Sentenza n. 412 del 1995

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SENTENZA N. 412

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 1, della legge 18 febbraio 1989, n. 56 (Ordinamento della professione di psicologo), promossi con tre ordinanze emesse il 26 settembre ed il 7 dicembre 1994 dal Tribunale di Firenze ed il 13 febbraio 1995 dal Tribunale di Milano, rispettivamente iscritte ai nn. 62, 169 e 242 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7, 14 e 19, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di costituzione di Serena Biagini, dell'Associazione unitaria psicologi italiani, dell'Ordine degli psicologi della Toscana, di Annamaria Allegri D'Amico e dell'Ordine degli psicologi della Lombardia nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

uditi l'avvocato Natale Giallongo per Serena Biagini e l'Associazione unitaria psicologi italiani, l'avvocato Valerio Onida per Annamaria Allegri D'Amico, gli avvocati Alberto Azzena e Paolo Carrozza per l'Ordine degli psicologi della Toscana, gli avvocati Cristiano Romano ed Eugenio Merlino per l'Ordine degli psicologi della Lombardia e l'avvocato dello Stato Claudio Linda per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. -- Con due ordinanze di analogo contenuto emesse il 26 settembre (R.O. n. 62 del 1995) ed il 7 dicembre 1994 (R.O. n. 169 del 1995) nel corso di altrettanti procedimenti promossi nei confronti dell'Ordine degli psicologi della Toscana da iscritti all'albo degli psicologi non ammessi all'esercizio dell'attività psicoterapeutica perchè laureati da meno di cinque anni, il Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 35 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 1, della legge 18 febbraio 1989, n. 56 (Ordinamento della professione di psicologo). Questa disposizione stabilisce -- in deroga alla disciplina a regime, che subordina l'esercizio dell'attività psicoterapeutica ad un'apposita specializzazione conseguita dopo la laurea in psicologia o in medicina e chirurgia (art. 3 della legge n. 56 del 1989) -- che, in via di prima applicazione della legge, è consentita l'attività psicoterapeutica per gli iscritti agli ordini degli psicologi o dei medici, laureati da almeno cinque anni, che abbiano acquisito una specifica formazione professionale in psicoterapia, documentandone il curriculum formativo con l'indicazione delle sedi, dei tempi e della durata, nonchè il curriculum scientifico e professionale, documentando la preminenza e la continuità dell'esercizio della professione psicoterapeutica. La stessa legge prevede poi che spetta agli ordini stabilire la validità delle certificazioni (art. 35, comma 2) e che queste disposizioni sono applicabili fino al compimento del quinto anno successivo alla data di entrata in vigore della legge (art. 35, comma 3).

Il Tribunale di Firenze ritiene che il possesso della laurea da almeno cinque anni sia un requisito diverso ed ulteriore rispetto a quello del raggiungimento di una sufficiente formazione professionale e sia inoltre stabilito non solo per i medici ma anche per gli iscritti all'albo degli psicologi. Non si terrebbe così adeguatamente conto che prima della disciplina legislativa della professione di psicologo l'esercizio della psicoterapia era consentito anche a non laureati. La necessità della laurea conseguita da almeno cinque anni sarebbe una condizione formale, diretta a stabilire una presunzione di sufficiente maturazione professionale, che si sovrapporrebbe al giudizio dell'ordine sull'idoneità e sufficienza del curriculum formativo e professionale dell'aspirante al riconoscimento.

Il requisito temporale connesso alla laurea contrasterebbe con vari parametri costituzionali: con l'art. 3, perchè gli iscritti all'albo con la stessa preparazione professionale in psicoterapia riceverebbero un trattamento irragionevolmente differenziato per effetto di questo requisito; con l'art. 35, perchè soggetti con adeguata preparazione verrebbero impediti a proseguire l'esercizio di una professione legittimamente intrapresa; con l'art. 32, perchè i pazienti di chi non è ammesso a continuare l'esercizio dell'attività di psicoterapia sarebbero ingiustificatamente costretti ad interrompere una terapia in corso o a sostituire il proprio psicoterapeuta con un altro.

2. -- In uno dei giudizi promossi dal Tribunale di Firenze (R.O. n. 62 del 1995) si sono costituiti Serena Biagini, l'Associazione unitaria psicologi italiani e l'Ordine degli psicologi della Toscana, tutti parte nel processo principale.

