Sentenza n. 500 del 1995

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SENTENZA N. 500

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1987, n. 454 (Disposizioni in materia valutaria, ai sensi dell'art. 1 della legge 26 settembre 1986, n. 599) e 43 del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico delle norme di legge in materia valutaria), promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1994 dal Pretore di Roma, nel procedimento civile vertente tra Gracchi s.r.l. e Ministero del Tesoro, iscritta al n. 241 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio dell'8 novembre 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un giudizio di opposizione ad ingiunzione amministrativa, vertente tra una società a responsabilità limitata ed il Ministero del Tesoro, il Pretore di Roma, con ordinanza emessa il 10 novembre 1994, ha sollevato in relazione agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione questione di legittimità costituzionale degli artt. 32 del d.P.R. 29 settembre 1987, n. 454 (Disposizioni in materia valutaria, ai sensi dell'art. 1 della legge 26 settembre 1986, n. 599) e 43 del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico delle norme di legge in materia valutaria). Osserva il giudice a quo che l'applicabilità del rito di cui alla legge n. 689 del 1981 all'opposizione avverso i provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative per illeciti valutari è limitata, nella fase transitoria, dall'impugnato art. 32 ai "provvedimenti divenuti definitivi" al momento dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 454 del 1987 (espressione poi trasfusa, all'art. 43 del d.P.R. n. 148 del 1988, nel sintagma "provvedimento definitivo"). Peraltro, le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno inteso tale definitività come riferita ad un provvedimento emesso dall'organo di vertice della pubblica amministrazione e non già nel senso della residua esperibilità di tutela giurisdizionale. A parere del remittente, tale interpretazione determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra il caso in cui, alla data indicata, l'iter amministrativo si sia compiuto e l'ipotesi in cui invece esso non sia stato portato a termine. Solo nella seconda eventualità, infatti, il cittadino potrebbe "godere degli effetti" della riforma.

2. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità, ovvero per l'infondatezza della questione. Non ricorrerebbe, infatti, rispetto agli atti impugnabili nel previgente regime, quella identità di situazioni posta a base dell'asserito vulnus, tanto più che, secondo l'Avvocatura, il procedimento in unico grado previsto dalla legge n. 689 del 1981 non necessariamente implicherebbe maggiori garanzie per il cittadino. Infine si osserva come le lamentate lesioni degli artt. 24 e 113 della Costituzione non risultino minimamente motivate e come, nel complesso, dall'ordinanza di rimessione sia assai poco agevole desumere la fattispecie di causa e, con essa, verificare la rilevanza della questione.

Considerato in diritto

1. Il Pretore di Roma dubita della legittimità costituzionale degli artt. 32 del d.P.R. 29 settembre 1987, n. 454, e 43 del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148, nella parte in cui dette norme escludono l'applicabilità del procedimento di opposizione ad ingiunzione in base alla legge n. 689 del 1981 avverso il decreto che irroga sanzioni per le infrazioni valutarie, quando il procedimento sia già concluso con provvedimento definitivo alla data del 5 dicembre 1987. Esse risulterebbero lesive degli artt. 24 e 113 della Costituzione, nonchè, in particolare, dell'art. 3, per la disparità di trattamento che si verificherebbe tra chi, alla data predetta, veda compiuto l'iter amministrativo asseritamente penalizzato dall'impossibilità di esperire il nuovo rito e colui nei cui confronti non si sia ancora concluso il procedimento stesso.

