Sentenza n. 446 del 1995

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SENTENZA N. 446

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. art. 23, comma 4, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale), convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144 promosso con ordinanza emessa il 12 ottobre 1994 dal Tribunale di Vibo Valentia nel procedimento civile vertente tra "Costruzioni Edili e Stradali" s.a.s. e Amministrazione provinciale di Catanzaro iscritta al n. 265 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1995 il Giudice relatore Renato Granata;

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza del 16 dicembre 1994 il Tribunale di Vibo Valentia, nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dall'Amministrazione provinciale di Catanzaro nei confronti della società Costruzioni Edili e Stradali s.a.s., ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. - questione di legittimità costituzionale in via incidentale dell'art. 23, comma 4, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale), convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144.

1.1. - Premette il Tribunale che l'Amministrazione provinciale di Catanzaro, con la procedura di "somma urgenza" (espressamente disciplinata dall'articolo 70 r.d. 25 maggio 1895, n. 350) aveva affidato alla società suddetta l'esecuzione della risistemazione di una strada provinciale. Richiesto ed emesso decreto ingiuntivo per il pagamento dei lavori eseguiti, l'Amministrazione provinciale proponeva opposizione, eccependo (tra l'altro) nel merito il proprio difetto di legittimazione passiva. In particolare sosteneva che all'autorizzazione del suo ingegnere-capo, che aveva disposto l'esecuzione dei lavori a norma dell'art. 70 cit., non aveva fatto seguito l'approvazione da parte dei propri organi competenti, con la conseguenza (ex art. 23 l. 24 aprile 1989, n. 144) che - pur essendovi stata "acquisizione dei servizi" resi dalla società - l'obbligo di far fronte alla spesa corrispondente incombeva personalmente ope legis al funzionario che aveva consentito l'espletamento di tali servizi.

La società opposta, nel domandare la conferma del decreto ingiuntivo, esperiva altresi', in via gradata, azione di arricchimento senza causa nei confronti dell'Amministrazione provinciale opponente, deducendo che le spettava quanto meno la somma ragguagliata ai costi delle opere eseguite, che erano state acquisite ed utilizzate in quanto oc correnti al ripristino della transitabilità delle strade provinciali interessate dai lavori.

1.2. - Osserva in diritto il Tribunale rimettente che l'art. 70 cit. prevede che, in presenza di "circostanze di somma urgenza, nelle quali qualunque indugio diventi pericoloso e sia quindi richiesta l'immediata esecuzione dei lavori" l'ingegnere capo dell'ente è tenuto ad autorizzarne la effettuazione, cui deve, in ogni caso, seguire l'approvazione, da parte dei competenti organi dell'ente stesso, sia del "processo verbale d'urgenza" che della "perizia giustificativa". Prescrive poi il successivo art. 72 che qualora un'opera intrapresa d'urgenza non abbia riportato la superiore approvazione, si liquidano "le spese incontrate per la parte eseguita". Su tale disciplina però ha inciso la disposizione censurata, atteso che l'art. 23 cit. prevede (al comma 3), quanto ai "lavori di somma urgenza", che "l'ordinazione fatta a terzi dev'essere regolarizzata improrogabilmente entro trenta giorni e comunque entro la fine dell'esercizio, a pena di decadenza"; il comma 4, poi, stabilisce che, "nel caso i cui vi è stata l'acquisizione di beni o servizi in violazione dell'obbligo indicato nel comma 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il privato fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura". Per effetto di tale disposizione - implicitamente abrogativa dell'art. 72 cit. - si determina una sorta di novazione soggettiva ope legis del rapporto inizialmente sorto tra ente pubblico e fornitore, qualificato dalla immedesimazione organica tra p.a. e funzionario che ha autorizzato legittimamente (ed anzi doverosamente) i lavori, sostituendolo, per effetto della mancata approvazione non imputabile al funzionario, con un rapporto munito di efficacia ex nunc tra funzionario e fornitore.

