Sentenza n. 432 del 1995

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SENTENZA N. 432

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 ottobre 1993 dal Tribunale di Avezzano nel procedimento penale a carico di Felli Roberto ed altro, iscritta al n. 737 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1. -- Il Tribunale di Avezzano ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a svolgere le funzioni di giudice del dibattimento, del giudice per le indagini preliminari che abbia adottato la misura della custodia cautelare nei confronti dell'imputato successivamente rinviato a giudizio".

2. -- Il remittente, premesso che il presidente del collegio chiamato a pronunciarsi nel giudizio a quo è lo stesso magistrato che in veste di giudice delle indagini preliminari ebbe ad adottare l'ordinanza di custodia cautelare a carico di uno degli imputati, in relazione agli stessi fatti per cui si procede, rileva che la mancata introduzione dell'incompatibilità nel caso in esame è suscettibile di compromettere la genuinità e la correttezza del processo formativo del convincimento del giudice, che si ricollegano alla garanzia costituzionale del giusto processo.

A suo avviso, infatti, posto che l'adozione della misura della custodia cautelare presuppone, in base all'art. 273, comma 1, del codice di procedura penale la verifica della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, e non più dei sufficienti indizi (come sotto la vigenza del codice Rocco) ne deriva che la valutazione effettuata dal giudice per le indagini preliminari in sede di adozione della misura cautelare, non può considerarsi meramente processuale, investendo, sia pure attraverso la verifica degli indizi, il contenuto dell'imputazione, e configurandosi perciò come valutazione di merito; nè si può escludere che gli elementi acquisiti al momento dell'adozione della misura cautelare da parte del giudice per le indagini preliminari siano gli stessi che si rendono disponibili alla chiusura della fase delle indagini preliminari, o addirittura di quella dibattimentale.

Sotto questo profilo sarebbe ravvisabile analogia fra il caso di specie e quelli esaminati da questa Corte con le sentenze nn. 186 e 124 del 1992 e 502 del 1991.

Inoltre, conclude il remittente, l'esame del merito in una fase precedente del procedimento e l'adozione di una misura restrittiva della libertà personale generano dubbi sull'imparzialità e serenità della successiva valutazione in sede dibattimentale, o quanto meno sulla genuinità e correttezza del convincimento del giudice, venuto altresì a conoscenza di elementi che potrebbero non essere utilizzabili ai fini della decisione.

3. -- È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, ritenendo la questione analoga ad altra già decisa nel senso dell'infondatezza da questa Corte (v. sentenza n. 401 del 1991: resa però sul diverso tema dell'incompatibilità a partecipare all'udienza preliminare del giudice per le indagini preliminari che abbia ordinato al pubblico ministero di formulare l'imputazione), ha concluso negli stessi termini.

Considerato in diritto

1. -- Il Tribunale di Avezzano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a svolgere le funzioni di giudice del dibattimento da parte del giudice per le indagini preliminari che abbia adottato la misura della custodia cautelare nei confronti dell'indagato successivamente rinviato a giudizio.

2. -- Il remittente, premesso che il presidente del collegio giudicante è lo stesso magistrato che, in veste di giudice per le indagini preliminari, ebbe a disporre l'ordinanza di custodia cautelare nei confronti dell'imputato, in relazione agli stessi fatti per cui è giudizio, ritiene che la mancata previsione dell'incompatibilità nel caso in esame sia suscettibile di compromettere la genuinità e la correttezza del processo formativo del convincimento del giudice, che si ricollegano alla garanzia costituzionale del giusto processo.

A suo avviso, infatti, posto che l'adozione della misura della custodia cautelare presuppone, ai sensi dell'art.273, comma 1, del codice di procedura penale, la verifica di gravi indizi di colpevolezza, a carico dell'indagato, e non più di "sufficienti" indizi, come disponeva il codice previgente, detta valutazione, investendo, sia pure attraverso l'esame di indizi e non di prove, il contenuto dell'imputazione, non può considerarsi meramente processuale, ma si configura bensì come una valutazione di merito da parte del giudice, venuto altresì a conoscenza di elementi che potrebbero non essere utilizzabili ai fini della decisione; ovvero non può escludersi, aggiunge il remittente, che gli elementi acquisiti al momento dell'adozione della misura cautelare siano gli stessi disponibili alla chiusura delle indagini preliminari o addirittura all'esito del dibattimento.

Sotto questo profilo, quindi, l'analogia fra il caso di specie e le ipotesi di incompatibilità (affermate da questa Corte) del giudice per le indagini preliminari che abbia rigettato la richiesta di pena concordata (sent. n. 186 del 1992), anche per la non ritenuta concedibilità di circostanze attenuanti (sent. n. 124 del 1992), o che abbia ordinato di formulare l'imputazione (sent. n. 502 del 1991), concreterebbe un'ipotesi di illegittima disparità di trattamento in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

3. -- La questione è fondata.

