Sentenza n. 429 del 1995

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SENTENZA N. 429

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 6, ultimo periodo, limitatamente alle parole "o gruppi di liste collegate", della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), promosso con ordinanza emessa il 6 maggio 1994 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Licia Rita Morsolin contro Gian Giuseppe Tomarelli ed altro, iscritta al n. 699 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di costituzione di Licia Rita Morsolin nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica dell'11 luglio 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

uditi l'avvocato Luigi Genovese per Licia Rita Morsolin e l'avvocato dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. -- Con ordinanza emessa il 6 maggio 1994 nel corso di un procedimento di impugnazione della proclamazione degli eletti al consiglio comunale di Monfalcone in esito all'elezione svoltasi nei giorni 6 e 20 giugno 1993, il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 48, secondo comma, 49 e 51, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 6, ultimo periodo, della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), nella parte in cui, con le parole "o gruppi di liste collegate", prevede che per l'assegnazione dei seggi del consiglio comunale si tenga conto del collegamento tra liste anche con un candidato alla carica di sindaco risultato non eletto.

La disposizione denunciata, nel contesto della disciplina dell'elezione del consiglio comunale nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, prevede che non meno del 60 per cento dei seggi sia assegnato alla lista o al gruppo di liste collegate al candidato che, ottenuta al primo o al secondo turno di votazioni la maggioranza dei voti, sia stato eletto sindaco. Analogo riferimento a liste o gruppi di liste collegate è enunciato per la ripartizione dei restanti seggi, da attribuire alla minoranza. Questo comporta che anche le liste collegate con un candidato non eletto alla carica di sindaco si considerano come una sola ai fini della determinazione dei seggi da attribuire, salva la successiva ripartizione tra queste liste dei seggi ad esse complessivamente assegnati.

Il giudice rimettente dubita che tale criterio di ripartizione dei seggi sia in contrasto con il principio di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, della Costituzione), che non solo vieterebbe di attribuire un diverso peso al voto in base a qualità personali dell'elettore, ma comporterebbe anche che, nel rispetto del principio di maggioranza, ritenuto coincidente con quello di sovranità popolare (art. 1, secondo comma, della Costituzione), sia eletto chi ha più voti. L'eguaglianza del voto si atteggerebbe come principio di proporzionalità tra due grandezze misurabili, tale che alla variazione della prima corrisponda una variazione dell'altra. Nei sistemi elettorali la proporzionalità consisterebbe nel far corrispondere, sia pure in modo necessariamente approssimato, una unità dell'organo da eleggere ad ogni insieme di voti, pari al quoziente tra il numero delle unità del corpo elettorale che li ha espressi ed il numero dei rappresentanti da eleggere.

Il giudice rimettente ritiene che non vengano in discussione le "differenze di peso" dei singoli voti, dovute alle approssimazioni inevitabili in qualsiasi sistema proporzionale, basato sul voto di lista. Nè è posta in dubbio la legittimità dei sistemi elettorali maggioritari, nei quali il principio di eguaglianza del voto si fonde con il principio di maggioranza, sicchè viene eletto il candidato che ha ottenuto la maggioranza, relativa o qualificata, dei voti.

L'ordinanza di rimessione non pone neanche in discussione la legittimità di un premio di maggioranza a favore della lista che ha riportato la maggioranza, relativa o qualificata, dei voti, per assicurare la stabilità di azione dell'organo elettivo. L'attribuzione di seggi, più che proporzionale, alla lista di maggioranza manterrebbe identità di segno: la lista che ottiene un maggior numero di seggi rispetto ad un'altra ha sempre riportato un maggior numero di voti. In questo senso opererebbe il premio di maggioranza, previsto dall'art. 7 della legge n. 81 del 1993 a favore delle liste, unitariamente considerate, che si sono collegate con il candidato che viene eletto sindaco, al quale viene garantita una stabile maggioranza nel consiglio comunale.

Diversa, ad avviso del giudice rimettente, è la situazione per le liste collegate a candidati alla carica di sindaco, risultati non eletti. La disposizione denunciata, inserita in un sistema che rimane proporzionale a liste concorrenti, consente ad una lista che ha riportato meno voti di ottenere più seggi per effetto del collegamento con altre liste, senza che questo risultato dipenda dalle inevitabili approssimazioni del sistema elettorale o corrisponda ad una specifica finalità, quale quella di assicurare una stabile maggioranza o di evitare l'eccessivo frazionamento nella composizione dell'organo. Nel caso esaminato dal giudice rimettente il numero di partiti presenti in consiglio comunale resterebbe sempre lo stesso, ma potrebbe mutare il destinatario di uno dei seggi, che è stato attribuito ad un partito per effetto del collegamento tra liste rimaste in minoranza, mentre sarebbe assegnato ad un altro partito se non si tenesse conto del collegamento.

