Sentenza n. 64 del 1996

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SENTENZA N.64

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 29 della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), promossi con ordinanze emesse:

1) il 20 luglio 1995 dal Tribunale di Genova nei procedimenti civili riuniti vertenti tra INPS e Egle Traverso ed altra, iscritta al n. 640 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1995;

2) il 17 maggio 1995 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Maria Luisa Moriconi e l'INPS, iscritta al n. 781 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di costituzione dell'INPS e di Egle Traverso;

udito nella udienza pubblica del 6 febbraio 1996 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi gli avvocati Franco Agostini per Egle Traverso e Carlo De Angelis per l'INPS.

Ritenuto in fatto

 

1.- Nel corso di procedimenti civili promossi nei confronti dell'INPS da Egle Traverso ed altra, per ottenere il riconoscimento del diritto all'aumento dell'anzianità contributiva nella misura pari al tempo mancante per il conseguimento dei 10 anni di accredito contributivo, il Tribunale di Genova, con ordinanza emessa il 20 luglio 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 29 della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), nella parte in cui non consente alle lavoratrici del settore siderurgico collocate in prepensionamento un accredito contributivo in misura uguale a quello assicurato ai lavoratori dello stesso settore.

Osserva il giudice a quo che la norma impugnata, con il garantire "una maggiorazione dell'anzianità assicurativa per i periodi mancanti al raggiungimento della normale età pensionabile", non può che interpretarsi nel senso di riferirsi all'età minima ordinariamente necessaria per l'accesso al trattamento pensionistico fissata in cinquantacinque anni per le donne ed in sessanta anni per l'uomo.

Rileva inoltre il rimettente che, trovando il beneficio dell'accredito autonoma disciplina nella legge n. 223 del 1991, nessun rilievo immediato e diretto possono avere nel caso di specie le decisioni della Corte costituzionale che hanno ampliato il periodo massimo di contribuzione figurativa, parificandolo a quello previsto per gli uomini.

Evidente sarebbe, pertanto, la disparità di trattamento che viene a determinarsi fra uomini e donne che, per anzianità contributiva ed età anagrafica, si trovano in condizioni del tutto identiche e parimenti idonee per l'accesso al beneficio in questione dal momento che i primi potranno beneficiare di una maggiorazione di anzianità superiore di cinque anni a quella riconosciuta alle donne.

Né tale discriminazione potrebbe trovare giustificazione nella facoltatività del pensionamento anticipato o nella natura dell'istituto che si assuma tale da imporre il ragguaglio, sotto il profilo contributivo, all'età pensionabile fissata dalla legge in sessanta anni per gli uomini e in cinquantacinque per le donne.

Ed invero, la previsione di una differente età minima per l'accesso alla pensione di vecchiaia risponde ad un'ottica di favore per la particolare condizione e funzione sociale della donna, in ragione della quale viene ad essa riconosciuta una facoltà il cui esercizio non può giustificare un più sfavorevole trattamento pensionistico.

2.- Nel giudizio avanti alla Corte costituzionale si è costituita la ricorrente aderendo alle argomentazioni dell'ordinanza di rimessione e concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata.

3.- Si è pure costituito l'INPS concludendo per la inammissibilità o l'infondatezza della questione. Ha rilevato la difesa che la lamentata disparità di trattamento altro non sarebbe che la conseguenza della prevista diversa età pensionabile delle donne rispetto agli uomini e che comunque la questione sarebbe risolvibile alla stregua delle considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 345 del 1994.

4.- Identica questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Pretore di Roma con ordinanza emessa in data 17 maggio 1995 nel corso di un procedimento civile vertente tra Maria Luisa Moriconi e l'INPS.

5.- Anche con riguardo a tale giudizio si è costituito l'INPS concludendo per la inammissibilità o l'infondatezza della sollevata questione.

Considerato in diritto

 

1.- La questione che viene sottoposta a questa Corte è se l'art. 29 della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), nella parte in cui non prevede per le lavoratrici prepensionate del settore siderurgico la possibilità di usufruire dello stesso accredito contributivo stabilito per gli uomini, sia in contrasto con gli artt. 3 e 37 della Costituzione in quanto, a parità di anzianità contributiva ed età anagrafica, gli uomini possono godere di una maggiorazione dell'anzianità assicurativa nella misura di dieci anni a fronte di quella fissata in cinque anni per le donne.

2.- Data l'identità delle questioni sollevate, deve disporsi la riunione dei giudizi affinché siano decisi congiuntamente.

Preliminarmente deve anche osservarsi che l'INPS, costituendosi in questa sede, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata, ma nulla ha dedotto circa i motivi dell'inammissibilità.

3.- La questione non è fondata nei sensi che saranno di seguito precisati.

Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 371 del 1989, 498 del 1988 e 137 del 1986), l'età lavorativa è di sessanta anni, in misura uguale sia per l'uomo che per la donna, mentre il diritto al pensionamento si acquista per quest'ultima al cinquantacinquesimo anno, in ragione della "necessità della donna di soddisfare esigenze a lei peculiari e proprie di essa, che non hanno riscontro nella condizione dell'uomo".

Deve anche ricordarsi che il legislatore è intervenuto più volte per disciplinare le diverse ipotesi di pensionamento anticipato del personale esuberante con disposizioni che stabiliscono le varie condizioni a seconda dei tipi di imprese. In ordine a queste disposizioni la Corte ha emesso alcune decisioni che - come risulterà più avanti - non sono fra loro identiche, in quanto relative a differenti norme.

