Sentenza n. 391 del 1995

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SENTENZA N. 391

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, di conversione del decreto- legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 9 dicembre 1994 dalla Corte d'appello di Torino nel procedimento civile vertente tra Re Gian Carlo ed altri e il Comune di Valenza, iscritta al n. 105 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 giugno 1995 il Giudice relatore Enzo Cheli.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso del giudizio civile instaurato da Gian Carlo, Pier Giorgio e Carlo Re nei confronti del Comune di Valenza, concernente la determinazione dell'indennità di espropriazione relativa ad un'area di loro proprietà, la Corte d'appello di Torino, con ordinanza del 9 dicembre 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 72 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, di conversione del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, recante "Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica", dal momento che tale articolo sarebbe stato approvato secondo una procedura costituzionalmente non corretta.

Il giudice a quo premette nell'ordinanza che la norma impugnata che disciplina in via transitoria la determinazione dell'indennità di espropriazione per le aree fabbricabili - non era stata inserita nel testo articolato del decreto-legge n. 333 del 1992, ma introdotta ex novo dalla legge di conversione e, pertanto, non sottoposta alla valutazione preventiva concernente la sussistenza dei requisiti della necessità e dell'urgenza. Inoltre, sempre secondo il giudice remittente, la norma medesima non si configurerebbe come una semplice modifica delle norme contenute nel decreto- legge n. 333, dal momento che questo prevede prevalentemente disposizioni di natura tributaria.

Nell'ordinanza si espone, quindi, che nel caso di specie risulterebbe violato il procedimento di approvazione delle leggi, essendo stata introdotta, nella fase di conversione di un decreto-legge, una disposizione estranea all'oggetto del decreto e sulla cui necessità e urgenza non vi è stata alcuna valutazione da parte delle Camere.

Il giudice a quo osserva anche che il Governo aveva posto la fiducia sul testo emendato del decreto-legge n. 333, per cui le Camere hanno votato esclusivamente l'articolo unico del disegno di legge di conversione, senza avere alcuna concreta possibilità di discutere la norma introdotta dall'art. 5- bis impugnato.

Tale norma risulterebbe, pertanto, approvata in violazione degli artt. 72 e 77 della Costituzione.

2.- Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o infondata. Preliminarmente, l'Avvocatura osserva che l'ordinanza di rimessione non contiene alcun riferimento alla natura edificatoria del terreno espropriato, e, di conseguenza, all'applicabilità nel giudizio a quo della disposizione impugnata. Sotto questo profilo si richiede che la questione sia dichiarata inammissibile.

Passando all'esame della censura riferita all'art. 77 della Costituzione, nella memoria si espone che i presupposti di necessità e urgenza richiesti da tale norma sono rivolti a condizionare l'eccezionale potere normativo del Governo, che si esprime con l'adozione dei decreti-legge, ma non riguardano le disposizioni approvate con legge dalle Camere, dal momento che la funzione legislativa può esplicarsi liberamente, senza sottostare ad uno scrutinio preliminare. Secondo l'Avvocatura, la verifica preventiva dei requisiti di necessità e urgenza non ha ragion d'essere rispetto a una norma, quale quella impugnata, non adottata dal Governo ma aggiunta in Commissione durante la fase di conversione di un decreto-legge.

Quanto alla pretesa disomogeneità dell'art. 5-bis con la materia del decreto-legge, l'Avvocatura osserva che un principio di omogeneità si trova stabilito nell'art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988 e quindi in una legge ordinaria - solo in relazione al contenuto dei decreti-legge, e non anche alla legge di conversione. Inoltre, si afferma che tale principio è bilanciato dalle prassi imposte dall'ampiezza dei settori nei quali interviene la legislazione e dal loro intersecarsi, e che non esiste alcun precetto costituzionale dal quale derivi un limite oggettivo all'esercizio del potere legislativo delle Camere in sede di conversione dei decreti-legge.

In riferimento alla violazione dell'art. 72 della Costituzione, relativa alla mancata specifica approvazione dell'art. 5-bis impugnato, l'Avvocatura osserva che dopo la posizione della questione di fiducia da parte del Governo i lavori parlamentari sono proseguiti, secondo il disposto dell'art. 116, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, con l'illustrazione degli emendamenti presentati e, pertanto, deve escludersi che ai singoli parlamentari sia stata preclusa la conoscibilità del contenuto della norma in questione.