2.1. -- Serena Biagini e l'Associazione unitaria psicologi italiani hanno chiesto che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale della disposizione denunciata e, comunque, che siano indicati i criteri ermeneutici per la corretta applicazione della norma.

2.2. -- L'Ordine degli psicologi della Toscana ha chiesto invece che sia dichiarata l'infondatezza della questione, o, in subordine, che la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 35 della legge n. 56 del 1989 sia limitata alla parte in cui tale disposizione esclude dal riconoscimento dell'esercizio dell'attività psicoterapeutica coloro che si siano laureati dopo l'entrata in vigore della legge (10 marzo 1989), ma in una sessione dell'anno accademico 1988-1989.

L'Ordine degli psicologi sottolinea la delicatezza dell'attività demandata agli psicoterapeuti e segnala che il legislatore ha voluto assoggettare a particolari cautele e garanzie l'esercizio di questa professione.

I requisiti previsti per l'accesso alla professione di psicoterapeuta, maggiori rispetto a quelli richiesti per la professione di psicologo, si rifletterebbero anche sulla disciplina transitoria, che stabilisce modalità di accesso diverse per le due attività.

La disposizione denunciata condizionerebbe il riconoscimento delle posizioni di chi esercitava l'attività di psicoterapeuta già prima dell'entrata in vigore della legge all'accertamento di requisiti tali da garantire, anche nell'interesse della salute psichica dei cittadini, l'effettiva capacità professionale di chi intenda proseguire nell'esercizio di tale attività, senza essere in possesso del più qualificante dei requisiti posti dall'art. 3 della stessa legge: la frequenza di un corso quadriennale di specializzazione ed il superamento dei relativi esami.

La verifica della ragionevolezza delle norme transitorie dovrebbe essere effettuata in relazione non solo alla precedente situazione, priva di regole, ma anche all'attuale regime, di severa selezione per l'accesso alla professione. Sarebbe, difatti, irragionevole introdurre un regime rigoroso e restrittivo per il futuro, consentendo tuttavia, con norme transitorie assai blande, una sanatoria generalizzata delle posizioni precedenti.

Ad avviso dell'Ordine degli psicologi, non sarebbe irragionevole avere posto il requisito del possesso della laurea da almeno cinque anni, che costituisce elemento di legittima ed oggettiva differenziazione.

La barriera temporale potrebbe ragionevolmente fare riferimento all'anno accademico di laurea, seguendo il ciclo degli studi universitari, piuttosto che ad una data fissa. In tal modo il quinquennio della laurea comprenderebbe il periodo che rientra utilmente nelle sessioni di esame dell'anno accademico preso in considerazione.

3. -- In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, in subordine, infondate.

L'Avvocatura eccepisce anzitutto l'irrilevanza delle questioni, avendo le parti private conseguito la laurea successivamente all'entrata in vigore della legge, sicchè ad esse non sarebbe applicabile il regime transitorio previsto dall'art. 35 della legge n. 56 del 1989, ma quello ordinario stabilito dall'art. 3 della stessa legge.

Nel merito l'Avvocatura ritiene che l'art. 35, comma 1, della legge n. 56 del 1989 non violi i parametri costituzionali indicati nelle ordinanze di rimessione.

Nell'operare il collegamento tra la nuova regolamentazione e la preesistente situazione di fatto, il requisito del conseguimento della laurea da almeno cinque anni non costituirebbe la presunzione di una sufficiente maturazione professionale, ma il limite temporale per assicurare la continuità tra due situazioni diversamente disciplinate.

4. -- Con ordinanza emessa il 13 febbraio 1995 (R.O. n. 242 del 1995) nel corso di un giudizio promosso da un'iscritta all'albo degli psicologi per ottenere l'annullamento del diniego, da parte dell'Ordine, dell'ammissione all'esercizio dell'attività psicoterapeutica, il Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 35 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 35, comma 1, della legge n. 56 del 1989, nella parte in cui, nel prevedere quale requisito per l'esercizio dell'attività psicoterapeutica il possesso del diploma di laurea, esclude i non laureati, sebbene siano stati iscritti all'albo degli psicologi per avere operato per almeno tre anni nelle discipline psicologiche, ottenendo riconoscimenti nel campo specifico a livello nazionale o internazionale (art. 32, lettera d), della stessa legge).

