Sentenza n. 488 del 1995

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SENTENZA N. 488

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana riapprovata il 28 febbraio 1995 dal Consiglio regionale avente per oggetto: "Disciplina degli agri marmiferi di proprietà dei Comuni di Massa e Carrara", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 20 marzo 1995, depositato in cancelleria il 27 successivo ed iscritto al n. 14 del registro ricorsi 1995. Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana; udito nell'udienza pubblica del 17 ottobre 1995 il Giudice relatore Luigi Mengoni; udito l'Avvocato dello Stato Giuseppe Orazio Russo per il ricorrente, e l'avv. Vito Vacchi per la Regione.

Ritenuto in fatto

1. Con ricorso notificato il 20 marzo 1995 il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana riapprovata, senza modifiche, dal Consiglio regionale il 28 febbraio 1995, recante: "Disciplina degli agri marmiferi di proprietà dei Comuni di Massa e Carrara", per violazione dell'art. 117 Cost. in quanto non conforme ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi statali in materia di cave, nella quale la competenza legislativa delle regioni è di tipo concorrente. Il ricorso riproduce il telex in data 2 novembre 1994 col quale il Governo aveva rinviato a nuovo esame del Consiglio regionale la prima delibera legislativa in argomento perchè: 1) dettando principi cui dovranno attenersi i Comuni di Massa e Carrara nell'emanazione dei regolamenti di propria competenza ai sensi dell'art. 64 del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443 (legge mineraria), essa altera il procedimento espressamente previsto per le concessioni marmifere site in tali Comuni dal citato art. 64, secondo cui per i detti regolamenti comunali è richiesta unicamente una approvazione successiva, senza alcuna previsione di criteri preventivi; 2) disciplinando genericamente la concessione per coltivazione degli agri marmiferi di proprietà dei Comuni di Massa e Carrara, e in particolare prevedendo la temporaneità e l'onerosità delle concessioni, che in base alla legislazione vigente sono perpetue, incide su diritti reali immobiliari preesistenti, disciplinati con normativa speciale risalente alla legislazione preunitaria (Editto di Maria Teresa del 1° febbraio 1751 e Decreto di Francesco V del 19 novembre 1846).

2.1. Si è costituita in giudizio la Regione Toscana concludendo per una dichiarazione di infondatezza della questione. La difesa della Regione espone anzitutto le linee fondamentali della legislazione statale e regionale in materia di miniere, cave e torbiere, nell'ambito della quale è riservata alle cave di marmo di proprietà dei Comuni di Massa e Carrara una posizione speciale, essendo prevista dall'art. 64 della legge mineraria del 1927 l'emanazione di regolamenti comunali (soggetti all'approvazione della Regione) per la disciplina della concessione dei rispettivi agri marmiferi, e dovendosi ritenere che fino all'emanazione di tali regolamenti, finora mancata, rimanga in vigore la precedente disciplina delle leggi estensi improntata a principi e istituti di diritto privato. Tuttavia il rapporto di concessione presenta anche rilevanti aspetti pubblicistici, collegati all'appartenenza degli agri marmiferi al patrimonio indisponibile dei detti Comuni e alle finalità di interesse pubblico che qualificano i beni di tale natura. La giurisprudenza della Corte di cassazione ha sempre affermato la necessità di coordinamento delle leggi estensi con i principi della legge mineraria, riconducendo le concessioni allo schema pubblicistico della concessione-contratto. La giurisprudenza amministrativa ha inoltre riconosciuto la legittimità dell'esercizio da parte del Comune di poteri pubblicistici di autotutela, incluso in certi casi il potere di caducazione delle concessioni. Con la legge impugnata, resa tanto più necessaria dall'allarmante fenomeno (ignoto al legislatore estense) delle subconcessioni di fatto delle attività di cava del marmo, la Regione Toscana, in considerazione dell'enorme importanza economica dello sfruttamento degli agri marmiferi nelle Alpi apuane e della loro rilevanza anche dal punto di vista paesaggistico ed ambientale, ha dettato i criteri alla cui osservanza è subordinata l'approvazione regionale dei regolamenti comunali previsti dall'art. 64 della legge del 1927. La legge si limita a recepire i principi già elaborati dalla giurisprudenza, in particolare riportando il regime degli agri marmiferi a quello delle cave pubbliche, soggette alle regole proprie delle concessioni di beni patrimoniali indisponibili. Essa esplicita poi il vincolo degli emanandi regolamenti comunali al rispetto della normativa urbanistica, ambientale, paesaggistica, idrogeologica vigente, in guisa da assicurare un equo contemperamento dei diversi interessi in gioco.