Occorre rilevare che le censure sollevate dal giudice a quo, pur se formalmente riferite alla so la ipotesi dell'incompatibilità del giudice che abbia adottato un provvedimento di custodia cautelare, investono necessariamente tutte le ipotesi in cui sia stata disposta una misura cautelare personale di qualsiasi tipo, e non la sola custodia cautelare;

poichè il citato art. 273 prevede che le condizioni generali di applicabilità siano comuni a tutte le misure cautelari, nessuna distinzione fondata sul tipo in concreto applicato risulta, ai fini che qui interessano, possibile.

Ciò posto, nella sentenza n. 502 del 1991 questa Corte aveva già esaminato questione sostanzialmente analoga (ma sollevata in riferimento agli artt. 25 e 77 della Costituzione) che prospettava l'illegittimità costituzionale del medesimo art. 34, comma 2, nella parte in cui non prevede che la previa conoscenza degli atti delle indagini preliminari, acquisita dal giudice in occasione del riesame ex art.309 del codice di procedura penale, comporti l'incompatibilità a partecipare al dibattimento.

In quella occasione la Corte ritenne non fondata la questione rilevando che i provvedimenti sulla libertà personale (e tra di essi, il riesame di misure cautelari allora specificamente considerato) non comportano una valutazione sul merito della res judicanda idonea a determinare un pregiudizio che mini l'imparzialità della decisione conclusiva del giudice.

Successivamente questa Corte è stata chiamata più volte ad esaminare la materia dell'incompatibilità ed ha avuto occasione di enucleare alcuni principi di base i quali - - unitamente alla convinzione di dover affermare un più pregnante significato dei valori costituzionali del giusto processo (e del diritto di difesa che ne è componente essenziale), ed all'intervenuto mutamento del quadro normativo a seguito della recente legge 8 agosto 1995, n. 332, la quale, accentuando ancor più il carattere di eccezionalità dei provvedimenti limitativi della libertà personale disposti prima della condanna, comporta indubbiamente una maggior incisività dell'apprezzamento del giudice sul punto -- si pongono come utili termini di raffronto e consentono di pervenire ora a diversa conclusione.

4. -- In linea preliminare va sottolineato che l'analisi del problema non si esaurisce nell'esame della differenza tra valutazioni di tipo indiziario, che il giudice compie in sede di indagini preliminari, e giudizio sul merito dell'accusa all'esito del dibattimento, ma deve anche considerare, più specificamente, la possibilità che alcuni apprezzamenti sui risultati delle indagini preliminari determinino un'anticipazione di giudizio suscettibile di minare l'imparzialità del giudice.

Ai sensi del comma 1 dell'art. 273 del codice di procedura penale la prima condizione generale per l'emissione di misure cautelari personali è l'apprezzamento di "gravi indizi di colpevolezza" a carico dell'imputato.

È evidente che la norma può esprimersi solo in termini di "indizi" per l'ovvio motivo che tutti gli elementi raccolti nella fase delle indagini preliminari, sia a favore che contro l'imputato, non hanno ancora avuto riscontro nel contraddittorio dibattimentale; è altrettanto chiaro, però, che, ai fini che qui interessano, detti "indizi" vengono comunque ritenuti idonei a dimostrare una qual certa fondatezza dell'accusa, almeno fino all'emergere, in dibattimento, di nuovi, ed eventuali, elementi in contrario avviso.

Neppure è certa la fase dibattimentale se l'imputato chiede il "patteggiamento" o il giudizio abbreviato. In tali casi è ancor più evidente che i medesimi elementi che nella fase delle indagini erano semplici indizi vengono sostanzialmente apprezzati come prove.

Ora, se è vero che rimangono non equiparabili situazioni processuali sicuramente diverse, quali quella della decisione circa l'applicazione di una misura cautelare personale e quella della decisione di merito sulla fondatezza dell'accusa (caratterizzata, quest'ultima, dall'esigenza di individuazione di prove certe circa la sussistenza del fatto e la commissione dello stesso da parte dell'imputato), nondimeno occorre prendere atto che i "gravi indizi di colpevolezza " richiesti dall'art.273, comma 1, per l'applicabilità delle misure cautelari si so stanziano pur sempre in una serie di elementi probatori individuati nelle indagini preliminari e idonei a fornire una consistente e ragionevole probabilità di colpevolezza dell'indagato.

