Sentenza n. 408 del 1995

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SENTENZA N. 408

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Campania, riapprovata dal Consiglio regionale il 12 ottobre 1994, avente per oggetto: "Programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale in attuazione della legge 17 febbraio 1992 n. 179", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 29 ottobre 1994, depositato in cancelleria l'8 novembre 1994 ed iscritto al n. 81 del registro ricorsi 1994. Visto l'atto di costituzione della Regione Campania;

udito nell'udienza pubblica dell'11 luglio 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il ricorrente e l'

Avv. Sergio Ferrari per la Regione.

Ritenuto in fatto

1.- Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha promosso, in via principale, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 6, 7, comma 5, 9, 10 e 13 della legge della Regione Campania, riapprovata dal Consiglio regionale il 12 ottobre 1994 a seguito del rinvio governativo, concernente "Programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale in attuazione della legge 17 febbraio 1992 n. 179", assumendo la violazione degli artt. 5, 117 e 128 della Costituzione. La difesa dello Stato ricorda che l'art. 16 della legge n. 179 del 1992 cit. ha introdotto la nuova figura del programma integrato di interventi senza peraltro precisarne (come osservato nella sentenza n. 393 del 1992 di questa Corte, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi da 3 a 7 del ricordato art. 16) le modalità di collegamento con gli altri strumenti tipici di disciplina di settore, soprattutto i piani di coordinamento ed i piani paesistici, oltrechè i piani regolatori generali.

A questo proposito si osserva che la legge regionale in esame all'art. 7, comma 5, prevede appunto che il programma integrato possa risultare non conforme al piano regolatore o al regolamento edilizio; in tal caso esso è trasmesso alla regione, la quale, secondo l'art. 9, può o approvare il programma adottato, o richiedere al comune di apportarvi modifiche (con conseguente approvazione, se il comune vi consenta), o rinviarlo per integrazioni o rielaborazione, o approvarlo con modifiche d'ufficio o non approvarlo. Il successivo art. 10 dispone circa "l'entrata in vigore" del programma integrato, sottoposto alla regione appunto perchè non conforme agli strumenti urbanistici generali (commi 2,3 e 4), gli effetti che il programma integrato produce sui diritti di proprietà immobiliare ovverosia i vincoli anche di carattere espropriativo (commi 5 e 6), la durata decennale di tali effetti (comma 7), che può essere anche ulteriormente procrastinata (commi 8, 9 e 10) perchè addirittura è previsto che i comuni, dotati di programma integrato non attuato o attuato solo parzialmente, debbano rinnovarlo alla scadenza del decennio di efficacia, e ciò anche mediante intervento sostitutivo della regione (commi 9 e 10).

Inoltre, l'art. 10, al comma 12, consente, in sede di realizzazione degli interventi, di disporre "variazioni o modifiche" alle concessioni edilizie, così mutandone la natura giuridica, perchè esse, da atti di controllo della compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici generali, diverrebbero provvedimenti di mere varianti particolari agli strumenti medesimi, sia pure "previa deliberazione del consiglio comunale". L'art. 2, comma 6, poi, consente interventi nelle zone omogenee A (centri storici), con aumenti volumetrici del 5 per cento per imprecisati "nuovi servizi e attrezzature pubblici", e l'art. 13 esclude dal calcolo della volumetria complessiva preesistente "i volumi edificati abusivamente", ma senza prescriverne la demolizione.

Le norme anzidette vengono tutte denunciate in quanto in contrasto con "l'ordine delle competenze tra regione e comune delineato dalla legislazione statale" e "con gli insegnamenti contenuti nella sentenza n. 393 del 1992" di questa Corte che "ha censurato - sebbene anche con riguardo ad altro parametro costituzionale - disposizioni statali, talune delle quali identiche a quelle ora prodotte dalla regione". Nel ricorso si ricorda che le "funzioni della regione e dei comuni sono determinate da leggi generali della Repubblica" ai sensi degli artt. 128 e 5 della Costituzione e che in materia urbanistica, di competenza regionale ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, tali leggi attribuiscono alla regione la funzione di approvare gli strumenti urbanistici di coordinamento e quelli urbanistici generali, diversi cioè da quelli attuativi. Tale attribuzione regionale sarebbe stata poi confermata dall'art. 25 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, che prevede procedure semplificate per l'approvazione di varianti agli strumenti urbanistici generali, ma solo se finalizzate all'adeguamento degli standards.

Viceversa, nel caso del programma integrato disciplinato dalla legge della Regione Campania - che non è qualificabile come mero strumento attuativo, essendo, per l'art. 2, comma 1, di detta legge, "strumento al tempo stesso programmatico e attuativo" - la previsione (art. 2, commi 3 e 4) di una procedura semplificata con compressione dei tempi necessari per l'esame e l'approvazione del nuovo strumento, anche mediante l'istituto del silenzio-approvazione, non sarebbe coerente nè con i parametri invocati nè con "l'interesse anche nazionale" al buon governo del territorio. Ciò non senza considerare che il silenzio-approvazione, da un canto, può essere previsto solo nei casi consentiti dalla legge statale, quando si tratti dell'approvazione di strumenti urbanistici generali e di altre deliberazioni da sottoporsi al controllo preventivo di legittimità di cui all'art. 125, primo comma, della Costituzione, perchè altrimenti detto controllo "diverrebbe eludibile"; e, dall'altro, che esso da semplice rimedio per le disfunzioni non può in ogni caso assurgere a modalità normale di amministrazione, come ad esempio nel rilascio di concessioni edilizie.