In particolare, la legge n. 223 del 1991 disciplina la facoltà di pensionamento anticipato con due distinte disposizioni: 1) quella dell'art. 27, relativa ai "lavoratori dipendenti di imprese industriali caratterizzate da elevati livelli di innovazione tecnologica, competitività mondiale, capacità innovativa, tali da essere definite di interesse nazionale, interessate da esigenze di ristrutturazione e riorganizzazione con adeguati programmi di sviluppo e di investimenti"; 2) quella dell'art. 29, relativa invece ai dipendenti delle imprese industriali del settore siderurgico pubblico, delle imprese produttrici di materiali refrattari, di elettrodi di grafite per l'industria siderurgica e del settore cantieristico pubblico.

Detta legge prevede in proposito diverse condizioni concernenti l'età dei lavoratori, la loro anzianità contributiva, la misura massima della agevolazione contributiva ed il numero delle unità lavorative che possono giovarsi della facoltà di richiedere il pensionamento anticipato; tale facoltà comporta una maggiorazione (o accreditamento gratuito) di un certo periodo necessario per la maturazione dell'anzianità contributiva.

4.- L'INPS sostiene in questa sede che anche all'ipotesi di prepensionamento previsto dalla seconda delle citate norme (quella applicabile nella presente fattispecie) sia estensibile la pronuncia di questa Corte (sentenza n. 345 del 1994) concernente le lavoratrici del settore industriale, secondo cui "l'età di riferimento del limite massimo dell'accredito contributivo non può essere che l'età pensionabile, la quale per le donne è rimasta ferma alla soglia dei cinquantacinque anni". Dopo il compimento di questa età pensionabile, ha osservato la Corte, esse hanno diritto di continuare il rapporto di lavoro fino a sessant'anni, senza che sia però configurabile nei loro confronti un prepensionamento con accredito dei contributi mancanti per maturare il diritto alla pensione, dal momento che tale diritto hanno già maturato.

La stessa sentenza avverte che la pronuncia resa da questa Corte con la sentenza n. 371 del 1989 non può costituire un precedente per detta categoria di lavoratori, dal momento che essa riguardava i dipendenti del diverso settore siderurgico, ove il prepensionamento viene ad assumere un "carattere praticamente coatto".

La difesa delle lavoratrici ha dedotto che questo carattere coatto è ravvisabile appunto nella categoria interessata alla presente controversia e che ad essa quindi si attagliano le pronunce (sentenze nn. 503 e 134 del 1991 e 371 del 1989) relative ai dipendenti delle imprese del settore siderurgico.

5.- Questa Corte ritiene che nel caso in esame debba effettivamente farsi riferimento alle pronunce da ultimo menzionate, le quali riguardano in modo specifico il personale esuberante del settore siderurgico e di quello cantieristico, la cui crisi ha assunto - com'è noto - gravi e peculiari connotazioni.

Va notato in particolare, che la norma impugnata (art. 29) richiama le varie disposizioni relative a questi settori, tra le quali il decreto-legge 1° aprile 1989, n. 120, convertito dalla legge 15 maggio 1989, n. 181. Questo testo, all'art. 2, comma 2, stabiliva una differente maggiorazione contributiva fissata per l'uomo fino a 60 anni e per la donna fino a 55 anni; tale riferimento è tuttavia caduto per quanto riguarda il settore siderurgico, dal momento che la norma è stata dichiarata incostituzionale in parte qua con la sentenza n. 503 del 1991.

D'altra parte, dall'art. 8 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 convertito in legge, con modificazioni dall'art. 1, comma 1, della legge 19 luglio 1994, n. 451, si trae indiretta conferma della esattezza delle argomentazioni sopra riportate. Ed invero, tale disposizione, nel prevedere, per il triennio 1994-1996 un piano di pensionamento anticipato dei dipendenti delle imprese del settore siderurgico di età non inferiore a 50 anni se uomini e a 47 anni se donne, attribuisce ai dipendenti medesimi una maggiorazione dell'anzianità contributiva fissata, per entrambi i sessi, nella misura di 10 anni.

Se dunque nel predetto settore di lavoro si riconosce la stessa maggiorazione contributiva sia per gli uomini che per le donne, sarebbe privo di giustificazione escludere l'operatività di tale beneficio solo nel periodo intercorrente tra gli effetti della richiamata sentenza n. 503 del 1991 e quelli derivanti dal citato decreto-legge del 1994.

Da quanto sopra osservato consegue che le disposizioni relative a tale categoria di dipendenti (come già affermato dalla sentenza n. 134 del 1991) assicurano alle lavoratrici del settore siderurgico un accreditamento contributivo pari nel massimo a quello assicurato ai lavoratori dello stesso settore nell'evenienza di prepensionamento, vale a dire pari nel massimo a 10 anni. Interpretando quindi la norma impugnata anche alla luce di quanto deciso dalla richiamata sentenza n. 503 del 1991 vengono meno le censure di incostituzionalità prospettate, poiché alle lavoratrici del settore siderurgico è stato riconosciuto lo stesso accredito contributivo assicurato ai lavoratori del medesimo settore.

                                                                                                       PER QUESTI MOTIVI    

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 29 della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 marzo 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria l'8 marzo 1996.