Sentenza n. 415 del 1995

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SENTENZA N. 415

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 26 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), promosso con ordinanza emessa il 7 novembre 1994 dal Sostituto procuratore generale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana nel procedimento nei confronti di Gaspare Sammaritano ed altri, iscritta al n. 792 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 luglio 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

1. -- Con ordinanza emessa il 7 novembre 1994, il Sostituto procuratore generale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), che prevede che nei procedimenti contenziosi di competenza della Corte dei conti si osservano, in quanto applicabili, le norme ed i termini della procedura civile. Questa disposizione è denunciata nella parte in cui non rinvia alle disposizioni del codice di procedura penale sullo spostamento della competenza territoriale per i procedimenti a carico di magistrati.

Al termine dell'attività istruttoria svolta ai fini di un giudizio di responsabilità amministrativa nei confronti di un magistrato in servi zio presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana, il Sostituto procuratore generale, dopo aver dato al magistrato comunicazione dell'iniziativa in corso, dovendo provvedere all'archiviazione, ritiene che questa determinazione dovrebbe essere attribuita ad un ufficio diverso, così come prevede l'art. 11 del codice di procedura penale per la competenza territoriale nei procedimenti riguardanti magistrati che esercitano le funzioni nello stesso distretto.

Il Sostituto procuratore generale premette di essere autorità giurisdizionale legittimata a sollevare questione di legittimità costituzionale ed a trasmettere gli atti alla Corte. Nell'attività preliminare ai fini del promovimento di un giudizio di responsabilità amministrativa, il pubblico ministero eserciterebbe poteri istruttori ed inquisitori. L'invito al presunto responsabile del danno a depositare le proprie deduzioni ed eventuali documenti - previsto dall'art. 5 del decreto- legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito in legge, con modificazioni, con la legge 14 gennaio 1994, n. 19 - determinerebbe l'avvio del procedimento, rispetto al quale l'archiviazione del pubblico ministero, pur in assenza della esplicita previsione normativa di tale potere, sarebbe assimilabile al proscioglimento deciso in sede penale.

Il pubblico ministero ritiene che lo sposta mento della competenza territoriale per i procedimenti in cui siano coinvolti magistrati - previ sto non dal codice di procedura civile, che disciplina solo l'astensione e la ricusazione del giudice, ma da quello di procedura penale - risponda all'esigenza di tutela di valori costituzionali, quali l'eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge (art. 3 della Costituzione), l'effettività del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione), l'imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione), considerata comprensiva anche dell'amministrazione della giustizia.

L'eguaglianza davanti alla legge richiederebbe un giudizio obiettivo e sganciato da ogni influenza, che può derivare dall'essere il magi strato sottoposto a giudizio in una posizione differenziata nei confronti dell'organo chiamato a giudicare. Inoltre verrebbero trattate in modo difforme le situazioni, ritenute sostanzialmente identiche, dei magistrati ordinari nel processo penale e dei magistrati contabili nel giudizio di responsabilità amministrativa.

Il diritto di difesa richiederebbe a sua volta un contesto estraneo ad ogni condizionamento che possa provenire da fattori ambientali.

Infine una disposizione che tocca l'immagine di terzietà del giudice violerebbe il principio di imparzialità ledendo il prestigio della funzione giurisdizionale.

2. -- È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Pur manifestando perplessità sulla legittimazione del pubblico ministero a sollevare questione di legittimità costituzionale, l'Avvocatura si rimette alle valutazioni della Corte in ordine all'ammissibilità della questione.

Nel merito l'Avvocatura rileva che i dubbi di legittimità costituzionale muovono dall'equiparazione tra procedimento penale e giudizio di responsabilità amministrativa, mentre quest'ultimo, pur promosso dal pubblico ministero, ha carattere sostanzialmente civilistico, di risarcimento del danno.

Negata la stessa possibilità di porre a raffronto processo penale e processo contabile, non sussisterebbe la lesione dei principi costituzionali indicati dall'ordinanza di rimessione.

Considerato in diritto

1. -- Il dubbio di legittimità costituzionale riguarda l'art. 26 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, che, nel contesto del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, rinvia, per i procedimenti contenziosi, alle norme ed ai termini della procedura civile, in quanto applicabili e non modificati dal regolamento stesso.

Il Sostituto procuratore generale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana ritiene che questa disposizione sia in contrasto con gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, nella parte in cui non rinvia, per i giudizi di responsabilità amministrativa o contabile a carico di magistrati, alla disciplina del processo penale, che prevede la competenza territoriale di un ufficio giudiziario diverso da quello nel quale i magistrati stessi esercitano, o hanno esercitato, le proprie funzioni (art. 11 del codice di procedura penale).

