Sentenza n. 529 del 1995

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 529

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 3, della legge della Regione Campania 27 giugno 1987, n. 35 (Piano urbanistico territoriale dell'area sorrentinoamalfitana), promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 1994 dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania sul ricorso proposto dalla Società GESVIT contro il Comune di Massa Lubrense, iscritta al n. 498 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di costituzione della Società GESVIT nonchè l'atto di intervento della Regione Campania.

Udito nell'udienza pubblica del 21 novembre 1995 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi l'avv. Giuseppe Abbamonte per la Società GESVIT e l'avv. Livio Cacciafesta per la Regione Campania.

Ritenuto in fatto

1.-La società GESVIT, proprietaria di un villaggio turistico in Massa Lubrense, costruito successivamente al 1955, con istanza in data 14 ottobre 1993 aveva richiesto al comune autorizzazione per l'esecuzione, su di uno dei bungalows in legno, di lavori di manutenzione straordinaria, diretti alla sostituzione di alcune parti dello stesso, ed alla integrazione dei servizi igienici. Il comune aveva rigettato l'istanza assumendo che l'intervento richiesto sarebbe stato in contrasto con l'art. 17 della legge della Regione Campania 27 giugno 1987, n. 35 (Piano urbanistico territoriale dell'area sorrentino-amalfitana).

Avverso il provvedimento di rigetto, la società GESVIT proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale che, con ordinanza emessa in data 28 giugno 1994, pervenuta alla Corte costituzionale il 20 luglio 1995 (R.O. n. 498 del 1995), ha sollevato questione di legittimità costituzionale della citata norma regionale, nella parte in cui, al terzo comma, stabilisce che nella zona del piano urbanistico territoriale classificata 1/a -in cui si assume ubicata la costruzione in questione -non possa eseguirsi alcun intervento edilizio, di manutenzione ordinaria e straordinaria e, per quella classificata 1/b, consente, sugli edifici realizzati successivamente al 1955, solo interventi di manutenzione ordinaria.

Ad avviso del collegio rimettente, il divieto di opere di manutenzione straordinaria nella zona 1/b, e persino di manutenzione ordinaria nella zona 1/a, si porrebbe in contrasto con l'art. 42 della Costituzione, determinando un continuo ed irreversibile degrado dei beni oggetto del divieto stesso, per la impossibilità di assicurare la sia pur mini ma opera di recupero del patrimonio edilizio. Esso si risolverebbe, in ultima analisi, in un esproprio, senza indennizzo, della proprietà.

Nella ordinanza si rileva la irrazionalità della normativa nel confronto con la disciplina di cui all'art. 1-quinquies del decreto-legge n. 312 del 1985, introdotto dalla legge di conversione n. 431 del 1985, che, nell'imporre un vincolo di inedificabilità assoluta a tutela delle bellezze paesistiche in vista dell'adozione dei piani urbanisticoterritoriali, esclude da tale vincolo gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.

Si introduce, in tal modo, una ulteriore censura, consistente nel contrasto con l'art. 117 della Costituzione, in quanto le disposizioni citate del d.l. n. 312 del 1985, costituendo principi fondamentali della legislazione statale, non sarebbero derogabili ad opera di una legge regionale. Nè il divieto contenuto nella normativa impugnata rientrerebbe in alcune delle materie attribuite alla competenza regionale: esso troverebbe, invece, fondamento solo nella tutela del paesaggio e dei valori ambientali del territorio.

Nell'ordinanza si invocano, altresì, gli artt. 41 e 97 della Costituzione, senza che, peraltro, con riferimento ad essi, siano esplicate le ragioni del lamentato vulnus.

2.-Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la società GESVIT, concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, con argomentazioni adesive ai rilievi contenuti nella ordinanza di rimessione, e sviluppando i profili denunciati con riferimento ai principi di uguaglianza, buon andamento, ragionevolezza ed imparzialità: la normativa in questione avrebbe ancorato il limite temporale (realizzazione prima e dopo il 1955), ai fini dell'ampiezza dell'intervento ammissibile, ad un elemento arbitrario, che non trova rispondenza nè in un precedente provvedimento dell'amministrazione, nè in alcuna vicenda relativa alle bellezze paesistiche oggetto della tutela.

3.-È, altresì, intervenuta la Regione Campania, che ha concluso per la infondatezza della questione, osservando che la zona territoriale 1/a è quella che comprende un paesaggio di incomparabile bellezza paesistica, tale da indurre il legislatore regionale a dettare norme di tutela particolarmente intensa, consentendo per gli edifici costruiti fino al 1955, in armonia con tale bellezza, interventi di restauro conservativo, ed escludendo, per quelli realizzati "selvaggiamente" dopo il 1955, qualsiasi intervento. La diversa tutela apprestata per la zona 1/b sarebbe determinata dalla circostanza che questa comprende in modo prevalente zone destinate all'agricoltura.