1.3. - Ciò premesso, il tribunale rimettente ritiene violati gli artt. 3 e 24 Cost., rilevando che da una parte la disposizione censurata appare irragionevole perchè a fronte di un arricchimento della p.a. a danno del privato fornitore esclude che questi possa agire nei confronti del soggetto che si è giovato dell'arricchimento, non solo per ottenere il prezzo delle opere o dei servizi eseguiti, ma altresi' per rivalersi della patita correlativa diminuzione patrimoniale. Ed infatti, sussistendo la personale responsabilità contrattuale del funzionario e/o dell'amministratore, la p.a. committente non potrebbe essere convenuta in giudizio dal privato fornitore ex art. 2041 cod. civ. difettando il requisito della sussidiarietà, che - secondo il giudice a quo - postula che nessun altra azione sia prevista, neppure nei confronti di soggetti diversi da quello beneficiario dell'arricchimento. Nella prospettazione del giudice rimettente l'art. 3 Cost. risulta poi violato, oltre che sotto il profilo dell'irragionevolezza, anche per disparità di trattamento rispetto ai casi in cui la p.a. in termini piu' generali, giovandosi comunque e riconoscendo implicitamente una utilitas connessa ad una prestazione effettuata in suo favore da un terzo, è obbligata a mantenere direttamente indenne questi dalle spese sostenute. Infine il giudice rimettente ritiene che sussista anche la violazione dell'art. 24 Cost. perchè la tutela giurisdizionale dell'appaltatore risulta vanificata nel momento in cui all'Amministrazione pubblica debitrice viene sostituito ope legis altro soggetto munito di un indice di solvibilità quanto meno di grado inferiore, quando non nullo, con conseguente riduzione o elisione delle garanzie patrimoniali dell'iniziale obbligazione come sorta tra l'ente pubblico e il privato fornitore.

2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

Premette l'Avvocatura che è improprio il richiamo all'art. 24 Cost. perchè nella specie è in discussione il diritto soggettivo sostanziale (nella specie, il vantato credito nei confronti della Provincia) e non già la sua tutela giurisdizionale nel processo. Quanto alla pretesa violazione dell'art. 3 Cost., rileva l'Avvocatura che la previsione di una azione nei confronti del funzionario di per sè esclude la possibilità di una azione ex art. 2041 cod. civ. nei confronti dell'ente. In ogni caso la normativa censurata ha una sua razionalità perchè il legislatore ha inteso proprio coinvolgere i beneficiari nei rischi della illegalità rappresentati dalla mancata regolarizzazione della spesa stessa. Tale ritenuta razionalità ha poi ribadito in memoria depositata in prossimità della camera di consiglio sottolineando che la finalità della disposizione censurata è quella di assicurare la regolarità contabile dei contratti degli enti locali a garanzia dell'effettiva copertura della spesa assunta. È quindi coerente che, in caso di violazione di tale disposizione, i contratti e gli atti posti in essere non siano riferibili all'Amministrazione, ma esclusivamente all'amministratore o al funzionario che abbia consentito la fornitura. Nè è violato il principio generale dell'indebito arricchimento perchè l'azione ex art. 2041 cod. civ. (ancorchè non esperibile dal terzo contraente) può comunque essere promossa dal funzionario od amministratore che abbia adito in proprio nei limiti dell'utilitas conseguita dall'Amministrazione che abbia acquisito i beni o i servizi.

Considerato in diritto

1. - È stata sollevata questione di legittimità costituzionale in riferimento all'art. 3 Cost. (sotto il duplice profilo del difetto di ragionevolezza e della disparità di trattamento) e all'art. 24 Cost. (per il sostanziale diniego di tutela giurisdizionale) - dell'art. 23, comma 4, decreto legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale) convertito in l. 24 aprile 1989, n. 144, nella parte in cui, nel caso di acquisizione di beni e servizi per effetto di lavori di (r)somma urgenza> non regolarizzati successivamente nei termini prescritti, esclude in ogni caso, ed anche in relazione all'arricchimento senza causa di cui all'art. 2041 cod. civ., la responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione, prevedendo che il rapporto obbligatorio intercorra soltanto tra il privato fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbia consentito la fornitura, con la conseguenza che il fornitore - vedendosi sostituita alla responsabilità patrimoniale dell'ente quella (spesso in realtà inesistente o comunque inadeguata) del suo dipendente risulta di fatto privato della tutela giurisdizionale.

2. - Preliminarmente va affermata la persistente rilevanza della questione. Ancorchè la disposizione censurata sia stata abrogata dall'art. 123, lettera n), d.lgs. 23 febbraio 1995, n. 77 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali), si ha però che a quest'ultima norma non risulta attribuita efficacia retroattiva donde la sua inapplicabilità nel giudizio a quo; d'altra parte la disposizione censurata è in realtà sostituita - per l'epoca successiva all'entrata in vigore del d. lgs. n. 77 del 1995 citato - dall'art. 35 del medesimo d. lgs., nel quale è riprodotta una normativa del tutto analoga a quella dell'art. 23, comma 4, cit. sicchè non sussiste soluzione di continuità nella disciplina.

