Sentenza n. 463 del 1995

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SENTENZA N. 463

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12 del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 154 (Norme in materia tributaria nonchè per la semplificazione delle procedure di accatastamento degli immobili urbani), promosso con ordinanza emessa il 9 novembre 1993 dalla Commissione tributaria di primo grado di Trieste, sui ricorsi riuniti proposti da MOCHER Laura ed altra contro l'Ufficio del Registro di Trieste, iscritta al n. 50 del registro ordinanze del 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

1. A seguito di una compravendita immobiliare era stata richiesta, nella domanda di voltura, l'attribuzione della rendita catastale, ex art. 12 della legge 13 maggio 1988, n. 154 (Norme in materia tributaria nonchè per la semplificazione delle procedure di accatastamento degli immobili urbani). Poichè dal certificato trasmesso dall'Ufficio tecnico erariale al competente Ufficio del registro era risultato un valore superiore al corrispettivo dichiarato nell'atto, erano stati notificati alla parte venditrice due avvisi di liquidazione dell'imposta (relativi all'INVIM ed all'imposta di registro), conseguenti alla rettifica del valore finale dell'immobile. Nel corso del giudizio introdotto dal contribuente per l'annullamento di detti avvisi, la Commissione tributaria di primo grado di Trieste, con ordinanza emessa il 9 novembre 1993 (pervenuta alla Corte il 20 gennaio 1995), ha sollevato, in relazione all'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del citato art. 12 del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 154, nella parte in cui non prevede che il certificato catastale, attestante l'avvenuta iscrizione con attribuzione di rendita, trasmesso dall'Ufficio tecnico erariale all'Ufficio del registro, non venga comunicato o notificato anche al contribuente. Il giudice a quo, premessa la rilevanza della questione per essere decisiva, ai fini dell'accoglimento o del rigetto del ricorso, la legittimità dell'omessa notifica del certificato, richiama anzitutto la generale disciplina (ex art. 51, primo comma, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) che consente all'Ufficio del registro l'eventuale rettifica del valore dichiarato sulla base di molteplici parametri, quali i trasferimenti dell'ultimo triennio, la potenzialità di produzione di reddito, le indicazioni fornite dai comuni. Dal quadro normativo emergerebbero come princìpi generali sia il vincolo dell'amministrazione ad attenersi ai parametri legali di cui sopra sia il correlativo diritto del contribuente di conoscere questi ultimi attraverso la notifica dell'avviso di accertamento. Ciò sarebbe funzionale da un lato alla delimitazione delle ragioni adducibili dall'Ufficio nella successiva fase contenziosa e dall'altro lato all'esercizio del diritto di difesa del contribuente di fronte alla maggiore pretesa fiscale attraverso l'eventuale prova che essa non è conforme ai parametri legali. Inoltre la stessa predeterminazione dei citati parametri dimostrerebbe che il legislatore ha inteso ancorare il valore imponibile alle condizioni del mercato. Il criterio della determinazione automatica sarebbe stato introdotto soltanto per stabilire il livello al di sotto del quale l'Ufficio può procedere alla rettifica del valore. Perfino in caso di omessa dichiarazione del corrispettivo sarebbe prevista, ex art. 53 del citato T.U., la determinazione del valore previa notifica dell'avviso di accertamento. Pertanto la mancata notifica del certificato di attribuzione della rendita, richiesta dal contribuente, nell'àmbito della procedura di cui all'impugnato art. 12, porrebbe questi in una condizione deteriore rispetto a chi non abbia neppure indicato il corrispettivo. Inoltre, poichè l'Ufficio procede in modo automatico, calcolando il valore attraverso la rendita fissata dall'Ufficio tecnico erariale, l'interessato resterebbe privato della possibilità di far valere in giudizio le proprie ragioni, avendo preso conoscenza del valore de quo soltanto a seguito dell'avviso di liquidazione dell'imposta. In ciò risiederebbe la lesione del diritto di difesa.

2. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità, ovvero per l'infondatezza della questione. L'Autorità intervenuta rileva che la trasmissione del certificato catastale altro non è che una modalità del procedimento amministrativo, sì che la mancata previsione di una comunicazione al contribuente non può comportare alcuna attenuazione della tutela giurisdizionale. Pertanto la norma impugnata non sarebbe correttamente individuata, nè sarebbe esattamente evocato l'art. 24 della Costituzione, che non attiene ai procedimenti amministrativi. Nell'imminenza della camera di consiglio l'Avvocatura ha depositato una memoria ulteriore, rappresentando la circostanza dell'intervenuta acquiescenza della parte acquirente alla determinazione delle imposte risultante dalla valutazione automatica.