Il dubbio di legittimità costituzionale viene prospettato anche in relazione al diritto di tutti i cittadini di accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza (art. 51, primo comma, della Costituzione); diritto che costituirebbe il risvolto dei principi di maggioranza e di eguaglianza del voto. Secondo il giudice rimettente, il pari trattamento dei candidati potrebbe essere limitato solo per realizzare interessi costituzionali fondamentali e generali, sempre che la diversità di trattamento si ispiri a criteri di razionalità.

Viene anche denunciato il contrasto con l'art. 49 della Costituzione, desumendo da questa disposizione una regola di pari trattamento delle liste elettorali e considerando queste come i partiti politici nel momento elettorale.

La questione di legittimità costituzionale è ritenuta rilevante nel giudizio principale in quanto, attribuiti 12 seggi (pari al 60 per cento di quelli del consiglio comunale di Monfalcone) alle liste collegate con il candidato eletto alla carica di sindaco, per l'assegnazione dei restanti 8 seggi le liste dei Popolari per Monfalcone e del Partito socialista democratico italiano sono state considerate unitariamente dall'Ufficio elettorale centrale comunale, che ha sommato la cifra elettorale di ciascuna di esse ai fini della determinazione dei quozienti. In tal modo sono stati assegnati alle liste collegate due seggi, ripartiti poi uno per ciascuna lista. Nessun seggio è stato invece assegnato alla lista Rifondazione comunista, nella quale era candidata la ricorrente Licia Rita Morsolin, la cui cifra elettorale è superiore alla cifra elettorale del Partito socialista democratico italiano, se isolatamente considerato. La ricorrente otterrebbe l'assegnazione del seggio se la disposizione denunciata, che consente il calcolo unitario dei voti delle liste collegate ai fini della determinazione dei quozienti, fosse dichiarata costituzionalmente illegittima.

2. -- Si è costituita in giudizio Licia Rita Morsolin per chiedere che la questione di legittimità costituzionale sia accolta, ma prospettando anche una diversa interpretazione della disposizione denunciata. L'espressione "ciascun gruppo di liste collegate" potrebbe essere riferita solo al collegamento con il sindaco eletto, quindi esclusivamente per il raggruppamento di maggioranza e non anche per le altre liste, collegate con un candidato sindaco rimasto in minoranza.

La difesa della parte privata osserva che se la finalità della disposizione fosse quella di evitare l'eccessivo frazionamento nel consiglio comunale, riducendo il numero dei partiti rappresentati, non si risponderebbe ad alcun interesse costituzionale che giustifichi limitazioni ai principi di maggioranza, di eguaglianza del voto e di pari trattamento dei candidati e delle liste elettorali. La riduzione del numero delle formazioni politiche rappresentate in consiglio comunale limiterebbe, inoltre, la possibilità per i partiti di concorrere a determinare la politica nazionale, in violazione dell'art. 49 della Costituzione.

La parte privata prospetta, quale ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, l'irragionevolezza della disposizione, che, mediante il collegamento di due liste, consente ad una di esse di ottenere un seggio grazie ai voti espressi in favore dell'altra, in contrasto con la volontà dell'elettore, che potrebbe avere attribuito un voto di lista diverso rispetto a quello manifestato per il candidato alla carica di sindaco.

3. -- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza della questione.

In prossimità dell'udienza, l'Avvocatura ha depositato una memoria, osservando che la legge n. 81 del 1993 tende ad assicurare la governabilità mediante strumenti diretti a garantire agli enti locali una sufficiente stabilità. Il meccanismo maggioritario premierebbe la forza politica egemone e determinerebbe le altre formazioni politiche alla ricerca ed alla strutturazione di alleanze o di collegamenti, che danno luogo a soggetti politici nuovi, sulle cui strategie complessive gli elettori sono chiamati a pronunciarsi. Il sistema maggioritario, semplificando il quadro politico, mira anche a coagulare le forze politiche attorno a programmi predeterminati, da sottoporre al giudizio del corpo elettorale.