Ma soprattutto nel ricorso si sostiene che nessuna norma statale di principio attribuisce al programma integrato, "solo abbozzato" dal citato art. 16 della legge n. 179 del 1992, la potenzialità di variare gli strumenti urbanistici generali o di derogare ai regolamenti edilizi; da cui il contrasto delle norme regionali impugnate con l'art. 117 della Costituzione.

La violazione del medesimo parametro costituzionale sarebbe poi ravvisabile per il fatto che le norme regionali, raffigurando un programma integrato non conforme agli strumenti urbanistici generali ed attribuendo ad esso valenze sulle proprietà fondiarie non consentite dalla legge statale - là dove gli artt. 869 e 871 del codice civile, per la disciplina dei rapporti tra la proprietà fondiaria e la pianificazione urbanistica e le norme di edilizia, prevedono soltanto i piani regolatori e i regolamenti di edilizia e non invece programmi integrati contrastanti con tali strumenti - invaderebbero il campo del diritto privato precluso alla competenza della regione.

Infine alcune previsioni legislative regionali, che impongono ai comuni modifiche di ufficio ad opera della regione (art. 9, comma 4) ovvero tempi molto ristretti per gli adempimenti (art. 9, comma 5) o ancora di adottare un nuovo programma integrato per la parte inattuata del precedente (art. 10, commi 9 e 10), sembrano collidere con gli artt. 5 e 128 della Costituzione, traducendosi in inammissibili compressioni dell'autonomia comunale, che potrebbero divenire ancor più vistose "qualora la regione si rendesse non solo promotrice ma anche protagonista (tramite modifiche d'ufficio) di un'urbanistica gestita attraverso una molteplicità di programmi integrati in deroga agli strumenti urbanistici generali". D'altra parte, si osserva ancora nel ricorso, "parimenti potrebbe divenire non infrequente la compressione dell'esercizio concreto della funzione regionale di approvazione degli strumenti urbanistici generali, qualora più comuni - magari simultaneamente - sottoponessero alla regione voluminosi programmi integrati non esaminabili nel ristretto tempo previsto dall'art. 9, comma 1, della delibera legislativa" (120 giorni).

Nel ricorso le censure vengono poi ulteriormente precisate con riferimento alle singole norme; così l'art. 9, sembrando consentire senza alcun limite modifiche di ufficio ad opera della regione (comma 4), e imponendo al Comune, in caso di restituzione del programma, di provvedere entro 120 giorni, pena la decadenza dell'atto (comma 5) ovvero di adottare un nuovo programma integrato relativo alla parte inattuata, in tal modo deresponsabilizzando gli eventuali promotori privati interessati e protraendo indefinitivamente i vincoli ivi previsti, violerebbe gli artt. 128 e 117 della Costituzione. Ancora, l'art. 10 conterrebbe disposizioni affette di riflesso da illegittimità costituzionale (commi 2,3 e 4) e consentirebbe che il programma integrato diventi, se mal gestito, un mezzo nelle mani di "interessi forti" contro le proprietà minori (commi 5 e 6), prevedendo che il nuovo strumento possa essere non conforme agli atti di programmazione urbanistica generale e ai regolamenti edilizi. Inoltre lo stesso art. 10, disattendendo gli insegnamenti desumibili dalla sentenza n. 393 del 1992 di questa Corte, provocherebbe un' inammissibile lacerazione tra programmazione territoriale e legittimazione all'esecuzione dell'opera e, prevedendo tolleranze quantitative nell'edificabilità, discriminerebbe coloro cui siano rilasciate semplici concessioni edilizie rispetto ai soggetti operanti nell'ambito di un programma integrato che sarebbero favoriti senza alcuna giustificazione.

Parimenti l'art. 2, comma 6, che legittima interventi nei centri storici con aumenti della volumetria complessiva dell'ambito urbano coinvolto, esulerebbe dalla sfera di competenza regionale, non sussistendo nessuna norma statale che consenta di adottare tali disposizioni.

Infine, l'art, 13, traducendosi in un premio all'abusivismo, così come il comma 5 dell'art. 16 della legge n. 179 del 1992 (già dichiarato incostituzionale), dovrebbe subire la stessa sorte.