Si prefigurerebbe così un irragionevole divieto di svolgimento dell'attività di psicoterapia per coloro che, in base all'esercizio di tale attività, hanno conseguito l'iscrizione all'albo degli psicologi.

Avere privilegiato il possesso del diploma di laurea, anche in materie che non hanno attinenza con la psicologia e la psicoterapia, lederebbe gli artt. 3 e 35 della Costituzione. Con una norma intrinsecamente irragionevole sarebbero discriminati nell'accesso alla professione di psicoterapeuta i non laureati, che abbiano tuttavia acquisito una sostanziale specifica formazione, esercitando in precedenza tale attività.

5.1. -- Si è costituito in giudizio l'Ordine degli psicologi della Lombardia, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. Il dubbio di legittimità costituzionale sarebbe irrilevante per giudicare la posizione di chi è privo di qualsiasi laurea, se si sostiene l'irragionevolezza di una norma che non limita il titolo di studio alle sole lauree attinenti alla psicologia ed alla psicoterapia.

Nel merito l'Ordine degli psicologi ritiene che non sarebbe irragionevole prescrivere, con la disciplina transitoria, che l'esercizio dell'attività psicoterapeutica sia sorretto da una cultura, quanto meno, di livello universitario. La regola che vuole l'attività di psicoterapia preclusa ai non laureati costituirebbe un principio cardine della legge. Secondo la difesa dell'Ordine, il maggiore rigore rispetto alla psicologia è posto a garanzia dei destinatari dell'attività ed è giustificato dal fatto che la psicoterapia non si arresta alla osservazione ed allo studio della condotta, ma si estende al trattamento dei disturbi, determinando una interazione sul paziente. Potendo realizzare modificazioni della condizione psichica di quest'ultimo, la psicoterapia deve essere esercitata esclusiva mente da chi, in ragione degli studi compiuti e dell'attività svolta, abbia dimostrato di avere raggiunto un elevato livello di affidabilità professionale.

La diversità di attività dello psicologo e dello psicoterapeuta consentirebbe di ritenere non irragionevole che gli iscritti all'albo degli psicologi, se non laureati, non siano ammessi ad esercitare l'attività psicoterapeutica.

5.2. -- Si è costituita anche Annamaria Allegri D'Amico, parte privata nel giudizio principale, sostenendo che all'art. 35 della legge n. 56 del 1989 può essere attribuito un significato conforme a Costituzione e concludendo, altrimenti, per l'accoglimento della questione. La norma denunciata subordinerebbe l'esercizio dell'attività psicoterapeutica al possesso del diploma di laurea da almeno cinque anni solo per gli iscritti all'ordine dei medici e degli odontoiatri, ma non anche per gli iscritti all'ordine degli psicologi sulla base delle altre disposizioni transitorie (artt. 32, 33 e 34 della legge n. 56 del 1989), per le quali il titolo di studio non è condizione sempre necessaria. In questi casi la mancanza della laurea sarebbe compensata dalla specifica formazione e dalla continuità di esercizio professionale, requisiti questi già dimostrati ed accertati dallo stesso ordine all'atto dell'iscrizione all'albo.

La diversa interpretazione porterebbe ad un'irragionevole discriminazione, quanto all'esercizio dell'attività psicoterapeutica, in danno dei non laureati, che abbiano ottenuto l'iscrizione all'albo degli psicologi proprio in forza di un'accertata e documentata esperienza professionale nel campo della psicoterapia, con riconoscimenti nazionali e internazionali. Inoltre si determinerebbe una contraddittorietà nel testo normativo, rivelatrice di un'intrinseca irrazionalità.

Anche la determinazione dei requisiti abilitanti all'esercizio dell'attività psicoterapeutica sarebbe irragionevole. L'art. 35, comma 1, della legge n. 56 del 1989 privilegerebbe, per gli iscritti all'ordine degli psicologi, il possesso di una laurea qualsiasi, anche in materia distante da quella relativa allo specifico settore professionale, e svaluterebbe l'esperienza scientifica e professionale dei non laureati.

Il divieto di continuare a svolgere l'attività psicoterapeutica comprimerebbe il diritto al lavoro di quanti, pur non laureati, sono iscritti all'albo degli psicologi, determinando un contrasto, oltre che con l'art. 35, primo comma, anche con l'art. 4, primo comma, della Costituzione, contrasto che, secondo la difesa della parte privata, può essere prospettato senza che ciò comporti un allargamento della questione di legittimità costituzionale, giacchè l'art. 4 della Costituzione enuncia un principio poi specificato dall'art. 35.