2.2. Quanto al merito delle censure governative, alla prima con cui si eccepisce un preteso contrasto con l'art. 64 della legge mineraria che prevede unicamente un'"approvazione" successiva da parte della Regione quest'ultima replica che tale approvazione non integra la fattispecie formativa del regolamento comunale, ma è un atto autonomo di controllo, onde la Regione ben può, senza alterare il procedimento previsto dalla legge statale, stabilire preventivamente i criteri ai quali si atterrà nell'esercizio di tale funzione, devolutale dall'art. 62 del d.P.R. n. 616 del 1977, in armonia con i principi dettati in materia di rapporti regione-enti locali dalla recente legge di riforma delle autonomie locali 8 giugno 1990, n. 142. La seconda censura imputa alla legge regionale di incidere su diritti reali immobiliari preesistenti, acquistati in base alla legislazione estense. Essa implica osserva la Regione la pretesa di immodificabilità della legislazione estense in aperto contrasto con l'interpretazione dell'art. 64, ultimo comma, della legge mineraria accolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza, secondo cui i regolamenti comunali ivi previsti hanno la funzione di adeguare la vecchia normativa al sistema del diritto pubblico attuale. La regola dell'onerosità delle concessioni è prevista e sanzionata anche dalla legislazione estense, ma con un criterio di commisurazione al reddito agrario del terreno che abbassa l'entità del canone a cifre irrisorie. Siffatto criterio non è certo un principio fondamentale e inderogabile dell'ordinamento statale. Sul punto, peraltro, la legge regionale non dispone alcunchè, rimettendo all'autonomia comunale la scelta del criterio di determinazione dei canoni, tenuto conto che l'onerosità è un principio fondamentale di tutte le concessioni di beni patrimoniali indisponibili. La commisurazione dei canoni a criteri di economicità è espressamente prevista dall'art. 32, comma 8, della legge finanziaria 23 dicembre 1994, n. 724. Anche la temporaneità delle concessioni, conforme ai principi generali del nostro ordinamento attuale e in particolare all'art. 21 della legge mineraria, si fonda sulla necessità di razionalizzare una situazione che è sfuggita ad ogni controllo pubblico con il rischio concreto di speculazioni e subconcessioni di fatto. Naturalmente tale esigenza va contemperata con i legittimi interessi degli imprenditori che investono nell'attività, il che potrà essere assicurato dai Comuni prevedendo una congrua durata delle concessioni e diritti di prelazione per il relativo rinnovo. Ciò che non si può ammettere, osserva conclusivamente la Regione, è la concessione in perpetuo e a titolo gratuito di un bene appartenente al patrimonio indisponibile di un ente pubblico: essa attribuirebbe in sostanza al privato concessionario una "quasi proprietà" in contraddizione col regime dei beni pubblici.

Considerato in diritto

1. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Toscana riapprovata senza modifiche il 28 febbraio 1995, per contrarietà all'art. 117 Cost. sotto due profili: a) perchè stabilisce in via preventiva alcuni principi, ai quali dovranno uniformarsi i regolamenti che saranno emanati dai Comuni di Massa e Carrara, ai sensi dell'art. 64, ultimo comma, del r.d. 29 luglio 1927, n. 1443 (legge mineraria), per disciplinare le concessioni degli agri marmiferi rispettivamente appartenenti ai patrimoni indisponibili dei detti Comuni, laddove la norma statale, modificata dall'art. 62, secondo comma, lett. c) del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, conferisce alla Regione soltanto un potere di approvazione (successiva); b) perchè, disciplinando genericamente le concessioni, e in particolare prescrivendone la temporaneità e l'onerosità, non rispetta i diritti (reali) di concessione perpetua (recte: a durata indeterminata e non revocabile se non per cause di decadenza tassativamente previste) spettanti agli attuali concessionari in base a una disciplina speciale risalente alla legislazione estense (Editto di Maria Teresa Cybo Malaspina del 1° febbraio 1751 e Notificazioni governatoriali del 14 luglio e del 3 dicembre 1846).

