla prima disposizione censurata e costituita dalla nuova regola della competenza per valore del pretore, individuata al momento della proposizione del giudizio, permane inalterata nell'ordinamento (e deve essere applicata dal giudice a quo), perché il comma 2 dell'art. 1 della legge n. 534 del 1995 fa salvi gli effetti della disposizione decaduta, quali prodottisi nel periodo della sua precaria vigenza.

Analogamente e per la stessa ragione permane la norma introdotta dalla seconda disposizione censurata e costituita dal precetto che impone al giudice istruttore in sede e all'esito della prima udienza di comparizione di fissare la prima udienza di trattazione, concedendo termine al convenuto per proporre le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio ed astenendosi dal compiere atti istruttori.

Il fatto che entrambe le disposizioni siano state reiterate prima nel decreto-legge n.347 del 1995 e poi nel decreto-legge n. 432 del 1995, convertito in legge n. 534 del 1995, non muta la direzione del "trasferimento" della questione di costituzionalità, direzione che è univocamente orientata dalle disposizioni originariamente censurate in quanto queste sono state utilizzate per dare corpo e contenuto alle disposizioni di salvezza recate dalla legge di conversione; sono quindi queste ultime che conservano nell'ordinamento (con riferimento ratione temporis ai rapporti sorti nella vigenza del decreto-legge decaduto) quelle stesse norme espresse dalle disposizioni censurate attraverso una tecnica sotto il profilo effettuale non del tutto dissimile da quella della conversione in legge, per la quale questa Corte ha già affermato il trasferimento della questione originariamente sollevata in riferimento alle disposizioni del decreto-legge (sentenze nn. 1033 e 742 del 1988; n.70 del 1987).

Le questioni di costituzionalità proposte nei confronti degli artt. 2 e 4 del decreto-legge n. 238 del 1995 vanno quindi esaminate nel merito in riferimento alla disposizione dell'art. 1, comma 2, della legge n. 534 del 1995 che ne fa salvi gli effetti.

5. -- Comune alle due questioni è l'invocazione del parametro costituito dal terzo comma dell'art. 77 della Costituzione sotto il profilo che entrambe le norme (quella sulla competenza pretorile e quella sulla prima udienza di comparizione) sarebbero state adottate pur mancando il requisito della straordinaria urgenza e necessità.

Sotto tale profilo entrambe le questioni sono infondate, perché il parametro non è pertinente. Il requisito della necessità ed urgenza va apprezzato con riferimento al singolo decreto-legge, e la censura relativa - a differenza dal caso della conversione (sentenze nn. 29 e 165 del 1995), di cui la sanatoria non costituisce idoneo equipollente (ordinanza n. 1119 del 1988) - non è riferibile alla disposizione di sanatoria, che si limita a fare salvi gli effetti del decreto-legge stesso. Ed infatti il presupposto di quest'ultima è costituito unicamente dalla circostanza di fatto della mancata conversione di un decreto-legge, formalmente identificabile come tale, e non anche dalla sussistenza del requisito della necessità e dell'urgenza, il quale, pur essendo presupposto del decreto-legge stesso, non rileva più dopo la sua decadenza, atteso che in tal caso la forza di legge che assiste la norma che disciplina, ora per allora, i rapporti altrimenti regolati dalla disposizione del decreto-legge, deriva unicamente dalla legge di sanatoria. Né rileva il fatto che quest'ultima sia contenuta in una legge di conversione di altro decreto-legge, anziché in un'altra legge, atteso che, da un lato, il terzo comma dell'art. 77 della Costituzione non pone alcuna riserva in proposito, e che, dall'altro, l'eventuale sindacato di costituzionalità per mancanza del requisito della necessità e dell'urgenza, che questa Corte (sentenza n. 161 del 1995 cit.) ha limitato alla ipotesi della "evidente mancanza" di tale requisito, riguarda unicamente quella parte della legge di conversione che ratifica l'esercizio del potere legislativo ad opera del Governo.

6. -- Parimenti infondate sono le questioni di costituzionalità delle norme censurate con riferimento all'art. 97 della Costituzione.

Da una parte, anche sotto questo profilo, viene evocato un parametro non pertinente alla disciplina della competenza (propria del pretore). Infatti questa Corte (ex plurimis, cfr. ordinanza n. 257 del 1995) ha più volte affermato che "il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, pur potendo riferirsi anche agli organi dell'amministrazione della giustizia, attiene esclusivamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, mentre è del tutto estraneo alla materia dell'esercizio della funzione giurisdizionale nel suo complesso [...] e quindi ai criteri di ripartizione delle competenze tra organi giudiziari".

Né, per altro verso, il medesimo parametro è pertinente alla disciplina della prima udienza di comparizione che attiene interamente alla regolamentazione del processo; non senza considerare che la distinzione tra la prima udienza di comparizione e la prima udienza di trattazione è funzionale alla disciplina delle eccezioni processuali e di merito che il convenuto può proporre (dopo l'una e prima dell'altra) nel termine perentorio assegnato dal giudice, termine non inferiore a venti giorni prima di tale udienza di trattazione.

Comunque, nell'uno e nell'altro caso si è nell'area di un'ampia discrezionalità del legislatore non irragionevolmente esercitata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge 20 dicembre 1995, n. 534 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, recante interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), nella parte in cui prevede che restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base degli artt. 2 e 4 del decreto-legge 21 giugno 1995, n.238, sollevate, in riferimento agli articoli 77, secondo comma, e 97 della Costituzione, rispettivamente, dal Pretore di Verona e dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Rovigo con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 21 marzo 1996.