6. -- Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.

L'Avvocatura ritiene che la posizione differenziata degli psicoterapeuti, nell'ambito della categoria degli psicologi, introdotta dal regime ordinario della legge attraverso la previsione per i primi di titoli e requisiti più severi, attesa la particolare delicatezza dell'attività da essi esercitata, non poteva non riflettersi anche sulla disciplina dettata per il periodo transitorio, che richiede, con la laurea da almeno cinque anni, un requisito di approfondimento e maturazione professionale. Non si tratterebbe di una laurea qualsiasi, ma della laurea in psicologia o in medicina, o quanto meno, di una laurea accompagnata dai requisiti richiesti dall'art. 32 della legge n. 56 del 1989 ai fini dell'iscrizione all'albo degli psicologi.

7.1. -- Nel giudizio promosso dal Tribunale di Firenze con la prima delle ordinanze di rimessione hanno depositato memorie, in prossimità dell'udienza, Serena Biagini e l'Associazione unitaria psicologi italiani. La difesa delle parti private afferma che l'art. 35 della legge n. 56 del 1989, imponendo il possesso del diploma di laurea ultraquinquennale, avrebbe scelto requisiti di selezione eterogenei rispetto a quelli previsti dall'art. 3 della stessa legge ed ultronei rispetto alla verifica della necessaria formazione ed esperienza professionale. L'aggravamento recato dalla norma denunciata sarebbe pertanto del tutto estraneo alle finalità della disciplina a regime.

Il riferimento temporale all'anno accademico di conseguimento del diploma, anzichè alla data dell'esame di laurea, non escluderebbe l'irragionevolezza della norma, posto che da ciò non deriverebbe comunque una garanzia o la logica presunzione di un'adeguata preparazione.

7.2. -- Anche l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria, con la quale ribadisce l'eccezione di inammissibilità, dal momento che la ricorrente ha conseguito la laurea in psicologia soltanto dopo l'entrata in vigore della legge n. 56 del 1989 e non ha dimostrato di possedere, a prescindere dalla laurea, gli altri requisiti occorrenti per il riconoscimento dell'attività psicoterapeutica.

8. -- Sempre in prossimità dell'udienza la difesa di Annamaria Allegri D'Amico ha depositato una memoria, riaffermando che l'inciso "laureati da almeno cinque anni" si riferisce ad una laurea in qualsiasi disciplina.

L'ammissione all'albo degli psicologi prevista, nel regime transitorio, dall'art. 32, lettera d), della legge n. 56 del 1989 sarebbe stata prefigurata con specifico riferimento a quanti svolgevano già da tempo attività professionale nel campo psicoanalitico, che è stato caratterizzato da processi di formazione lunghi, rigorosi e selettivi, sviluppati al di fuori del contesto universitario.

Sarebbe contraddittorio tenere conto di questa particolarità ai fini dell'iscrizione all'albo e precludere poi l'attività psicoterapeutica, il cui esercizio pregresso, oggetto di valutazioni di speciale merito, è stato assunto a titolo per l'iscrizione di diritto all'albo degli psicologi.

Considerato in diritto

1. -- Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze, con due ordinanze di analogo contenuto, e dal Tribunale di Milano concernono le norme transitorie della legge 18 febbraio 1989, n. 56, la quale disciplina, con l'ordinamento della professione di psicologo, anche l'esercizio dell'attività psicoterapeutica.

Definita la professione di psicologo (art. 1), che può essere svolta dai laureati in psicologia che abbiano superato l'esame di Stato e siano iscritti nell'albo tenuto dall'ordine professionale (art. 2), contestualmente istituito (art. 5), la legge n. 56 del 1989 riserva l'esercizio dell'attività psicoterapeutica ai soli laureati in medicina e chirurgia o in psicologia che abbiano seguito appositi corsi quadriennali di specializzazione e formazione (art. 3).

Nella prima applicazione della legge sono tuttavia ammessi all'esercizio dell'attività psicoterapeutica gli iscritti all'albo degli psicologi o dei medici "laureati da almeno cinque anni", che siano in possesso di specifici requisiti professionali o scientifici ed abbiano svolto con preminenza e continuità l'attività psicoterapeutica (art. 35).