2.1. La questione non è fondata. La nuova disciplina (art. 31 del d.P.R. n. 454 del 1987, riprodotto per quanto qui interessa, dall'art. 32 del d.P.R. n. 148 del 1988), risolvendo i dubbi che si erano manifestati dopo l'entrata in vigore della legge n. 689 del 1981, prevede l'opponibilità davanti al Pretore, nei termini e con le modalità stabilite da tale legge, del decreto del Ministro, che non solo determina la somma dovuta per la violazione valutaria, ma altresì ne ingiunge il pagamento precisandone le modalità e i termini secondo quanto previsto dalla stessa legge n. 689 del 1981. Risulta quindi modificato il sistema di tutela nei confronti del decreto ministeriale d'accertamento dell'infrazione valutaria e d'irrogazione delle sanzioni. Tutela che in precedenza trovava pur sempre accesso davanti al giudice, essendo divenuta inapplicabile, per l'operatività dell'art. 113 della Costituzione, conseguente all'intervento di questa Corte (sentenza n. 1 del 1959), la norma dell'art. 11 r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928, secondo cui non era ammesso alcun ricorso contro i provvedimenti emanati per l'accertamento delle violazioni in materia valutaria. Nel previgente regime costituiva ormai ius receptum la tutela dinanzi al giudice ordinario secondo la competenza per valore e per territorio avverso i decreti del Ministro del tesoro che accertavano violazioni in materia valutaria, sia con riguardo alla contestazione dei presupposti stessi dell'infrazione, sia che si ponesse in discussione la legittimità formale dell'atto e del procedimento in esito al quale esso era stato adottato. Il correlato provvedimento d'ingiunzione di pagamento, emesso dall'Intendente di finanza, era poi autonomamente impugnabile dinanzi al giudice con riferimento alla eventuale illegittimità delle procedure di riscossione, all'eccezione di prescrizione, ecc. Alla luce della più volte affermata regola, secondo cui un modulo processuale non può essere assunto a modello costituzionale del giusto processo, onde non può venir prospettata come lesiva della garanzia al diritto di difesa l'adozione di un rito piuttosto che di un altro, è sufficiente la ricognizione di cui sopra per escludere la violazione sia dell'art. 24 che dell'art. 113 della Costituzione, apoditticamente dedotta dal giudice a quo. Non è dato infatti scorgere nella denunciata normativa alcun vulnus del diritto di agire in giudizio contro un atto della pubblica amministrazione, diritto che rimane comunque garantito, venendo in discussione non già l'an sibbene il quomodo dell'accesso alla tutela giurisdizionale.

2.2. Quanto invece alla disparità di trattamento, su cui sembra appuntarsi in particolare la doglianza del Pretore remittente, va osservato che questa Corte ha già più volte riconosciuto in materia di successione di leggi nel tempo il potere discrezionale del legislatore d'introdurre una nuova disciplina, anche se con effetti più favorevoli o comunque diversi per il cittadino, senza che per questo si possa ravvisare una disparità di trattamento con riguardo alle posizioni non rientranti nella nuova normativa (v. sentenze n. 238 del 1984, n. 55 del 1983, n. 113 del 1977). Nè rileva che nella specie la differente tutela riguardi infrazioni commesse tutte prima dell'innovazione normativa. E ciò, perchè il diverso trattamento non attiene alla sanzionabilità della condotta bensì alla tutela contro l'atto d'accertamento. Pertanto, è con riferimento alla sola data di questo che occorre operare la comparazione fra le posizioni oggetto della tutela giurisdizionale; rimanendo invece disomogenee le posizioni di soggetti, la responsabilità dei quali sia stata accertata in tempi diversi rispetto al momento di entrata in vigore della nuova normativa processuale. Così come irrilevante, sotto il profilo costituzionale, è l'individuazione della data in cui deve ritenersi, à sensi della denunciata norma, integrato il detto accertamento attraverso l'atto ministeriale impugnabile. Individuazione, alla quale solamente afferisce la discussa definitività del provvedimento medesimo, il cui momento integrativo spetta al giudice a quo ricercare onde stabilire l'applicabilità della normativa, in virtù della quale può radicarsi la sua competenza a decidere sull'opposizione davanti a lui.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 32 del d.P.R. 29 settembre 1987, n. 454 (Disposizioni in materia valutaria, ai sensi dell'art. 1 della legge 26 settembre 1986, n. 599) e 43 del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico delle norme di legge in materia valutaria), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dal Pretore di Roma con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/11/95.

Mauro FERRI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 11/12/95.