2. Le questioni non sono fondate. La censura sub a), che imputa alla Regione di esorbitare dalle sue funzioni di controllo entrando nel campo dell'amministrazione attiva, trascura la precisazione contenuta nelle premesse della deliberazione n. 115, portante la medesima data del 28 febbraio 1995, con cui il Consiglio regionale ha approvato il regolamento n. 88 adottato dal Comune di Carrara il 29 dicembre 1994. La legge regionale impugnata si è proposta di "fissare apposite regole per l'approvazione dei regolamenti degli agri marmiferi dei Comuni di Massa e Carrara": destinatario diretto delle sue prescrizioni non è il Comune, ma lo stesso Consiglio regionale in quanto organo competente per l'approvazione dei regolamenti comunali (art. 2, primo comma, n. 3, lett. a della legge reg. 22 luglio 1978, n. 46). Niente vieta e anzi risponde a criteri di certezza del diritto e di economia dell'attività giuridica che l'autorità investita della funzione di approvazione di determinati atti prestabilisca (con un provvedimento che nella specie rimane esterno al procedimento previsto dall'art. 64, e quindi non lo altera) alcuni criteri di valutazione ai quali si atterrà nell'esercizio della funzione. Certo, dalla legge in esame deriva indirettamente un onere ai Comuni di Massa e Carrara, nel senso che, per ottenere l'approvazione regionale, dovranno uniformare i regolamenti ai criteri indicati. Ma questo rilievo dimostra soltanto che la vera questione è quella formulata sub b): importa, cioè, accertare, in primo luogo, se i criteri di cui si controverte siano rispettosi dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato, in secondo luogo, ove comportino limiti all'autonomia dei due Comuni, se tali limiti siano giustificati da interessi comunali, in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del territorio, che la legge regionale, competente in materia di cave, ha il compito di identificare ai sensi dell'art. 3, comma 2, della legge 8 giugno 1990, n. 142.