Tutte le ordinanze considerano il requisito della laurea riferito tanto ai medici che agli psicologi e ritengono che esso costituisca una condizione ulteriore rispetto alla formazione professionale.

Il termine di almeno cinque anni per il possesso della laurea, decorrendo dall'entrata in vigore della nuova disciplina (10 marzo 1989), dipenderebbe, secondo il Tribunale di Firenze, da elementi casuali, quali la data di pubblicazione della legge e l'andamento delle sessioni di laurea nelle università. Il requisito del quinquennio di possesso del titolo di studio sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 35 e 32 della Costituzione, in quanto i laureati da meno di cinque anni potrebbero avere egualmente svolto per oltre un quinquennio attività di psicoterapia, per la quale in precedenza non era richiesta la laurea, e potrebbero avere conseguito la stessa preparazione professionale di chi sia laureato da oltre cinque anni. Nondimeno essi riceverebbero un trattamento ingiustificatamente differenziato, non essendo più ammessi a svolgere attività psicoterapeutica. Inoltre l'impedimento a proseguire nell'esercizio di un'attività legittimamente intrapresa violerebbe il loro diritto al lavoro, mentre sarebbe leso il diritto alla salute dei pazienti, ingiustificatamente costretti ad interrompere una terapia in corso. Il Tribunale di Milano ritiene che la stessa disposizione, ponendo il requisito della laurea, sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, perchè esclude in modo irragionevolmente discriminatorio dall'attività psicoterapeutica coloro che, in base all'art. 32, lettera d), della stessa legge, hanno conseguito l'iscrizione all'albo degli psicologi, in prima applicazione della legge, proprio per aver operato per almeno tre anni nelle discipline psicologiche, acquisendo una specifica e riconosciuta formazione. Viene anche prospettata, indicando quale parametro di raffronto l'art. 35 della Costituzione, la lesione del diritto al lavoro di chi, essendo privo di laurea, non può più svolgere l'attività psicoterapeutica, in precedenza esercitata con adeguati riconoscimenti.

2. -- Le questioni di legittimità costituzionale, riferite, sia pure con prospettazioni diverse, alla stessa disposizione legislativa, sono connesse; i relativi giudizi possono pertanto essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. -- L'eccezione di inammissibilità, proposta dall'Avvocatura dello Stato nei giudizi di legittimità costituzionale promossi dal Tribunale di Firenze e dall'Ordine degli psicologi della Lombardia nel giudizio promosso dal Tribunale di Milano, non può essere accolta. I giudici rimettenti motivano adeguatamente in ordine all'applicabilità della disciplina transitoria prevista dalla legge n. 56 del 1989 ai casi sottoposti al loro giudizio ed alla pregiudizialità della soluzione del dubbio di legittimità costituzionale rispetto alla decisione del processo. Pertanto la motivazione del giudizio di rilevanza e l'ordine di esame delle questioni nel giudizio principale non possono essere oggetto di riesame e sindacato da parte della Corte.

4. -- Nel merito le questioni non sono fondate. Disciplinando per la prima volta l'ordinamento della professione di psicologo, il legislatore ha ritenuto di riservare l'esercizio di tale professione -- caratterizzata dall'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi e le attività di abilitazione- riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico -- ai laureati in questa disciplina i quali, dopo un tirocinio pratico, abbiano superato l'esame di Stato e siano iscritti all'apposito albo professionale.

La stessa legge disciplina, oltre alle attività proprie dello psicologo, anche l'esercizio dell'attività psicoterapeutica, che non si limita allo studio della condotta, ma provvede al trattamento ed alla cura non farmacologica dei disturbi e richiede una specifica ed ulteriore formazione professionale. Questa attività, considerata di più elevata specializzazione, è riservata ai laureati in psicologia o in medicina e chirurgia che abbiano frequentato, presso scuole universitarie di specializzazione o presso istituti riconosciuti, appositi corsi di durata almeno quadriennale, che prevedano una formazione ed un addestramento particolare in psicoterapia.

Per effetto della scelta legislativa l'attività psicoterapeutica non può più essere svolta liberamente da chiunque, ma diviene una professione che può essere esercitata solo da chi sia in possesso di particolari titoli e requisiti. Lo stesso legislatore ha tuttavia previsto una disciplina transitoria che, nella prima applicazione della legge, consente l'iscrizione all'albo degli psicologi con modalità agevolate (artt. 32, 33 e 34) ed ammette, a determinate condizioni, il riconoscimento dell'attività psicoterapeutica già svolta al fine di consentirne la prosecuzione (art. 35).