2.- Si è costituita in giudizio la Regione Campania, la quale in via preliminare ha ricordato che i commi 1 e 2 dell'art. 16 della legge n. 179 del 1992, rimasti indenni dalla pronuncia della Corte (sent. n. 393 del 1992 cit.), assegnano ai programmi integrati di intervento finalità molteplici di riqualificazione del territorio, attribuendo loro le caratteristiche sia dei piani di recupero, sia dei piani particolareggiati, sia di quelli di lottizzazione, in una visione di sintesi di più strumenti urbanistici che trova sempre il suo presupposto nel piano regolatore generale comunale, pur se è consentito di apportarvi modifiche e varianti. Per la sua natura di strumento urbanistico, di valenza programmatica e attuativa ad un tempo, il programma integrato di interventi, da una parte, può prevedere l'insieme delle misure per il riassetto urbanistico, edilizio e ambientale e, dall'altra, necessita per la sua attuazione solo di concessioni o autorizzazioni edilizie (cioè di atti di controllo svincolati da valutazione discrezionale); ad esso sono quindi applicabili sia la norma di principio di cui all'art. 25 della legge n. 47 del 1985, che prevede procedure semplificate per l'approvazione di strumenti attuativi in variante degli strumenti urbanistici generali, sia le disposizioni concernenti i piani particolareggiati di cui all'art. 17 della legge n. 1150 del 1942, ivi compreso il potere sostitutivo regionale in caso di inerzia del comune.

Con riguardo alle singole censure, se ne contesta la fondatezza ed in particolare:

a) per quelle relative all'art. 7, comma 5, vale la richiamata norma di principio dell'art. 25 della legge n. 47 del 1985 che impone alle regioni di introdurre procedure semplificate nonchè la norma dell'art. 17 della legge urbanistica relativa ai piani particolareggiati (potere sostitutivo in caso di inerzia del comune);

b) per quella relativa ai vari commi dell'art. 10, l'infondatezza discende come diretta conseguenza dagli stessi motivi di cui sopra;

c) quanto al comma 6 dell'art. 2, circa la tolleranza del 5 per cento di un'ulteriore volumetria nei centri storici, la norma è funzionale alla sola realizzazione di nuovi servizi e attrezzature pubbliche e si giustifica con il ruolo attribuito alla regione per lo sviluppo del territorio;

d) quanto all'art. 13, la norma si limita ad escludere dall'ampliamento i volumi abusivi, richiamando per il resto la legge n. 47 del 1985;

e) l'art. 10, comma 12, infine prevede che il titolo abilitativo sia rilasciato formalmente dal Sindaco, ma previa delibera del consiglio comunale in caso di variante o modifica dello stesso; il che consente di superare la censura.

In conclusione nessuna compressione delle competenze comunali deriverebbe dalle norme impugnate che appaiono, al contrario, rispettose e coerenti con gli insegnamenti della sentenza n. 393 del 1992.

Considerato in diritto

1.- È impugnata in via principale dal Presidente del Consiglio dei ministri la legge della Regione Campania, che - in attuazione dell'art. 16 della legge n. 179 del 1992 (norma dichiarata incostituzionale, in molti dei suoi commi, con la sentenza n. 393 del 1992 di questa Corte) disciplina il programma integrato di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, strumento urbanistico polifunzionale di carattere, a un tempo, programmatico ed attuativo. Si sostiene in generale nel ricorso che la legge regionale contrasterebbe con "l'ordine delle competenze tra regione e comune delineato dalla legislazione statale" e con "gli insegnamenti contenuti nella sentenza n. 393 del 1992" di questa Corte.

In particolare le censure che, pur prospettate in modo disarticolato, possono enuclearsi dal tenore dell'atto di impugnazione sono le seguenti e per i profili di seguito indicati:

a) l'art. 7, comma 5, prevedendo che il programma integrato possa essere non conforme agli strumenti urbanistici generali, in quanto variante al piano regolatore o deroga al regolamento edilizio, esulerebbe dall'ambito delle competenze regionali, perchè nessuna "legge generale della Repubblica" nè alcun "principio" della legislazione dello Stato attribuisce al programma integrato la potenzialità di variare gli strumenti urbanistici generali;

b) lo stesso art. 7, comma 5, attribuendo al programma integrato "non conforme" la possibilità di incidere sulle proprietà fondiarie, con i vincoli di un piano regolatore o con le espropriazioni, invaderebbe il "campo del diritto privato", precluso alla disciplina regionale (art. 117 della Costituzione), dal momento che gli artt. 869 e 871 del codice civile, che regolano i rapporti tra proprietà fondiarie, da un canto, e strumenti di pianificazione urbanistica ed edilizia, dall'altro, prevedono soltanto i piani regolatori ed i regolamenti edilizi e non anche altri strumenti non conformi ad essi;

c) l'art. 9, comma 1, prevedendo il silenzio- approvazione della regione nel procedimento di esame e di definizione del programma integrato "non conforme", violerebbe gli artt. 5, 117 e 128 della Costituzione in mancanza di un principio del genere nelle leggi dello Stato e non potendo detto istituto "assurgere, da semplice rimedio contro disfuzioni, a modalità normale di amministrazione, specie per le funzioni di maggior rilievo politico- amministrativo";

