Sentenza n. 532 del 1995

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SENTENZA N. 532

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 495, comma 2, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 22 giugno 1994 dal Pretore di Milano, sezione distaccata di Legnano, nel procedimento penale a carico di Bassani Aurora, iscritta al n. 16 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'8 novembre 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1. -Il Pretore di Milano, sezione distaccata di Legnano, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 495, comma 2, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non consente alla parte civile, ma solo all'imputato e al Pubblico Ministero, il diritto all'ammissione delle prove indicate a carico dell'imputato sui fatti oggetto della prova a discarico".

2. -Nel corso di un procedimento penale la parte civile ha sollevato eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 495, comma 2, nella parte in cui esclude che la parte civile possa chiedere la prova contraria come invece viene riconosciuto al pubblico ministero e all'imputato.

Premette il remittente che con l'art. 190 del codice di procedura penale il legislatore ha stabilito uno dei principi cardine del nuovo processo penale, ispirato al sistema accusatorio, attribuendo alle parti un vero e proprio diritto alla prova.

Il successivo art. 468 attribuisce alle parti la possibilità di chiedere l'esame di testimoni e consulenti, nonchè (al comma 4) la facoltà di chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti e consulenti non compresi nella propria lista.

Le norme citate non attuano quindi alcuna sperequazione nel trattamento processuale tra i diversi soggetti, attribuendo alle varie parti un eguale diritto alla prova.

3. -Ad avviso del remittente, però, una non giustificata disparità di trattamento viene introdotta dall'art. 495, comma 2, che attribuisce solo all'imputato e al pubblico ministero il diritto alla prova contraria, non facendo menzione della possibilità di estendere tale diritto anche alle altre parti processuali e, in particolare, alla parte ci vile costituita.

Ritiene il Pretore che tale differente disciplina non abbia ragionevole spiegazione e comporti conseguenze sul diritto di difesa e sul principio di parità delle parti processuali; di qui il dubbio di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'attuale normativa.

4. -È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

Rileva la difesa del Presidente del Consiglio che la norma impugnata costruisce un vero e proprio "diritto" per le due parti principali del processo, ma non per questo preclude (come anche ritenuto da parte della dottrina), la "facoltà" per le altre parti private (non solo la parte civile, ma anche, ad esempio, la persona offesa) di indicare comunque la controprova senza che a ciò corrisponda un dovere per il giudice di ammetterla.

Tale differenza di trattamento, a suo avviso, ben può giustificarsi in relazione alla diversità degli interessi di cui sono rispettivamente portatori, da un lato, imputato e pubblico ministero e, dall'altro, le altri parti private.

Considerato in diritto

1. -Il Pretore di Milano, sezione distaccata di Legnano, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 495, comma 2, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non consente alla parte civile, ma solo all'imputato ed al Pubblico Ministero, il diritto all'ammissione delle prove indicate a carico dell'imputato sui fatti oggetto della prova a discarico".

2. -In sintesi, il giudice remittente ritiene che la norma impugnata, in quanto non consente alla parte civile ma solo all'imputato ed al pubblico ministero il diritto all'ammissione della prova contraria, contrasti con l'art. 3 della Costituzione, per violazione del principio di parità delle parti processuali, nonchè con l'art. 24 della Costituzione, per una ingiusta lesione del diritto di difesa della parte civile.

3. -La questione non è fondata.

Va, innanzitutto, ricordato che l'intervento nel processo penale della parte civile trova giustificazione -oltre che nella necessità di tutelare un legittimo interesse della persona offesa dal reato -nell'unicità del fatto storico, valutabile sotto il duplice profilo dell'illiceità penale e dell'illiceità civile, realizzando così non solo un'esigenza di economia dei giudizi, ma anche evitando un possibile contrasto di pronunce.

Senonchè, l'azione per il risarcimento o le restituzioni ben può avere ab initio una propria autonomia nella naturale sede del giudizio civile -con un iter del tutto indipendente rispetto al giudizio penale --, nel quale non sussistono quei condizionamenti che, viceversa, la legge impone nel caso in cui si sia preferito esercitare l'azione civile nell'ambito del procedimento penale; condizionamenti giustificati dal fatto che oggetto dell'azione penale è l'accertamento della responsabilità dell'imputato.

È proprio nella non equiparabilità tra parti principali -e necessarie -del processo penale e parte civile, la cui presenza è solo eventuale, nonchè tra gli interessi di cui ciascuna è rispettivamente portatrice, che si giustifica il diverso trattamento in ordine all'ammissione delle prove ex art. 495, comma 2.

Ferma restando, quindi, tale differenza di posizione tra imputato e pubblico ministero da un lato, e parte civile dall'altro, occorre, infine, rilevare che la medesima norma impugnata, pur qualificando come diritto l'ammissione delle prove per le parti principali, non preclude affatto alla parte civile la facoltà di presentare anch'essa le proprie richieste. Non sussiste, pertanto, alcuna lesione del suo diritto alla difesa, garantito in via generale dall'art. 190 del codice di procedura penale -che pone un principio di carattere generale il cui valore si proietta in tutte le fasi processuali -e dall'art. 468, comma 4, del medesimo codice, che prevede espressamente la possibilità per "ciascuna parte" di presentare in dibattimento testimoni, periti o consulenti tecnici in controprova, senza che a ciò corrisponda un dovere per il giudice di ammetterla.

Posizione del tutto analoga a quella dello stesso imputato il quale -è appena il caso di ricordare -non ha diritto alla controprova sui fatti oggetto delle prove in ordine alla responsabilità civile, introdotte dalla parte civile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 495, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Milano, sezione distaccata di Legnano, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/95.

Mauro FERRI, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 29/12/95.