Ad avviso dell'Avvocatura questa normativa tende ad incentivare ed a favorire l'aggregazione delle forze politiche, considerandole come un'unica entità collegata con il candidato alla carica di sindaco, risulti questo poi eletto o meno. La disposizione denunciata sarebbe in sintonia con la necessità di assicurare la governabilità ed il buon andamento dell'amministrazione. Nè si può ritenere che solo i sistemi proporzionali assicurino l'eguaglianza del voto ed il rispetto della volontà popolare, la quale invece, attraverso le procedure referendarie, si è espressa in maniera favorevole nei confronti dei sistemi basati su metodi di riparto di valenza maggioritaria, o proporzionali ma con effetti tipici del sistema maggioritario.

Considerato in diritto

1. -- La questione di legittimità costituzionale concerne la disposizione che, nel contesto della disciplina dell'elezione diretta del sindaco, stabilisce i criteri di ripartizione dei seggi nell'elezione del consiglio comunale per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti. L'art. 7, comma 6, della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), dopo avere disposto che alla lista o al gruppo di liste collegate al candidato eletto alla carica di sindaco è assegnato il 60 per cento dei seggi del consiglio, prevede, nell'ultimo periodo, che i restanti seggi sono assegnati alle altre liste "o gruppi di liste collegate" con candidati non eletti alla carica di sindaco. Quest'ultima disposizione, relativa ai criteri di ripartizione dei seggi tra le liste rimaste in minoranza, è sospettata di essere in contrasto con la Costituzione, nella parte in cui prevede, facendo riferimento ai "gruppi di liste collegate", che le loro cifre elettorali siano considerate unitariamente ai fini della determinazione dei quozienti elettorali per l'assegnazione dei seggi, da ripartire poi nell'ambito delle liste collegate in base ai quozienti più alti di ciascuna di esse.

Il Consiglio di Stato dubita che il calcolo dei quozienti per l'assegnazione dei seggi in base alla cifra elettorale complessiva delle liste collegate sia in contrasto con il principio di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, della Costituzione), inteso non solo come divieto di accordare un peso diverso al voto a seconda delle qualità personali dell'elettore, ma anche come rispetto della sovranità popolare (art. 1, secondo comma, della Costituzione), che comprenderebbe un principio di proporzionalità, secondo il quale è eletto chi ha più voti.

In un sistema proporzionale a liste contrapposte, quale è quello attuale, il principio di eguaglianza del voto, connesso con quello di sovranità popolare, sarebbe alterato dalla determinazione della cifra elettorale delle liste collegate, rimaste in minoranza, attraverso la somma delle cifre elettorali di ciascuna di esse. Questo criterio di calcolo consentirebbe ad una lista che ha ottenuto meno voti di conseguire, grazie al collegamento, più seggi di quella presentatasi senza collegamenti, per la quale la cifra elettorale è determinata esclusivamente in base ai propri voti.

Considerando il principio di eguaglianza del voto corrispondente a quello di pari trattamento dei candidati, sarebbe violato anche il diritto di accedere in condizioni di eguaglianza alle cariche elettive (art. 51, primo comma, della Costituzione).

Inoltre posto che le liste non sarebbero altro che i partiti politici nel momento elettorale, il diverso trattamento delle stesse determinerebbe anche la violazione dell'art. 49 della Costituzione.

2. -- La questione di legittimità costituzionale, che va esaminata nei termini fissati dall'ordinanza di rimessione senza considerare ulteriori profili proposti dalle memorie di parte, non è fondata.

L'eguaglianza del voto che la persona è chiamata ad esprimere nell'elezione di organi politici riflette l'eguale dignità di tutti i cittadini e rappresenta una particolare applicazione del principio fondamentale di eguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione (sentenza n. 96 del 1968). L'eguaglianza del voto concorre inoltre a connotare come compiutamente corrispondente alla sovranità popolare l'investitura di chi è direttamente chiamato dal corpo elettorale a rivestire cariche pubbliche rappresentative.