La regione ha, altresì, rilevato che i piani approvati ai sensi dell'art. 1-bis della legge n. 431 del 1985, pur avendo natura di piani urbanistici, sono, tuttavia, dotati di una specifica valenza paesaggistica ed ambientale, in virtù della quale legittimamente essi potrebbero dettare norme dirette alla conservazione di un assetto territoriale di particolare pregio estetico, limitative della proprietà. Questo escluderebbe la violazione sia degli artt. 41 e 42, sia dell'art. 117 della Costituzione, avuto riguardo alla correlazione tra gli ambiti ambientale ed urbanistico.

Considerato in diritto

1.-La questione sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale concerne l'art. 17 della legge della Regione Campania 27 giugno 1987, n. 35 (Piano urbanistico territoriale dell'area sorrentino-amalfitana), e, segnatamente, il comma 3 dell'articolo citato, nella parte in cui vieta la esecuzione di qualsiasi intervento edilizio di manutenzione ordinaria e straordinaria nella zona classificata 1/a dal piano urbanistico territoriale dell'area sorrentino-amalfitana, e consente, nella zona classificata 1/b, solo interventi di manutenzione ordinaria per l'edilizia realizzata in epoca successiva al 1955.

Ad avviso del giudice a quo, tale disciplina arrecherebbe, in contrasto con l'art. 42 della Costituzione, un irreparabile pregiudizio al privato, cui verrebbe sottratta, in modo permanente e definitivo, la possibilità di usare e godere del bene per il quale si accerti la necessità di opere di conservazione, con conseguente continuo ed irreversibile degrado dello stesso.

La normativa impugnata sarebbe destinata a determinare un esproprio, senza indennizzo, della proprietà.

Il collegio rimettente deduce, altresì, la lesione dell'art. 117 della Costituzione, sotto il profilo della esorbitanza dalla sfera delle competenze regionali: le disposizioni di cui si tratta si porrebbero, infatti, in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, che operano quale limite alla potestà legislativa regionale, e, in particolare, con la disciplina di cui all'art. 1quinquies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1985, n. 431, che, nell'imporre un vincolo di inedificabilità assoluta a tutela delle bellezze paesistiche in vista dell'adozione, da parte delle regioni, dei piani urbanistico-territoriali, aveva escluso da tale vincolo gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.

2.-La questione è fondata per i profili e nei limiti appresso indicati.

Con la legge della Regione Campania n. 35 del 1987 è stato approvato il piano urbanistico territoriale dell'area sorrentinoamalfitana, in adempimento dell'art. 1-bis del d.l. n. 312 del 1985, come convertito dalla legge n. 431 del 1985, che impone alle regioni l'obbligo di sottoporre a specifica normativa di uso e valorizzazione ambientale i beni e le aree inclusi nel vincolo paesistico, attraverso lo strumento dei "piani paesistici", ovvero dei "piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali". L'art. 17 della legge regionale n. 35 del 1987 individua sedici tipi di zone territoriali, descrivendone le caratteristiche morfologiche, indicando le parti del territorio che vi sono compre se e dettando una serie di prescrizioni urbanistiche cui vanno adeguati i piani regolatori.

Per quanto riguarda, in particolare, le zone territoriali 1/a e 1/b, alla cui regolamentazione si rivolgono le censure del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, il comma 3 dell'art. 17 citato chiarisce che la prima di esse -che, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, va direttamente recepita nella zonizzazione e normativa dei piani regolatori generali -comprende "le maggiori emergenze tettoniche e morfologiche che si presentano con roccia affiorante o talvolta a vegetazione spontanea", mentre la zona territoriale 1/b -che fa parte di quelle che dovranno essere articolate in zone di piano regolatore con normativa che rispetti le indicazioni dettate dalla stessa legge -comprende la parte del territorio "prevalente mente a manto boscoso o a pascolo, le incisioni dei corsi d'acqua, alcune aree a colture pregiate di altissimo valore ambientale".

