Sentenza n. 70 del 1996

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SENTENZA N.70

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 aprile 1995 dalla Corte d'appello di Roma nel procedimento penale a carico di Piscopo Giuseppe (detenuto), iscritta al n. 452 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione di Piscopo Giuseppe nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 21 novembre 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

udito l'avv. Angelo Miele per Piscopo Giuseppe e l'avvocato dello Stato Giovanni Lancia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il Pubblico ministero presso il Tribunale di Velletri richiedeva al Giudice per le indagini preliminari, presso quel Tribunale, il rinvio a giudizio di Piscopo Giuseppe e Guaimare Romero, entrambi imputati di reati in materia di traffico di stupefacenti. All'udienza del 4 febbraio 1993, mentre il Guaimare sollecitava il rito abbreviato, senza però ottenere il consenso del pubblico ministero, il Piscopo non ne faceva richiesta, in quanto eccepiva l'incompetenza per territorio del giudice adito, sostenendo la competenza del Tribunale di Roma. L'eccezione, tempestivamente sollevata, era rigettata dal giudice per le indagini preliminari, e i due imputati venivano rinviati a giudizio davanti al Tribunale di Velletri.

Riproposta innanzi al Tribunale, l'eccezione trovava accoglimento con la contestuale dichiarazione della competenza del Tribunale di Roma, cui si trasmettevano gli atti. All'esito del dibattimento, il Piscopo era condannato alla pena di nove anni di reclusione e sessanta milioni di multa, con il rito ordinario, mentre al Guaimare - concessa la diminuente del rito abbreviato per aver ritenuto ingiustificato il dissenso del pubblico ministero - veniva inflitta la pena di sei anni di reclusione e quaranta milioni di multa.

Nei motivi d'appello, il Piscopo eccepiva la illegittimità costituzionale della normativa processuale da cui discenderebbe il trattamento deteriore rispetto al coimputato, in quanto privato della possibilità di avvalersi anch'egli del rito abbreviato.

La Corte d'appello di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono, a seguito di declaratoria di nullità del decreto che dispone il giudizio, la restituzione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente per territorio.

2. - In base all'art. 22, comma 3, del codice di procedura penale, osserva il Collegio d'appello rimettente, qualora il giudice per le indagini preliminari riconosca la propria incompetenza, anche territoriale, deve dichiararla con sentenza e trasmettere gli atti al pubblico ministero (presso il giudice competente), che dovrà esercitare ex novo l'azione penale, nelle forme ordinarie, in modo da non precludere all'imputato l'esercizio di alcuna sua facoltà processuale; e qualora, invece, si consideri erroneamente competente per territorio, ne risulteranno rilevanti conseguenze nelle fasi ulteriori.

In tal caso, si avrà un mero spostamento del processo ad altro giudice del dibattimento, con la conseguenza che né il giudice di primo grado né quello di appello potranno ripristinare la situazione giuridica violata, rimettendo l'imputato davanti al giudice dell'udienza preliminare territorialmente competente. Si vanificherebbe, così, il diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione, rimanendo priva di risultato un'eccezione tempestivamente (e fondatamente) avanzata, giacché l'imputato non potrebbe chiedere il giudizio abbreviato davanti al "suo" giudice naturale, e sarebbe costretto a perdere tale possibilità o a farla valere davanti a un giudice che sarà successivamente, in sede di gravame, riconosciuto incompetente.

3. - Chiamata a decidere su analoga questione, sollevata in relazione all'ipotesi di incompetenza per materia, questa Corte ha dichiarato, con la sentenza n. 76 del 1993, la illegittimità costituzionale della norma in esame con riguardo soltanto alla competenza per territorio, senza però estenderne gli effetti a quella per materia. Decisione, questa, che non convince il giudice a quo, non potendosi a suo avviso differenziare la prima ipotesi, rispetto all'altra, sulla base del rilievo secondo cui verrebbero pregiudicati i diritti, e gli interessi, dell'imputato. Simili pregiudizi difetterebbero, infatti, solo quando l'incompetenza per territorio sia stata eccepita, per la prima volta, davanti al giudice del dibattimento e non nell'udienza preliminare; mentre la mancata previsione d'una declaratoria di nullità del decreto che dispone il giudizio pronunciato dal giudice incompetente e, quindi, la mancata previsione del conseguente ritorno del processo davanti al giudice competente - nella stessa fase e senza preclusioni - verrebbe invero a determinare una situazione di palese illegittimità costituzionale per violazione del principio del giudice naturale e di quello del diritto di difesa, contenuti rispettivamente negli artt. 25 e 24 della Costituzione.