d) l'art. 9, comma 4, comportando, per la genericità della sua formulazione, la possibilità per la regione sia di farsi promotrice del programma, sia - quando le sia inviato, per l'approvazione, il programma "non conforme" - di introdurvi modifiche d'ufficio, e l'art. 9, comma 5, imponendo al comune, nel caso di restituzione, da parte della regione, del programma "per integrazione o per rielaborazione", di provvedervi entro 120 giorni dalla restituzione degli atti, pena la "decadenza" del programma integrato medesimo, comprimerebbero le competenze comunali in violazione dell'art. 128 della Costituzione e dei "principi" di cui all'art. 117 della Costituzione;

e) l'art. 10, commi 2, 3 e 4, sarebbe "di riflesso affetto da illegittimità costituzionale", in quanto disciplinerebbe l'efficacia del programma integrato, con compressione delle competenze comunali e la violazione dell'art. 117 della Costituzione;

f) l'art. 10, commi 5 e 6, per la parte in cui si riferisce al programma integrato "non conforme", sarebbe parimenti incostituzionale per i riflessi sulla "salvaguardia" delle proprietà fondiarie, potendo il programma, se mal gestito, divenire "un mezzo nelle mani di interessi forti contro le proprietà minori"; g) l'art. 10, commi 9 e 10, obbligando il comune ad adottare un nuovo programma integrato per la "parte inattuata" del precedente, violerebbe l'art. 128 della Costituzione ed i "principi" di cui all'art. 117 della Costituzione, perchè comprimerebbe l'autonomia comunale ed inoltre avrebbe l'effetto sia di "de- responsabilizzare gli eventuali promotori [del programma]", sia di protrarre indefinitamente i vincoli sulle proprietà individuali, anche di carattere espropriativo;

h) l'art. 10, comma 12, consentendo un "mutamento della natura della concessione edilizia, da atto del Sindaco di controllo sulla coerenza dei progetti agli strumenti urbanistici" ad atto che dispone varianti particolari a detti strumenti, comporterebbe la "lacerazione del principio di distinzione tra programmazione territoriale... e legittimazione all'esecuzione dell'opera", secondo gli insegnamenti contenuti nella sentenza n. 393 del 1992 di questa Corte;

i) l'art. 2, comma 6, violerebbe l'art. 117 della Costituzione, perchè nessuna legge o principio statale consente al programma integrato di legittimare interventi nei centri urbani ed aumenti della volumetria complessiva dell'ambito urbano coinvolto, per di più senza una precisa definizione della nozione di "nuovi servizi ed attrezzature pubblici", cui sarebbero destinati i volumi aggiuntivi;

l) l'art. 13 introdurrebbe un ulteriore elemento di irragionevolezza e si tradurrebbe in un premio all'abusivismo, perchè, prevedendo che i volumi abusivi "non sono computabili" nella nuova volumetria consentita, senza però disporne la previa demolizione, consentirebbe che la parte abusiva si aggiunga a quanto edificato legittimamente e sia perciò commerciabile con maggior profitto.

2.1.- Precede in ordine logico il motivo con il quale si censura, in riferimento agli articoli 5, 117 e 128 della Costituzione, l'art. 7, comma 5, della legge della Regione Campania, il quale prevede che il programma integrato possa risultare non "conforme con il piano regolatore generale vigente o con il regolamento edilizio" e che, in tal caso, esso venga trasmesso alla regione per l'approvazione. L'eventualità che il nuovo programma non sia conforme agli strumenti urbanistici generali tradizionali è ritenuta dal ricorrente in contrasto con i principi generali contenuti nelle leggi dello Stato che regolano la materia e che impedirebbero al programma integrato di assumere la potenzialità di variare quegli strumenti ovvero di derogare ai regolamenti edilizi.

La censura non è fondata.

Al riguardo va ricordato che questa Corte, con la sentenza n. 393 del 1992 - che, su ricorso di alcune regioni, ha esaminato la questione di costituzionalità dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, il quale aggiunge alla tipologia degli strumenti urbanistici vigenti quello nuovo dei programmi integrati - non ha ritenuto illegittima la previsione di questo nuovo strumento con riferimento alle specifiche finalità che esso deve prefiggersi, secondo le esplicite previsioni contenute nei commi 1 e 2 della norma statale menzionata.