Nella memoria si afferma poi che accanto alla norma di rango costituzionale che disciplina l'approvazione "articolo per articolo", deve valutarsi la "corrispondente regola" prevista dall'art. 94 della Costituzione, che attiene al rapporto di fiducia che deve sussistere tra le Camere e il Governo. Secondo l'Avvocatura, dai due precetti costituzionali ora richiamati deriva "la derogabilità della normale procedura di approvazione di un disegno di legge", prevista d'altro canto dallo stesso art. 72, secondo e terzo comma, della Costituzione. La disciplina dei "procedimenti abbreviati" ivi prevista, e rimessa ai regolamenti parlamentari, conferma - secondo quanto sostenuto nella memoria - che la posizione della questione di fiducia da par te del Governo possa avere conseguenze procedurali sull'iter di approvazione di un disegno di legge e che tali deroghe abbiano natura costituzionale.

Considerato in diritto

1.- La Corte di appello di Torino solleva, in relazione agli artt. 72 e 77 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, recante "Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica". La disposizione impugnata - che non risultava inclusa nel testo del decreto- legge, ma che è stata introdotta per la prima volta nel contesto della legge di conversione - ha dettato una nuova disciplina transitoria dell'indennità di espropriazione delle aree edificabili.

Ad avviso del giudice remittente, tale disposizione si presenterebbe viziata, con riferimento agli artt. 72 e 77 della Costituzione, sotto tre profili diversi e cioè: a) per non essere stata sottoposta, in quanto introdotta nella legge di conversione, al vaglio preventivo della necessità e dell'urgenza; b) per avere assunto a proprio oggetto una materia (indennità di esproprio) del tutto estranea a quella (tributaria) regolata nel decreto legge; c) per essere stata approvata, a seguito della fiducia posta dal Governo sulla legge di conversione, senza una specifica discussione e votazione da parte delle Camere.

2.- L'Avvocatura dello Stato ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza, dal momento che l'ordinanza di rimessione non contiene alcun accenno alla natura edificatoria del terreno espropriato.

Tale eccezione non può essere accolta.

Pur in assenza di una specifica indicazione, la destinazione edificatoria del terreno che ha dato luogo alla controversia nel cui ambito la questione è stata sollevata può essere, infatti, indirettamente desunta, con sufficiente certezza, dallo stesso contesto dell'ordinanza e dall'esposizione dei fatti ivi espressa. Va, di conseguenza, riconosciuta l'applicabilità nel giudizio a quo della norma contestata.

3.- Nel merito la questione non è fondata.

Occorre innanzitutto ricordare che la disposizione impugnata non compresa nel testo del decreto-legge n. 333 del 1992 - venne introdotta, come articolo "aggiuntivo" (art. 5-bis), nel corso dell'esame in sede referente del disegno di legge di conversione di tale decreto-legge da parte delle Commissioni riunite V e VI della Camera dei deputa ti. Tale articolo, proposto da alcuni deputati, ottenne il parere favorevole del Governo e, dopo breve discussione, venne adottato senza modificazioni dalle Commissioni riunite nella seduta del 23 luglio 1992.

La norma venne poi definitivamente approvata dalla Camera il 29 luglio 1992, a seguito della fiducia posta dal Governo sull'articolo unico del disegno di legge, che riportava in allegato, tra le modificazioni apportate in sede di conversione, anche l'art. 5-bis.

Al Senato il disegno di legge di conversione venne esaminato, in sede referente, dalle Commissioni 5° e 6° riunite nella seduta del 31 luglio 1992 e approvato, senza alcuna variante, nella seduta del 7 agosto 1992, a seguito della fiducia riproposta dal Governo sull'articolo unico dello stesso disegno.

4.- Richiamati i termini del procedimento, risulta agevole rilevare l'infondatezza del primo profilo della questione sollevata, relativo alla mancata valutazione dei requisiti della necessità e dell'urgenza della norma contestata. In realtà, il fatto che tale articolo sia stato introdotto dal Parlamento nel corso dell'esame di un disegno di legge di conversione rende del tutto non pertinente il richiamo all'art. 77 della Costituzione ed ai requisiti ivi contemplati in relazione ai decreti-legge.

La valutazione preliminare dei presupposti della necessità e dell'urgenza investe, infatti, secondo il disposto costituzionale, soltanto la fase della decretazione di urgenza esercitata dal Governo, nè può estendersi alle norme che le Camere, in sede di conversione del decreto-legge, possano avere introdotto come disciplina "aggiunta" a quella dello stesso decreto: disciplina imputabile esclusivamente al Parlamento e che - a differenza di quella espressa con la decretazione d'urgenza del Governo - non dispone di una forza provvisoria, ma viene ad assumere la propria efficacia solo al momento dell'entrata in vigore della legge di conversione (v. art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400).