L'art. 48 della Costituzione, stabilendo che il voto, oltre che personale e segreto, deve essere eguale, assicura la parità di condizione dei cittadini nel momento in cui essi, con l'espressione del voto, danno concreto contenuto alla sovranità popolare (sentenza n. 39 del 1973). Non sono, dunque, ammesse forme di voto multiplo o plurimo, dovendo essere assicurati sempre la pari capacità elettorale e l'eguale valore numerico di ciascun voto. Ma il principio di eguaglianza del voto non si estende "al risultato concreto della manifestazione di volontà dell'elettore. Risultato che dipende, invece, esclusivamente dal sistema elettorale che il legislatore ordinario, non avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha adottato per le elezioni politiche e amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni popolari" (sentenza n. 43 del 1961). Difatti l'Assemblea costituente, pur manifestando, con l'approvazione di un ordine del giorno, il favore per il sistema proporzionale nell'elezione dei membri della Camera dei deputati, non intese irrigidire questa materia sul piano normativo costituzionalizzando una scelta proporzionalista o disponendo formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la configurazione dei quali resta affidata alla legge ordinaria.

La legge n. 81 del 1993 disciplina l'elezione diretta del sindaco con la maggioranza assoluta dei voti validi e prevede, per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, il ballottaggio in un secondo turno elettorale tra i due candidati che al primo turno hanno ottenuto il maggior numero di voti. La stessa legge stabilisce un collegamento tra l'elezione del sindaco e quella del consiglio comunale, per assicurare al sindaco eletto, nella normalità dei casi, una consistente maggioranza nell'organo di indirizzo e di controllo politico- amministrativo del comune.

Il collegamento di più liste ad un candidato alla carica di sindaco presuppone l'omogeneità del programma politico che si intende realizzare e prefigura, nell'ambito del consiglio comunale, una coalizione che rispecchi il raggruppamento dichiarato prima della votazione per l'elezione del sindaco.

L'aggregazione è destinata ad operare tanto per la maggioranza che per le minoranze. Difatti il candidato alla carica di sindaco che non risulti eletto è il primo proclamato eletto alla carica di consigliere, se il gruppo di liste a lui collegate ha ottenuto almeno un seggio.

I gruppi di liste collegate manifestano dunque aggregazioni che si presentano come stabili. Sommare i voti ottenuti dalle singole liste collegate per comporre la cifra elettorale complessiva dei gruppi sia della maggioranza che delle minoranze ai fini della assegnazione dei seggi rispecchia questa realtà e non costituisce un arbitrario trasferimento di voti da una lista ad un'altra. Nè altera l'espressione del voto incentivare, riducendo la dispersione nell'utilizzazione dei voti, la libera aggregazione di liste diverse, le quali, pur mantenendo la propria identità, concorrono nel proporre al corpo elettorale programmi politici convergenti.

3. -- La disposizione denunciata non incide sulla parità di condizione dei candidati alla carica di consigliere comunale.

L'art. 51, primo comma, della Costituzione, in rispondenza al principio generale di eguaglianza, si riferisce eminentemente alla capacità di accedere agli uffici pubblici ed alle cariche elettive, in base a requisiti che, fissati dalla legge, rispettino il principio di parità. Ma non si vede come possa ledere tale principio un criterio di ripartizione e di assegnazione dei seggi oggettivamente predeterminato, che opera in modo eguale per tutti i candidati, attribuendo rilievo a collegamenti liberamente stabiliti dalle singole liste e sottoposti alla valutazione degli elettori.

4. -- Non si configura neppure la sospettata lesione dell'art. 49 della Costituzione.

La libertà di associarsi in partiti politici, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, trova nel momento elettorale, con il quale si costituiscono gli organi di rappresentanza politica, un efficace strumento di partecipazione al governo della cosa pubblica. Ma ammesso il rapporto, che il legislatore può stabilire, tra partiti e liste elettorali, dando alle formazioni politiche la facoltà di presentare proprie liste di candidati (sentenza n. 203 del 1975), non ne segue l'identificazione tra liste elettorali e partiti, prefigurata dall'ordinanza di rimessione.

In ogni caso il rilievo riconosciuto, nell'attribuzione dei seggi, al collegamento tra liste non limita in alcun modo la possibilità di concorrere democraticamente a determinare la composizione e la scelta degli organi politici rappresentativi. Il collegamento stesso rappresenta una libera opzione delle formazioni politiche interessate, che partecipano alle scelte politiche presentandosi alla competizione elettorale con l'enunciazione di un'affinità programmatica. Il criterio di determinazione della cifra elettorale consente anche, con tale collegamento ed in ragione di esso, di attribuire talvolta alle formazioni minori una propria rappresentanza in un organo dal quale, altrimenti, potrebbero rimanere escluse.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 6, ultimo periodo, limitatamente alle parole "o gruppi di liste collegate", della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), sollevata, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 48, secondo comma, 49 e 51, primo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 12 settembre 1995.