Detta sentenza ha difatti limitato la dichiarazione di illegittimità costituzionale soltanto ad alcuni commi (dal terzo al settimo) dell'art. 16 della legge predetta in relazione alle censure proposte dalle regioni, che avevano investito tali disposizioni in quanto non rispettose delle competenze regionali in materia urbanistica. Ed è in questa logica che vanno lette le affermazioni della sentenza stessa, per cui non può essere condiviso il rilievo, contenuto nel ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della legge della Regione Campania, con il quale sembra sostenersi che, a seguito della dichiarazione di in costituzionalità di alcune parti della legge dello Stato, queste ultime non potrebbero più riprodursi neppure in una legge regionale. La regione, invece, proprio come naturale svolgimento di quella sentenza, è in grado di emanare norme, nell'esercizio delle attribuzioni che le spettano, per disciplinare quegli ambiti esclusi da detta sentenza dalla competenza dello Stato. Una volta, perciò, che il programma integrato è contemplato dalla legge dello Stato nella tipologia della pianificazione urbanistica (dato che la dichiarazione di illegittimità costituzionale non concerne i commi 1 e 2 dell'art. 16 della legge dello Stato n. 179 del 1992 che espressamente lo prevedono) ben può la regione completarne la disciplina osservando (art. 117, primo comma, della Costituzione) i principi fondamentali delle leggi dello Stato, tra i quali non si rinviene, come sembra sostenere il ricorrente, quello che impedisce a strumenti urbanistici, diversi da quelli disciplinati dalla legge n. 1150 del 1942, di innovare a questi ultimi. Ciò specie quando avvenga in vista delle specifiche finalità: "riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale", cui il nuovo strumento è preordinato. Anzi dal complesso della legislazione statale vigente si desume proprio l'esistenza del principio opposto, perchè varie leggi dello Stato prevedono appunto la possibilità che strumenti urbanistici di settore, funzionalmente finalizzati, si discostino dalle previsioni dei piani e programmi generali precedenti in vista delle specifiche finalità che i primi devono perseguire. In proposito vanno ricordate le ipotesi considerate nell' art. 3, quarto comma, della legge 18 aprile 1962, n. 167, relativamente ai piani per l'edilizia economica e popolare, nell'art. 51, sesto comma, del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, recante il testo unico delle leggi per gli interventi nel Mezzogiorno, per i piani delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale, nell'art. 25, primo comma, lettera a), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che prevede procedure semplificate per l'approvazione di strumenti attuativi in variante agli strumenti urbanistici generali, nell'art. 2, comma 3, del decreto-legge 1 aprile 1989, n.121, convertito, con modificazioni, nella legge 29 maggio 1989, n. 205, relativamente ai progetti esecutivi connessi allo svolgimento dei campionati mondiali di calcio del 1990.

La legge regionale impugnata deve dunque, sotto questo profilo, ritenersi rispettosa dei principi fondamentali posti dallo Stato, perchè l'art. 2, comma 1 - in armonia con il comma 1, tuttora vigente, dell'art. 16 cit. della legge n. 179 del 1992, il quale assegna al programma integrato una pluralità di funzioni - attribuisce a detto strumento valenza programmatica ed attuativa ad un tempo, "anche in variante al piano regolatore generale, ai piani attuativi ed ai regolamenti edilizi vigenti, ai soli fini della riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale del tessuto urbano compreso nel suo perimetro" (art. 2, comma 8).

2.2.- La possibilità di una non conformità del programma integrato e di varianti da esso apportate agli strumenti urbanistici preesistenti in vista delle specifiche finalità perseguite dal nuovo strumento non viola, quindi, sotto i profili fino ad ora considerati, i limiti della competenza regionale quali delineati negli articoli 5, 117 e 128 della Costituzione, assunti a parametri di riferimento della questione.

Per quel che concerne specificamente il riferimento agli artt. 5 e 128 della Costituzione, non si ravvisa nella legge regionale in esame il contrasto con le competenze statali in tema di attribuzioni degli enti infraregionali, perchè, una volta riconosciuto alle regioni il ruolo di centralità che esse vengono ad assumere nel sistema delle autonomie locali (sent. n. 343 del 1991), in particolare mediante la pianificazione e la programmazione territoriale, ed una volta che il nuovo strumento è previsto da una legge dello Stato come un tipo uniforme di intervento nel territorio (sent. n. 393 del 1992 cit., par. 3), lo stabilire in concreto i procedimenti per la sua formazione - in relazione alle finalità che quei programmi devono attuare e fatti salvi i principi fondamentali, ai sensi del primo comma dell'art. 117 della Costituzione - spetta alla legge regionale, che risulterebbe, altrimenti, svuotata di ogni significato.

D'altronde va considerato che nella legge regionale impugnata è previsto (artt. 7, commi 1 e 2, 8, 9 e 10, comma 11) che il programma integrato, che comporti varianti o che sia comunque non conforme agli strumenti urbanistici preesistenti, debba essere sottoposto alla approvazione della regione e che nel procedimento relativo confluiscano tutti gli interessi che a suo tempo sono stati presi in considerazione ai fini della adozione degli strumenti urbanistici dai quali il programma si discosti, essendo stabilito l'intervento degli organi che partecipano al procedimento per l'approvazione dei piani territoriali tradizionali.

3.- Neppure può essere condivisa la tesi di un'asserita violazione dell'art. 117 della Costituzione ad opera dell'art. 7, comma 5, cit., per lesione, da parte della regione, del rispetto "del campo del diritto privato", perchè gli artt. 869 e 871 del codice civile consentirebbero l'imposizione sulle proprietà fondiarie dei soli vincoli posti dai piani regolatori generali e dai regolamenti edilizi. È di tutta evidenza che il riferimento codicistico a tali strumenti è meramente indicativo e non ancorato ad una precisa tipologia, come testimonia la legislazione vigente che ha introdotto una serie ulteriore di strumenti, ai quali, come ora ai programmi integrati, è data la possibilità di modificare i piani e programmi urbanistici preesistenti con la stessa potenzialità di questi.