Più in particolare, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha sottolineato che il concetto di "gravità" degli indizi (certamente più rigoroso di quello di "sufficienza" richiesto nel codice previgente) postula una obiettiva precisione dei singoli elementi indizianti che, nel loro complesso, consentono di pervenire logicamente ad un giudizio che, pur senza raggiungere il grado di certezza richiesto per la condanna, sia di alta probabilità dell'esistenza del reato e della sua attribuibilità all'indagato; indizi, quindi, capaci di resistere ad interpretazioni alternative.

A ciò si aggiunga che, ai sensi dell'art. 292, lett.c), il giudice è tenuto ad esporre con adeguata motivazione gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta (con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza), ed inoltre -- elemento di sostanziale importanza -- che l'applicazione della misura cautelare comporta una valutazione negativa non solo circa l'esistenza di condizioni legittimanti il proscioglimento, ex art.273, comma 2, (cause di giustificazione, di non punibilità, di estinzione del reato o della pena), ma anche in ordine alla possibilità di ottenere con la sentenza (che evidentemente si ritiene di condanna) la sospensione condizionale della pena (art. 275, comma 2 bis, introdotto dalla citata legge n. 332 del 1995).

5. -- Tali essendo, in sintesi, le valutazioni che il giudice per le indagini preliminari deve compiere allorquando disponga una misura cautelare, si deve riconoscere che detta attività comporta la formulazione di un giudizio non di mera legittimità ma di merito (sia pure prognostico e allo stato degli atti) sulla colpevolezza dell'imputato; giudizio analogo, ai fini che qui interessano, alle ipotesi già esaminate da questa Corte nelle sentenze nn. 124 e 186 del 1992.

In tali decisioni, infatti, è già stato affermato il principio che una valutazione di merito circa l'idoneità delle risultanze delle indagini preliminari a fondare un giudizio di responsabilità dell'imputato vale a radicare l'incompatibilità, e questa è stata riconosciuta sussistere nell' ipotesi del giudice per le indagini preliminari che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata.

Nel caso in esame ed in quelli ora citati presupposto comune del provvedimento è una valutazione non formale ma di contenuto sulla probabile fondatezza dell'accusa, cui si aggiunge una valutazione, anch'essa di merito, come le citate sentenze nn. 124 e 186 del 1992 hanno sottolineato, sull'inesistenza di condizioni legittimanti il proscioglimento.

In realtà, che in non pochi casi il giudice per le indagini preliminari compia una valutazione contenutistica dei risultati delle indagini stesse tale da radicare una sua incompatibilità nella fase del giudizio, era già stato riconosciuto anche nelle sentenze nn. 496 del 1990, 401 e 502 del 1991, dichiarative dell'incompatibilità del giudice per le indagini preliminari che, decidendo sulla richiesta di archiviazione, abbia ordinato di formulare l'imputazione.

In quelle occasioni la Corte ebbe ad affermare:

"con l'ordine di formulare l'imputazione il giudice per le indagini preliminari compie una valutazione contenutistica dei risultati di queste e dà, anzi, ex officio, l'impulso determinante alla procedura che condurrà all'emanazione di una sentenza. Di conseguenza [...] non può essere lo stesso giudice che ha compiuto una così incisiva valutazione di merito ad adottare la decisione conclusiva in ordine alla responsabilità dell'imputato".

A giudizio di questa Corte non è ravvisabile, ai fini che qui interessano, una sostanziale diversità tra la valutazione dei risultati delle indagini che conduce alla pronuncia di una misura cautelare personale e quella che conduce all'ordine di formulare l'imputazione o al rigetto della richiesta di applicazione di pena concordata.

L'oggetto di tali valutazioni è, infatti, identico, poichè in tutti i casi si tratta dei medesimi elementi probatori che solo all'esito del dibattimento verranno o meno ritenuti prove.

Anche dal punto di vista della completezza delle indagini la differenza è solo eventuale: in linea generale dando l'ordine di formulare l'imputazione o rigettando la richiesta di patteggiamento (che, peraltro, può essere formulata anche durante le indagini preliminari) il giudice per le indagini preliminari esamina un quadro tendenzialmente completo delle indagini stesse, ma non è detto che allorquando adotti un provvedimento di custodia cautelare ne abbia un quadro necessariamente incompleto: questo dipende solo dal momento in cui vengono ravvisate da parte del pubblico ministero le esigenze cautelari indicate nell'art. 274; il che può accadere dopo notevole lasso di tempo dall'inizio delle indagini, o anche al termine delle stesse.

Anche in questo caso, pertanto, in raffronto alle ipotesi ora indicate, devono riconoscersi sussistenti i medesimi effetti che l'art. 34 mira ad impedire, e cioè che la valutazione conclusiva sulla responsabilità dell'imputato sia, o possa apparire, condizionata dalla cosiddetta forza della prevenzione, e cioè da quella naturale tendenza a mantenere un giudizio già espresso o un atteggiamento già assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art.34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 settembre 1995.