Le prescrizioni più significative imposte dal piano con riferimento alle due zone in esame sono volte alla conservazione integrale del territorio, segnatamente attraverso la previsione della inedificabilità, sia privata che pubblica. Quanto al patrimonio edilizio già esistente, nelle predette zone, la normativa in questione consente interventi di conservazione e mantenimento di esso, che, per la zona 1/a, sono limitati al solo restauro conservativo, mentre, per quella 1/b, si estendono anche alle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria e demolizione delle superfetazioni, nonchè, in misura limitata, all'adeguamento funzionale degli alloggi. I descritti interventi sono, peraltro, ammessi solo sugli edifici costruiti fino a tutto il 1955, mentre, per quelli realizzati in epoca successiva, nessun intervento edilizio è consentito nella zona 1/a, ed in quella 1/b è ammessa la sola manutenzione ordinaria, nel rispetto delle norme tecniche contenute nel titolo IV della stessa legge.

3.-Le ragioni del rigoroso sistema di prescrizioni introdotto dalla legge in esame risiederebbero nella esigenza, avvertita in modo pressante dal legislatore regionale -in un momento in cui più acuta cominciava a rivelarsi, anche per il dilagare dell'abusivismo, l'attenzione verso la tematica della tutela dell'ambiente in correlazione alla primarietà dei valori in giuoco -di conservazione del patrimonio paesaggistico, cui è teleologicamente orientato il piano urbanistico territoriale nel suo complesso.

Ma, pur in un quadro siffatto, il divieto di quegli interventi di manutenzione straordinaria, e persino ordinaria nelle zone di maggior pregio, volti non alla trasformazione del territorio attraverso un ulteriore incremento edilizio, ma esclusivamente alla conservazione (manutenzione) del patrimonio già esistente, si configura come una illegittima compressione del diritto di proprietà, quale riconosciuto e garantito dall'art. 42 della Costituzione. È pur vero che il comma 2 dello stesso articolo riserva alla legge la determinazione dei relativi modi di godimento, e che tale riserva, per quanto attiene alla normazione conformativa del contenuto dei diritti di proprietà, allo scopo di assicurarne la funzione sociale, può trovare attuazione anche in leggi regionali, nell'ambito delle materie indicate nell'art. 117 della Costituzione (sentt. n. 379 del 1994, e n. 391 del 1989). Tuttavia, le limitazioni e i vincoli apposti dalla legge non possono superare quella soglia al di là della quale, come la Corte ha riconosciuto fin dalla sentenza n. 55 del 1968, il sacrificio imposto venga a incidere sul bene, oltre ciò che è connaturale al diritto dominicale quale viene riconosciuto nell'attuale momento storico.

La privazione della possibilità (in via assoluta e generale, senza alcuna valutazione di compatibilità concreta, circa il modo e l'entità degli interventi, con le esigenze di tutela ambientale), per il titolare del diritto di proprietà su di un immobile, di procedere ad interventi di manutenzione, aventi quale unica finalità la tutela della integrità della costruzione e la conservazione della sua funzionalità senza alterare l'aspetto esteriore dell'edificio, rappresenta certamente una lesione del contenuto minimo della proprietà.

Infatti, l'anzidetto divieto, così configurato, incide addirittura sull'essenza stessa e sulle possibilità di mantenere e conservare il bene (costruzione) oggetto del diritto, producendo un inevitabile deterioramento di esso, con conseguente riduzione in cattivo stato e un progressivo abbandono e perimento (strutturale e funzionale).

Deve, in definitiva, escludersi la legittimità di una disposizione, quale quella all'odierno esame, che in tal senso statuisca nei confronti del proprietario, che, pur non privato formalmente del suo diritto con un atto di traslazione ad altro titolare, ne veda sostanzialmente svuotato il contenuto nel modo più irrimediabile e definitivo, e cioè con il graduale degrado e progressivo perimento del bene (costruzione), essendogli inibito qualsiasi intervento di manutenzione, ancorchè necessario per la stessa conservazione della costruzione. In sostanza, l'impedire l'esecuzione di lavori necessari e indispensabili per la conservazione o manutenzione del bene conduce alla graduale inutilizzabilità delle costruzioni in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso (conforme alle licenze, concessioni e autorizzazioni previste), e determina il progressivo venir me no del bene.

Nella specie, tanto più irragionevole appare il divieto contenuto nell'art. 17, comma 3, della legge della Regione Campania n. 35 del 1987, ove si consideri che esso è variamente configurato a seconda che gli edifici siano stati realizzati in epoca anteriore o successiva al 1955 (zona 1/a: edifici esistenti al 1955, consentito il solo restauro conservativo; edifici costruiti successivamente, nessuna possibilità di alcun intervento edilizio; zona 1/b: edilizia esistente al 1955, consentiti restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria; edifici costruiti successivamente, sola manutenzione ordinaria). Nessuna ragionevole giustificazione si rinviene a tale limitazione temporale, non potendo, fondatamente, sostenersi che le sole edificazioni anteriori a quella data necessitino di interventi di manutenzione. Questi, al contrario, possono risultare indispensabili anche con riferimento ad opere successive, in molti casi anch'esse caratterizzate da una certa vetustà, e sul cui grado di conservazione possono, comunque, incidere numerosi fattori, compresa l'influenza della salsedine. Nè vale osservare, come fa la difesa della regione, che la data del 1955, come limite temporale discriminante al fine della ammissibilità dell'intervento di manutenzione, troverebbe fondamento nella considerazione che gli edifici costruiti fino a quella data sarebbero in armonia con le bellezze paesistiche tutelate, mentre gli altri sarebbero stati realizzati "selvaggiamente".