Una volta, perciò, che la legge dello Stato ha aggiunto alla tipologia preesistente i programmi integrati di riqualificazione ed una volta che la regione, osservati i principi fondamentali delle leggi dello Stato, li abbia disciplinati nell'ambito delle proprie competenze, risulta rispettato dalla legge regionale l'ambito del diritto privato riservato alla competenza statale.

4.- Quanto all'ulteriore profilo, evidenziato nel ricorso, di "compressione" delle autonomie comunali ad opera della legge regionale (art. 9, commi 4 e 5, e, "di riflesso", art. 10, commi 2, 3 e 4), "qualora la regione si rendesse non solo promotrice ma anche protagonista (tramite modifiche d'ufficio) di una urbanistica gestita attraverso una molteplicità di programmi integrati in deroga agli strumenti urbanistici generali", va osservato che, a parte la genericità del rilievo, esso muove da un presupposto inesistente, perchè la legge regionale impugnata non prevede una possibile sovrapposizione della regione al comune nè quanto al momento dell'iniziativa, nè in sede di approvazione mediante l'introduzione di modifiche di ufficio.

Difatti sia che l'iniziativa dei programmi integrati promani direttamente dal comune, sia che essa venga proposta da "soggetti pubblici e privati, singoli o riuniti in consorzio o associati tra loro" (art. 2, comma 3), spetta pur sempre solo al comune l'avvio del procedimento di formazione del programma nonchè l'adozione delle determinazioni definitive, potendo la regione in sede di approvazione soltanto esprimere "eventuali osservazioni formulate ai sensi dell'art. 24, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47" quando il programma integrato sia conforme alle previsioni urbanistiche generali preesistenti (art. 8), ovvero approvare quello non conforme (art. 9), ma sempre previo il coinvolgimento degli organi comunali.

Parimenti la legge regionale impugnata non prevede, come invece asserisce il ricorrente, che in sede di approvazione del programma da parte della regione, quest'ultima possa introdurre modifiche di ufficio. Una siffatta potestà non può desumersi, in particolare, dall'art. 9, comma 4, cui sembra riferirsi il ricorrente, perchè questa disposizione non contiene neppure implicitamente la previsione asserita. Il sistema è tale da consentire alla regione solo di negare l'approvazione ove il comune non aderisca alle modifiche proposte. Un potere, questo, che è connaturato alle funzioni proprie di un soggetto pubblico cui sia demandato di approvare atti di competenza di un altro, salva la possibilità per il soggetto controllato di esperire il sindacato giurisdizionale di legittimità ove ritenga illegittimo il diniego di approvazione.

6.- Non è neppure fondato il profilo, riferito all'art. 10, commi 5 e 6, secondo cui il programma integrato non conforme agli strumenti urbanistici preesistenti sarebbe incostituzionale per i riflessi sulla "salvaguardia" della proprietà fondiaria, potendo esso, se mal gestito, divenire "un mezzo nelle mani di interessi forti contro le proprietà minori". Al riguardo si deve osservare che se con la censura si intende paventare il rischio che, in sede di formazione del programma, possa pervenirsi a favoritismi rispetto ad alcuni proprietari da esso interessati a danno di altri, tale rischio è implicito in ogni tipo di pianificazione territoriale. Ma a ciò pone rimedio l'ordinamento sia vincolando all'osservanza di determinate regole di procedimento, all'uopo dovendosi fare sempre riferimento ai principi generali in tema di procedi mento amministrativo, sia con la possibilità di assoggettamento delle determinazioni definitive al sindacato giurisdizionale. Una sede, questa, ove è possibile verificare se siano state osservate le regole del procedimento nonchè, sotto il profilo dell'eccesso di potere, se le scelte del programma, che comportino sacrifici per alcuni e vantaggi per altri, risultino ragionevolmente bilanciate e so stanzialmente rispettose del principio di imparzialità, nonchè rispondenti a criteri di logicità in ragione del pubblico interesse da perseguire.