In pieno parallelismo con la diversa gradazione, nella disciplina a regime, dei requisiti per l'iscrizione all'albo degli psicologi e per l'attività psicoterapeutica, anche le norme transitorie prevedono per l'ammissione all'esercizio dell'attività psicoterapeutica requisiti ulteriori rispetto a quelli occorrenti per la sola iscrizione all'albo degli psicologi. L'attività psicoterapeutica, difatti, disciplinata unitariamente tanto per i medici quanto per gli psicologi, richiede una specifica idoneità professionale, che presuppone, tanto in campo medico che psicologico, una specializzazione ed una qualificazione superiori a quelle richieste per l'esercizio della professione di base.

In questo contesto normativo non è irragionevole avere previsto che per svolgere, o continua re a svolgere, l'attività psicoterapeutica gli psicologi debbano possedere, oltre ai requisiti che legittimano l'iscrizione all'albo nella prima applicazione della legge, anche la laurea conseguita da almeno cinque anni.

Se pure fosse corretta l'interpretazione della disposizione denunciata, secondo la quale il diploma di laurea potrebbe essere stato conseguito anche in discipline diverse da quelle che caratterizzano la professione di psicologo, comunque il titolo di studio sarebbe richiesto non irragionevolmente per attestare un livello culturale superiore, quale base considerata indispensabile per la formazione di un curriculum scientifico e professionale adeguato. Una volta ammessa la necessità della laurea per poter esercitare l'attività psicoterapeutica, non è irragionevole che il titolo di studio preceda la maturazione professionale, derivante dall'attività svolta per un adeguato arco di tempo, tanto più se l'esercizio di essa sostituisce la specializzazione, prevista dalla disciplina a regime, che si consegue solo dopo la laurea, mediante corsi di durata quadriennale.

Posta la distinzione tra le attività consentite allo psicologo e quelle riservate allo psicoterapeuta -- secondo una diversità di prestazioni la cui legittimità non è stata messa in dubbio -- non si può ritenere che determini una discriminazione, o sia irragionevole, che chi è legittimato ad iscriversi all'albo degli psicologi, avendo operato, senza il possesso della laurea, per almeno tre anni nelle discipline psicologiche, non abbia tuttavia titolo per essere ritenuto idoneo anche all'esercizio dell'attività psicoterapeutica, sia pure in precedenza svolta.

5. -- La disposizione denunciata non si pone in contrasto neppure con gli altri parametri di valutazione della legittimità costituzionale indicati dalle ordinanze di rimessione, che non possono essere integrati da altri ad opera delle parti private.

L'art. 35 della Costituzione, tutelando il lavoro in tutte le sue forme, non esclude in alcun modo che il legislatore possa disciplinare una professione, riservando ragionevolmente l'esercizio di una determinata attività a chi sia in possesso di specifici requisiti attitudinali, ritenuti necessari per garantire un adeguato livello di capacità tecnica, tanto più se l'attività consiste nella cura della persona e tocca quindi aspetti inerenti alla tutela del diritto alla salute.

La salvaguardia delle posizioni pregresse è inoltre attuata, nel caso della professione di psicologo e dell'attività psicoterapeutica, dalle norme transitorie della legge n. 56 del 1989, che consentono l'iscrizione agevolata all'albo ed il riconoscimento dell'attività psicoterapeutica per chi possegga i titoli di studio ed i requisiti professionali non irragionevolmente stabiliti dal legislatore.

Non può essere infine ravvisata una lesione del diritto alla salute del paziente che veda interrotto il rapporto con lo psicoterapeuta che non abbia i requisiti di idoneità stabiliti per l'esercizio della professione. Una volta ammesso che questa attività può essere riservata, a garanzia di chi si sottopone a terapia, solo a quanti posseggano determinati requisiti, la carenza degli stessi giustifica l'esclusione dall'attività, anche a tutela di chi è curato da un soggetto privo dei titoli professionali dal legislatore ritenuti necessari.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 1, della legge 18 febbraio 1989, n. 56 (Ordinamento della professione di psicologo), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 35 e 32 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze e dal Tribunale di Milano con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 luglio 1995.