Considerato in diritto

1. È denunciato l'art. 12 del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 154, il quale prevede che in caso di trasferimenti di fabbricati non ancora iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il contribuente possa chiedere, contestualmente alla domanda di voltura, l'attribuzione della rendita stessa e la determinazione dell'imposta dovuta secondo il meccanismo della c.d. "valutazione automatica" ex art. 52 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (reddito catastale moltiplicato per 100). La norma è sospettata di violazione dell'art. 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il certificato contenente l'attribuzione della rendita da parte dell'Ufficio tecnico erariale, trasmesso all'Ufficio del registro, sia anche comunicato e notificato al contribuente. Secondo la Commissione remittente, quest'ultimo viene infatti "privato dell'effettiva possibilità di far valere in giudizio le proprie ragioni, in contraddittorio con la parte avversa, e cioè della possibilità di prospettare al giudice tributario ogni domanda ed ogni ragione che non fossero legittimamente precluse".

2. La questione non è fondata.

2.1. Come questa Corte ha già avuto occasione di sottolineare, la valutazione forfettaria, ovvero automatica, del valore dei beni, prevista dal citato art. 52 del d.P.R. n. 131 del 1986, si risolve in una mera semplificazione del sistema di determinazione dei valori, riconducibile al genera le criterio di utilizzazione delle presunzioni. Essa non introduce un nuovo sistema di determinazione dei valori imponibili, ma semplicemente limita il potere di rettifica che gli uffici finanziari hanno nel caso in cui non ritengano congruo il valore dei beni dichiarati, impedendo loro di procedere ad una maggiore valutazione allorchè il valore dei beni stessi sia stato dichiarato in misura non inferiore all'ammontare determinato in modo automatico (reddito catastale aggiornato moltiplicato per il coefficiente 100 per i fabbricati: cfr. ordinanze n. 78 del 1991 e n. 586 del 1987). Subito dopo l'entrata in vigore della legge, era stata avvertita in dottrina la difformità di trattamento conseguente all'impossibilità di utilizzare la descritta opportunità nei casi in cui all'immobile oggetto del trasferimento non risultasse ancora attribuita la rendita. Ed appunto attraverso il procedimento descritto nella norma impugnata, il legislatore ha reso possibile l'auspicata espansione, prevedendo l'applicabilità dell'art. 52 allorchè l'interessato dichiari, nell'atto pubblico, di volersene avvalere e faccia specifica istanza, nella domanda di voltura, per la determinazione della rendita. In tal caso l'Ufficio tecnico erariale trasmette al competente Ufficio del registro un certificato catastale attestante l'avvenuta iscrizione con attribuzione della rendita, la quale consente di ottenere il risultato di cui sopra; e l'effetto preclusivo della rettifica si estende anche all'INVIM, come conseguenza dell'operatività della valutazione automatica. Il meccanismo tipico di tale valutazione impedisce dunque all'ufficio finanziario di sottoporre a rettifica il valore dichiarato: se questo risulta superiore a quello tabellare, frutto della semplice operazione aritmetica di moltiplicazione per il coefficiente, l'ufficio stesso si limita a recuperare la differenza d'imposta.

2.2. Emerge allora chiaramente come la trasmissione del certificato in parola rimanga tutta interna al procedimento impositivo, costituendo semplice atto prodromico della determinazione del valore imponibile. L'attribuzione della rendita acquista rilevanza per il contribuente, solo in quanto produttiva della determinazione forfettaria che egli aveva richiesto (come limite al potere di accertamento dell'ufficio). Ma, prodottasi questa, nel giudizio dinanzi alla Commissione tributaria adita per impugnare l'avviso di riliquidazione dell'imposta di registro (come pure dell'INVIM), l'interessato ha accesso all'impugnativa dell'atto di classamento e dunque la possibilità di offrire anche elementi atti a dimostrare una valutazione dell'immobile erronea e non conforme ai parametri legali: esattamente come se, venuto a conoscenza attraverso l'avviso di liquidazione della rendita, egli autonomamente impugnasse l'atto di attribuzione, ai sensi degli artt. 1 e 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (secondo l'accezione estensiva che la giurisprudenza ormai consolidata conferisce a quest'ultima norma), nonchè a norma dell'ancor più esplicito dettato degli artt. 2 e 19, lettera f), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. Pertanto, non è dato scorgere nella denunciata norma alcun vulnus del diritto di agire in giudizio, il quale rimane comunque garantito, venendo "in discussione non già l'an, ma solo il quomodo dell'accesso alla tutela giurisdizionale avanti le Commissioni tributarie" (sentenza n. 9 del 1993).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70 (Norme in materia tributaria nonchè per la semplificazione delle procedure di accatastamento degli immobili urbani), convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 154, sollevata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Trieste con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/10/95.

Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 26/10/95.