7.- Infondata, perchè muove da un presupposto interpretativo errato, è anche la censura riferita all'art. 10, comma 12, della legge regionale. Questa disposizione prevede non già, come si asserisce, la possibilità di rilascio della concessione edilizia o di modifiche a preesistenti concessioni in difformità dagli strumenti urbanistici, in modo tale da potersi configurare come varianti di questi, bensì detta le condizioni, in presenza delle quali, concessioni già rilasciate possano essere variate durante la vigenza del programma integrato. Più specificamente la disposizione in esame, lungi dal configurare, come sostiene il ricorrente, un "mutamento della natura della concessione edilizia, da atto del Sindaco... di controllo sulla coerenza dei progetti agli strumenti urbanistici ad atto disponente, previa deliberazione del consiglio comunale, varianti particolari [agli strumenti urbanistici]" e lungi dal comportare una "lacerazione del principio di distinzione tra programmazione territoriale... e legittimazione all'esecuzione dell'opera", subordina le modifiche alle concessioni già rilasciate nelle aree considerate dal programma integrato, oltre che ad una procedura rinforzata rappresentata dalla "previa deliberazione del consiglio comunale" (art. 10, comma 12), anche al verificarsi di specifiche condizioni, che solo per arbitraria illazione del ricorrente si ritiene non debbano sussistere "congiuntamente", là dove il contesto e la formulazione della disposizione denunciata non possono che condurre alla conclusione opposta.

In definitiva, si ripete, la norma denunciata non attribuisce al comune la possibilità di rilasciare o modificare concessioni edilizie in difformità dagli strumenti urbanistici, ivi compreso il programma integrato. Essa difatti - pur essendo, in base alle norme statali vigenti, già prevista la possibilità di variazioni successive a concessioni già rilasciate seguendo la stessa procedura occorsa per il rilascio - ha voluto soltanto, nel caso di concessioni già rilasciate, siano esse anteriori o successive all'approvazione del programma integrato, ancorare la potestà comunale di modifica alla sussistenza di condizioni e ad un procedimento arricchito dalla delibera del consiglio comunale, il che toglie ogni significato alla censura.

8.- Prive di fondamento sono anche le censure rivolte all'art. 2, comma 6, della legge regionale, nell'assunto che esso "consente interventi nelle zone omogenee A (ossia sui centri storici)... in misura non superiore al 5 per cento ... senza una precisa delimitazione della nozione... di 'nuovi servizi ed attrezzature pubblici e con ormai anacronistica restrizione della salvaguardia ai singoli edifici". Mentre, data la sua formulazione, non è possibile comprendere appieno il significato di quest'ultimo rilievo, va osservato - anche in relazione all'ulteriore profilo secondo cui "nessuna legge generale o principio consente di affidare al programma integrato la idoneità a legittimare interventi sui centri storici e aumenti della volumetrie complessiva dell'ambito urbano coinvolto" - che è proprio il riferimento ai servizi e alle attrezzature pubbliche ad escludere la violazione dei principi che regolano la materia. Infatti, potendosi provvedere, con il programma integrato, anche al recupero dei centri storici, non è irragionevole che la legge regionale consenta tale limitata eccedenza rispetto alla volumetria complessiva preesistente, come si è visto, con destinazione vincolata ad usi pubblici, in connessione con le finalità del nuovo strumento urbanistico.

9.- È poi sempre in relazione a questa possibile eccedenza che va letto l'art. 13, oggetto di ulteriore censura, il quale prevede che nel calcolo della volumetria complessiva preesistente nell'intero ambito del programma non siano computabili i volumi "abusivi". Quest'ultima disposizione non costituisce di certo, come invece arbitrariamente si asserisce nel ricorso, un premio all'abusivismo, ma vuole limitare il calcolo dell'eccedenza a ciò che è stato costruito legittimamente, mostrando così un chiaro disfavore per quanto abusivamente edificato. Nè, ai fini per cui la norma è stata concepita, sarebbe occorso, come si sostiene, prevedere espressamente la previa demolizione di quei volumi, perchè questa previsione riguarda l'ambito di una diversa disciplina autonomamente operante e di cui ovviamente la legge regionale sul programma integrato non deve occuparsi.

Nemmeno il problema delle volumetrie preesistenti potrebbe assumere qualche rilevanza se considerato in relazione al comma 7 dell'art. 2, perchè tale norma prevede soltanto un rapporto costante tra edifici da riservare a residenza abitativa o ad altro, ovverosia alle varie destinazioni ivi considerate.

È evidente che, se in virtù delle norme statali vigenti, aventi carattere generale ed applicazione uniforme, dovesse avvenire la "sanatoria" di edifici abusivi, la indicata proporzione non potrebbe non tener conto delle volumetrie sanate, senza che ciò possa configurare un vizio di legittimità costituzionale della previsione legislativa regionale attuativa di quella statale. A tale fine è significativa la previsione dell'art. 2, comma 5, secondo periodo, della legge regionale, secondo cui "il programma integrato... si applica in presenza di insediamenti abusivi, recuperabili ai sensi dell'art. 29 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, limitatamente alla realizzazione delle opere primarie e secondarie e delle strutture di servizio necessarie per il recupero urbanistico ambientale degli insediamenti stessi".

10.1.- Fondata è invece, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, la censura concernente l'art. 9, comma 1, della legge regionale impugnata, nella parte in cui prevede che, nel caso dell'inutile decorso del termine di centoventi giorni concesso alla regione per l'approvazione del programma integrato non conforme, questo si considera approvato.

