Sentenza n. 63 del 1996

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N.63

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 276 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 23 giugno 1995 dal Tribunale di Verbania sulla richiesta di riesame proposta da Santacroce Giuseppe, iscritta al n. 587 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 1996 il Giudice relatore Gustavo ZAGREBELSKY.

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale di Verbania, adìto in sede di impugnazione avverso un'ordinanza con cui il Pretore della stessa città aveva disposto, a norma dell'art. 276 del codice di procedura penale, la sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella della custodia cautelare in carcere nei confronti di un imputato, già condannato in primo grado, a seguito della notizia della trasgressione delle prescrizioni inerenti alla misura da parte dell'interessato, ha sollevato, con ordinanza del 23 giugno 1995, questione di legittimità costituzionale del citato art. 276 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice debba sentire il difensore sulla richiesta del pubblico ministero intesa ad ottenere la sostituzione o il cumulo della misura cautelare con altra più grave per trasgressione agli obblighi imposti, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione.

2. - Previa la reiezione di taluni motivi del gravame, il rimettente osserva che la censura di incostituzionalità per la mancata preventiva audizione del difensore in sede di adozione del provvedimento ex art. 276 cod. proc. pen. sulla richiesta del pubblico ministero è rilevante nella prospettiva di una possibile declaratoria di nullità dell'ordinanza pretorile sostitutiva dello status cautelare, in ipotesi di accoglimento dell'incidente di costituzionalità.

Ciò premesso, il giudice a quo afferma essere l'accennata questione "del tutto analoga" a quella sollevata, da altro Tribunale, relativamente all'art. 301, comma 2, cod. proc. pen., e decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 219 del 1994, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale del citato art. 301 nella parte in cui non prevede(va) che ai fini dell'adozione del provvedimento di rinnovazione della misura cautelare dovesse essere previamente sentito il difensore della persona da assoggettare alla misura. Di qui, lo sviluppo di argomentazioni sostanzialmente riproduttive di quelle formulate nell'ordinanza di rinvio della questione ritenuta, appunto, analoga.

3. - La mancata previsione del contraddittorio tra accusa e difesa in sede di decisione sulla richiesta del pubblico ministero di sostituzione o cumulo della misura con altra misura più grave, per il caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti alla prima, violerebbe gli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione.

La differenziazione di chances processuali tra pubblico ministero richiedente - che può prospettare le argomentazioni a sostegno della propria richiesta - e difensore dell'interessato - che non può formulare deduzioni diverse e idonee a contrastare la richiesta - non avrebbe infatti ragionevole giustificazione nell'ambito di un sistema imperniato sulla parità tra accusa e difesa (art. 2, direttiva n. 3) della legge delega n. 81 del 1987), tanto più in quanto farebbe difetto, nel provvedimento ex art. 276 cod. proc. pen., l'elemento della "sorpresa", elemento che, come sottolineato nella richiamata sentenza n. 219 del 1994, potrebbe giustificare l'esclusione dell'audizione e del contraddittorio in vista della tutela di altre esigenze. Il rilievo non potrebbe d'altra parte essere superato - prosegue il Tribunale - né attraverso l'argomento, pur utilizzato in giurisprudenza, della possibilità di esercitare la difesa attraverso il controllo sulla motivazione del provvedimento e quindi in sede di impugnazione, né in base al più generale enunciato della giurisprudenza costituzionale circa la necessità di contemperamento della garanzia difensiva con altri valori costituzionali.

Per il primo aspetto, il giudice a quo sottolinea che la garanzia difensiva è tale "in ogni stato e grado del procedimento", per cui deve essere assicurata anche in via anticipata rispetto al provvedimento, in modo da influire sulla relativa formazione ed eventualmente impedire anticipatamente gli effetti sfavorevoli della decisione. Per il secondo aspetto, il Tribunale osserva che la preclusione al preventivo contraddittorio nell'ambito dell'applicazione dell'art. 276 non appare giustificata dall'esigenza di tutela di altri interessi o valori costituzionali concernenti il processo, come del resto è stato affermato dalla richiamata sentenza n. 219 del 1994 che ha delimitato la possibilità di ridurre le garanzie difensive solo in funzione della tutela di esigenze processuali che, per loro natura, potrebbero essere vulnerate dal contraddittorio anticipato.

4. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

L'Avvocatura rileva che l'ordinanza di rimessione muove dal presupposto per cui la questione sarebbe del tutto analoga a quella sollevata relativamente all'art. 301, comma 2, cod. proc. pen., poi decisa con la sentenza n. 219 del 1994 della Corte costituzionale. E' sulla base di questo presupposto che il giudice a quo ritiene che, se non è ragionevole l'esclusione del contraddittorio prima di adottare un provvedimento di rinnovazione di una misura cautelare personale, egualmente non ragionevole sarebbe l'esclusione del previo contraddittorio in sede di adozione del provvedimento ex art. 276 impugnato. Ma questo parallelismo è privo di fondamento, ad avviso dell'Avvocatura, proprio alla luce delle argomentazioni valorizzate dal tribunale rimettente, perché la misura cautelare più grave eventualmente applicabile ex art. 276 è diversa da quella, in atto, le cui prescrizioni non sono state osservate dall'interessato: non si tratta quindi di rinnovazione della medesima misura, ma di applicazione di una nuova e diversa misura, che fa emergere l'interesse al fattore dell'imprevisto e che rende quindi ragionevole l'esclusione del contraddittorio anticipato, che potrebbe appunto vanificare quella esigenza.

L'art. 276 cod. proc. pen. va dunque allineato, per questo aspetto, alla disciplina dettata per la prima applicazione di una misura cautelare personale piuttosto che a quella relativa alla rinnovazione di essa; ne segue la conclusione per una pronuncia di non fondatezza della questione.

Considerato in diritto

 

1. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Verbania è se la norma dell'art. 276 del codice di procedura penale - nella parte in cui prevede che, in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il giudice può disporne la sostituzione o il cumulo con altra più grave senza dover sentire il difensore sulla richiesta del pubblico ministero - sia conforme al principio di uguaglianza (art. 3, primo comma, della Costituzione) e al diritto di difesa, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 24, secondo comma, della Costituzione).

2. - La questione non è fondata.

La garanzia della difesa e della parità tra accusa e difesa comporta in generale che il preventivo contraddittorio tra le ragioni dell'una e dell'altra debba essere garantito anche nel procedimento applicativo di misure cautelari personali coercitive, in tutti i casi in cui esso non contraddica le esigenze della loro concreta esecuzione.

Conformemente a questo principio, il codice di procedura penale stabilisce che il difensore debba essere sentito nei casi di proroga della custodia cautelare (art. 305) e questa Corte, con la sentenza n. 219 del 1994, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 2 dell'art. 301, nella parte in cui non prevedeva che, ai fini dell'adozione del provvedimento di rinnovazione della misura cautelare personale disposta per esigenze probatorie, dovesse essere previamente sentito il difensore della persona da assoggettare alla misura. Sia la proroga che la rinnovazione, essendo la misura cautelare già in corso di esecuzione, sono infatti compatibili con la difesa in previo contraddittorio, senza che ne possa nascere un pericolo per l'eseguibilità della misura da prorogare o da rinnovare.

Invece, nel caso di applicazione iniziale delle misure - essendo di fatto possibile che colui il quale ne sia avvertito si sottragga all'esecuzione e che quindi le finalità loro proprie vengano frustrate - l'art. 291 cod. proc. pen. prevede soltanto la richiesta del pubblico ministero al giudice competente. Anche la "novella" contenuta nella legge 8 agosto 1995, n. 332, approvata per apprestare, relativamente all'applicazione delle misure cautelari personali, garanzie più intense di quelle già previste dall'originaria stesura del codice di procedura penale, conferma questa impostazione, pur prevedendo innovazioni procedimentali che consentono la rappresentazione delle ragioni della difesa. Infatti, il nuovo art. 291, al comma 1, stabilisce che "le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice competente gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate"; il nuovo art. 292, al comma 2, lettera c-bis), stabilisce che "l'ordinanza che dispone la misura cautelare contiene, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio, l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa" e, al comma 2-ter, che "l'ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell'imputato". In nessun caso tuttavia, per l'intrinseca contraddizione che ne deriverebbe rispetto all'esigenza di salvaguardare l'imprevedibilità della misura, si ammette la presenza dell'indiziato o dell'imputato, o del suo difensore, nel procedimento di applicazione della misura. Esso si svolge in un rapporto a due, tra il pubblico ministero e il giudice.