5.- Infondato si presenta anche il secondo profilo della censura, riferito all'asserita disomogeneità dell'oggetto regolato con la misura impugnata (indennità di esproprio) rispetto ai contenuti propri della materia disciplinata attraverso il decreto-legge n. 333 del 1992.

In proposito basti solo rilevare che un vincolo di omogeneità rispetto ai contenuti del decreto-legge è stato introdotto con l'art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, dove, a integrazione dell'art. 77 della Costituzione, si stabilisce che i decreti-legge "devono contenere misure di immediata applicazione ed il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo". Tale previsione - indubbiamente giustificata, ma sprovvista della forza costituzionale - risulta riferita al contenuto del decreto-legge nè può essere, di conseguenza, estesa al caso in esame, dove viene in gioco il contenuto di una norma introdotta, per la prima volta, in sede di legge di conversione. A questo si aggiunga che la disciplina relativa all'indennità di esproprio, contenuta nella norma impugnata - che ha superato il controllo di ammissibilità di cui all'art. 96-bis, comma 8, del Regolamento della Camera - non si presenta dissonante con il quadro delle misure dettate, ai fini del risanamento della finanza pubblica, dal decreto-legge n. 333, misure che hanno investito il contenimento della spesa pubblica e non soltanto la materia tributaria.

6.- Va, infine, disatteso anche il terzo profilo della questione sollevata, che investe, in particolare, la violazione dell'art. 72 della Costituzione.

Con tale profilo viene contestato il fatto che la norma impugnata, a seguito della questione di fiducia posta dal Governo sull'articolo unico della legge di conversione, è stata approvata dalle Camere senza una specifica discussione e votazione, in particolare, senza quella approvazione "articolo per articolo" di cui parla l'art. 72, primo comma, della Costituzione.

In ordine a tale profilo va innanzitutto rilevato che l'art. 72 della Costituzione affianca al procedimento ordinario di approvazione della legge alcuni procedimenti speciali, la cui disciplina viene affidata ai regolamenti parlamentari.

Tra i procedimenti speciali non contemplati dalla costituzione, ma previsti e disciplinati in sede regolamentare, possono essere ricompresi anche quello relativo all'approvazione dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge (art. 96-bis Reg. Camera e art. 78 Reg. Senato), nonchè quello concernente la posizione della questione di fiducia da parte del Governo sull'approvazione o reiezione di emendamenti ad articoli di progetti di legge (art. 116 Reg. Camera e art. 161, comma 4, Reg. Senato).

Nella specie - vertendosi in tema di approvazione di un disegno di legge di conversione di un decreto-legge su cui il Governo aveva posto la questione di fiducia - il punto da sottolineare è che l'approvazione delle Camere si è perfettamente adeguata al rispetto delle previsioni regolamentari concernenti sia l'uno che l'altro procedimento: con la conseguenza che la discussione e la votazione si è venuta a concentrare - ai sensi dell'art. 116, comma 2, Reg. Camera - sull'articolo unico del disegno di conversione.

Questo non significa, peraltro, che le Camere non abbiano potuto decidere con piena cognizione di tutte le modificazioni apportate, nel corso della procedura, al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 333 del 1992, e, in particolare, dell'art. 5-bis introdotto dalle Commissioni riunite V e VI della Camera.

Il testo dell'art. 5-bis - al pari delle altre modifiche introdotte in sede di conversione - risultava, infatti, allegato all'articolo unico del disegno di legge di conversione e poteva, di conseguenza, formare oggetto, se non di voto separato, di discussione nell'ambito di ciascuna Camera (v. in proposito anche l'art. 85, comma 6, Reg. Camera, dove si dispone che "la discussione dell'articolo del disegno di legge che converte un decreto-legge avviene sul complesso degli emendamenti, subemendamenti ed articoli aggiuntivi riferiti a ciascuno degli articoli del decreto-legge").

Il rispetto da parte delle Camere della procedura desumibile dalla disciplina regolamentare speciale relativa all'approvazione di un disegno di legge di conversione su cui il Governo abbia posto la questione di fiducia conduce, dunque, a escludere che, nel caso in esame, si sia potuta configurare la lesione delle norme procedurali fissate nell'art. 72 della Costituzione che l'ordinanza contesta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, di conversione del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), sollevata, in relazione agli artt. 72 e 77 della Costituzione, dalla Corte di appello di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 26 luglio 1995.