4. - Nella specie, l'imputato non ha usufruito dei benefici del rito abbreviato, diversamente dal coimputato, perché ha eccepito l'incompetenza del giudicante, non avendo ritenuto di proporre in via subordinata la richiesta di giudizio abbreviato. Vi sarebbe invero, ad avviso del rimettente, inconciliabilità fra l'eccezione di incompetenza territoriale e la richiesta, subordinata, di essere giudicato con il rito abbreviato dal medesimo giudice (che è incompetente). Solo accogliendo la questione potrebbe, dunque, risolversi il problema: l'eccezione verrebbe trasformata in motivo di gravame, e il giudice di secondo grado avrebbe il potere, ai sensi dell'art. 24 del codice di procedura penale, di annullare la sentenza di primo grado, rimettendo gli atti al giudice competente per un nuovo giudizio abbreviato. Nell'attuale sistema non deriverebbe, infatti, alcuna conseguenza dall'accertata incompetenza tempestivamente denunciata, e riconosciuta in sede successiva. Il mero spostamento di competenza territoriale, pronunciato in quest'ultimo caso dal giudice del dibattimento che riconosca fondata l'eccezione, non sarebbe un rimedio esaustivo, e costituzionalmente corretto, giacché verrebbe comunque fatta salva la decisione del rinvio a giudizio, mentre il giudice naturale - quello effettivamente competente - avrebbe potuto non accogliere le richieste del pubblico ministero e decidere per il proscioglimento o per una diversa soluzione in ordine alla libertà personale dell'imputato. E, inoltre, non potendosi retrocedere alla fase dell'udienza preliminare, non si potrebbe far ricorso al giudizio abbreviato, perché l'accoglimento dell'eccezione comporterebbe la mera trasmissione degli atti al giudice competente per il dibattimento, con salvezza dell'udienza preliminare e connesse preclusioni.

5. - Ne discenderebbe, quindi, con riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, la illegittimità costituzionale della disciplina stabilita dagli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono - una volta riconosciuta dal giudice del dibattimento l'incompetenza per territorio - la declaratoria di nullità del decreto che dispone il giudizio e la restituzione degli atti, per l'ulteriore corso, al pubblico ministero presso il giudice territorialmente competente.

6. - Si è costituita la parte privata osservando che la questione sollevata potrebbe essere risolta con una diversa e più congrua soluzione additiva: in ossequio ai principi di speditezza dell'accertamento penale e del diritto di difesa, gli atti processuali, anziché ritornare al pubblico ministero, secondo la previsione dell'art. 22, comma 3, del codice di procedura penale, dovrebbero pervenire al giudice dell'udienza preliminare; e, del resto, già con l'interpretazione sistematica delle disposizioni vigenti sarebbe possibile la regressione degli atti al giudice dell'udienza preliminare. Le nozioni di "giudice competente", di cui all'art. 23 e di "giudice di primo grado competente" non sarebbero, infatti, sinonimi di "giudice dibattimentale competente", in quanto il nuovo codice ha introdotto la figura del "giudice per le indagini preliminari", in capo al quale è prevista anche la competenza a definire il processo (con il giudizio abbreviato, il giudizio per decreto e l'applicazione della pena su richiesta delle parti). Sì che ne deriverebbe la possibilità d'una regressione del processo davanti al giudice per l'udienza preliminare, salvaguardando il principio del giudice naturale (che andrebbe riferito anche alla fase dell'udienza preliminare) e il diritto di difesa, che comporta piena libertà delle scelte difensive, specie con riguardo a quell'effetto sostanziale che è la riduzione di un terzo della pena in connessione con il rito abbreviato.

7. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza. Sulla base della considerazione secondo cui - ove il giudice dell'udienza preliminare incompetente rinvii a giudizio l'imputato - si determinerebbe una ipotesi di nullità del decreto di citazione a giudizio che, se e in quanto rilevata dal giudice, produrrà come sua conseguenza, giusta l'art. 185 del codice di procedura penale, l'adozione dei provvedimenti consequenziali e ripristinatori. E, dunque, verrà consentito all'imputato di ottenere il giudizio abbreviato da parte del giudice competente.

La questione, conclude l'Avvocatura, si risolverebbe in via interpretativa.

Considerato in diritto

1. - Viene richiesto a questa Corte, con riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, un nuovo scrutinio di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 1, del codice di procedura penale, per la parte non modificata dalla sentenza n. 76 del 1993, là dove non prevede che il giudice del dibattimento - il quale riconosca la propria incompetenza per territorio dopo che l'eccezione sia stata già sollevata e respinta nell'udienza preliminare - rimetta gli atti, ai sensi dell'art. 22 del codice di procedura penale, al pubblico ministero presso il giudice territorialmente competente; e viene richiesto, altresì, lo scrutinio dell'art. 24, comma 1, dello stesso codice, nella parte in cui "non prevede che il giudice d'appello, investito della questione suddetta, debba annullare la sentenza di primo grado e rimettere gli atti, a norma dell'art. 22 del codice di procedura penale, al pubblico ministero presso il giudice territorialmente competente".