Il problema della possibilità del silenzio-assenso in sede di approvazione di questo strumento urbanistico è stato già negativamente risolto dalla menzionata sentenza n. 393 del 1992 di questa Corte che ha dichiarato incostituzionale, anche in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, la previsione di esso contenuta nel comma 4 dell'art. 16 della legge n. 179 del 1992, più volte richiamato.

La decisione della Corte ha rimarcato " l'irrazionalità e il contrasto della normativa... con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, considerata anche la... mancanza del diversificato contributo degli organi ed uffici competenti in base alle norme generali".

È implicito nella decisione della Corte che il silenzio-assenso e comunque i tempi tecnici assegnati alla regione impediscono un esame puntuale e dettagliato del programma, che, tra l'altro, è sottoposto alla sua approvazione proprio e soltanto se in variante agli strumenti urbanistici. In base al sistema - è questo il significato sotteso alla richiamata sentenza n. 393 del 1992 - la previsione del silenzio-assenso può ritenersi ammissibile in riferimento ad attività amministrative nelle quali sia pressochè assente il tasso di discrezionalità, mentre la trasposizione di tale modello nei procedimenti ad elevata discrezionalità, primi tra tutti quelli della pianificazione e programmazione territoriale, finisce per incidere sull'essenza stessa della competenza regionale.

Il venir meno nella normativa statale della previsione del silenzio-assenso per effetto di detta sentenza e le implicazioni che possono desumersi da essa denotano attualmente l'esistenza nella legge statale, specifica per la materia, di un principio fondamentale opposto, che ritiene indispensabile una valutazione esplicita da parte degli organi regionali nei procedimenti che necessitano del "diversificato contributo degli organi e uffici competenti" (sent. n. 393 del 1992) coinvolti nella procedura.

Nè può giustificare la norma regionale impugnata la previsione di carattere generale, contenuta nell'art. 25, comma 2, della legge n. 47 del 1985, che consente forme di silenzio- assenso nell'approvazione, con procedure semplificate, di varianti agli strumenti urbanistici generali. Difatti - indipendentemente dalla considerazione che la previsione legislativa di cui sopra è riferita agli "strumenti attuativi in variante agli strumenti urbanistici generali" ovvero a "varianti...finalizzate all'adeguamento degli standard urbanistici" e quindi ad un ambito ben individuato di provvedimenti di carattere attuativo di previsioni urbanistiche generali preesistenti e non invece a provvedimenti programmatori con elevato tasso di discrezionalità - ciò che rileva ai fini della soluzione della questione proposta, è che questa Corte, con la citata sentenza n. 393 del 1992, ha già ritenuto detto istituto inapplicabile ai programmi integrati. Relativamente a questi ultimi, pertanto, in sede di legislazione regionale non possono che valere i principi fondamentali riguardanti specificamente quello strumento, come desumibili dalla sentenza di questa Corte.

10.2.- La legge regionale impugnata, nella parte in cui prevede la forma del silenzio- assenso ai fini dell'approvazione regionale dei programmi integrati difformi dagli strumenti urbanistici generali, viola pertanto, come denunziato dal ricorrente, l'art. 117 della Costituzione, per inosservanza del principio fondamentale ricavabile dalla legislazione dello Stato dopo l'intervento della Corte. La previsione censurata neppure potrebbe ritenersi giustificata dall'esigenza di superare l'inerzia della regione che dovesse protrarsi oltre ragionevoli tempi tecnici: in questo caso rimarrebbe pur sempre al comune di adire la sede giurisdizionale competente per rimuovere l'inerzia ingiustificata e di sollecitare i poteri sostitutivi del giudice qualora essa persista pur dopo il giudicato che ne dichiari l'illegittimità.

11.- Fondata è, altresì, la censura rivolta all'art. 10, commi 9 e 10, della legge regionale, nella parte in cui - obbligando i comuni ad adottare, alla scadenza del decennio di efficacia del programma integrato, un nuovo programma relativo alla parte inattuata del precedente ed all'uopo introducendo il potere sostitutivo della regione in caso di inerzia del comune - consente in via di principio, come rilevato nel ricorso, di protrarre indefinitamente i vincoli derivanti dall'originario programma.

Questa previsione dettata a regime viola appunto il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui i vincoli urbanistici debbono avere una durata certa (sentt. nn. 6 del 1966, 55 del 1968, 82 e 92 del 1982, 575 del 1989).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale: a) dell'art.9, comma 1, della legge della Regione Campania, riapprovata il 12 ottobre 1994, concernente "Programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale in attuazione della legge 17 febbraio 1992 n. 179", nella parte in cui prevede il silenzio-assenso ai fini dell'approvazione regionale dei programmi integrati difformi dagli strumenti urbanistici generali; b) dell'art. 10, commi 9 e 10, della medesima legge regionale, nella parte in cui consente, alla scadenza del decennio di efficacia del programma integrato, di protrarre indefinitamente i vin- derivanti dalla parte inattuata di esso;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 6, 7, comma 5, 9, commi 4 e 5, 10, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 12, e 13 della medesima legge regionale, sollevate, in riferimento agli articoli 5, 117 e 128 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 luglio 1995.