A prescindere da ogni considerazione sul carattere in ogni caso arbitrario di una tale generalizzazione, è sufficiente, al riguardo, rilevare che gli edifici di cui si tratta, suscettibili di interventi, sono quelli legittimamente esistenti, e, ovviamente, devono essere regolarmente assentiti (fin dall'origine o con valido condono in sanatoria), dal punto di vista urbanistico, non potendo trattarsi di costruzioni abusive. Ove esistano speciali vincoli, devono poi essere assistiti dalle specifiche autorizzazioni e pareri, ove richiesti.

Ciò in quanto, in caso diverso, l'autorità amministrativa competente sarebbe tenuta agli interventi repressivi e sanzionatori, ed in nessun caso potrebbe procedere all'esame di istanze dirette ad abilitazioni per opere di restauro o di manutenzione di edificio esistente, che presuppongono necessariamente una preesistente licenza o concessione edilizia, valida ed operante all'epoca della costruzione, e non oggetto di successivi interventi repressivi o di annullamento, accompagnata da tutte le eventuali autorizzazioni o pareri prescritti in caso di vincolo.

Le suesposte considerazioni portano ad escludere in radice che la questione coinvolga profili di espropriazione e di indennizzabilità (pur richiamati dall'ordinanza di rimessione), in quanto, nella specie, la va-lutazione della illegittimità della norma impugnata non è correlata alla mancanza di previsione di indennizzo, ma alla inammissibilità di un intervento legislativo che, impedendo la conservazione del bene (costruzione regolarmente assentita), ne determina la progressiva distruzione.

4.-La esclusione della potestà della regione di imporre in modo indiscriminato un vincolo così penetrante, con effetti finali di perimento della costruzione, lungi dal determinare un "abbassamento della guardia" sul tema della tutela ambientale, impedisce in sostanza un degrado ed un abbandono ambientale del territorio e delle (legittime e non abusive) costruzioni che insistono sullo stesso, e resta necessariamente assistito da una serie di cautele funzionali proprio a quella tutela.

Basti pensare, al riguardo, all'ampiezza dei poteri in sede di programmazione urbanistica e alla conseguente responsabilità dei comuni e della regione, agli strumenti di protezione (valutazione in sede di rilascio delle concessioni sulla base delle previsioni e standards di piano urbanistico ed autorizzazioni da parte delle autorità competenti) ed alle sanzioni previste dal legislatore in modo specifico per le violazioni edilizie e per la tutela degli interessi ambientali.

Inoltre, gli stessi limiti che il legislatore regionale ha già posto con riferimento agli interventi edilizi consentiti sugli edifici realizzati fino al 1955, e, per la zona 1/b, indipendentemente dall'epoca di costruzione, subordinandone l'ammissibilità al rispetto delle norme tecniche di cui al titolo IV della stessa legge n. 35 del 1987, debbono valere indiscriminatamente nei confronti della esecuzione degli interventi edilizi di manutenzione nelle zone 1/a e 1/b. Nè è preclusa la possibilità di impedire le anzidette opere di manutenzione (attraverso previsioni normative regionali, prescrizioni negli strumenti urbanistici, rifiuto di autorizzazione o concessione), quando l'intervento non sia necessario per la conservazione e mantenimento del bene (secondo la destinazione originaria prevista, potendosi escludere il cambio di destinazione) o quando il modo (come ad esempio il colore, i materiali impiegati, l'alterazione di caratteristiche essenziali, ecc.), o l'entità degli interventi (che, si sottolinea, non possono alterare lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici) siano tali da incidere negativamente sull'equilibrio e sulla conservazione dell'ambiente (ad esempio, per l'aumento degli utilizzatori).

Allo stesso modo, resta salva la possibilità di individuare altri limiti incisivi, ove giustificati da esigenze tecniche e di tutela del territorio, illegittimo essendo, invece, il divieto generalizzato, assoluto ed indiscriminato che escluda ogni possibilità di opere di conservazione e di manutenzione (conservazione del bene e della sua concreta fruibilità) secondo le previsioni di utilizzazione consentita.