3. La censura sub b) è fondata su un'interpretazione, solo apparentemente conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui l'art. 64, ultimo comma, del regio decreto n. 1443 del 1927, in deroga al primo comma, avrebbe conservato definitivamente in vigore la legislazione speciale estense con il limite del coordinamento affidato al potere regolamentare dei Comuni interessati col sistema della legge mineraria. Questa interpretazione è insostenibile. Una parte della legislazione estense è incompatibile con i principi fissati dalla legge dello Stato, e perciò non coordinabile con quest'ultima. Per esempio, alla regola della perpetuità della concessione, confermata dall'art. 2, n. 13, lett. d) della Notificazione governatoriale del 14 luglio 1846, si oppone il principio della temporaneità stabilito dall'art. 21 della legge mineraria, applicabile anche alle cave in regime di concessione ai sensi dell'art. 45, secondo comma; il divieto di alienazione della concessione o di cessione del suo esercizio senza l'autorizzazione dell'amministrazione concedente è sanzionato nella legge estense soltanto col potere del Comune di risolvere il contratto col concessionario per inadempimento, mentre nella legge mineraria (art. 27) è sanzionato anzitutto con la nullità dell'atto di alienazione o di cessione, e l'esperienza ha dimostrato la scarsa efficacia della norma estense contro il fenomeno, largamente diffuso, delle subconcessioni abusive, che hanno trasformato gli originari concessionari in meri percettori di lucrose rendite di posizione. In generale i due sistemi si differenziano profondamente in ordine al perseguimento delle finalità di interesse pubblico. La legislazione estense è improntata a schemi privatistici, che assimilano il diritto del concessionario all'enfiteusi, con la differenza però della mancanza dell'obbligazione di migliorare il fondo (e del diritto di affrancazione): le modalità tecniche e la misura dello sfruttamento della cava sono rimesse in definitiva all'arbitrio del concessionario, al di fuori di ogni controllo del Comune sulla sua attività. L'interesse generale della collettività fruisce di una tutela solo indiretta e mediata, ma come nota la relazione presentata il 16 agosto 1955 dalla commissione di esperti nominata dal Comune di Carrara (pag. 21) attraverso norme (quale la sanzione facoltativa di caducità della concessione nei casi di alienazione o cessione di esercizio non autorizzata o di inoperosità della cava per un biennio) "inadeguate a soddisfare le esigenze del pubblico interesse connesse con la coltivazione delle cave, perchè non ne assicurano la continua attività e lo sviluppo, nè garantiscono il diritto del Comune alla integrità del suo patrimonio ed alla inalienabilità delle cave, contro le usurpazioni e i trasferimenti illegittimi delle concessioni e gli altri abusi da parte dei privati". Al contrario, la disciplina delle cave nella legge mineraria del 1927, al pari di quella delle miniere, ha un'impronta schiettamente pubblicistica, direttamente ordinata a fini di utilità generale e comportante l'assoggettamento della coltivazione della cava alla vigilanza della pubblica amministrazione tendente a controllare che essa si svolga con modalità tecniche e con mezzi economici adeguati (cfr. sentenze nn. 20 del 1967 e 7 del 1982), con obbligo dell'imprenditore sia lo stesso proprietario del suolo o il terzo concessionario nel caso previsto dall'art. 45, secondo comma di mettere a disposizione dei funzionari delegati tutti i mezzi necessari per ispezionare i lavori (art. 29, richiamato per le cave dall'art. 45, ultimo comma). La valutazione espressa dalle sentenze ci tate con riguardo al diritto del proprietario del fondo, che abbia conservato la disponibilità della cava, è riferibile anche al caso di coltivazione della cava ad opera di un terzo in regime di con cessione (analogo al regime minerario): sebbene nella concessione amministrativa si innesti un contratto, il diritto reale di godimento che ne deriva è "attribuito con i limiti impressi dalla rilevanza pubblica del bene", i quali "si inseriscono nella struttura del diritto ... vincolandolo indissolubilmente a un esercizio che svolga quella funzione d'interesse generale cui la cava è, di per sè, destinata". Si aggiunga che nel nuovo ordinamento costituzionale è emerso, con rilevanza crescente, un altro interesse generale, col quale la prosecuzione delle attività estrattive deve armonizzarsi, cioè l'interesse alla salvaguardia del territorio e dell'ambiente. Per la tutela di questo interesse la legge 29 novembre 1971, n. 1097, con una norma avente valore di principio, ha riconosciuto e fatta "salva, per tutta la materia afferente le cave, la competenza della Regione ad emanare apposite norme legislative" (art. 3, terzo comma), ammettendo così "interventi regionali legislativi (e perciò amministrativi) regolanti l'attività estrattiva e tra scendenti il quadro della legislazione nazionale fino allora vigente" (sentenza n. 7 del 1982, cit.). Nell'ambito di questa competenza si legittimano l'art. 2, comma 4, della legge regionale in esame, nonchè l'art. 3, il quale tiene ferma in via transitoria, fino all'approvazione del regolamento comunale di cui all'art. 1, la soggezione della coltivazione degli agri marmiferi di Massa e Carrara all'autorizzazione del Comune prescritta dall'art. 11 della legge reg. 30 aprile 1980, n. 36 (cfr., con riferimento all'analoga disposizione della legge della Regione Piemonte, 22 novembre 1978, n. 69, sentenza n. 499 del 1988). La diversa impostazione dei due sistemi e la reciproca inadattabilità di nuclei fondamentali delle rispettive discipline escludono che l'art. 64, terzo comma, del r.d. n. 1443 del 1927 possa essere interpretato come norma recettizia dell'ordinamento delle leggi estensi, nel quale i futuri regolamenti comunali dovrebbero inserirsi rispettandone le linee essenziali (cfr. relazione cit., pagg. 6, 47). L'art. 64 ha mantenuto in vigore la legislazione preunitaria solo in via transitoria, fino al giorno dell'entrata in vigore dei detti regolamenti: ai Comuni di Massa e Carrara è attribuito un potere regolamentare autonomo, con efficacia analoga a quella della legge e quindi abilitato anche a incidere sui rapporti privati in funzione di un rinnovamento della disciplinadella coltivazione delle cave in conformità della legge mineraria e nei limiti della legislazione regionale protettiva del territorio e dell'ambiente.