Il Sostituto procuratore generale si ritiene legittimato a sollevare, nell'esercizio delle funzioni di pubblico ministero nella fase istruttoria di un giudizio di responsabilità per danni, una questione di legittimità costituzionale in via incidentale, considerando il provvedimento di archiviazione da lui emesso assimilabile al proscioglimento pronunciato dal giudice penale in sede di udienza preliminare. La norma denunciata violerebbe il principio di eguaglianza davanti alla legge, essendo il provvedimento adottato nell'ambito della stessa competenza territoriale dell'ufficio giudiziario presso il quale il magistrato interessato era all'epoca dei fatti, o è in atto, incardinato, senza che sia prevista, così come avviene invece per il processo penale, l'attribuzione della competenza ad altro ufficio. Il mancato spostamento della competenza lederebbe, inoltre, il diritto di difesa, che si esplica liberamente solo in un contesto sicuramente privo di condizionamenti ambientali. Infine pronunciarsi su di un magistrato che presta, o ha prestato, servizio presso lo stesso ufficio inciderebbe sull'immagine di terzietà del giudice, in violazione del principio di imparzialità dell'amministrazione, che l'ordinanza di rimessione considera immanente anche all'organizzazione giudiziaria.

2. -- La questione di legittimità costituzionale, sollevata dal pubblico ministero, è inammissibile.

I presupposti processuali previsti dall'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 per dare ingresso ad un giudizio incidentale di legittimità costituzionale richiedono che la questione sia sollevata da un'autorità giurisdizionale nel corso di un giudizio. È sempre necessario che vi sia un giudice il quale ritenga di dover applicare la norma, della cui legittimità costituzionale dubita, per definire, nell'esercizio del proprio potere di decisione, il giudizio del quale è investito.

Si tratta di requisiti e presupposti che non ricorrono per l'ufficio del procuratore regionale della Corte dei conti e che non possono essere riferiti all'attività da questo svolta ai fini del promovimento di un giudizio di responsabilità per danni cagionati da funzionari pubblici allo Stato.

La giurisprudenza costituzionale ha sempre affermato, sin dalle più remote decisioni (sentenze nn. 40, 41 e 42 del 1963), che nel sistema che caratterizza il procedimento incidentale di legittimità costituzionale sia il pubblico ministero che le parti private possono prospettare questioni di legittimità costituzionale, ma che spetta esclusivamente all'autorità giurisdizionale davanti a cui pende il giudizio valutarne la rilevanza rispetto alla decisione della causa e la non manifesta infondatezza, per disporne la trasmissione a questa Corte. Si tratta sempre di una funzione attribuita al giudice chiamato a pronunciarsi sulla causa. Il pubblico ministero, che ha una sua propria e distinta configurazione ordina mentale, ha il potere di esercitare l'azione ma non di emettere provvedimenti decisori: non può quindi sostituirsi all'autorità giurisdizionale e di conseguenza non è legittimato a promuovere il giudizio di legittimità davanti a questa Corte (tra le molte, ordinanze n. 249 del 1990, n. 285 del 1989 e n. 163 del 1981).

Questa impostazione vale anche per i giudizi di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, nei quali il giudice è investito della causa mediante l'atto di citazione a comparire o per i provvedimenti cautelari che possono precedere tale atto. Il pubblico ministero mantiene la caratteristica di ufficio che promuove l'azione. L'attività anteriore alla citazione è preordinata all'eventuale instaurazione del giudizio ma non assume carattere decisorio, anche quando si concluda con un'archiviazione. Questo atto, rimesso alla determinazione propria della parte pubblica che ritenga di non dover promuovere l'azione, non ha natura di pronuncia giurisdizionale, ma chiude un'attività istruttoria diretta a verificare se sussistano le condizioni per iniziare utilmente un giudizio di responsabilità, senza che con l'archiviazione si formi giudicato o che ne derivi in alcun modo un vincolo per lo stesso ufficio del pubblico ministero. Questo sistema non è stato modificato, nella sua impostazione di fondo, dalle disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, dettate con il decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito in legge, con modificazioni, con la legge 14 gennaio 1994, n. 19. Le nuove norme prevedono che, nei giudizi di responsabilità, il procuratore regionale, prima di emettere l'atto di citazione in giudizio, inviti il presunto responsabile del danno, che ha la facoltà di farsi sentire personalmente, a depositare deduzioni e documenti (art. 5). Ma non ne risultano alterati i caratteri propri dell'attività del pubblico ministero, nè vengono attribuiti a questo ufficio poteri decisori che caratterizzano la giurisdizione, affidati anche in questa fase, in caso di richiesta di provvedimenti cautelari, al giudice competente a conoscere il merito del giudizio.

L'attività, anche istruttoria, del procuratore regionale rimane, pertanto, preordinata all'assunzione delle determinazioni ai fini dell'esercizio dell'azione e del promovimento del giudizio.

Non si è, quindi, in presenza di un giudice che possa direttamente sollevare questione di legittimità costituzionale, in relazione ad un giudizio rimesso alla propria competenza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dal Sostituto procuratore generale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 luglio 1995.