5.-Del resto, la ragionevolezza della sottoposizione degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria ad un regime meno rigoroso rispetto alle opere edilizie idonee ad immutare le caratteristiche visibili all'esterno, risulta dalle stesse previsioni dell'anzidetto decreto-legge n. 412 del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985. Infatti, l'art. 1, nella parte che ha introdotto il comma dodicesimo dell'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, esclude, per tali interventi, la necessità di richiedere l'autorizzazione paesistica, salva la responsabilità penale ex art. 1-sexies in caso di modificazioni ambientali. Inoltre, l'art. 1-quinquies, nell'introdurre, come norma di salvaguardia, il divieto di modificazioni dell'assetto del territorio e quello di opere edilizie che alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici -divieto, peraltro, temporalmente limitato, in quanto destinato ad operare solo fino all'adozione, da parte delle regioni, dei piani paesistici o urbanisticoterritoriali di cui all'art. 1-bis dello stesso decreto-legge -esclude, tra l'altro, espressamente dal divieto di opere edilizie gli interventi di manutenzione di cui si tratta.

Analogamente dispone l'art. 1-ter, altra norma di salvaguardia, che consente alle regioni di individuare, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, le aree in cui è vietata, fino all'adozione dei piani paesistici o urbanistico-territoriali, ogni modificazione dell'assetto del territorio, nonchè qualsiasi opera edilizia, con esclusione, tra l'altro, degli interventi di manutenzione di cui si tratta.

Le disposizioni di cui al d.l. n. 312 del 1985 hanno carattere di principi fondamentali, a prescindere dalla qualificazione, contenuta nell'art. 2 della legge di conversione n. 431 del 1985, di norme fondamentali di riforma economicosociale, in considerazione dell'oggetto della normativa, della sua motivazione politico-sociale, del suo scopo, del suo contenuto (v. sentenze n. 379 del 1994 e n. 151 del 1986).

Sicchè, anche il legislatore della Regione Campania, nel disciplinare il piano urbanistico territoriale dell'area sorrentino-amalfitana, avrebbe dovuto uniformarsi a tali principi, del resto generalmente accolti nella legislazione regionale di settore. Con ciò non si nega, peraltro -al contrario di come sembra orientarsi il giudice a quo -la competenza specifica della regione, titolare di attribuzioni in materia urbanistica, a legiferare nella materia di cui si tratta, con norme di piano urbanistico territoriale, che coinvolgono necessariamente (quando si vogliono ottenere gli effetti previsti dal citato art. 1bis) anche la tutela del paesaggio e dei valori ambientali per la facoltà attribuita da legge statale di tenere in specifica considerazione gli anzidetti valori paesistici ed ambientali. Al riguardo, deve essere ribadito quanto già affermato da questa Corte (sent. n. 379 del 1994) in ordine alla "mutualità integrativa" delle due funzioni di pianificazione paesistica ed urbanistica, quale risultato della più ampia apertura del concetto di urbanistica e della concezione "dinamica" del paesaggio, con la conseguenza che la tutela dei valori paesaggistico-ambientali si realizza anche attraverso la pianificazione urbanistica. Ciò ha valore a fortiori quando, come nella specie (legge della Regione Campania n. 35 del 1987), l'intervento di pianificazione assume la speciale duplice valenza (urbanisticoambientale) di piano urbanistico territoriale ex art. 1-bis citato, e, cioè, di piano destinato a guida vincolante della programmazione urbanistica comunale e, nello stesso tempo, con tenente una specifica considerazione -con imposizioni anche immediate -dei valori paesistici ed ambientali.

Ciò non vale, peraltro, ad attribuire a tutte le prescrizioni della legge regionale di cui si tratta valore di tutela paesistico ambientale, che, invece, va riconosciuto alle prescrizioni relative a zone soggette a vincolo paesaggistico ambientale (imposto in base ad atto amministrativo o per le categorie di beni previste dalla legge n. 431 del 1985).

6.-Restano assorbiti gli altri profili sol levati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, comma 3, della legge della Regione Campania 27 giugno 1987, n. 35 (Piano urbanistico territoriale dell'area sorrentinoamalfitana) nella parte in cui esclude in via generale, per le costruzioni edilizie legittimamente realizzate nella zona territoriale 1/a, ogni intervento edilizio di manutenzione ordinaria e straordinaria, e, per le costruzioni edilizie legittimamente realizzate, in epoca successiva al 1955, nella zona territoriale 1/b, gli interventi di manutenzione straordinaria.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/95.

Mauro FERRI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 29/12/95.