3. - Nel merito la questione non è fondata nei sensi appresso precisati. La censura di irragionevolezza della disposizione - che, nella prospettazione del giudice a quo, opererebbe una sbilanciata valutazione degli interessi in gioco consentendo all'amministrazione locale l'acquisizione dei beni e dei servizi (cosi' come di fatto è avvenuto nella vicenda portata alla cognizione del giudice medesimo) senza assicurare al terzo contraente alcun ristoro o indennizzo in ragione dell'arricchimento dell'ente stesso - muove dalla premessa interpretativa della impossibilità per il contraente stesso di agire in via diretta nei confronti della pubblica amministrazione - anche - ai sensi dell'art. 2041 cod. civ. a titolo di arricchimento senza causa per la ragione che tale azione, per il suo carattere di sussidiarietà, oltre all'arricchimento di un soggetto in danno di un altro presupporrebbe - secondo il giudice a quo - l'insussistenza di qualsiasi tutela di quest'ultimo nei confronti non soltanto del primo, ma anche di ogni altro soggetto. Peraltro, anche alla stregua di tale premessa interpretativa - non implausibilmente ritenuta, con puntuale motivazione, dal giudice rimettente pur nella non univocità di indirizzi giurisprudenziali e dottrinari sul punto - tuttavia non si perviene alla conseguenza dell'affermato disancoramento dell'acquisito vantaggio per l'ente da ogni possibilità che, per un verso, l'ente stesso sia chiamato a corrispondere l'indennizzo di cui all'art. 2041 c.c. e che, per altro verso, il contraente abbia strumenti per recuperare al proprio patrimonio una somma almeno pari a tale indennizzo. Infatti, sussistendo il rapporto contrattuale esclusivamente tra il terzo contraente e il funzionario (o l'amministratore) che ha autorizzato l'effettuazione dei lavori di somma urgenza, se da una parte è vero che il terzo può - iure proprio - esperire l'azione contrattuale soltanto nei confronti del funzionario (o dell'amministratore) per conseguire il corrispettivo dei lavori, è vero anche che quest'ultimo, mentre è esposto a subire nel proprio patrimonio il depauperamento provocato dall'esercizio nei suoi confronti del diritto dell'altro contraente al conseguimento del prezzo, non ha per contro alcuna specifica azione per rivalersi nei confronti dell'ente nel cui patrimonio si è prodotto l'arricchimento. Da un lato, quindi, sussistono in favore del funzionario (o amministratore) le condizioni affinchè egli possa esercitare l'azione ex 2041 cod. civ. verso l'ente nei limiti dell'arricchimento da questo conseguito; dall'altro, e per conseguenza, il contraente privato è legittimato, utendo iuribus del funzionario (o amministratore) suo debitore, ad agire contro la pubblica amministrazione - anche contestualmente alla proposizione della domanda per il pagamento del prezzo nei confronti di costui - in via surrogatoria ex art. 2900 cod. civ. <per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni> quando il patrimonio del funzionario (o amministratore) non offra adeguata garanzia. D'altro canto, neppure va dimenticato che il terzo contraente, nell'accettare di eseguire lavori di (r)somma urgenza>, disposti secondo la procedura di cui all'art. 70 cit., non può ignorare che, ove successivamente non intervenga l'autorizzazione da parte dell'ente, il rapporto contrattuale deve in tendersi intercorso direttamente con il funzionario (o l'amministratore) ed assume quindi volontariamente il rischio conseguente alla definitiva individuazione della parte contraente (e patrimonialmente responsabile). E poichè, in definitiva, l'ente, nei limiti del suo arricchimento, è tenuto all'indennizzo, ed il contraente privato ha titolo per conseguire, entro gli stessi limiti, il ristoro della diminuzione patrimoniale subita, ne segue che si appalesa infondata, nei termini in cui è stata proposta, la censura di irragionevolezza della disposizione denunciata, la quale - nel contesto di una piu' complessa disciplina diretta a risanare le finanze degli enti locali in dissesto - risulta finalizzata ad assicurare una rigorosa applicazione della normativa contabile e quindi un rigido controllo delle spese.

4. - La riconosciuta tutela del terzo contraente, cosi' come sopra articolata, consente anche di escludere - in ragione della diversità delle fattispecie in comparazione - che sussista la disparità di trattamento denunziata rispetto alle ipotesi in cui un soggetto, non avendo alcuna azione specifica nè nei confronti di chi si è arricchito, nè di altri, può esperire in via diretta l'azione generale di arricchimento.

5. - Non sussiste infine la denunciata violazione dell'art. 24 Cost. perchè l'esistenza, o meno, di una pretesa azionabile dal contraente privato nei confronti dell'ente locale attiene all'aspetto sostanziale della disciplina degli interessi coinvolti (già esaminato sotto il profilo della denunciata violazione del principio di ragionevolezza) e non invece a quello processuale della loro tutela giurisdizionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 4, del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale), convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Vibo Valentia con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/10/95.

Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/10/95.