In sintesi, le due disposizioni sono censurate nella parte in cui non prevedono la declaratoria di nullità del decreto che dispone il giudizio e la restituzione degli atti, per l'ulteriore corso, al pubblico ministero presso il giudice territorialmente competente, per il contrasto con i seguenti parametri costituzionali:

a) il principio di ragionevolezza e della parità di trattamento (art. 3 della Costituzione), con riferimento al diverso regime stabilito, con le sentenze di questa Corte nn. 76 e 214 del 1993, circa l'incompetenza per materia;

b) il principio del giudice naturale (art. 25 della Costituzione), che nel caso dell'accertata incompetenza del giudice dell'udienza preliminare verrebbe eluso, da parte d'un giudice successivo, stante il divieto di regressione del processo alla fase dell'udienza preliminare;

c) il diritto di difesa (art. 24 della Costituzione) per la perdita del beneficio del giudizio abbreviato quando, in mancanza di richiesta dello stesso, sia accertata in una fase o in un grado successivo, stante l'impossibilità di recupero dell'udienza preliminare.

2. - Delle due questioni prospettate (che attengono a disposizioni entrambe espressione del principio del divieto di regressione del processo) soltanto quella concernente l'art. 23, comma 1, del codice di procedura penale è rilevante per la decisione del caso in esame, poiché l'altra riguarda l'annullamento della sentenza in seguito al riconoscimento dell'incompetenza del giudice di primo grado. Nella specie, infatti, l'errore processuale è stato corretto dalla decisione del Tribunale di Velletri, cosicché è stato investito del processo quello di Roma, competente. La violazione della regola sulla competenza, invece, va fatta risalire alla decisione del giudice dell'udienza preliminare, e la questione si palesa rilevante giacché il Tribunale di Velletri - nel correggere l'errore del giudice dell'udienza preliminare - ha fatto applicazione della norma contenuta nell'art. 23, comma 1, del codice di procedura penale, trasmettendo gli atti al Tribunale competente e non al pubblico ministero presso quest'ultimo.

Di qui, l'incidente di costituzionalità.

3. - Posta nei termini indicati, la questione è fondata.

Con sentenza n. 76 del 1993, questa Corte ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, comma 1, nella parte in cui dispone che il giudice - qualora abbia dichiarato con sentenza, nel dibattimento di primo grado, la propria incompetenza - trasmetta gli atti al giudice ritenuto competente, anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo.

La declaratoria di illegittimità costituzionale era per vero circoscritta, in tale sentenza, soltanto alla ipotesi della incompetenza per materia, essendo stata dichiarata infondata la questione in ordine alla incompetenza territoriale per la mancata lesione dei parametri invocati (artt. 102, primo comma, e 112 della Costituzione). Sulla scia, si collocava, successivamente, la sentenza n. 214 del 1993, con riferimento all'art. 24, comma 1, del codice di procedura penale.

Sebbene nella motivazione della sentenza n. 76 si faccia cenno alla mancata lesione del diritto di difesa dell'imputato circa la scelta del rito, è chiaro che quella reiezione aveva a presupposto una questione basata, oltre che su parametri inconferenti, su una situazione di mero fatto - l'essere vincolato il pubblico ministero, e con lui l'imputato, alle risultanze processuali trasmesse al giudice competente - sprovvista di tutela costituzionale, dal momento che la garanzia del giudice naturale non riguarda il pubblico ministero.

4. - La questione in esame non riflette una situazione di fatto ed è prospettata diversamente, e più correttamente, con riferimento ai parametri costituzionali menzionati. Con ciò ponendosi in evidenza come, a causa dell'erronea individuazione della competenza territoriale da parte del primo pubblico ministero e del giudice dell'udienza preliminare, uno dei due imputati (quello che aveva eccepito l'incompetenza del giudice ratione loci) non abbia potuto beneficiare della riduzione di pena stabilita per la richiesta del rito abbreviato. Sì che non ha pregio, ai fini di questo scrutinio, la regola giurisprudenziale in base alla quale l'imputato ha l'obbligo di fare richieste in via subordinata, rispetto alle preliminari eccezioni, e queste ultime non devono posporsi alle prime, perché le questioni inerenti alla giurisdizione e alla competenza sono (e restano) logicamente precedenti a ogni altra eccezione o questione di mero rito.

L'imputato non era tenuto a formulare una richiesta subordinata, perché dall'errore del giudice non possono derivare limitazioni di sorta al diritto di difesa, valore costituzionale garantito in ogni tipo di processo dall'art. 24 della Costituzione, che in questa sede è opportunamente invocato. Va quindi dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, comma 1, del codice di procedura penale, anche per la parte riguardante l'annullamento della sentenza di primo grado per incompetenza per territorio, con l'effetto - pure per tale ipotesi - dell'obbligo di trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente.

Restano così assorbite le doglianze relative agli altri parametri costituzionali.

5. - In forza dei poteri attribuiti alla Corte costituzionale dall'art. 27 della legge n. 87 del 1953, la declaratoria deve estendersi conseguentemente all'altra disposizione denunciata, l'art. 24, comma 1, del codice di procedura penale: sollevata con riferimento a detto articolo, la questione attiene, infatti, a norma perfettamente analoga a quella già dichiarata incostituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per territorio;

2) dichiara - in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui dispone che, a seguito dell'annullamento della sentenza di primo grado per incompetenza per territorio, gli atti sono trasmessi al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 marzo 1996.