4.1. Venendo ora all'analisi del secondo motivo di impugnativa, esso formula una censura di genericità delle disposizioni denunciate, riferita ai requisiti di onerosità e di temporaneità delle concessioni (art. 2, comma 1), la quale si tradurrebbe in una violazione dei princìpi di diritto in tertemporale che garantiscono il rispetto dei diritti quesiti o secondo la teoria più moderna dei fatti compiuti la conservazione della disciplina precedente per i rapporti in corso radicati nel passato. In relazione al primo requisito la censura non è chiara, atteso che l'onerosità è una regola comune alla legge estense e alla legge mineraria del 1927. Forse il ricorrente si duole per la mancata specificazione del criterio di calcolo del canone, che per entrambe le leggi è la proporzione alla rendita del soprassuolo (cioè alla rendita agraria, pressochè nulla, del terreno che delimita la cava), in guisa da precludere ai Comuni proprietari delle cave l'adozione del criterio della proporzione alla rendita del sottosuolo, cioè al valore venale dei marmi escavati. Ma allora va obiettato: che il criterio di calcolo di cui all'art. 25 della legge mineraria non è coessenziale al principio dell'onerosità, e perciò non può ritenersi un principio fondamentale della legge dello Stato nel senso dell'art. 117 Cost.; che tale criterio, previsto dalla legge in vigore al tempo della concessione come norma integrativa del regolamento contrattuale, può essere modificato da una legge successiva, con effetto ex nunc e salvo il diritto di disdetta da parte del concessionario; che, infine, l'art. 32, comma 8, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ha disposto che, "a decorrere dal 1° gennaio 1995, i canoni annui per i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei comuni sono, in deroga alle disposizioni di legge in vigore, determinati dai comuni in rapporto alle caratteristiche dei beni, ad un valore comunque non inferiore a quello di mercato, fatti salvi gli scopi sociali". A questa regola i Comuni di Massa e Carrara devono fin d'ora uniformarsi, indipendentemente dall'entrata in vi gore dei regolamenti più volte ricordati.

4.2. Quanto al requisito della temporaneità, occorre precisare preliminarmente che la disciplina delle cave in concessione non è soggetta alla norma di diritto intertemporale di cui all'art. 53 della legge mineraria, secondo cui "le concessioni e le investiture di miniere date senza limite di tempo, in base alle leggi fino ad ora vigenti, sono mantenute come concessioni perpetue, quando per esse non siasi incorso in motivi di decadenza". L'art. 45, secondo comma, richiama soltanto le norme contenute nel titolo II del decreto, mentre l'art. 53 è collocato nel titolo VI. Inoltre l'origine storica e la ratio della norma, introdotta per le concessioni perpetue di miniere nelle regioni in cui vigevano la legge sarda del 1859 e la legge lucchese del 1847, ne escludono l'applicabilità anche per analogia. Ciò non significa che la regola della temporaneità delle concessioni, che i regolamenti dei Comuni di Massa e Carrara introdurranno in ossequio al principio dell'art. 21 della legge mineraria, avrà incondizionatamente efficacia immediata anche sui rapporti di concessione in corso, costituiti come perpetui sotto l'impero della legislazione estense. Sebbene l'efficacia immediata della nuova legge non sia una forma di retroattività, nel campo dei rapporti contrattuali (nella specie si tratta di concessioni-contratto) essa non opera in linea di principio, ma soltanto se così dispone la legge sopravvenuta (altrimenti sopravvive la disciplina precedente, la nuova dovendosi allora intendere riferita ai soli contratti futuri), nell'esercizio di un potere discrezionale limitato dal criterio della ragionevolezza (cfr. sentenze nn. 306 del 1993, 822 del 1988). L'attribuzione di efficacia immediata alla nuova legge sui rapporti pendenti, in relazione a modalità qualificanti del loro contenuto come la clausola di durata perpetua, deve essere giustificata da esigenze di pubblico interesse o di ordine pubblico, emergenti nel caso in discussione dalla denunciata degenerazione della perpetuità originariamente apprezzata dal legislatore estense come incentivo dell'iniziativa privata ai fini dello sfruttamento razionale dei giacimenti marmiferi in una causa di inoperosità dei concessionari e di correlativo incremento delle subconcessioni abusive; tenuto conto anche del fatto che in molti casi di subconcessione non autorizzata l'azione del Comune per far pronunciare la decadenza del concessionario è ormai prescritta, essendo in sostanza un'azione di impugnativa negoziale. Non viene, invece, in considerazione il limite dell'obbligo di indennizzo, posto che l'assoggettamento alla regola della temporaneità anche dei rapporti pendenti non comporta revoca, ma rinnovo della concessione in favore del medesimo concessionario, secondo la disciplina stabilita dal regolamento. La genericità della legge regionale, a torto censurata dal Governo, ha il pregio di lasciare impregiudicate le condizioni che dovranno concretamente essere valutate dai Comuni nell'esercizio della potestà regolamentare di cui sono investiti alle quali il principio della temporaneità della concessione avrà efficacia immediata anche sulla disciplina delle concessioni in corso alla data di entrata in vigore dei regolamenti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana riapprovata il 28 febbraio 1995 (Disciplina degli agri marmiferi di proprietà dei Comuni di Massa e Carrara), sollevata, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri col ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/11/95.

Mauro FERRI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 20/11/95.