Le garanzie della difesa, attraverso l'instaurazione del contraddittorio, non sono annullate ma solo rinviate, potendo esplicarsi pienamente in via successiva. Così, nel corso delle indagini preliminari, la persona nei cui confronti sia stata disposta la custodia cautelare è dal giudice sottoposta a interrogatorio immediatamente o in termini ristrettissimi, ai fini della verifica del perdurare delle condizioni di applicabilità e delle esigenze cautelari che giustificano la misura e a tale interrogatorio ha facoltà di assistere il difensore (art. 294 cod. proc. pen.). E in ogni caso possono essere proposti, dall'imputato o dal suo difensore, la richiesta di riesame, a norma dell'art. 309 cod. proc. pen., nonché, in caso di rigetto di istanza di revoca o sostituzione della misura disposta, l'appello, a norma dell'art. 310 cod. proc. pen.: richiesta di riesame e appello in ordine ai quali il tribunale competente è chiamato a pronunciarsi in termini brevi.

3. - Alla luce di quanto ora detto, la soluzione della proposta questione circa la legittimità costituzionale dell'art. 276 cod. proc. pen. si riduce alla risposta alla domanda se per le misure più gravi che il giudice può disporre in sostituzione o in aggiunta di altre, nel caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti ad altra misura già disposta, il carattere di imprevisto sia o non sia coessenziale alla realizzazione della loro finalità cautelare.

La risposta non può che essere positiva e per questo la già richiamata sentenza n. 219 del 1994, che pare al Tribunale rimettente costituire un precedente a favore della fondatezza della questione in esame, è male invocata.

In tutte le situazioni ipotizzabili nell'ambito dell'art. 276 cod. proc. pen., la nuova misura che il giudice è chiamato ad adottare, in sostituzione o in aggiunta a quella già disposta, comporta qualche elemento di maggiore afflittività e incidenza nella libertà personale dell'interessato. Per questo, nella disposizione menzionata, si configura una scala sulla quale le diverse misure cautelari personali coercitive si dispongono oggettivamente secondo la loro maggiore o minore gravità: dal minimo del divieto di espatrio (art. 281), al massimo della custodia cautelare in carcere (o in luogo di cura) (artt. 285 e 286), attraverso l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282), il divieto e l'obbligo di dimora (art. 283) e gli arresti domiciliari (art. 284).

Rispetto alla maggiore afflittività che il passaggio da una misura meno grave a una più grave comporta, l'esigenza dell'imprevisto indubbiamente si pone come per l'applicazione di una misura nuova. Una conferma del carattere non occasionale ma sistematico dell'omissione del contraddittorio preventivo con la difesa, in ipotesi di questo genere, è data dalla disciplina dell'art. 299, comma 4, che prevede la sostituzione di una precedente misura cautelare con un'altra più grave o con modalità più gravose, quando le esigenze cautelari risultino aggravate. Anche in questo caso, il giudice provvede su richiesta del pubblico ministero, in assenza di previo contraddittorio.

Se si considera poi che l'ipotesi normativa dell'art. 276 cod. proc. pen. è la violazione di obblighi connessi a una misura "meno grave" - ipotesi che in concreto potrà essere vagliata in contraddittorio con l'interessato, ove questi successivamente lo richieda al giudice - l'inclinazione a sottrarsi alla misura "più grave" è da presumersi ragionevolmente perfino più forte che non nel caso di prima applicazione o di aggravamento della misura determinato dal sopravvenire di più forti ragioni cautelari. Si deve allora concludere che a maggior ragione è valida la determinazione del legislatore il quale, avendo escluso il preventivo contraddittorio nel caso di prima applicazione di una misura cautelare personale e in quello della sostituzione di una misura meno grave con una più grave, altrettanto ha fatto nel caso, previsto dall'art. 276 cod. proc. pen., di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare precedentemente disposta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 276 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Verbania, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 marzo 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria l'8 marzo 1996.